sabato 30 agosto 2008

Orissa, continua la violenza contro minoranza cristiana

In onda su Radio Vaticana
Non accenna a diminuire la tensione nello stato dell’Orissa scosso da un’ondata di violenze contro chiese, istituti religiosi e abitazioni della minoranza cristiana. Alcuni dimostranti hanno appoiccato oggi il fuoco a 24 case nel distretto di Kandhamal, epicentro degli scontri che sono scoppiati dopo l’uccisione una settimana fa di un leader religioso di una associazione dell’estrema destra indù. Non è chiaro se ci sono state delle vittime in questo nuovo attacco che è avvenuto al indomani della giornata di solidarietà e preghiera organizzata dalle organizzazione cristiane in India e che ha visto al chiusura di 25 mila scuole in tutto il paese.
Dopo il ritrovamento di due corpi in decomposizione sempre nel distretto di Kandhamal, il bilancio ufficiale delle vittime e salito a 14 ma potrebbero essere molte di più secondo Asia News, agenzia di stampa del Pontificio Istituto Missioni Estere, che riferisce di 100 vittime sulla base di una stima fatta da un attivista del Global Council of Indian Christians.
Preoccupano anche le sorti delle migliaia di sfollati che sono ancora nascosti nelle foreste o nei campi di accoglienza predisposti dal governo.
Intanto oggi si sono verificati anche dei raid a Gwalior, nel Madhya Pradesh, dove fanatici indu hanno assalto 5 scuole e una chiesa per rappresaglia contro la chiusura decisa ieri dalla comunità cristiana.

Bihar, due milioni in fuga per straripamento fiume Kosi

In onda su Radio Svizzera Italiana
Le incessanti piogge monsoniche stanno rallentando la gigantesca evacuazione di due milioni di abitanti dalle zone alluvionate in Bihar, uno degli stati indiani più poveri. Il disastro, che i giornali hanno definito la Katrina dell’India, è stato causato dal fiume Kosi, un affluente del Gange, che ha rotto gli argini nel vicino Nepal e si è riversato a sud allagando uno dopo l’altro centinaia di villaggi. Le autorità del Bihar avevano avvertito due giorni fa le popolazioni locali del pericolo, ma non ci sono stati né il tempo né i mezzi per far fronte all’esodo. Attualmente 300 mila persone hanno trovato rifugio in campi di accoglienza, templi e negli edifici più alti non travolti dal fiume che ha completamente cambiato il suo corso come hanno mostrato le riprese satellitari. Si stima che ci sarebbero ancora 600 mila persone da soccorrere aggrappati ai tetti delle case o a bordo di improvvisate imbarcazioni. Una barca carica di sfollati si è rovesciata ieri nel distretto di Madhepura, uno dei più colpiti a nord del capoluogo Patna, causando la morte di 20 persone. Le inondazioni hanno travolto decine di migliaia di case e distrutto i raccolti. Il primo ministro Manmohan Singh che due giorni fa ha sorvolato la zona ha detto che si tratta di una calamità nazionale e ha promesso risarcimenti per le famiglie delle vittime. Ma a preoccupare di più è il futuro dei senza tetto che hanno perso ogni mezzo di sostentamento e che dovranno aspettare almeno tre mesi prima che le acque comincino a defluire.

Singur, chiusa per il secondo giorno la fabbrica dellla Tata Nano

Su Apcom
Per il secondo giorno consecutivo la nuova fabbrica di Tata Motors a Singur, dove si sta producendo la mini car Nano, rimarrà chiusa. Dopo le minacce del partito locale Trinamool Congress che guida la protesta contadina contro gli espropri agrari, il colosso automobilistico indiano ha ordinato a ingegneri e operai di abbandonare il posto di lavoro. L’intero staff di 3600 addetti è stato scortato dalla polizia fuori dalla fabbrica che è “picchettata” da una settimana dalla “pasionaria” dei contadini Mamata Banerjee. A provocare la decisione è stato il sequestro avvenuto due giorni fa di un autobus carico di operai bloccato per tre ore davanti ai cancelli.
La catena di montaggio della Nano sarebbe completa per l’85 per cento. Per realizzare il progetto le autorità locali avevano espropriato 400 ettari di terra fertile che però non sono stati utilizzati interamente. Con il loro sit-in, iniziato il 24 agosto lungo la strada nazionale NH-2, le associazioni pro contadini e il Trinamool Congress chiedono la restituzione di 160 ettari espropriati. Una richiesta che è stata però respinta dal primo ministro del Bengala Occidentale, il comunista Buddadebh Battacharjee, detto il “Buddha rosso” e che è un convinto sostenitore dell’industrializzazione dello stato di Calcutta.
Lanciata con grande clamore lo scorso gennaio da Ratan Tata che ha promesso di mantenere il prezzo a 2500 dollari, la Nano dovrebbe arrivare nei concessionari prima della fine dell’anno. Ma questo stop forzato rischia di ritardare la produzione. Dopo un incontro con le autorità del Bengala Occidentale, il patron di Tata aveva anche minacciato di dislocare la fabbrica se le proteste continuavano e mettevano in pericolo l’incolumità del personale. Il progetto di Singur è costato 375 milioni di dollari.
In un comunicato diffuso oggi da un portavoce di Tata Motors si legge che “non essendo stati finora miglioramenti della situazione sul terreno, non ci sono le condizioni per riaprire la fabbrica”. Una decisione sarà presa all’inizio della prossima settimana al ritorno di Ratan Tata, che ieri si trovava a Singapore dove gli è stata conferita la cittadinanza onoraria della città-stato.

