domenica 31 maggio 2009

Meira Kumar, prima donna presidente della Camera

Per la prima volta in India una donna è stata scelta a presiedere la nuova Camera Bassa che si insedia domani. Meira Kumar, 64 anni, parlamentare del Congresso sarà infatti la “speaker” del Lok Sabha o Assemblea del Popolo che conta 543 deputati.
A volere la sua nomina, che sarà formalizzata nella sessione del 3 giugno, è stata Sonia Gandhi, la leader del Congresso, il partito di maggioranza che ha trionfato nelle elezioni di maggio-aprile. Di estrazione “dalit” (gli “intoccabili”), Kumar è originaria dello stato settentrionale del Bihar e fa parte di una dinastia politica essendo la figlia di un ex vice primo ministro. Ha una lunga esperienza come diplomatica prima e nel precedente governo come ministro per la giustizia sociale dove si era battuta, in particolare, per la promozione di matrimoni tra caste differenti. Era stata riconfermata venerdì scorso nella nuova compagine governativa di Manmohan Singh come ministro per le risorse idriche, incarico da cui dovrà dimettersi.
Il suo predecessore era il comunista marxista bengalese Somnath Chatterjee, espulso dal partito nel 2008 perché si era rifiutato di votare contro in un cruciale voto di fiducia al governo sull’accordo indo-americano sul commercio di tecnologia nucleare.
Non è la prima volta che Sonia Gandhi affida una delle massime cariche istituzionali ad una donna. Nel 2007, un'altra “fedelissima” del Congresso, Pratibha Patil era stata scelta come presidente della Repubblica al posto dello scienziato nucleare mussulmano Abdul Kalam.

venerdì 29 maggio 2009

Baitullah Mehsud, il Bin Laden del Pakistan

Secondo i servizi segreti Baitullah Mehsud avrebbe preso il posto di Osama Bin laden e del Mullah Omar nella lista degli uomini più pericolosi. Il leader talebano, che guida l’omonimo gruppo tribale dei Mehsud, nel sud del Waziristan, sarebbe responsabile di molte stragi, tra cui quella che ha ucciso l’ex premier Benazir Bhutto nel dicembre 2007, l’assalto ai cadetti della polizia alla periferia Lahore lo scorso marzo e l’ultimo attentato sempre a Lahore l’altro ieri che ha distrutto una caserma e provocato la morte di 35 persone. Quest’ultimo attacco è stato rivendicato da un suo vicecomandante che porta lo stesso cognome. Ma di Baitullah Mehsud, braccato dal governo americano che ha messo una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa, si sa veramente poco. L’ultima intervista del servizio in urdu della Bbc risale a qualche anno fa. Nel 2007 avevano detto che era morto per malattia, ma la sua organizzazione Tehrik-e-Taliban, un’alleanza di cinque gruppi talebani del Waziristan, aveva smentito. Sempre secondo fonti di intelligence Mehsud sarebbe a capo di 5 mila guerriglieri che molto probabilmente sono gli stessi che hanno occupato negli ultimi mesi la valle di Swat dove al potere c’è un altro influente leader suo alleato Maulana Fazlullah, detto radio Mullah, perchè utilizza una radio in FM per diffondere i precetti coranici.

giovedì 28 maggio 2009

Strage di Lahore, una vendetta del talebano Baitullah Mehsud

Come aveva ipotizzato ieri un responsabile del governo di Islamabad, la strage a Lahore sarebbe opera dei talebani attivi in Waziristan e nelle province di frontiera del nord ovest. Un vice comandante del leader supercircercato Baitullah Mehsud, raggiunto telefonicamente dai alcxuni giornalisti, ha rivendicato la paternità dell’attentato che ha distrutto una caserma della polizia e danneggiato la sede dei servizi segreti uccidendo 24 persone. In particolare ha detto che si è trattato di una vendetta per l’offensiva militare in corso nella valle di Swat. Il leader talebano, che si chiama Hakimullah Mehsud, e che controlla le regioni tribali del Kyber pass, ha poi minacciato altri attacchi e ha chiesto ai cittadini di Lahore, Islamabad, Rawalpindi e Multan di lasciare le loro cittò per mettersi in salvo. I militari hanno anche intercettato una telefonata di un portavoce del capo talebano di Swat, Maulana Fazlullah, dove incitava i suoi a colpire con azioni terroristiche le città pachistane. La rivendicazione coincide anche con un misterioso comunicato apparso su un sito internet in lingua turca firmato da un’organizzazione talebana del Punjub.
Intanto secondo fonti militari, l’esercito prosegue la sua avanzata a Mingora, il capoluogo di Swat. Le truppe governative avrebbero preso il controllo del 70 per cento della città dove migliaia di abitanti sono intrappolati senza viveri, elettricità e linee telefoniche.

India, giurano altri 59 ministri del governo Singh bis

Su Apcom

Tra questi anche Shashi Tharoor, ex diplomatico delle Nazioni Unite

Il governo bis di Manomohan Singh avrà in totale 78 ministri. Dopo tre giorni di consultazioni tra il premier e Sonia Gandhi, leader del Congresso è stata messa a punto la lista finale dei componenti dell’esecutivo. Davanti alla presidente della Repubblica Prathiba Patil oggi prestano giuramento 59 ministri, di cui 14 sono parte del consiglio di gabinetto del governo. E’ significativo che tra questi ci siano 29 “new entry”, molti dei quali sono considerati “vicini” a Rahul Gandhi, il figlio di Sonia, che ha rinunciato a un posto nell’esecutivo perché impegnato a riorganizzare l’ala giovanile del Congresso. Tra gli esordienti del nuovo governo, che conta su una solida maggioranza parlamentare di oltre 300 seggi su un totale di 543, c’è Shashi Tharoor, ex diplomatico delle Nazioni Unite ed ex candidato alla carica di segretario generale. Ritornato in India, dopo una lunga carriera a New York, Tharoor è stato eletto parlamentare in un collegio dello stato meridionale del Kerala, suo stato di origine. mgc

