lunedì 24 novembre 2008

Mayawati lancia la sfida a Sonia Gandhi

La battaglia tra Sonia Gandhi e Mayawati, le due “dame di ferro” della politica indiana, è iniziato ieri con un duello a distanza a Nuova Delhi dove tra quattro giorni si tengono le elezioni per il rinnovo del parlamento locale. La leader del Congresso è atterrata con un elicottero per un comizio elettorale in un quartiere nella parte occidentale della capitale abitato dalla classe operaia tra un coro di “Sonia Gandhi Zinzabad” (Viva Sonia Gandhi). La sua rivale, Kumari Mayawati, leader dei “dalit”, gli ex intoccabili, e primo ministro dell’Uttar Pradesh (lo stato indiano più popoloso con 160 milioni di abitanti) è invece scesa in campo agli antipodi della metropoli a Trilokpuri, un rione popolare, dove erano radunati 20 mila sostenitori secondo il suo partito, il Bahujan Samaj Party (BSP), che ha come simbolo l’elefante e che per la prima volta ha presentato candidati in quasi tutti i collegi elettorali di Delhi. Mayawati è apparsa nel suo salwar kamise di chiffon rosa come al solito e ha ricevuto in regalo una corona d’oro. Molti dei suoi sostenitori erano arrivati in bus dal vicino Uttar Pradesh per acclamare la “Behenji”, “sorella”, come è chiamata questa cinquantunenne “single”, ex insegnante, figlia di genitori “intoccabili”, ma che è anche la più grande contribuente indiana. Il patrimonio personale di Mayawati è simile a quello degli attori di Bollywood. Ha una grande passione per i gioielli, ma anche una grande capacità di raccogliere fondi per il partito. La sua immagine è controversa per via di una serie di scandali finanziari che l’hanno travolta in passato, tra cui quello riguardante la costruzione di un centro commerciale vicino al famoso mausoleo del Taj Mahal, nella cittadina di Agra. L’hanno accusata anche di condurre una vita fastosa nel suo palazzo di Lucknow dove è protetta da 350 poliziotti. Ma la leader del BSP ogni volta è riuscita a risorgere dalle ceneri e ha rimontato la china con una vittoria a sorpresa nell’aprile del 2007 quando il suo partito conquisto la maggioranza in Uttar Pradesh grazie all’appoggio “trasversale” delle caste alte dei brahmini e del ceto sociale medio dei commercianti e degli artigiani. Da allora Mayawati ha lanciato il guanto di sfida niente meno che alla leader Sonia Gandhi e al figlio Rahul, suo erede politico e forse anche prossimo candidato alla carica di primo ministro. Con le elezioni generale previste per aprile-maggio 2009 e un mini test elettorale in corso in queste settimane in sei stati del nord dell’India, la sfida si fa rovente. Alcuni hanno perfino paragonato Mayawati al presidente americano eletto Barack Obama, l’afroamericano diventato il beniamino delle comunità emarginate e che ha promesso una svolta radicale con il passato.

venerdì 21 novembre 2008

Esuli tibetani di Dharamsala confermano linea del Dalai Lama

La comunità dei tibetani è in crisi di identità, ma per ora non ci sarebbero alternative all’approccio moderato della Via di Mezzo seguito con la Cina in questi anni. Il conclave di 500 rappresentanti degli esuli tibetani a Dharamsala che si conclude oggi avrebbe riconfermato l’appoggio alla linea politica del Dalai Lama, anche se ammissione dello stesso leader spirituale, non ha portato a nessun passo. Sembrerebbe quindi che la fazione radicale e indipendentista, costituita dalle nuove generazioni di tibetani che hanno animato le proteste contro le Olimpiadi di Pechino, sia stata messa in minoranza con il rischio ora di probabili spaccature. Ma il comunicato finale, atteso per oggi e seguito da una conferenza stampa del Dalai Lama domani, potrebbe anche dettare delle condizioni ai cinesi sulla liberazione dei prigionieri tibetani incluso il Panchem Lama e il coinvolgimento di un osservatore indipendente durante i prossimi round di negoziati.
Intanto da Pechino giunge l’ennesimo attacco contro ogni possibilità di autonomia per il Tibet e contro qualsiasi compromesso con i tibetani. In un editoriale il Tibet Daily ha definito l’approccio della Via di mezzo un inganno perché come scrive “cerca di ottenere l’indipendenza di una regione che da 700 anni è parte del territorio cinese”. Tutto come prima quindi per gli esuli di Dharamsala.
Da ND MGC

Fiat inuagura produzione della Linea a Ranjangaon

Su Apcom

“Questo è un buon momento per entrare sul mercato con un’auto come la Linea ”. Parola di Rajeev Kapur, il manager indiano a capo della joint venture tra Fiat e Tata Motors, siglata ufficialmente un anno fa e battezzata Fiat India Automobiles Limited. Kapur è seduto ad un tavolo con i giornalisti nella mensa del grande stabilimento di Ranjangaon, distretto industriale vicino a Pune, fiore all’occhiello dello stato del Maharashtra. Ha ancora sulla fronte il segno vermiglio che un bramino gli ha impresso dopo aver “benedetto” con noci di cocco, incenso e fiori il cofano della prima auto uscita dalla catena di montaggio nuova di zecca.