venerdì 29 agosto 2008

Violenze anti cristiane in Orissa, 45 mila scuole chiuse

In onda su Radio Vaticana
Circa 45 mila scuole e istituti cristiani sono rimasti chiusi ieri in India per esprimere solidarietà alle vittime dell’ondata di violenza religiosa che sta sconvolgendo lo stato dell’Orissa da quasi una settimana. A New Delhi. Mumbai e nelle principali città le organizzazioni cristiane hanno organizzato marce e sit-in pacifici per sollecitare l’intervento delle autorità indiane. Il premier Manmohan Singh, incorando una delegazione di vescovi, ha definito gli attacchi contro i cristiani una “vergogna nazionale”. Secondo cifre ufficiali aggiornate sono morte 12 persone, tra cui una missionaria laica arsa viva, nelle violenze scoppiate dopo l’uccisione del leader religioso del gruppo di estrema destra indi Vishwa Hindu Parishad. ma ancora adesso manca un quadro chiaro della situazione nel distretto di Kandhamal, epicentro delle violenze che hanno anche causato la fuga di 7000 famiglie.
La Commissione nazionale per i Diritti umani ha chiesto al governo dell’Orissa di presentare un rapporto entro due settimane.
Intanto si sono registrati altri atti vandalici e saccheggi a Gwalior, nello stato nel Madhya Pradesh, contro alcune chiese e scuole che erano chiuse per la giornata di solidarietà nazionale.

lunedì 25 agosto 2008

Kashmir, come è riesplosa la rabbia indipendentista

Su Apcom
Era dal 2002, dall’ultima crisi tra India e Pakistan, che nel Kashmir indiano non si vedeva una sollevazione popolare cosi massiccia contro il governo di Nuova Delhi. Sembrava che il movimento separatista, indebolito da divisioni interne tra falchi e moderati, avesse ormai rinunciato a rivendicare l’indipendenza o a insistere sulla promessa mai mantenuta di indire un plebiscito sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il disgelo tra India e Pakistan avviato alla fine del 2003 con un cessate il fuoco tra i due eserciti schierati sulla cosiddetta Linea di Controllo - il fronte che divide i due Kashmir - aveva portato un periodo di relativa calma nella tormentata regione himalayana favorendo anche una ripresa del turismo. Agli inizi di giugno le caratteristiche “house boat” sul lago Dal di Srinagar registravano il tutto esaurito di vacanzieri indiani.
A innescare l’incendio, che probabilmente covava da tempo sotto la cenere, è stata la decisione dello scorso giugno di cedere un appezzamento di terra agli organizzatori di un famoso pellegrinaggio in una grotta sacra al dio Shiva dove ogni anno a partire da aprile si forma una stalattite di ghiaccio a forma di “linga”, simbolo fallico che rappresenta la divinità. Quest’anno un record di mezzo milione di fedeli induisti hanno intrapreso il lungo e periglioso trekking verso la grotta di Amarnath, che si trova in una profonda gola raggiungibile dopo giorni di cammino da due “campi base”, poco distanti da Srinagar, quindi in una zona popolata da mussulmani. Il pellegrinaggio, obiettivo privilegiato di attentati degli integralisti islamici in passato, è protetto da un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. L’Amarnath Sangarsh Samiti, la fondazione religiosa, da tempo chiede alle autorità locali dello stato indiano di Jammu e Kashmir un largo appezzamento di terra nel pianoro di Baltal, uno dei punti di partenza per la salita alla grotta, per costruire strutture di accoglienza durante i mesi estivi. Finora nell’area era allestita una gigantesca “tendopoli” in grado di ospitare circa 20 mila pellegrini, che da alcuni anni hanno la possibilità anche di un servizio di elicottero per raggiungere il luogo sacro.
La decisione di assegnare la terra all’istituzione religiosa induista aveva scatenato la rabbia dei mussulmani che per una settimana hanno paralizzato Srinagar e le altre città della vallata. Diverse persone sono morte negli scontri tra i dimostranti “armati” di pietre e la polizia, accusata di sparare sulla folla. E’ stato il primo segnale di un’insurrezione che a molti ricordava quella della fine degli Anni Ottanta quando è iniziata la ribellione separatista. Di fronte a una reazione così violenta, le autorità locali hanno fatto marcia indietro e hanno revocato l’assegnazione dei terreni provocando una bufera politica che si è conclusa con le dimissioni del responsabile dello stato del Jammu e Kashmir.
A quel punto è entrato in scena un nuovo protagonista, il nazionalismo indù sponsorizzato dal partito nazionalista del Bjp, all’opposizione nel governo centrale di Delhi, che ha portato in strada a Jammu – il capoluogo invernale del Jammu e Kashmir dove la popolazione è mista - migliaia dimostranti e poi bloccato la strada nazionale verso la mussulmana Srinagar, l’unico cordone ombelicale che unisce la vallata del Kashmir con il resto dell’India. Mentre le mele kashmire marcivano nei camion bloccati dai nazionalisti indù, a Srinagar scarseggiavano le medicine e la carne di agnello. L’assedio commerciale ha sollevato il risentimento non solo dei leader separatisti che dopo tanto tempo si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata, ma anche della gente comune, studenti, commercianti, albergatori e autotrasportatori. La simbolica marcia su Muzaffarabad, il capoluogo del Kashmir pachistano, dell’11 agosto, è stata repressa con la forza prima che i dimostranti raggiungessero il valico di Baramulla. Il bilancio della giornata di disordini è stato di otto morti, tra cui un leader separatista. Nelle ultime due settimane circa 30 mussulmani hanno perso la vita negli scontri con la polizia che anche oggi è intervenuta con la forza per bloccare i dimostranti alle porte di Srinagar dove da ieri è stato imposto il coprifuoco. Anche i giornalisti locali si lamentano si essere stati picchiati dalle forze dell’ordine. La città è presidiata dai militari che per precauzione hanno arrestato nella notte due leader separatisti, il “falco” Said Ali Shah Gelani e Omar Faruk, che è anche autorità religiosa, mentre nella mattina hanno fermato il “gandhiano” Yassin Malik, che stava guidando una dimostrazione verso la piazza di Lal Chowk, simbolo politico di Srinagar.
L’impressione è che la situazione stia sfuggendo di mano al governo di Nuova Delhi, concentrato in questo periodo sull’accordo sul nucleare civile con gli Stati Uniti e sulle elezioni generali del 2009. Con un lungo editoriale su un settimanale, Arundhati Roi, l’intellettuale pacifista diventata famosa per il romanzo “Il Dio delle piccole cose”, ha invocato l’indipendenza, “Azadi”, in lingua kashmira. “Dopo 18 anni di occupazione militare – ha scritto – si sta materializzando il peggiore incubo del governo indiano. Dopo aver creduto di aver schiacciato il movimento separatista, deve ora affrontare una protesta di massa che è non violenta, ma non è di quelle che sa come gestire. Questa è nutrita dai ricordi della gente di anni di repressione in cui decine di migliaia sono i morti, migliaia i desaparecidos, migliaia quelli torturati, picchiati, stuprati e umiliati. Questo tipo di rabbia, una volta che trova il suo sfogo, non può essere facilmente soffocata, rimessa in bottiglia e rispedita dove è venuta”.