martedì 26 maggio 2009

Pakistan, porte aperte per ex premier Nawaz Sharif

Dopo un anno di prigione, sette anni di esilio e il ritorno in patria nel 2007, l’ex primo ministro Nawaz Sharif ha vinto la sua battaglia per ritornare a pieno titolo nell’arena politica. La Corte Suprema ha revocato l’interdizione ai pubblici uffici a cui lui e il fratello Shahbaz erano stati condannati per l’accusa di alto tradimento e concussione. Il leader dell’opposizione e nemico dichiarato del presidente Asif Ali Zardari può quindi essere eletto in parlamento e assumere una carica pubblica. Secondo i sondaggi Sharif e il suo partito, la Lega Mussulmana Pachistano, godono di una vasta popolarità, soprattutto nella provincia del Punjab pachistano governata dal fratello fino allo scorso febbraio prima dell’interdizione alle cariche pubbliche. Era stata proprio quella sentenza a innescare la marcia dei magistrati e avvocati su Islamabad per chiedere il re insediamento dei giudici del Corte Suprema rimossi dall’ex presidente golpista Pervez Musharraf. Tra questi c’era anche il giudice capo Iftikar Mohammed Chaudry, strenuo oppositore del generale di Islamabad che aveva esautorato l’allora premier Sharif nel colpo di stato del 1999.
Il ritorno sulla scena politica dei fratelli Sharif è una nuova spina nel fianco per il governo di Zardari impegnato insieme agli Stati Uniti a riprendere il controllo di parte del Paese caduto nelle mani dei talebani.

lunedì 25 maggio 2009

Punjub, ritorno alla calma dopo le proteste dei seguaci della setta Dera

Il coprifuoco è stato revocato per due ore stamattina a Jalandhar e nelle altre città del Punjub dove ieri sono scoppiate violente proteste dei fedeli di una setta sikh infuriati per la morte di un loro guru ucciso da rivali domenica a Vienna. Secondo la polizia, la situazione sarebbe in via di miglioramento, ma la maggior parte dei treni di lunga percorrenza diretti verso nord e verso il Pakistan sono ancora sospesi con disagi per migliaia di passeggeri. Rimane alta la tensione anche nei principali centri presidiati dall’esercito. Almeno due dimostranti sono morti ieri negli scontri con la polizia costretta ad aprire il fuoco sulla folla per riportare la calma. La notizia dell’uccisione del guru, che appartiene alla popolare setta dei Dera Sach Khand, aveva scatenato la rabbia dei seguaci in tutto il Punjub, dove vivono la maggior parte dei 20 milioni di sikh indiani, e in particolare a Jalandhar, roccaforte della setta formata in prevalenza da “dalit”, gli intoccabili e da caste inferiori. I manifestanti hanno attaccato caserme della polizia, incendiato auto e vagoni ferroviari e bloccato alcune arterie stradali. Le proteste sono dilagate anche nella città sacra di Amritzar dove hanno fatto slittare l’attesa apertura del primo supermercato all’ingrosso del colosso americano Wal Mart.
E’ la prima crisi per il neo governo di Manmohan Singh, ritornato al potere dopo la vittoria elettorale del Congresso. Il premier, lui stesso un sikh, aveva rivolto ieri un accorato appello alla calma.

domenica 24 maggio 2009

Tigri Tamil confermano, Prabhakaran "martire" contro l'oppressione del governo srilankese

Adesso non ci sono più dubbi. I rappresentanti all’estero delle Tigri tamil hanno ammesso che il loro leader Velupillai Prabhakaran è stato ucciso una settimana fa in circostanze che non sono però state precisate. L’esercito aveva mostrato in un filmato il suo corpo con la testa crivellata di colpi e anche il suo tesserino di riconoscimento, ma secondo i ribelli Prabhakaran era sano e salvo. Ora in un comunicato ufficiale, il responsabile delle relazioni esterne Selvarasa Pathmanathan ha annunciato il “martirio” del capo supremo dell’LTTE morto “combattendo contro l’oppressione del governo srilankese”. Ha poi precisato che la sua ultima volontà è stata quella di esortare i suoi a “continuare la lotta per la libertà del popolo tamil”. Secondo l’esercito cingalese tutti i militanti sono stati eliminati nella massiccia offensiva di questi mesi, ma sul sito internet Tamil Net si legge che la leadership dell’LTTE esiste ancora e che risorgerà quando sarà il momento giusto. Parole che stridono però con quanto dichiarato in un‘intervista telefonica alla BBC lo stesso portavoce Pathmanathan, secondo il quale il movimento ribelle avrebbe rinunciato alla lotta armata e sarebbe disposto a usare metodi non violenti per tutelare i diritti dei tamil.
Intanto sul fronte della crisi umanitaria che interessa 250 mila sfollati attualmente rinchiusi in affollati campi profughi, c’è da segnalare il rifiuto del governo di Colombo a permettere l’accesso dell’Onu e degli altri operatori, come richiesto da Ban Ki moon durante la sua visita di sabato.

sabato 23 maggio 2009

Pakistan, talebani in ritirata da valle di Swat

Dopo settimane di bombardamenti, i talebani della valle di Swat avrebbero iniziato la ritirata. Ma il compito dell’esercito pachistano potrebbe essere ora più difficile. Secondo il generale Athar Abbas, le truppe sono entrate a Mingora, la città principale e sono ora impegnate in combattimenti in strada.
“Si tratta di un’operazione complessa perché dobbiamo fare ricerche casa per casa” ha detto il portavoce militare precisando che i soldati hanno già preso controllo di alcune aree e che negli scontri delle ultime 24 ore sarebbero stati uccisi 17 insorti. La liberazione di Mingora potrebbe richiedere tempo anche perché l’esercito intende assolutamente evitare vittime tra i civili. Non tutta la popolazione è fuggita. Si pensa che dai 10 ai 20 mila abitanti sarebbero rimasti e c’è il rischio che possano essere usati come scudi umani dai talebani.
L’offensiva è cruciale per il successo della nuova strategia del presidente americano Obama per sconfiggere Al Qaeda e stabilizzare l’ Afghanistan. Sempre secondo fonti militari la vittoria sarebbe vicina. In un mese sarebbero stati uccisi oltre mille talebani. Molti di loro avrebbero iniziato a ritirarsi anche dagli altri distretti confinanti con Swat.
Intanto preoccupa la crisi umanitaria che coinvolge in totale circa 2 milioni di persone che dallo scorso agosto hanno abbandonato le case per fuggire i combattimenti. Le Nazioni Unite hanno chiesto alla comunità internazionale 543 milioni di dollari per venire in aiuto all’enorme esodo di sfollati.