Oggi la Fiat ha inaugurato la produzione della Linea, la berlina di lusso già presente in Turchia e nel resto d’Europa e a cui sono affidati le sorti del rilancio del Lingotto sul ricco mercato indiano.

A partire dal prossimo 16 dicembre, dopo il lancio ufficiale a Mumbai, la Linea sarà in vendita in circa 60 concessionari Fiat-Tata. L’obiettivo dichiarato da Kapur è di vendere 2500 auto al mese, un traguardo che la stampa indiana ha definito ambizioso soprattutto dopo il crollo della domanda di vetture degli ultimi mesi. La crisi mondiale si fa sentire anche sull’India. Anche se le stime di crescita rimangono superiori al 6 per cento, si sta già verificando una frenata dei consumi di beni durevoli da parte della classe media emergente. “Siamo convinti – aggiunge Kapur – che il segmento B e C continuerà a crescere”. La Linea , che sarà prodotta in tre gamme (“Il prezzo sarà deciso due ore prima del lancio”) era stata presentata già all’inizio dell’anno al Salone dell’Auto di Nuova Delhi, monopolizzato dalla Tata Nano, la mini car che è stata bloccata dalle proteste dei contadini in Bengala Occidentale. “Abbiamo mantenuto la nostra promessa” ha aggiunto il manager minimizzando il ritardo di alcuni mesi che sarebbe dovuto a problemi tecnici.

La nuova linea di produzione (in tre capannoni dedicati alla lastratura, verniciatura e montaggio) “è all’avanguardia ed è stata realizzata in sei mesi” spiega Giorgio Bollato, responsabile della produzione che ha messo in piedi la fabbrica in Turchia. “Questo è il più grande investimento di Fiat dopo Turchia e Polonia” - aggiunge. La catena di montaggio sarà in grado di produrre un auto ogni 112 secondi. La capacità dello stabilimento è di 200 mila unità all’anno, ma potrà essere raggiunta solo quando saranno prodotti altri modelli come la Grande Punto , l’altra vettura su cui la Fiat punta la sua riscossa in India e che entrerà in produzione nella seconda metà del 2009. La stessa struttura potrà poi essere usata in futuro anche per la nuova Indica X1 di Tata.
Intanto continuerà la produzione della Palio Stile, una nuova versione della world car sbarcata sul mercato indiano nel 2001 sulla scorta del grande successo in Brasile, ma che non è mai riuscita a sfondare per la cattiva gestione della rete di post vendita. “ A partire da quest’anno abbiamo iniziato a esportare 800 Palio in Sudafrica – ha aggiunto Kapur – e cercheremo di aumentare questo numero il prossimo anno. L’esportazione nei Paesi con guida a destra permetterebbe di sfruttare le potenzialità della fabbrica di Ranjangaon (in totale 200 mila veicoli all’anno e 300 mila tra motori e trasmissioni), rimasta inutilizzata per dieci anni e riaperta nell’aprile del 2006 grazie all’accordo da un miliardo di dollari circa tra Fiat e Tata.

lunedì 17 novembre 2008

Tibetani in conclave a Dharamsala decidono il loro destino

Sarà una settimana cruciale questa per la comunità tibetana in esilio che alla vigilia del 50esimo anniversario della fuga del Dalai Lama in India si ritrova a dover ripensare radicalmente la strategia nei confronti della Cina. Circa 500 delegati sono riuniti da ieri in un conclave a Dharamsala per quella che il primo ministro in esilio Samdhong Rinpoche ha definito una “libera e sincera discussione” da cui potranno emergere nuove idee alternative” alla politica di mediazione con la Cina. Secondo l’ammissione dello stesso Dalai Lama, l’approccio moderato conosciuto come “la via di mezzo , è fallito. L’ultimo round di negoziati a Pechino, l’ottavo dal 2002, non ha portato a nessun frutto, anzi la posizione cinese sembra essersi irrigidita. Nella comunità tibetana, soprattutto tra le nuove generazioni, stanno emergendo posizioni più radicali e indipendentiste. E’ un segnale nuovo che arriva direttamente dal Tibet come si è visto dalla violenta insurrezione di marzo. Ma c’è anche un elemento in più. La salute del 73enne e attivissimo Dalai Lama, ricoverato ad agosto per un’operazione chirurgica, è sempre più fragile. Il dibattito sulla successione rimane ancora aperto. Anche di questo dovrà discutete il conclave dei tibetani che si conclude sabato prossimo.