Kashmir in fiamme, arrestati tre leader separatisti

In onda su Radio Svizzera Italiana

Erano anni che nel Kashmir indiano non si vedeva una sollevazione popolare cosi massiccia contro il governo di New Delhi. Sembrava che il movimento separatista, indebolito da divisioni interne, avesse ormai rinunciato a rivendicare l’indipendenza o a insistere sulla promessa mai mantenuta di indire un plebiscito sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il disgelo tra India e Pakistan avviato nel 2003 con un cessate il fuoco sulla linea che divide i due Kashmir aveva portato un periodo di relativa calma nella tormentata regione himalayana favorendo anche una ripresa del turismo. Dopo le proteste e le violenze di queste ultime settimane che hanno provocato quasi trenta morti, di cui tre negli scontri avvenuti oggi, la situazione sembra essere ritornata alla prima insurrezione dei separatisti della fine degli anni Ottanta. Per bloccare l’ennesima marcia di protesta le forze dell’ordine hanno imposto il coprifuoco a Srinagar e per la prima volta arrestato tre leader separatisti, i falchi Said Ali Shah Gelani e Yassin Malik e anche il moderato Mirwaiz Omar Faruk, che è un’importante autorità religiosa tra i mussulmani kashmiri.
La scintilla che ha fatto riesplodere la rabbia kashmira è stata l’assegnazione di un appezzamento di terra a Baltal, punto di partenza per un famoso pellegrinaggio ad una grotta sacra al dio Shiva. La decisione, che è poi stata revocata, ha scatenato le ire della minoranza indu, concentrata nella città di Jammu, che per giorni ha bloccato l’unica strada di accesso alla valle di Srinagar.