venerdì 22 maggio 2009

Sri Lanka, iniziata missione lampo di Ban Ki-moon

Accompagnato da una ventina di giornalisti Ban Ki Moon sta in queste ore visitando alcuni campi profughi e ospedali allestiti dal governo nelle zone di crisi dove sono ammassati 300 mila follati in condizioni allarmanti, secondo gli operatori umanitari che continuano a non avere accesso con i loro automezzi alle zone di crisi. Il segretario generale dell’Onu dovrebbe recarsi anche al campo di Menik Farm, nella città di Vavunya, al nord, dove sono rinchiusi 160 mila sfollati tamil fuggiti ai combattimenti di questi mesi con i ribelli delle Tigri Tamil. Al suo arrivo a Colombo, ieri sera, Ban Ki moon ha detto che la priorità della sua missione è di assicurare l’aiuto umanitario all’enorme massa di sfollati, ma ha insistito anche sulla riconciliazione nazionale con la minoranza tamil che rappresenta quasi il 13 per cento della popolazione e che è sempre stata marginalizzata. “E’ ora che lo Sri Lanka curi le sue ferite e cerchi di unificare il paese superando le divisioni etniche e religiose ‘ ha detto Ban Ki moon che incontrerà nel pomeriggio Mahinda Rajapaksa, il presidente nazionalista che all’inizio della settimana ha proclamato la vittoria della guerra e l’eliminazione del capo ribelle Veluppillai Prabkakaran. Le autorità hanno cremato ieri il corpo del leader delle Tigri Tamil e gettato le ceneri nell’Oceano Indiano, ma secondo il sito internet dei ribelli Tamil Net, Prabhakaran sarebbe ancora vivo.

giovedì 21 maggio 2009

Sri Lanka, Ban Ki-moon andrá nel campo profughi di Menik Farm

Pieno accesso per gli operatori umanitari ai campi profughi e la ricostruzione delle aree distrutte dai combattimenti contro le Tigri tamil. E' quanto chiedera il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon che arriva stasera a Colombo. Nella sua visita lampo incontrerá domani il presidente Mahinda Rajapaksa e molto probabilmente si recherá anche nel piú grande campo di accoglienza di Menik Farm, vicino a Vavunya, nel nord, dove sono ammassati 130 mila sfollati in precarie condizioni secondo le organizzazioni umanitarie che protestano per le restrizioni imposte dall'esercito all'accesso nelle zone di crisi. Ban Ki- moon sará accompagnato anche da una ventina di giornalisti stranieri che avranno per la prima volta la possibilitá di entrare a contatto con i tamil fuggiti dagli orrori della guerra. Il capo dell'Onu chiedera al governo cingalese che avvi anche un provesso di riconciliazione con la minoranza tamil che rappresenta oltre il 12 per cento della popolazione. Ieri dopo un incontro con due alti diplomatici indiani, Rajapaksa si é impegnato ad accelerare la ricostruzione e il ritorno dellamaggior parte dei 250 mila sfollati nei prossimi sei mesi. Ha anche annunciato di indire presto le elezioni nel nord. Intanto per la prima volta l'esercito ha rivelato che l'offensiva dal luglio 2006 é costata la vita a 6.200 soldati .

Sri Lanka, governo promette ricostruzione entro sei mesi

Respingendo le accuse dell’Onu di ignorare l’emergenza umanitaria, il governo di Colombo ha assicurato oggi che la situazione nei campi di accoglienza è sotto controllo e ha promesso di accelerare la ricostruzione nelle zone distrutte dai combattimenti. Dopo aver incontrato due alti diplomatici indiani, il presidente Rajapaksa si è impegnato a smantellare al più presto i campi profughi e a permettere il ritorno degli sfollati entro i prossimi sei mesi. In un comunicato al termine dell’incontro con i due emissari di New Delhi, si legge che il governo avvierà anche un processo di riconciliazione nazionale con la minoranza tamil che ha patito enormi sofferenze nell’offensiva di questi 14 mesi. L’India ha in particolare promesso aiuti per lo sminamento, la costruzione di infrastrutture e di case. Per permettere un’adeguata rappresentanza politica dei tamil, il governo intende inoltre organizzare al più presto le elezioni negli ex territori ribelli.
Continuano però a preoccupare le condizione dei 300 mila sfollati ammassati in diversi campi di accoglienza off limits per le organizzazioni Umanitarie a anche Croce Rossa . Il segretario Ban Ki-moon che dovrebbe arrivare domani per una missione di due giorni chiederà al governo di garantire pieno accesso di due alle aree di crisi da cui giungono notizie allarmanti. Secondo la denuncia di un ong, gruppi paramilitari legati all’esercito regolare avrebbero sequestrato bambini tamil dai campi a scopo di estorsione o per avere informazioni su possibili loro legami con i ribelli.