Ritornano in 200 convertiti della tribù perduta d'Israele

Circa 200 persone appartenenti alla comunità indiana Bnei Menashe, ritenuti discendenti di una delle tribù perdute d’Israele, hanno ricevuto il permesso di immigrare in Israele. Dopo aver ottenuto il via libera dal governo potranno volare a gennaio a Tel Aviv dove saranno ricevuti con tutti gli onori dal primo ministro Ehud Olmert, secondo una fonte ufficiale.
La decisione è frutto di un controverso processo di “riconoscimento” dei Bnei Menashe, letteralmente i figli di Manasse (uno dei figli del patriarca Giuseppe), che vivono nei piccoli e isolati stati indiani nord orientali del Manipur e Mizoram e che praticano una sorta di antico ebraismo rispettando alcune tradizioni come la celebrazione del sabato e la circoncisione. Sulla base di ricerche e anche della prova del DNA, le autorità israeliane erano giunte alla conclusione che si tratta dei discendenti di una delle 10 tribù perdute del regno di Israele esiliate dai conquistatori assiro-babilonesi circa 2700 anni fa. La comunità conta circa 9 mila persone, di cui 1500 sono già immigrati in Israele dove si sono convertiti e hanno acquisito un nuovo passaporto. Altri 7000 Bnei Menashe sono ancora in attesa del riconoscimento del diritto di “alihah” (diritto di ritorno) che consentirebbe loro di lasciare i poveri villaggi dove vivono ed essere integrati nella più benestante società israeliana.
Nel 2005 una speciale commissione di rabbini inviata dalle autorità israeliane era giunta in India per convertire all’ebraismo ortodosso la comunità dei Bnei Menasce (che avrebbe anche ramificazioni nel vicino Myanmar) dopo aver riconosciuto l’autenticità delle loro antiche origini ebraiche.

domenica 16 novembre 2008

Kashmir, domani via alla prima fase del voto

In questi giorni in Kashmir è caduta la prima neve della stagione, ma non sarà solo il maltempo a rendere deserte le urne che domani si aprono per la prima di sette giornate elettorali per il rinnovo del parlamento regionale. Come avviene fin dal 1990 i separatisti kashmiri hanno fatto appello al boicottaggio di questo voto che è considerato cruciale per il governo di Nuova Delhi dopo le violente proteste pro indipendentiste di agosto e settembre.
Dopo alcuni anni di relativa calma, nella “Valle”, come l’India chiama la regione a maggioranza mussulmana del Kashmir (per distinguerla da quella buddista del Ladakh e da quella indù di Jammu) è riemerso dalle ceneri un movimento di ribellione contro il governo indiano che da oltre mezzo secolo controlla due terzi della regione himalayana contesa con il Pakistan.
A provocare la scintilla era stato il tentativo di assegnare dei terreni per costruire strutture alberghiere per i pellegrini indù diretti ogni anno alla grotta sacra al dio Shiva di Amarnath, vicino a Srinagar. Nei disordini e scontri con la polizia erano state uccise oltre 40 persone.
Il governo di Nuova Delhi, già sotto pressione per l’ondata di attentati terroristici di matrice mussulmana (ma anche della destra induista come sta emergendo in questi giorni), si è ritrovato con una delle più gravi insurrezioni dal 1989, da quando è iniziata la guerriglia separatista. Lo stato del Jammu e Kashmir, che da agosto è stato commissariato dopo i disordini, è diventato di nuovo un punto centrale nell’agenda politica del Congresso, il partito di Sonia Gandhi che guida la coalizione di governo e che dovrà affrontare nuove elezioni generali nella primavera del 2009. Il test elettorale kashmiro, che si concluderà il prossimo 24 dicembre (nello stesso periodo al voto vanno anche altri cinque stati dell’India settentrionale) è quindi visto come una sorta di verifica della legittimità e della capacità di controllo di Nuova Delhi sulla regione contesa che è una delle più militarizzate al mondo. Anche per queste elezioni sono state schierate migliaia di truppe davanti ai seggi. Nell’ultima tornata del 2002 il processo di voto era stato caratterizzato da violenze e attentati. Questa volta la situazione si profila più tranquilla dopo che un gruppo estremista filo pachistano ha fatto appello a non usare la violenza, ma a organizzare proteste pacifiche contro il voto.
L’organizzazione separatista moderata nota come Hurriyat Conference, rivitalizzata dalle proteste estive e che domani boicotterà le urne, ha denunciato la campagna di arresti dei suoi rappresentanti. In questi ultimi giorni circa 30 leader separatisti sono stati messi agli arresti domiciliari, tra cui il Mirwaiz Umar Farook, presidente dell’Hurriyat e carismatica figura religiosa. Aveva annunciato per ieri una marcia di protesta verso Bandipore, uno dei distretti che va al voto domani. A parte numerosi candidati indipendenti, i principali partiti pro indiani in lizza sono due, il People Democratic Party, vincitore nel 2002 e il National Conference guidato da Omar Abdullah, ultimo rampollo di una dinastia di leader kashmiri e abbastanza critico verso le elezioni “che potranno permettere una gestione amministrativa della regione, ma non risolvere la disputa sul Kashmir”.
L’unica soluzione passerebbe attraverso il negoziato con il Pakistan che dopo otto anni ha chiuso l’era del regime di Pervez Musharraf e che ha ora un governo democraticamente eletto guidato da Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, assassinata un anno fa. Il nuovo leader di Islamabad sembra essere abbastanza disponibile ad aperture sul fronte del Kashmir, ma per ora la priorità sembra la lotta ai gruppi estremisti di Al Qaeda al confine afghano e, va ricordato, anche la gravissima crisi economica. Va anche sottolineato che per alcuni anni, durante il governo Musharraf, c’è stato un canale diplomatico segreto parallelo al processo di pace indo-pachistano avviato nel 2003 che però non avrebbe portato a nessun frutto.
Con il cambio della guardia alla Casa Bianca la questione kashmira potrebbe ritornare al centro dell’agenda internazionale. Il presidente eletto Barach Obama aveva considerato a un certo punto l’ipotesi di nominare Bill Clinton come “inviato speciale”. Si tratterebbe di una svolta rispetto alla politica seguita da Bush di non interferenza nella contesa che per Nuova Delhi è strettamente “bilaterale”. A differenza di Islamabad, disponibile ad accettare l’intervento dell’Onu nel rispetto quindi delle vecchie risoluzioni che prevedevano un plebiscito, l’India non intende accettare “terze parti” nei negoziati. Una posizione rigida che di sicuro il premier indiano Manmohan Singh avrà ribadito nel suo recente colloquio telefonico con Obama.