domenica 24 agosto 2008

Pakistan verso il caos, mentre Zardari si candida alle elezioni presidenziali

In onda su Radio Svizzera Italiana

E’ quasi passata una settimana dalle dimissioni di Pervez Musharraf, salutate come l’inizio di una nuova era democratica per un Paese che per la maggior parte della sua storia è stato governato da dittatori. Ma l’eredità lasciata dall’ex generale si profila più difficile del previsto sia sul fronte della stabilità interna che sulla lotta al terrorismo islamico. La luna di miele tra Asif Ali Zardari, vedovo della Bhutto e l’ex rivale Nawaz Sharif, leader della Lega mussulmana Pachjistana, sulla decisione di lanciare l’impeachment contro Musharraf, si è esaurita in fretta. La fragile alleaaza di goberno, emersa dalle elezioni di febbraio, è di nuovo ai ferri corti. L’attrito riguarda la candidatura alle elelzioni presidenziali del 6 settembre di Zardari, accusato in passato di corruzione tanto da essere battezzato Mister 10 per cento. Ma riguarda soprattutto la riabilitazione dei giudici della Corte suprema e in particolare del magistrato capo Iftikar Mohammed Chaudry, che si teme possa rimettere in discussione l’amnistia che ha permesso il ritorno in patria di Zardari e della moglie lo scorso ottobre. Il falco Nawaz Sharif ha di nuovo agitato la minaccia di uscire dalla maggioranza se non vedrà esaudita la promessa che i 60 giudici esautorati a novembre saranno rimessi al loro posto.
Mentre Musharraf si dedica al suo sport preferito, il golf, si prospettano giorni turbolenti a Islamabad e nel nord ovest dove c’è stata una escalation di attentati. Nelle ultime 24 ore decine di militanti e di soldati sono stati uccisi in una nuova dura offensiva militare nella vallata di Swat contro le postazioni dei talebani, gli stessi che in queste settimane stanno stringendo d’assedio Kabul.

venerdì 22 agosto 2008

Pakistan, Zardari candidato favorito alla presidenza?

In onda su Radio Vaticana

Il 52 enne marito di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, che dopo l’assassinio della leader, ha raccolto l’eredità del Partito Popolare Pachistano è uno dei possibili candidati alla presidenza del Pakistan. La commissione elettorale ha fissato per il 6 settembre la data per scegliere il successore di Pervez Musharraf che deve essere eletto in simultanea dal parlamento federale e dalle 4 assemblee legislative provinciali. Ma le ambizioni di Zardari potrebbero infrangersi contro l’opposizione del suo alleato Nawaz Sharif che guida il secondo partito della coalizione. Il braccio di ferro tra i due leader rischia di aprire una crisi di governo in un momento delicato per il Pakistan alle prese con gravi problemi economici e con una lunga scia di attentati suicidi rivendicati dai talebani. L’ultimo, compiuto con un’autobomba, è di stamattina contro una stazione di polizia di Swat, nel nord ovest. Le vittime sarebbero una ventina. Altro nodo di discordia principale è la riabilitazione dei giudici della Corte Suprema che sarà discussa dal Parlamento la prossima settimana. L’ex premier Sharif ha minacciato di uscire dalla coalizione non saranno riammessi il magistrato capo Iftikar Mohammed Chaudhry e i suoi colleghi esautorati da Musharraf durante l’emergenza dello scorso novembre.

Pakistan, il parlamento eleggerà il 6 settembre il successore di Musharraf

In onda su Radio Svizzera Italiana
Mentre i due partiti principali della coalizione sono ancora divisi sulla successione di Musharraf, la commissione elettorale pachistana ha accelerato i tempi. Il nuovo presidente sarà nominato il prossimo 6 settembre dal parlamento di Islamabad e dalle quattro assemblee provinciali. Il candidato favorito dal Partito Popolare Pachistano è il numero uno Asif Ali Zardari, vedovo della Bhutto. Ma il suo ex rivale Nawaz Sharif sembrerebbe favorire invece un leader regionale del Baluchistan o delle regioni di frontiera del nord ovest. Le candidature saranno presentate la prossima settimana, ma già si prevede un braccio di ferro. Il disaccordo non è solo sul nome del capo dello stato, ma anche sul reinserimento dei giudici della Corte Suprema, in origine prevista un mese dopo il giuramento del nuovo governo lo scorso marzo. Dopo aver minacciato di uscire dalla maggioranza, Sharif ha accettato una formula di compromesso nella riunione di oggi con Zardari. E’ stato deciso di affidare la spinosa questione al parlamento che da lunedì sarà chiamato a discutere una risoluzione sulla riabilitazione del giudice capo Iftikar Chaudry e dei suoi colleghi esautorati da Musharraf lo scorso anno.
Intanto sono emerse nuove rivelazioni sul gravissimo attentato di ieri in una fabbrica di munizioni vicino a Islamabad che ha ucciso 67 persone e che è stato rivendicato dai talebani pachistani. E’ stato arrestato un terzo presunto kamikaze che doveva entrare in azione dopo gli altri due militanti. La polizia ha trovato in una vicina moschea il suo giubbotto imbottito di esplosivo.