ANALISI - Domani giura il Manmohan Singh bis, ma è ancora totoministri

Su Apcom
A meno di 24 ore dalla cerimonia di giuramento del governo bis di Manmohan Singh, prevista per il tardo pomeriggio di domani al Rashtrapati Bhawan, il “Campidoglio indiano”, la lista dei ministri non è ancora pronta. Il partito di maggioranza del Congresso, che può dettare legge dall’alto dei suoi 206 seggi in Parlamento (quasi il 30%), non è disposto a concedere troppo ai suoi alleati in termini di poltrone ministeriali. La giornata di oggi è stata dominata dal toto ministri. Il premier Singh ha persino cancellato un appuntamento già fissato con la presidente Prathiba Patil a cui avrebbe dovuto presentare i nomi del nuovo esecutivo. Invece il settantaseienne economista, riconfermato a pieni voti per un secondo mandato, è andato al numero 10 di Janpat per colloqui con Sonia Gandhi, leader del partito di maggioranza e anche della coalizione di centro sinistra chiamata Upa (United Progressive Alliance) e formata da 10 partiti che ha ottenuto quasi la maggioranza assoluta in parlamento (in totale 260 seggi su 543 della Camera Bassa). La rottura è stata causata dal DMK, influente alleato che è al potere in Tamil Nadu, lo stato meridionale di etnia tamil, che con i suoi 18 seggi è il secondo partner della coalizione dopo il partito di Mamata Banerjee, la pasionaria dei contadini del comunista Bengala Occidentale. Il DMK aveva chiesto otto ministeri a fronte dell’”offerta” del Congresso di sei poltrone. In tarda serata è giunta la notizia dell’abbandono del governatore del Tamil Nadu, l’anziano Karunanidhi, leader del DMK, che avrebbe voluto “piazzare” due figli e anche un nipote nell’esecutivo. Ma la frattura non impensierisce Congresso che ha “a bordo” anche i due grossi partiti principali e rivali dell’Uttar Pradesh (tra tutte e due 44 seggi), ovvero quello di Mayawati, la leader degli intoccabili e del suo rivale Mulayam Singh Yadav.
Secondo indiscrezioni domani pomeriggio Singh presenterà una lista “ridotta” di ministri in attesa di ricoprire le caselle mancante e su cui ci sarebbe ancora battaglia tra gli alleati. Non c’è fretta. La prima sessione del Parlamento per il voto di fiducia è prevista per il 2 giugno.
Per quanto riguarda il toto ministri, i nomi sicuri sono quelli dei principali dicasteri che andranno di nuovo al Congresso. Secondo indiscrezioni ci sarebbero molte riconferme, tra cui quella di P.K Chidambaran, ex ministro delle finanze trasferito in fretta e furia agli interni dopo la strage di Mumbai del 26 novembre. Le finanze dovrebbero invece andare all’ex ministro degli esteri Pranab Mukherjee un fedelissimo del Congresso e prezioso consigliere di Sonia Gandhi. Riconfermati anche A.K. Antony alla difesa e il leader del Maharashtra, Sharad Pawar, che era ministro dell’agricoltura. Ancora incerta la sorte del dinamico Kamal Nath, ex ministro del commercio e infaticabile negoziatore presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio dove l’India gioca un ruolo di capofila dei Paesi emergenti insieme a Brasile e Sudafrica. Per aver “tradito” Sonia Gandhi durante la campagna elettorale, ha invece perso la sua poltrona Laloo Prasad Yadav, controverso personaggio politico del Bihar che alla guida del ministero delle ferrovie aveva riportato in nero i conti del gigantesco ente pubblico e per questo era corteggiato da prestigiose scuole internazionali di gestione aziendale. E’ ancora un’incognita infine la sorte di Rahul Gandhi, che ha rifiutato un incarico di governo, perché intende dedicarsi alla riorganizzazione dell’ala giovanile del Congresso. Non è però escluso che gli sia assegnato un ministero senza portafoglio.

Rajiv Gandhi, a 18 anni dall'uccisione le Tigri Tamil eliminate

Su Apcom

L’India ricorda oggi il 18esimo anniversario dell’uccisione di Rajiv Gandhi assassinato il 21 maggio del 1991 da una donna kamikaze appartenente al movimento separatista srilankese delle Tigri Tamil. La commemorazione assume un particolare significato quest’anno perché avviene tre giorni dopo la vittoria del governo di Colombo e l’eliminazione del leader ribelle Vellupillai Prabhakaran che da tre decenni guidava la lotta dei tamil per l’indipendenza del nord e nord-est dell’isola. Il numero uno dell’LTTE (Liberazione Tigri Tamil Eeelam) era stato condannato a morte in contumacia nel 1998 da un tribunale indiano con l’accusa di essere il mandante della strage costata la vita a 15 persone.
Ad uccidere l’ex premier Rajiv, marito di Sonia Gandhi, attuale leader del partito del Congesso, dopo un comizio elettorale in un piccolo centro del Tamil Nadu, era stata una giovane militante delle Tigri Tamil imbottita di tritolo che si era fatta esplodere mentre gli porgeva una ghirlanda di fiori. Le Tigri Tamil avevano accusato Rajiv di essere anti-tamil e volevano impedire che vincesse le elezioni del 1991. Quando era al potere aveva inviato una forza di pace per disarmare i ribelli in base ad un accordo firmato con Colombo nel 1987. Un anno fa Priyanka Gandhi, la secondogenita di Sonia, aveva incontrato in carcere una donna, Nalini, condannata all’ergastolo per complicità nell’assassinio.
La cerimonia per l’anniversario si è svolta stamane all’alba al mausoleo Vir Bhumi, sulle sponde del fiume Jamuna a Nuova Delhi, dove ci sono i memoriali di tutti gli statisti indiani. Sonia Gandhi, i due figli, il primo ministro incaricato Manmohan Singh e alcuni neo parlamentari del Congresso vi hanno preso parte.
La commemorazione era originariamente prevista a Sriperumbudur, il luogo della strage, nello stato meridionale del Tamil Nadu, ma è stata cancellata a causa di un allarme dell’intelligence indiana che teme possibili attacchi da parte dei militanti tamil fuggiti all’offensiva in Sri Lanka.

mercoledì 20 maggio 2009

Sri Kanka, crisi profughi, Onu lancia allarme sovraffollamento

E’ un compito enorme quello che le Nazioni Unite e le altre agenzie umanitarie dovranno affrontare in Sri Lanka dove gli scontri hanno costretto 280 mila persone a lasciare le loro case. Adesso che i combattimenti sono conclusi e il leader dei ribelli Prabhakaran è stato eliminato, sta a poco a poco emergendo un quadro drammatico delle condizioni degli sfollati nei campi di accoglienza. Secondo l’alto commissariato delle Nazioni Unire per i rifugiati negli ultimi tre giorni 80 mila tamil hanno lasciato al ristretta fascia costiera dove è avvenuto l’ultimo assalto delle truppe contro i separatisti. Questa nuova ondata di civili in fuga ha messo sotto pressione i centri di accoglienza nei distretti di Vavunya, Jaffna e Trincomale che rischiano di collassare a causa del sovraffollamento e dalla carenza di servizi adeguati. L’Onu sta cercando ora di fornire tende e rifugi di emergenza per accogliere gli sfollati che si trovano spesso malnutriti o in precarie condizioni fisiche.
Domani è prevista la visita di Bank Ki-moon che rinnoverà il suo appello per un accesso totale e senza restrizioni alle zone di crisi. Proprio in questi giorni il governo cingalese aveva costretto la Croce rossa a sospendere le sue attività nel nord del Paese.