sabato 15 novembre 2008

Sri Lanka, ribelli tagliati fuori dalla costa nord occidentali

L’avanzata dell’esercito di Colombo contro i ribelli tamil nel nord dell’isola è arrivata a un punto cruciale che potrebbe portare alla caduta di Kilinochchi, l’ultimo bastione delle Tigri Tamil. Secondo fonti governative, i militari avrebbero catturato la città di Pooneryn, uno dei punti di ingresso attraverso una laguna alla penisola di Jaffna, sotto il controllo governativo, ma isolata da due anni dal resto del Paese. Era da mesi che l’esercito srilankese stava combattendo per il controllo di questa parte della costa nord occidentale determinante per i rifornimenti ai guerriglieri. Secondo il governo di Colombo, armi e munizioni arriverebbero proprio grazie al contrabbando dal vicino stato indiano del Tamil Nadu, separato solo da una stretta striscia di mare.
Il prossimo obiettivo potrebbe essere la ricattura di Elephant Pass, altra via di accesso a Jaffna ora controllata dai ribelli tamil, che permetterebbe la riunificazione del sud e nord per la prima volta dopo 8 anni. Ma nonostante l’ottimismo del presidente Mahinda Rajapaksa, che ha di nuovo chiesto oggi ai ribelli di arrendersi e negoziare, la battaglia sarebbe ancora lunga e soprattutto costosa per le casse statali dissanguate da una spesa record per la difesa e ora anche dalla crisi mondiale.

venerdì 14 novembre 2008

Chandrayan, missione compiuta. La bandiera indiana è arrivata sulla luna

E’ significativo che per piantare la sua bandiera sulla luna, l’India abbia scelto l’anniversario della nascita dello statista Nehru. L’allunaggio di un modulo avvenuto ieri sera dopo le otto, ora indiana, sganciato dalla sonda orbitante Chandrayan I, ha un valore più simbolico che scientifico. L’apparecchio, di 35 chili, grande come una televisione e dipinto con il tricolore indiano, ha scattato fotografie ravvicinate durante la sua discesa, ma la sua funzione si è esaurita con l’impatto sulla crosta lunare. Ma tanto basta per permettere all’India di rivendicare un posto in prima fila nella corsa alla colonizzazione lunare al fianco di Stati Uniti, Unione Europea e Russia. Il fatto che ci sia arrivata prima della rivale Cina è un motivo di orgoglio in più per New Delhi. L’idea di inviare un modulo lunare è dell’ex presidente indiano Abdul Kalam, lo scienziato che ha fondato il programma missilistico e nucleare e convinto sostenitore del concetto di progresso tecnologico al servizio dello sviluppo. La missione Chandrayan I, costata 80 milioni di dollari, un‘inezia rispetto a quanto spende la Nasa, ha l’obiettivo di fare una mappatura tridimensionale del satellite terrestre, ma anche di verificare la presenza del rarissimo isotopo Elio 3, utilizzato per la fusione nucleare, che potrebbe essere un giorno la soluzione ai fabbisogni energetici del pianeta.