giovedì 21 agosto 2008

Pakistan, coalizione in crisi mentre continuano attentati

In onda su Radio Svizzera Italiana

Sembra stia per precipitare la situazione in Pakistan sia sul fronte interno dove perdura la profonda crisi tra i due partiti di governo, che su quello della lotta all’integralismo islamico. Oggi i due principali leader, Asif Ali Zardari e Nawaz Sharif si incontrano di nuovo nel tentativo di trovare un accordo sul successore di Pervez Musharraf e soprattutto sulla spinosa questione del reinserimento dei giudici della Corte Suprema. L’ex premier Sharif ha minacciato di uscire dalla coalizione se non sarà riabilitato il magistrato capo Iftikar Mohammed Chaudry rimosso lo scorso novembre. Il popolare giudice potrebbe contestare l’amnistia che ha permesso il ritorno di Benazir Bhutto e del marito Zardari.
Intanto circa 100 persone sono morte in diversi attentati esplosivi da quando Musharraf ha dato le sue dimissioni dopo 9 anni di potere. Il più grave attacco è stato quello di ieri ad una fabbrica di armi e munizioni alla periferia di Islamabad. Due presunti kamikaze si sono fatti esplodere tra gli operai che avevano terminato il turno di lavoro. L’azione è stata rivendicata dal portavoce dei talebani pachistani Maulvi Umar che ha anche minacciato nuovi attentati nelle metropoli se l’esercito pachistano non cesserà di condurre operazioni militari nelle aree tribali nel nord ovest dove è in corso su pressione degli Stati Uniti la caccia ai militanti di Al Qaeda.

mercoledì 20 agosto 2008

la dea bambina di Kathmandu dovrà andare a scuola


Su Apcom
La “dea bambina” di Kathmandu dovrà andare a scuola. A deciderlo è stata una sentenza della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario nepalese, che ha raccolto una petizione di un gruppo di avvocati preoccupati per le condizioni di vita della “Kumari” reale, la bimba che vive segregata in uno storico palazzo e che secondo la tradizione induista sarebbe un’incarnazione della dea dell’energia Durga. I giudici nepalesi avrebbero chiesto al nuovo governo guidato dai maoisti di prendere le necessarie misure per proteggere i diritti della minore.
Il culto della Kumari è vecchio di secoli ed è strettamente legato alla defunta monarchia in quanto è la “dea bambina” che legittimava il potere del sovrano con un simbolo religioso sulla fronte. Ma dopo la vittoria nelle elezioni di aprile dei ribelli maoisti di Prachanda, diventato ora primo ministro e la trasformazione del regno himalayano in repubblica, anche questo antico rito rischia di andare in soffitta.
Secondo quanto riferito da portavoce della Corte Suprema, “la Corte ha deciso che non ci sono documenti storici o religiosi che giustificano che la bambina debba essere privata del diritto dell’istruzione e della libertà di movimento. Non è giusto che sia privata di questi diritti solo perché è la Kumari”. In realtà già in passato la “dea bambina” aveva sollevato numerose polemiche tra coloro che si occupano della difesa dei diritti dei minori. In particolare, la complessa procedura di selezione della bambina, che proviene dalla casta buddhista degli Shakya, è vista come una “pratica medioevale”. La Kumari deve possedere 32 “perfezioni”, una pelle intatta da cicatrici o ferite e un completo controllo delle sue emozioni. Le candidate, di età tra i tre e quattro anni, devono superare una serie di prove, tra cui quelle di passare una notte senza piangere in una stanza buia piena di teste mozzate di bufali e capre. La nomina spetta al sacerdote della famiglia reale, una figura che ora non esiste più. La sua “aurea divina” si esaurisce con l’arrivo delle mestruazioni e per le ex Kumari è poi difficile trovare marito, secondo una credenza popolare che le considera portatrici di sventura.
Reagendo alla sentenza della Corte Suprema, Rajan Maharjan, che fa parte del “comitato di gestione” del palazzo della Kumari, si è difeso dicendo che “una maestra viene ogni giorno a istruire la bambina” e ha negato l’accusa di tenerla prigioniera. “Ha tre ore al giorno in cui può incontrare visitatori” ha aggiunto. L’attuale Kumari reale di Kathmandu è Preeti Shakya di nove anni, ma ne esistono altre due a Patan e Bhaktapur, le capitali degli altri due antichi regni medioevali, che però non vivono confinate in un palazzo, ma con la famiglia. Quella di Bhaktapur, a 15 chilometri da Kathmandu, aveva fatto parlare di se l’anno scorso quando aveva intrapreso un viaggio negli Stati Uniti, che secondo le autorità religiose avevano compromesso la sua “purezza” e per questo era stata costretta a un ritiro anticipato.

martedì 19 agosto 2008

Pakistan, ancora divergenze tra Zardari e Sharif, mentre riesplode la minaccia dell'integralismo