martedì 19 maggio 2009

Sei Lanka, guerra finita, ora arriva Ban Ki-moon

Con l’uccisione del capo ribelle Vellupillai Prabhakaran, il cui corpo è stato ritrovato ieri e mostrato in televisione, la vittoria del governo di Colombo è davvero completa. Ora però l’attenzione si sposta sull’emergenza degli sfollati e sulla ricostruzione come ha detto il presidente Mahinda Rajapaksa nel suo discorso al parlamento ieri mattina. La massiccia offensiva militare durata 14 mesi ha causato enormi sofferenzr tra la popolazioni tamil e sollevato le critiche dell’Europa e Stati Uniti, ma anche delle organizzazione umanitarie che ancora oggi non hanno accesso ai campi profughi del nord dove sono ammassati in condizioni disperate oltre 250 mila tamil. Secondo la Croce Rossa da almeno una settimana alcun convoglio umanitario ha raggiunto le aree del nord est dove si è concentrato l’ultimo assalto dell’esercito contro i ribelli.
Intanto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, arriverà venerdì per una visita di due giorni mirata a verificare i bisogni degli sfollati. Ban Ki-moon ha salutato positivamente la fine delle ostilità, ma è profondamente preoccupato per i massacri di civili. Secondo l’Onu oltre 6 mila tamil sarebbero morti dei bombardamenti dall’inizio dell’anno. La prossima settimana la Commissione per i Diritti Umani dell’Onu a Ginevra si riunirà in una sessione speciale per esaminare le violazioni e eventuali crimini di guerra commessi da entrambe le parti in conflitto.

Made in Italy, una fiera su macchinari agricoli a Delhi

India, un mercato da 250 mila trattori all’anno
Le aziende italiane interessate alla meccanizzazione agricola

L’agricoltura, la “cenerentola” dell’economia indiana, ha bisogno di fare un salto di qualità con l’introduzione della meccanizzazione e con l’incremento della produttività per ettaro. I contadini rappresentano il 58% della forza lavoro, ma contribuiscono solo al 18% del prodotto lordo nazionale. Grazie alle politiche di sostegno agricolo e ai crediti agevolati, i trattori e le mietitrebbiatrici stanno lentamente sostituendo gli aratri tirati dai buoi e le mondine nelle campagne. Ma il settore presenta ancora molte potenzialità. Ogni anno l’India ha bisogno di 250 mila trattori.
“L’agricoltura indiana ha una struttura simile alla nostra per la presenza capillare di piccoli proprietari, ma il numero di trattori per ettaro è di 15 volte inferiore a quello italiano – spiega Guglielmo Gandino, direttore di Unacoma Service, braccio logistico dell’Associazione nazionale dei produttori di macchine agricole, che si trovava oggi a Nuova Delhi per presentare la fiera agricola “Eima Agrimach” prevista per dicembre. In termini di esportazioni, il made in Italy è ancora marginale a causa delle restrizioni doganali e dei dazi che sono ancora molto alti. Secondo dati Istat l’esportazione di macchine agricole in India è più che raddoppiata nel 2008 a 16,7 milioni di euro.
“Intendiamo rafforzare la nostra presenza in India attraverso produzione in loco e l’alleanza con partner locali. E’ la strada già seguita in altri settori, come quello dell’auto con l’alleanza tra Tata e Fiat”. Le aziende italiane di macchinari agricoli sono sbarcate in India già agli inizi degli anni Novanta con la prima ondata di liberalizzazione economica. I grandi gruppi del settore, come Carraro, Same-Deutz, Bcs, New Holland e Landini, hanno aperto da soli o in partnership stabilimenti per la produzione di macchinari, ma anche di componentistica. Carraro India, che ha la fabbrica a Pune, vicino a Mumbai, e che produce trasmissioni e altri parti per trattori agricoli ha fatturato oltre 56 milioni di euro nel 2008.
La fiera Eima Agrimach, prevista dal 3 al 5 dicembre, è organizzata da Unicoma insieme a Ficci, la Federazione Indiana delle Camere di Commercio, sulla base di un accordo firmato un anno fa, con la collaborazione del Ministero indiano dell’Agricoltura e l’Ice, l’Istituto Commercio Estero.
La rassegna, che sarà biennale, si terrà nel campus dell’Indian Agricoltural Research Institute a Nuova Delhi. Si tratta dell’università dove è nata la “green revolution” degli Anni Settanta che consentì all’India di diventare autosufficiente per il suo fabbisogno alimentare. Vi parteciperanno 300 aziende provenienti da Europa, Stati Uniti, Brasile e Australia, ma il Made in Italy farà la parte del leone. L’Italia è tra i primi produttori di macchinari agricoli al mondo con un giro d’affari di 8,3 milioni di euro, di cui il 56% in attrezzi agricoli e macchine da giardino e il resto in trattori.
Negli anni l’Unacoma ha accumulato una notevole esperienza nell’organizzazione di eventi fieristici con Eima International a Bologna, Agrilevante a Bari e - da quest’anno - anche Eima Gulf, che si è tenuta ad aprile ad Abu Dhabi

Sri Lanka, trovato il corpo di Prabhakaran

Su radio Svizzera

Il corpo di Prabhakaran è stato ritrovato stamattina vicino alla laguna di Nanthikadal con indosso l’uniforme e il suo tesserino di identità. Secondo il portavoce militare Udaya Nanayakkara sarebbe stato ucciso ieri in un confronto con i militari. Il suo cadavere filmato in un video mostrato in televisione – risulta intatto a pare la fronte crivellata di colpi e coperta da un fazzoletto. Al collo portava una piastrina di metallo con il numero 001. Le fonti militari hanno detto di essere sicure al 100 per cento che si tratta del capo ribelle, ma non è chiaro se sia stato effettuato anche l’esame del dna. Le circostanze e il luogo in cui è stato ritrovato contraddicono però la versione fornita ieri dall’esercito secondo la quale Prabhakaran sarebbe stato ucciso mentre stava fuggendo dalla cosiddetta zona di sicurezza a bordo di un’ambulanza distrutta da un razzo. Era stato detto che il suo corpo era irriconoscibile e non era quindi possibile identificarlo.
Stamattina il presidente Mahinda Rajapaksa nel suo messaggio in Parlamento non aveva fatto alcun accenno al leader delle Tigri Tamil che secondo un responsabile dei ribelli all’estero - intervistato dal sito internet Tamil Net - sarebbe sano e salvo e continuerebbe a lottare per la causa del tamil.