Università italiane a caccia di studenti indiani

Su Apcom
Spinte dai tagli finanziari e dal calo degli iscritti, le università italiane vanno a caccia di studenti in India. Sette atenei hanno partecipato all’European Higher Education Fair che si è conclusa oggi a Nuova Delhi e che è stata organizzata dalla Commissione Europea con l’obiettivo di attirare l’attenzione degli studenti indiani che vogliono studiare all’estero, ma che cercano un percorso accademico alternativo a quello offerto da Stati Uniti o Australia, le destinazioni preferite insieme a quella tradizionale del Regno Unito. Alla fiera, inaugurata dal Commissario europeo all’istruzione Jan Figel, erano presenti 90 università dai 27 Paesi dell’UE. Per l’Italia, oltre al Ministero degli Esteri, c’erano l’università Cà Foscari di Venezia, il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Torino e quella del Piemonte Orientale, l’Università della Calabria, l’Università di Genova, l’Orientale di Napoli e Bocconi University di Milano. In totale sono circa 160 i corsi di laurea in inglese, soprattutto in materie scientifiche ed economiche, offerti dagli istituti accademici agli studenti stranieri. Le discipline più richieste dagli indiani sono ingegneria, moda e gestione aziendale. In molti casi c’è la possibilità di ottenere borse di studio attraverso i popolari programmi di Erasmus Mundus o con i numerosi accordi di scambio siglati dalle università italiane e indiane.
In particolare la Bocconi, che ha anche un ufficio di rappresentanza a Mumbai, ha siglato accordi di scambio a livello di “Master of Science” con 8 prestigiosi istituti che nel 2007 hanno coinvolto 23 studenti italiani e altrettanti indiani.

Osama bin Laden indebolito? Lo dice la Cia

In onda su Radio Svizzera Italiana
Mentre la Casa Bianca si prepara a un radicale cambio della guardia che avrà conseguenze anche sulla crociata contro il terrorismo islamico, sembra che Al Qeada cominci a dare i primi segni di cedimento secondo la Cia impegnata in questi mesi in una dura offensiva nel nord-ovest del Pakistan. A un seminario a Washington il numero uno dell’intelligence americana Michel Hayden ha detto che bin Laden “sarebbe completamente isolato e obbligato a spendere la maggior parte delle sue energie a cercare di sopravvivere”. E’ la prima volta dopo tanto tempo che gli Stati Uniti ammettono chiaramente che lo sceicco saudita è vivo e che si nasconde lungo la frontiera afghano-pachistana. Hayden ha anche aggiunto che la maggior parte delle minacce di attentati terroristici proverrebbe da quell’area popolata da tribù di etnia pashtun. Al Qaeda avrebbe rafforzato qui la sua presenza, mentre si sarebbe indebolita in Iraq, Arabia Saudita, Indonesia e Filippine.
Ma il super ricercato bin Laden, sarebbe tagliato fuori dalla gestione quotidiana delle operazioni e questo a causa della morte naturale o uccisione di molti suoi luogotenenti. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi missilistici con aerei droni della Cia contro presunte basi nel nord ovest, nonostante le proteste del governo di Islamabad che li considera una flagrante violazione della sovranità nazionale. L’ultimo bombardamento è avvenuto la scorsa notte contro una casa in un villaggio del nord del Waziristan e avrebbe ucciso 12 persone, la maggior sospetti combattenti di Al Qaeda di diverse nazionalità. Sarebbe il ventesimo raid americano negli ultimi tre mesi.

martedì 11 novembre 2008

Puja al dio Hanuman per la vittoria di Obama


Su Apcom
Alla vittoria dell’afro-americano Barack Obama avrebbe contribuito anche Hanuman, il dio induista dalle sembianze di scimmia simbolo della forza e lealtà. Ne è convinto Brij Mohan Bhama, un politico del partito del Congresso, che stamattina ha celebrato una speciale cerimonia religiosa per ringraziare la divinità per l’elezione del senatore dell’Illinois che avrebbe tra i suoi amuleti portafortuna anche un piccolo portachiave che raffigura Hanuman.
Alla presenza di decine di curiosi e di diverse telecamere un gruppo di brahmini intorno a un fuoco sacro ha celebrato una “yagna” e una “puja” recitando una litania di invocazioni per Obama e gettando riso, noci di cocco e burro chiarificato tra le fiamme. La cerimonia si è tenuta nel vecchio tempio dedicato ad Hanuman, che sorge a pochi passi dal Connaught Place, la grande piazza circolare e cuore commerciale della capitale. In particolare, il giorno di martedì è dedicato a questo dio-eroe del libro epico Ramayana che è molto popolare in India e che è raffigurato con una pesante mazza.
“Sono convinto che l’elezione di Obama migliorerà le relazioni tra Stati Uniti e India – ha detto ai giornalisti il 56enne Bhama che il 15 gennaio si recherà negli Usa “su invito del partito democratico” per consegnare direttamente al presidente eletto una statua di 15 chili placcata in oro di Hanuman, un regalo offerto lo scorso giugno, ma che non aveva potuto accettare. “I senatori Usa non possono ricevere regali dall’estero di valore superiore ai 10 dollari – spiega – ma ora che è presidente può accettare”. Obama avrebbe promesso di mettere la statua nel suo ufficio dove c’è già un ritratto del Mahatma Gandhi. I brahmini indiani avevano già celebrato un rito propiziatorio per Obama la scorsa primavera alla presenza della leader democratica Carolyn Sauvage-Mar e su richiesta di alcuni politici indo-americani del Partito Democratico “che avevano chiesto l’aiuto di Hanuman proprio per favorire la vittoria di un candidato di colore”. Per via del suo amuleto del dio-scimmia, che si ritiene sarebbe un ricordo di quanto viveva in Indonesia con il patrigno mussulmano, Obama è diventato l’idolo della diaspora indiana.
Tuttavia in India il successo del leader afro-americano ha suscitato qualche perplessità soprattutto per le sue dichiarazioni contro l’outsourcing di servizi informatici e in materia di anti proliferazione nucleare (anche se ha votato a favore dell’accordo sul nucleare pacifico con Nuova Delhi).
In particolare, aveva creato qualche apprensione l’esclusione dell’India dal primo e dal secondo giro di telefonate fatte da Obama dopo la sua vittoria quando ha chiamato 16 leader stranieri, tra cui anche il presidente pachistano Asif Ali Zardari. Proprio oggi il primo ministro Manmohan Singh, di ritorno da una visita di tre giorni nei Paesi del Golfo ha messo a tacere le polemiche precisando di essere stato chiamato sabato scorso, ma di non aver potuto rispondere in quanto si trovava in viaggio.