Su Radio Svizzera Italiana

I due partiti di maggioranza sono ancora divisi sul destino da riservare all’ex presidente Musharraf dopo le sue dimissioni di lunedì. Il leader del Partito Popolare Pachistano, Asif Ali Zardari ha di nuovo incontrato ieri l’alleato Nawaz Sharif, della Lega Pakistana Mussulmana. Ci sarebbero ancora profonde divergenze sulla questione dell’immunità da garantire all’ex generale. L’ex premier Sharif, esautorato nel golpe del 99, vorrebbe l’incriminazione di Musharraf per violazione della costituzione. Manca ancora un accordo anche sul nome del successore alla carica di presidente e sulla riabilitazione dei giudici della Corte Suprema.
Non è poi chiaro quale sarà la destinazione scelta da Musharraf per un suo eventuale esilio fortemente caldeggiato dalla coalizione di governo. Si parla di Arabia Saudita, Londra oppure degli Stati Uniti, dove risiedono i suoi due figli.
Mentre si prospetta una nuova guerra di potere tra le due forze politiche uscite vittoriose dalle elezioni di febbraio, riemerge intanto la minaccia dell’integralismo islamico. Dall’annuncio delle dimissioni, nelle turbolente regioni nord-occidentali sono morte circa cinquanta persone in scontri con l’esercito e in un attentato suicida in un ospedale del distretto di Dera Ismail Khan affollato di mussulmani sciiti.

lunedì 18 agosto 2008

Musharraf, la coalizione litiga sulla successione e giudici

In onda Radio Svizzera Italiana

L’uscita di scena di Pervez Musharraf è stata salutata come una vittoria per la democrazia, ma a neppure 24 ore dall’annuncio delle sue dimissioni sono già emersi i segnali di una nuova crisi di governo. I due principali partiti della coalizione, guidati dagli ex rivali Asif Ali Zardari e Nawaz Sharif, sembrano divisi su come gestire la transizione dell’era post Musharraf. Lo speaker del senato Mohammad Soomro ha assunto temporaneamente l’incarico in attesa che il parlamento entro un mese elegga un nuovo presidente. Ci sarebbero delle divergenze sui possibili candidati, tra cui figura anche una donna, e sulla riabilitazione dei giudici della Corte Suprema esautorati durante lo stato di emergenza dello scorso novembre. Il Partito Popolare Pachistano, guidato dal vedovo e dal figlio di Benazir Bhutto e la Lega Mussulmana Pakistana dell’ex premier Sharif sarebbero anche in contrasto sulla sorte da riservare a Musharraf. Nel suo discorso alla nazione l’ex presidente ha detto di “non volere nulla da nessuno” e di consegnare il suo futuro nelle mani del popolo pachistano”. Non è chiaro se il sessantacinquenne militare, che ha detto di essersi sacrificato per il bene del Paese, sceglierà la via dell’esilio volontario oppure resterà in patria, forse dietro la garanzia dell’immunità. Fonti ufficiali hanno riferito che nei prossimi giorni Musharraf potrebbe andare in pellegrinaggio in Arabia Saudita, tradizionale alleato e rifugio dorato di molti ex leader pachistani.

Musharraf: "Bye Bye Pakistan"

Su Radio Svizzera Italiana
“Bye bye Pakistan, Dio protegga il Pakistan”. Con queste parole Pervez Musharraf ha chiuso il sipario sui suoi quasi nove anni al potere. Sotto enorme pressione degli oppositori che gli avevano imposto un ultimatum, ma sembra anche della sua stessa famiglia, il presidente ha annunciato le dimissioni in un lungo e franco discorso alla nazione in cui ha elencato nei dettagli i progressi economici compiuti dal Pakistan e gli sforzi verso una riconciliazione nazionale. Ha evitato cosi un procedimento di impeachment in parlamento dove avrebbe dovuto rispondere a circa 100 capi di imputazione per violazione della costituzione. “Non c’è una sola accusa che può essere provata contro di me– ha detto – Avrei potuto vincere o perdere, ma non è il tempo per bravate personali’. Musharraf ha detto di aver messo l’interesse nazionale al primo posto e di voler risparmiare al paese l’umiliazione di un presidente sottoposto a impeachment.
L’annuncio, salutato da scene di giubilo a Rawalpindi, sblocca una crisi che durava da giorni e che aveva tenuto con il fiato sospeso anche le diplomazie occidentali. Rimangono però le incognite sulla sorte di Musharraf, che secondo voci potrebbe scegliere la via dell’esilio e anche sul nome del suo successore.