Rajapaksa: guerra contro Ltte non contro i tamil

In onda su Radio Vaticana
“I nostri soldati hanno sacrificato la vita per proteggere i loro fratelli tami. Questa guerra era contro il movimento LTTE, e non contro la popolazione tamil”. E’ il messaggio del presidente Mahinda Rajapakse, appena pronunciato davanti la Parlamento di Colombo. “Dopo 30 anni di massacri di innocenti tamil, mussulmani e cingalesi, abbiamo ripreso possesso di un terzo del Paese” ha detto aggiungendo in tono di riconciliazione che intende tutelare i diritti della minoranza tamil.
Ma mentre Colombo è in festa per una vittoria sulle Tigri tamil che sarebbero state completamente eliminate, da Unione Europea e Stati Uniti arriva un pressante appello perchè il governo intervenga per evitare una crisi umanitaria tra i 250 mila sfollati del combattimenti di questi 14 mesi. L’offensiva è stata criticata per i massacri tra la popolazione civile. Il segretario generale dell’Onu Bank Ki Moon dovrebbe recarsi alla fine di questa settimana per visitare i centri di accoglienza e i campi per i deportati.
Intanto continua il giallo sulla sorte di Prabkakaran, che secondo l’esercito sarebbe stato ucciso ieri mentre tentava la fuga. Non ci sono prove indipendenti o fotografie del cadavere. Il sito filo ribelle Tamil Net ha smentito e ha detto che il leader è sano e salvo.

domenica 17 maggio 2009

Sri Lanka, trovato morto figlio di Prabhakaran

In onda su Radio Vaticana

In queste ore l’esercito di Colombo è impegnato in un operazione di bonifica della ristretta fascia di territorio dove è avvenuto l’ultimo assalto contro i ribelli delle Tigri tamil che da ieri hanno detto di aver cessato le ostilità. Le decine di migliaia di civili, che erano stati intrappolati nei combattimenti per mesi, sarebbero riusciti a fuggire, ma non si sa nulla delle loro condizioni. Stamane fonti militari hanno detto di aver ritrovato i corpi di quattro capi ribelli, tra cui il responsabile dell’ala politica Balasingham Nadesan e il figlio del numero uno Prabhakaran, che si chiama Charles Antony e che era il responsabile dalla piccola flotta aerea ribelle. Non si sa ancora nulla sulla sorte di Prabhakaran che secondo il ministero della difesa sarebbe introvabile. Per frenare l’ultimo attacco delle truppe, i ribelli tamil si sarebbero suicidati facendosi esplodere sul campo di battaglia. Decine di corpi sono stati portati in una base militare di Colombo per l’identificazione.
Intanto domani il presidente nazionalista Mahinda Rajapaksa dovrebbe fare un annuncio formale in Parlamento. Ieri nella capitale Colombo ci sono state dimostrazioni di giubilo in strada per la fine dell’offensiva costata enormi sofferenze alla popolazione tamil.

ELEZIONI 2009, Vince di nuovo alleanza del Congresso che incassa i voti comunisti

Nonostante la crisi economica e l’allarme terrorismo, l’India ha deciso di giocare la carta delle continuità e di premiare il governo di centro sinistra guidato da Manmohan Singh al potere negli ultimi cinque anni. Dallo spoglio delle oltre 400 milioni di schede elettroniche avvenuto ieri, il partito del Congresso di Sonia Gandhi emerge come netto vincitore con oltre il 30% dei seggi del parlamento in netto aumento rispetto alle elezioni del 2004. La coalizione di centro sinistra ha incassato un totale di 256 seggi alla Camera Bassa polverizzando l’opposizione indu nazionalista del Bjp guidata dall’ultraottantenne Lal Krishna Advani che ha deciso di gettare la spugna dopo 60 anni di carriera politica. Il partito della dinastia Nehru-Gandhi non ha la maggioranza assoluta, ma può facilmente formare una coalizione senza sottostare ai ricatti dei partitini regionali. Il premier uscente Singh, l’economista dal turbante azzurro che ha 76 anni e due bypass, salirà presto al “colle” del Rastrapati Bhawan per ricevere l’incarico dalla presidente, la signora Pratibha Patil, che ha un ruolo molto simile a quello del capo dello stato italiano. E’ la prima volta dall’epoca dello statista Jawaharlal Nehru che un primo ministro indiano ottiene un secondo mandato dopo aver completato una legislatura. E’ molto probabile che il suo esecutivo sarà una fotocopia di quello precedente con l’ingresso – secondo indiscrezioni – di Rahul Gandhi, il primogenito di Sonia che si sta preparando a raccogliere l’eredità del secolare partito.
La maratona elettorale indiana, durata un mese, ha anche decretato l’uscita di scena dei partiti comunisti indiani dopo tre decenni di potere in Bengala Occidentale, lo stato di Calcutta, dove hanno cercato di imporre senza successo una politica di industrializzazione “alla cinese” bocciata dal movimento dei contadini espropriati delle terre. Il travaso di voti è andato a favore del Congresso che ha guadagnato terreno nel meridionale Kerala, altro bastione rosso, fino all’Uttar Pradesh, il mega stato da 160 milioni di abitanti, complesso mosaico di caste e laboratorio dell’ideologia indù propagandata da Varun Gandhi, il nipote ribelle di Indira. Le ambizioni della governatrice Kumari Mayawati, la regina degli intoccabili, che era pronta a marciare su New Delhi con il suo partito dell’elefante sono evaporate nella calura di questi giorni insieme a quelle degli altri leader regionali del cosiddetto Terzo Fronte.