lunedì 10 novembre 2008

La Traviata, versione ridotta in tour in India


Su Apcom

Ha preso il via ieri sera a Nuova Delhi la tournée indiana dell’Orchestra Filarmonica di Palermo con la messa in scena de “La Traviata” in una versione riscritta e riadattata dal regista Giuseppe Cutino e dal direttore d’orchestra Onofrio Claudio Gallino. Oltre alla capitale indiana, le altre tappe saranno a Mumbai il 12 novembre e a Calcutta il 15 e 16 novembre. Si tratta di un evento culturale sponsorizzato dall’ambasciata italiana a Nuova Delhi dopo i concerti dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma negli ultimi due anni.
Lo spettacolo, firmato da Opera in Piccolo di Palermo, è suis generis perché prevede la partecipazione di artisti indiani e francesi affiliati a un’associazione locale, la Neemrana Music Foudation. Dei 34 componenti del cast solo venti sono italiani, tra cui 11 strumentisti. I quattro personaggi principali sono interpretati dalla soprano franco-indiana Aude Priya (Violetta), il tenore Giorgio Caruso (Alfredo), il baritone Emilio Marcucci (Germont) e la mezzosoprano indiana Shireen Sinclair (Annina). L’orchestra è accompagnata da un coro locale di 12 componenti diverso in ognuna delle città del tour.
“Con questa riscrittura intendiamo rendere più fruibile l’opera lirica a un più vasto pubblico che non è abituato a ascolti lunghi e anche renderla più adatta a spazi piccoli e a una scena essenziale” spiega Gallino, che è anche direttore artistico di Opera in Piccolo e che ha già precedenti esperienze artistiche in India. L’adattamento ribattezzato “Violetta, a traviata”, inizia dall’agonia di Violetta sul letto di morte e, a ritroso, ripercorre tutti i momenti salienti dell’opera verdiana utilizzando come palcoscenico la stessa platea del pubblico dove si muovono i due protagonisti maschili durante la maggior parte della rappresentazione.

sabato 8 novembre 2008

Pakistan, nuovo attacco missilistico Usa in Waziristan

In onda su Radio Svizzera Italiana
Nonostante le proteste del governo pachistano espresse solo pochi giorni fa al generale Petraeus, il nuovo responsabile del Centcom, gli Stati Uniti sembrano decisi a continuare nella loro strategia di eliminare con attacchi mirati le presunte basi di Al Qaeda nelle regioni tribali pachistane. Ieri, per la diciottesima volta in pochi mesi, un missile lanciato da un aereo drone della Cia ha distrutto una casa nel nord del Waziristan uccidendo almeno 11 sospetti, secondo fonti pachistane. Si pensa che sia stato il nascondiglio di uno dei collaboratori del leader talebano Baitullah Mehsud, sospettato tra l’altro dell’uccisione di Benazir Bhutto lo scorso dicembre. Ma come al solito l’attacco non è stato confermato dagli Usa e non si conosce l’identità delle vittime. Il governo di Islamabad teme che queste ripetute incursioni siano controproducenti perché creano sentimenti antiamericani tra le tribù di etnia pashtun e vanificano i tentativi del governo di arrivare ad un’intesa per sradicare i gruppi degli estremisti stranieri.
Le relazioni tra Usa e Pakistan si trovano a un punto di svolta. Il futuro inquilino della casa Bianca, Barack Obama, che oggi ha telefonato al presidente Asif Ali Zardari, si è impegnato a cercare ancora il supporto di Islamabad nella campagna contro il terrorismo islamico. Ma si ritiene che a differenza di Bush difficilmente sarà disponibile a sborsare miliardi di dollari per sostenere militarmente l’alleato Pakistan.