Pakistan, Pervez, Musharraf, le incognite della successione

Su Apcom

Quando la scorsa settimana erano iniziate a circolare le prime voci di impeachment di Pervez Musharraf, negli ambienti diplomatici di Nuova Delhi era scattato un campanello di allarme. Il consigliere alla sicurezza nazionale indiano M.K. Narayanan era stato il primo a denunciare il rischio di un “limbo politico” che “lasciava i gruppi estremisti islamici la libertà di agire a piacimento”. Non è un caso che l’indebolimento e l’isolamento politico dell’ex generale di Islamabad siano coincisi con una ripresa della stagione delle bombe in India e a Kabul contro l’ambasciata indiana, nonché con un aumento della tensione separatista nella regione contesa del Kashmir indiano dove regnava una relativa calma dal cessate il fuoco del 2003.
In queste ore - dopo l’annuncio in diretta televisiva delle dimissioni - ci sono almeno tre incognite che aleggiano nell’aria. La prima è sulla sorte di Musharraf che secondo indiscrezioni potrebbe scegliere l’esilio in Arabia Saudita (per ironia della sorte nello stesso posto che per anni è stato il rifugio dell’ex premier Nawaz Sharif, da lui esautorato dopo il golpe del 1999) oppure la sua nuova casa di Islamabad, che però non è ancora terminata e che comunque richiederebbe la garanzia di una massiccia protezione visto i suoi numerosi nemici. La seconda incognita è su chi sarà il suo successore alla carica di capo dello Stato, una decisione che sarà presa di comune accordo dal Partito Popolare Pachistano (PPP) di Asif Ali Zardari e dal partito di Sharif, che dopo un lungo braccio di ferro hanno deciso di “detronizzare” il rivale politico. La terza, infine, è quella più inquietante e riguarda la sorte dei potenti servizi segreti, l’ISI (Inter Service Intelligence), che sono stati molte volte in passato i veri protagonisti della storia del “Paese dei Puri” a fianco dell’esercito. Le forze armate sono attualmente l’esercito guidate dal generale Ashfaq Pervez Kiyani che lo scorso novembre ha ereditato il comando dallo stesso generale Musharraf e che è considerato vicino al PPP. I servizi segreti dipendono dal Ministero della Difesa, ma c’è stato un tentativo a fine luglio di porli sotto il controllo degli Interni su pressione degli Stati Uniti che vorrebbero avere accesso a informazioni dirette per la caccia ai militanti di Al Qaeda. La decisione, coincisa con la visita del premier Yousuf Raza Gilani a Washington, è stata però revocata poco dopo e quindi non è attualmente chiaro chi sia in realtà a controllare l’intelligente e il controterrorismo. Secondo la Cia, ci sarebbe stato lo zampino dell’Isi dietro l’attacco all’ambasciata indiana di Kabul il 7 luglio che uccise 56 persone, tra cui quattro indiani. Le prove sono state consegnate direttamente dalla Cia agli ufficiali di Islamabad.
La rivelazione rischia di far deragliare il processo di pace con l’India avviato quattro anni fa e fermo dallo scorso anno dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. Il Pakistan accusa l’intelligence indiana di fomentare la ribellione separatista nella provincia del Baluchistan, al confine afghano, e non vede di buon occhio l’ingente programma di ricostruzione e di cooperazione in Afghanistan, preludio ad un aumento della sfera di influenza dell’India in Asia centrale. Ma i rapporti tra i due paesi rivali continuano, come dimostra l’incontro tra Gilani e il primo ministro Manmohan Singh a margine del vertice regionale dei Paesi dell’Asia Meridionale a Colombo, in Sri Lanka, i primi di agosto, in cui Islamabad ha promesso di fare luce sulle accuse.
Se l’India guarda con apprensione alla successione, lo stesso è per gli Stati Uniti che sul Pakistan hanno giocato tutte le loro carte nella guerra ad Al Qaeda con un sostanzioso finanziamento di ben 11 miliardi di dollari per sostenere l’apparato militare. In questo anno elettorale non ci saranno decisioni importanti di politica estera, ma non è un mistero che la Casa Bianca sta premendo con insistenza sul nuovo governo eletto a febbraio per ottenere “mano libera” a cavallo del confine con l’Afghanistan. I raid contro i presunti militanti integralisti e talebani hanno eroso la credibilità dell’esercito pachistano e alimentato sentimenti anti americani. Bisognerà vedere se il PPP di Zardari e i suoi alleati se la sentiranno di aumentare la pressione militare nelle turbolente regioni tribali del nord ovest anche a costo di deteriorare la popolarità guadagnata dopo l’assassinio di Benazir Bhutto a dicembre.

domenica 17 agosto 2008

Musharraf, dopo l'ultimatum di Zardari oggi le dimissioni

In onda su Radio Svizzera Italiana
Dopo l’ultimatum dato ieri dalla coalizione di governo, Pervez Musharraf sarebbe intenzionato ad annunciare le sue dimissioni da presidente in un discorso alla nazione. A convincerlo sarebbe stata la lista di un centinaio di capi di accusa per violazione della costituzione che sono oggetto della proposta di impeachment pronta per essere presentata in Parlamento. In un’intervista alla televisione indiana, il leader del Partito Popolare Pachistano al potere, Asif Ali Zardari, vedovo della Bhutto, vorrebbe che Musharraf si ritirasse a giocare a golf. Ma l’ex generale di Islamabad, salito al potere nel 99 con un golpe bianco e scampato a diversi attentati degli integralisti islamici, non sarebbe disposto ad una uscita di scena umiliante. Secondo indiscrezioni ci sarebbero state delle complesse trattative sulle condizioni e garanzie di immunità politica. I suoi rivali preferirebbero l’esilio, forse in Arabia Saudita, ma Musharraf vorrebbe rimanere a Islamabad con la protezione di una scorta. Il temporeggiamento di questi giorni sulla formulazione dello impeachment, che in realtà era pronto da giorni, è servito per negoziare l’accordo e convincere alle dimissioni l’ex generale, che ormai non gode più del sostegno dell’esercito e anche di quello degli Stati Uniti che considerano la crisi come un fatto di politica interna pachistana, come ha affermato la segretario di stato Condoleezza Rice. Gli spazi di manovra sembrano però ormai giunti alla fine. Ma non è escluso che Musharraf, in questo ultimo poker con i suoi rivali, non abbia tenuto per se qualche asso nella manica.