ELEZIONI 2009, i Gandhi riprendono le redini dell'India

Su Il Giornale

Sonia Gandhi ce l’ha fatta di nuovo a stregare l’India non solo quella delle campagne analfabete, ma anche della borghesia metropolitana. Ha riportato il partito del Congresso a una popolarità che non godeva dal 1991 quando fu ammazzato suo marito Rajiv. Ha rimesso in sella l’anziano e fragile primo ministro Manmohan Singh secondo la logica del cavallo che vince non si cambia. E soprattutto ha assicurato un brillante futuro professionale al primogenito Rahul, che si sta facendo i muscoli per imparare in fretta il mestiere del padre, della nonna e del bisnonno. C’è chi prevede che la potente e longeva dinastia politica sia destinata a guidare l’India non solo nei prossimi cinque anni, ma anche dopo visto lo sbando totale dell’opposizione indu nazionalista del Bjp che ancora una volta non ha capito che le elezioni si vincono nel sudore e nella polvere delle campagne e non su internet. Il vecchio falco Lal Krishna Advani ha speso palate di denaro in pubblicità sui principali website di musica e di informazione in lingua inglese nell’illusione di raggiungere i milioni di giovani che hanno votato per la prima volta. Per un mese, invece Rahul Gandhi, ha macinato 8 mila chilometri su e giu negli angoli più sperduti dell’India profonda al ritmo di tre o quattro comizi al giorno. Un tour de force che solo un trentottenne, per di più scapolo, più reggere. E in aggiunta ha goduto del supporto della sorella Priyanka, che si è piazzata armi e bagagli nel suo collegio elettorale di Amethi, il feudo di famiglia nell’agricolo Uttar Pradesh, dove ogni giorno incantava i giornalisti con la sua parlantina svelta e la silhuette da pin-up. I giornalisti indiani sono innamorati del suo carisma che sarebbe stato lo stesso di Indira Gandhi, la lady di ferro molto amata, ma anche molto odiata per le sue devianze autoritarie. Come il fratello, Priyanka che vuole essere chiamata Vadra, il cognome da sposata, non sembra però interessata a entrare nel governo. Come sempre sarà l’enigmatica Sonia a decidere. E’ stata lei che nel maggio di cinque anni fa, dopo la vittoria a sorpresa sul Bjp del premier e poeta Atal Bihari Vajpayee si è tirata indietro per seguire la “voce interiore” che le consigliava di non assumere l’incarico di primo ministro. Non si è mai capito cosa sia successo. Un simpatizzante con una pistola puntata alla tempia davanti al numero 10 di Janpat, dove ieri si è fatto festa, aveva perfino minacciato di suicidarsi. Sembra che siano stati i figli a consigliarla di non mettere a repentaglio la sua vita, ma si dice che in realtà erano gli alleati della coalizione a non volere la “vedova italiana” alla guida di una nazione di un miliardo e 100 milioni di persone. Tempo fa, in uno dei rari incontri in pubblico, Sonia ha di nuovo smentito un suo coinvolgimento diretto. “Ma quante volte ve lo devo dire che non intendo diventare premier!” aveva sbottato davanti ai giornalisti. Dopo il ricovero in ospedale di Singh per l’operazione di bypass alle coronarie, si erano fatte insistenti le voci di una discesa in campo di Rahul, che è impegnato nella riorganizzazione dell’ala giovanile del partito. Nelle strade di Delhi erano comparsi i manifesti con le facce sorridenti di Sonia, Singh e Rahul che lasciava pensare all’ipotesi di un triunvirato. Poi però il giovane era scomparso dalla prima pagina del manifesto elettorale presentato agli inizi di aprile che ritrae solo la leader del Congresso e il “suo” premier nel frattempo uscito dalla convalescenza. Il ruolo di Rahul, da molti proiettato come il “Kennedy indiano”, continua però a rimanere un’incognita. Davanti ai giornalisti ieri Singh ha detto che “cercherà di convincerlo ad assumere un posto ministeriale” sottintendo quindi la sua avversione a entrare nelle stanze dei bottoni.
Questo apparente disinteresse nei confronti del potere sembra essere il segreto della popolarità di Sonia che per cinque anni ha lavorato nell’ombra per realizzare l’agenda anti povertà del partito, ma anche per evitare i trabocchetti degli alleati e le imboscate dell’opposizione. “La gente sa cosa è bene e fa sempre le scelte giuste” ha detto lapidaria sulla soglia di casa nei pochi secondi in cui si è concessa alla stampa. E’ l’apogeo della casalinga di Orbassano diventata una consumata leader politica che tutte le sinistre del mondo invidiano.

Sri Lanka, è finita la guerra ma Prabhakaran è ancora introvabile

In onda su Radio Svizzera Italiana
Senza la cattura, vivo o morto del capo ribelle Vellupillai Prabhakaran, il governo di Colombo non può dichiarare la completa vittoria contro le Tigri Tamil. E’ quando ha detto oggi ad una agenzia di stampa un politico tamil moderato che è stato uno dei fondatori del movimento dell’LTTE che oltre due decenni fa ha iniziato la lotta armata per l’indipendenza del nord e nord est dell’isola. Nonostante le voci di un probabile suicidio del capo guerrigliero di 58 anni insieme ai suoi compagni, la sua sorte è per ora un mistero. Un portavoce del Ministero della difesa ha detto che il super ricercato Prabhakaran è ancora introvabile.
I ribelli hanno dichiarato oggi di aver cessato le ostilità, ma le operazioni militari potrebbero continuare nei circa 3 km quadrati dove sono stati accerchiati in queste settimane i guerriglieri superstiti insieme a decine di migliaia di sfollati. Secondo il sito internet filo ribelle, Tamil net, nelle ultime 24 are in questa zona sarebbe avvenuto un nuovo massacro di civili di drammatiche proporzioni se risultasse vero. Nell’ultimo comunicato,un ufficiale della marina ribelle, il colonnello Soosai, avrebbe detto che ci sono 25 mila tamil morti o gravemente feriti dai bombardamenti e che i corpi sono sparsi ovunque in un’area di due km quadrati. Migliaia sarebbero ancora nascosti nei bunker sotterranei e sono tenuti in ostaggio dalle forze governative pronte a sparare contro a chiunque cerchi di fuggire.

sabato 16 maggio 2009

Sri Lanka, Tigri Tamil minacciano suicidio di massa

In onda su Radio Vaticana
E’ stato detto molte volte, ma queste ore potrebbero essere le ultime per i ribelli delle Tigri tamil ormai bloccati in un fazzoletto di terra di 3 km quadrati senza via di fuga. Tanto che sarebbero pronti al suicidio di massa minacciandosi di lanciarsi contro i militari cingalesi, secondo quando ha dichiarato il Ministero della difesa di Colombo. Sempre secondo fonti del governo oltre 17 mila tamil sarebbero in fuga dalla zona dove continuano i bombardamenti. Due divisioni dell’esercito stanno avanzano da una parte e dall’altra della costa nord orientale. Un portavoce militare ha detto che i ribelli non avrebbero altra opzione che arrendersi.
Il presidente nazionalista Mahinda Rajapaksa, che domani rientra dalla Giordania, ha dichiarato che i terroristi sono stati annientati. Rimane però avvolta nel mistero la sorte del leader Vellupillai Prabakaran e degli altri vertici dei separatisti. Non è chiaro se siano ancora nascosti o siano riusciti a fuggire
Intanto la Croce Rossa ha lanciato l’allarme per il rischio di di una crisi umanitaria senza precedenti per la presenza di centinaia di feriti intrappolati nei combattimenti. Un inviato di Ban Ki Moon è arrivato a Colombo per chiedere al governo una tregua in modo da permettere ai civili di mettersi al sicuro, ma finora ogni appello del genere è caduto nel vuoto.