mercoledì 5 novembre 2008

Il Bhutan incorona il più giovane monarca del pianeta

Su Apcom
Il Bhutan, il piccolo e isolato regno himalayano che solo dallo scorso marzo ha abbracciato la democrazia, domani incorona il più giovane monarca del pianeta. Jigme Khesar Namgyel Wangchung, 29 anni, si prepara a salire sul trono ereditato dal padre che due anni fa aveva deciso di abdicare. Il giovane principe, laureato a Oxford, diventerà il quinto monarca del Bhutan, una nazione di 600 mila abitanti stretta tra India e Cina che ha introdotto “l’indice di felicità nazionale” al posto del Prodotto Nazionale Lordo. Alla cerimonia di incoronazione sono stati invitati solo una trentina di diplomatici stranieri. Ma per l’India, che condivide un poroso confine di 700 chilometri, ci saranno la presidente Pratibha Patil, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee e anche la leader del Congresso, Sonia Gandhi, che ha dei legami di amicizia con la famiglia reale bhutanese. Curiosamente il Bhutan non ha relazioni diplomatiche con l’Italia che quindi non sarà rappresentata.
Le date per il complesso rituale di investitura, che dura 45 giorni, sono state scelte da un gruppo di astrologi di corte. Domani il futuro sovrano riceverà mantello e scettro dalle mani del padre Jigme Singey Wangchuck nella storica fortezza della capitale Thimphu che è diventata ora la sede del governo eletto sei mesi fa nella prima votazione nella storia del regno buddhista. L’attuale sovrano era salito al trono nel 1974 all’età di 17 anni. Era stato lui tre anni fa a decidere di porre fine alla monarchia assoluta e di introdurre una moderna costituzione per adeguarsi ai tempi. E’ solo dal 1999 che il Bhutan, soprannominato la Terra del Dragone Tuonante e costosa meta turistica, ha introdotto televisione e internet. E solo in questi giorni è stato pubblicato il primo quotidiano in lingua inglese, “Bhutan Today”.

Obama, i pro e contro per l'India

Su Apcom
La vittoria di Barack Obama è stata accolta tra luci e ombre in India, uno dei Paesi che ha tratto più beneficio dalla politica estera di George Bush culminata con l’accordo di cooperazione sul nucleare civile siglato alla metà di ottobre. Il futuro inquilino della Casa Bianca - che ha come amuleto portafortuna un piccolo Hanuman, il dio scimmia e ha un ritratto del Mahatma appeso alle pareti dell’ufficio da senatore - ha suscitato una certa apprensione negli ambienti diplomatici di Nuova Delhi soprattutto per alcune dichiarazioni riguardo il Kashmir. In un’intervista la scorsa settimana Obama aveva ipotizzato un maggiore ruolo degli Stati Uniti per trovare una soluzione alla disputa sul Kashmir che da oltre mezzo secolo è al centro dell’ostilità tra India e Pakistan e che costituisce un elemento di costante attrito nell’intera regione sud asiatica. Se, come sembra, il neo presidente vorrà cambiare strategia nella lotta al terrorismo islamico, avrà bisogno della collaborazione dei governi di Afghanistan, Pakistan e anche dell’India, anch’essa vittima del fondamentalismo islamico come dimostrano gli attentati a catena degli ultimi mesi. A Islamabad siede ora un governo democratico guidato dal partito dei Bhutto, che a differenza del regime di Pervez Musharraf, sembrerebbe più conciliante sul fronte del Kashmir e anche sulla cooperazione con il governo di Kabul per riappacificare i confini del nord ovest dove serpeggia il malcontento a causa dei raid americani. Mentre la tradizionale posizione del Pakistan sulla contesa del Kashmir è sempre stata quella di un coinvolgimento dell’Onu o di potenze occidentali, l’India ha sempre rifiutato categoricamente l’intervento di “terze parti” ribadendo che si tratta di una questione interna. Difficile per ora intravedere un cambio di linea in futuro. I separatisti kashmiri hanno esultato per il successo di Obama da cui sperano di poter ricevere un aiuto per la loro causa. In un’intervista alla rivista “Time” il senatore democratico ha lasciato intendere di volere affidare a Bill Clinton il ruolo di “inviato speciale” per il subcontinente. L’ex presidente era già intervenuto durante la mini guerra scoppiata sulla linea di demarcazione di Kargil nell’estate del 1999.
Un'altra preoccupazione che potrebbe turbare i sonni dei leader di Nuova Delhi, è la questione dell’outsourcing. Tra le promesse elettorali di Obama c’è quella di concedere incentivi alle aziende che creano posti di lavoro in patria invece di trasferire i call-center o altri servizi informatici nei Paesi emergenti a basso costo come l’India. In un periodo di recessione mondiale, una svolta protezionista americana rischierebbe di avere gravi conseguenze sul settore trainante dell’Information Tecnology, dominato in gran parte dalle multinazionali americane. Il ministro delle finanze Chidambaram ha però oggi buttato acqua sul fuoco assicurando che “il settore dell’outsourcing non subirà conseguenze”. “Sono convinto – ha detto – che una volta Obama salirà al potere si renderà conto che non si può prescindere dall’interdipendenza economica”. Secondo la Camera di Commercio Indo-Americana ci si aspetta un’ulteriore crescita dell’interscambio che quest’anno toccherà i 60 miliardi di dollari.
Le relazioni tra India e Usa non sono mai state così fiorenti grazie al nuovo accordo sul nucleare che permetterà a Nuova Delhi di importare centrali atomiche e tecnologia “dual use” prima vietata a causa delle sanzioni imposte in seguito ai test nucleari del 1977 e del 1998. L’India non aderisce al Trattato di Non Proliferazione e questa eccezione, fortemente sostenuta da Bush, ha creato un pericoloso precedente nel quadro giuridico internazionale della non proliferazione. Il Pakistan, anch’esso un “pariah” del nucleare, ha già rivendicato uno stesso trattamento rivolgendosi all’alleato cinese. La forte lobby anti proliferazione dei democratici americani non potrà rimettere in discussione il trattamento speciale dell’India contenuto in una legge già firmata da Bush, ma potrebbe fare più pressione per convincere l’India ad aderire al trattato che vieta i test nucleari (CTBT, Comprehensive Test Ban Treaty). Obama ha assicurato che gli Usa firmeranno il CTBT.
Nonostante le ombre, la vittoria elettorale definita “straordinaria” dall’anziano premier Manmohan Sigh (anche lui in scadenza di mandato e che si è complimentato per “l’energia giovanile” del quarantasettenne Obama) è vista con soddisfazione dai 140 milioni di mussulmani indiani che sperano in una politica estera meno aggressiva che ha portato a sentimenti di ostilità nei confronti della potenza americana. La nuova strategia di Obama per una “soft diplomacy” che richiede meno uso della forza e più collaborazione, coincide anche con l’idea di Nuova Delhi di un nuovo ordine multipolare, più equilibrato e pronto a unire le forze per risolvere le crisi internazionali.