venerdì 15 agosto 2008

L'ex guerrigliero maoista Prachanda eletto primo ministro

Su Radio Vaticana
Ha già ricevuto le congratulazione di India, Stati Uniti, Giappone e Unione Europea il leader maoista ed ex ribelle Prachanda eletto ieri a larga maggioranza dall’assemblea costituente di Katmandu. L’ex insegnante di scienze agrarie, di 53 anni, che in realtà si chiama Pushpa Kamal Dahal, ma che non ha ancora rinunciato al suo nome di battaglia, ha ricevuto il supporto dei partiti comunisti nepalese e anche quello della minoranza dei Madhesi che abita la fascia meridionale del Terai. La sua nomina sblocca uno stallo politico di 4 mesi. Dopo il trionfo a sorpresa dei maoisti nelle elezioni di aprile, il rivale partito del Congresso e i tradizionali partiti nepalesi che per anni hanno dominato la vita politica di Katmandu a fianco della monarchia, avevano cercato di ostacolare l’ascesa di Prachanda e dei maoisti. L’ex primo ministro GP Koirala, erede della principale dinastia politica del paese, si era già dimesso su pressione degli ex ribelli che hanno ottenuto la detronizzazione di re Gyanendra e la proclamazione della repubblica. I maoisti di Prachanda avranno nove dicasteri, qual cui quello cruciale della difesa.

Dinissioni di Musharraf, l'India teme un limbo politico

Su Radio Svizzera Italiana
Dopo averlo considerato per nove anni il generale dittatore di Islamabad, l’India non se la sente di esultare per l’uscita di scena definitiva di Pervez Musharraf che secondo voci insistenti starebbe per dare le dimissioni per evitare l’umiliazione dell’impeachment. La paura che aleggia negli ambienti diplomatici di Delhi è che il Pakistan, potenza nucleare e principale protagonista della lotta contro il terrorismo islamico, possa cadere in un limbo politico. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale indiano Narayan in un’ intervista alcuni giorni fa è stato esplicito. “Il vuoto lasciato da Musharraf - ha detto - lascia alle frange radicali la libertà di agire a loro piacimento non solo sul confine afghano, ma anche sull’altro versante”, ovvero in Kashmir che dopo anni di pace, da alcune settimane ribolle di nuovo di violenza anti indiana. In coincidenza con l’indebolimento politico di Musharraf, i due eserciti hanno anche ripreso a sparare a cavallo della linea di demarcazione che divide i due Kashmir dove dal 2003 è in vigore un cessate il fuoco. Per non parlare poi degli attentati esplosivi di luglio nello stato del Gujarat che secondo gli indiani avrebbero connessioni con gruppi radicali pakistani. Il generale di Islamabad, come lo chiamava la stampa indiana prima che lasciasse l’uniforme, quattro anni fa aveva avviato un processo di pace che ha portato a degli enormi progressi nel campo dei collegamenti stradali e ferroviari, degli scambi commerciali e anche della distensione nucleare. Il nuovo governo del partito di Zardari vedovo di Benazir Bhutto, si à impegnato a proseguire sulla strada della pace, ma rimangono molte incognite soprattutto su chi avrà il controllo dell’esercito e dei servizi segreti.

mercoledì 13 agosto 2008

Musharraf, oggi le dimissioni?

In onda su Radio Svizzera Italiana
Oggi il Pakistan celebra i suoi 61 anni di indipendenza, ma per il presidente Pervez Musharraf questo non è un giorno di festa. Sempre più isolato, anche da parte dei suoi stessi sostenitori, il generale che 9 anni fa salì al potere con un golpe bianco, potrebbe annunciare le dimissioni nel suo discorso televisivo alla nazione secondo un’indiscrezione che però è stata smentita ieri dal suo portavoce Rashid Qureshi. Il 65 enne Musharraf sarebbe ormai con le spalle al muro. Anche l’assemblea legislativa della ricca provincia del Sindh ha approvato una risoluzione a favore dell’impeachment del presidente proposto la scorsa settimana dai suoi due rivali politici Asif Ali Zardari, vedovo della Bhutto e l’ex premier Nawaz Sharif. La proceduta di impeachment per tradimento e violazione della Costituzione potrebbe essere presentata al parlamento di Islamabad la prossima settimana e potrebbe ottenere i due terzi dei voti necessari per l’approvazione. Secondo voci di stampa, i partiti al governo avrebbero proposto a Musharraf la via dell’esilio, una soluzione che non dispiacerebbe anche agli Stati Uniti, che in questi anni hanno giocato tutte le loro carte sul presidente pachistano nella lotta al terrorismo di Al Qaeda. Tra l’altro, il candidato americano Barak Obama ha detto che se vincerà le elezioni non intende appoggiare leader non eletti democraticamente in Pakistan. Un’altra porta chiusa per Musharraf.