lunedì 3 novembre 2008

Usa-Pakistan, il generale Petraeus incontra governo di Islamabad

E’ abbastanza significativo che David Petraeus, il neo comandante delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, abbia scelto come suo primo impegno estero proprio il Pakistan, l’alleato cruciale della Casa Bianca nella crociata contro il terrorismo islamico. Il generale americano ha incontrato il presidente Asif Ali Zardari e i vertici dell’esercito pachistano impegnato da diverse settimane in una massiccia offensiva contro le roccaforti dei talebani nel nord ovest. Nonostante l’accoglienza calorosa, la visita coincide con un periodo critico per le relazioni tra Stati Uniti e Pakistan. Ribadendo una posizione già espressa in passato, Islamabad ha di nuovo criticato le incursioni statunitensi sul suo territorio dirette contro presunte basi di integralisti che oltre a causare vittime tra i civili alimenterebbero sentimenti anti americani tra la popolazione, secondo quanto affermato dal ministero della difesa pachistano. Da agosto gli attacchi missilistici compiuti con aerei droni nelle regioni tribali del Waziristan sono stati 17. Ma la visita del generale Petraeus, favorevole ad un dialogo con i talebani moderati, potrebbe segnare anche un cambio di strategia di Washington per stabilizzare la regione che prevede il coinvolgimento dei gruppi tribali pashtun. Una strategia che Afghanistan e Pakistan hanno già adottato con la mini jirga convocata la scorsa settimana a Islamabad.

domenica 2 novembre 2008

Sri Lanka, l'assedio si stringe intono alle Tigri Tamil

In onda su Radio Svizzera Italiana
In rappresaglia all’attacco navale di sabato, l’aviazione srilankese ha bombardato ieri un campo di addestramento dei ribelli tamil nella giungla a sud di Kilinocchhi, nel nord dell’isola. L’assedio delle forze governative si sta stringendo sempre più intorno alle ultime roccaforti delle Tigri Tamil.
Nella completa indifferenza della comunità internazionale, si sta consumando l’ultimo atto del sanguinoso conflitto tra cingalesi e tamil iniziato 25 anni fa. Il presidente Mahinda Rajapaksa che dopo il fallimento del processo di pace del 2002, ha scelto lo scontro frontale, è più che mai determinato a riunificare il Paese e a dare il colpo di grazia al movimento separatista dell’LTTE guidato da Prabhakaran. Ma i ribelli sembrano ancora avere molte carte da giocare come dimostra l’attacco aereo a una centrale elettrica vicino alla capitale Colombo lanciato mercoledì scorso con piccoli velivoli di fabbricazione ceca. In mancanza di informazioni indipendenti, è però difficile valutare i successi dell’offensiva militare governativa che finora ha causato 200 mila sfollati, secondo dati dell’Onu. Il Programma Alimentare Mondiale e anche la vicina India hanno iniziato a inviare aiuti alimentari alle popolazioni colpite nel nord dell’isola. Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha fatto scattare un campanello di allarme per l’economia dissanguata dalle spese per la difesa, dalla svalutazione della rupia e da un’inflazione che corre al ritmo del 23%.