ELEZIONI 2009 / Analisi / La riscossa dei Gandhi

Su Apcom

Ancora una volta i Gandhi, la dinastia politica più potente e longeva, hanno mostrato di toccare le corde profonde dell’India, non solo delle masse analfabete delle campagne, ma anche dell’emergente borghesia delle metropoli come Nuova Delhi, Mumbai e Calcutta. Il partito del Congresso è emerso come netto vincitore in queste elezioni per il rinnovo della Camera Bassa riuscendo a superare la soglia dei 200 seggi che equivale al 38% del parlamento. Insieme agli alleati pre-elettorali avrebbe 260 seggi che non è la maggioranza assoluta, ma permette di formare agevolmente un governo stabile senza sottostare ai ricatti dei “partitini”. Contrariamente ai sondaggi che davano alla pari il Congresso e l’opposizione del Bjp, non ci sono “aghi della bilancia”. Il partito di Sonia Gandhi può “regnare” da solo per altri cinque anni anche senza il supporto dei partiti comunisti che avevano già ritirato il loro appoggio esterno alla coalizione di Manmohan Singh perché contrari all’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. Nei prossimi giorni il premier uscente Singh, 76 anni, economista oxfordiano, reduce da un’operazione di bypass, salirà al Rashtrapati Bhawan, il “Campidoglio” di Delhi, per chiedere l’incarico alla presidente della repubblica Pratibha Patil. Curiosamente è il primo premier dall’epoca di Jawaharlal Nehru a ottenere un secondo mandato dopo aver completato una legislatura. Nel pomeriggio Singh è andato a omaggiare la leader Sonia nella residenza-ufficio del numero 10 di Janpath dove per tutto il giorno i simpatizzanti del Congresso hanno scandito slogan e cantato “Jai Ho”, la musica del film successo The Millionaire utilizzata per la campagna elettorale. Il premier – in casacca bianca e turbante azzurro – ha ringraziato gli elettori e la leader Sonia Gandhi che lo scelse fin dal 2004 per ricoprire un incarico che sarebbe toccato a lei. “Il popolo indiano ha fatto la giusta scelta” sono state le uniche parole della leader italo-indiana, di solito molto restia a parlare davanti alla stampa.
Dalle elezioni escono due perdenti: gli indu-nazionalisti del Bjp che hanno perso oltre dieci seggi e che non sono riusciti a sfondare neppure negli stati sicuri, come il nord occidentale Gujarat, feudo del falco Narendra Modi e i partiti comunisti che hanno perso metà dei voti. Il Bjp, il Partito del Popolo Indiano, è ora sotto shock e molto probabilmente il suo leader Lal Krishna Advani abbandonerà la politica dopo quasi 60 anni di carriera. L’ultraottantenne Advani, che da oltre un anno era proiettato come futuro primo ministro, avrebbe deciso di non continuare a guidare l’opposizione. Il portavoce del Bjp, Arun Jaitley, in una conferenza stampa nel tardo pomeriggio, ha accettato la sconfitta e ha promesso di collaborare con la nuova maggioranza per garantire all’India di vincere le sfide del terrorismo e della crisi economica. “Il risultato è stato una sorpresa per noi – ha detto – Abbiamo fatto bene in alcuni stati, ma in altri siamo stati al di sotto delle aspettative”. Secondo B.Raman, editorialista del sito internet “Rediff”, Advani avrebbe “pagato il prezzo una campagna elettorale negativa basata su accuse personali a Singh e non su un’agenda politica alternativa”. L’anziano “falco” del Bjp aveva accusato il premier di essere il più “debole” della storia indiana e di essere asservito al volere dell’ “italiana” Sonia Gandhi.
La debacle dei comunisti nel Bengala Occidentale e in Kerala, le due roccaforti rosse, era invece stata ampiamente prevista dai sondaggi. I comunisti si erano opposti l’anno scorso all’accordo indo-americano sul nucleare che pone fine a trenta anni di isolamento dell’India e favorisce lo sviluppo del nucleare come alternativa alla dipendenza dall’importazione di idrocarburi. Il Partito Comunista Indiano e il suo “gemello” marxista diventano ora marginali nel Parlamento dove prima erano la terza forza con 60 seggi. A emergere in Bengala Occidentale, lo stato di Calcutta, è il piccolo partito Trinamul della “pasionaria” Mamata Banerjee che ha guidato il fronte contadino contro il progetto di fabbrica della Tata Nano a Singur e che a livello locale è alleato del Congresso. Se dovesse entrare nella coalizione di governo, la battagliera Mamata potrebbe rivelarsi un elemento scomodo per il suo retaggio di lotta contro la grande industria e gli investimenti stranieri.
E’ stata invece “neutralizzata” Mayawati, la regina degli intoccabili e leader dell’Uttar Pradesh, lo stato chiave per la presenza di una popolazione di 160 milioni di abitanti, tra cui una forte minoranza di mussulmani. Pur avendo migliorato la sua performance con 23 seggi su un totale di 80 aggiudicati dal suo partito dell’elefante (il Bsp), la controversa Mayawati vede sfumare il suo sogno di diventare la prima premier appartenente alla grande massa dei “fuori casta” che sono il 13% della popolazione indiana.

ELEZIONI 2009, smentiti i sondaggi. Vittoria netta per Sonia Gandhi

Ancora una volta i sondaggi hanno avuto torto. Contrariamente alle previsioni che non ci sarebbe stato nessun netto vincitore, il Congresso di Sonia Gandhi ha invece trionfato superando di parecchie lunghezze l’opposizione indu nazionalista del Bjp. I festeggiamenti sono già in corso davanti alla residenza di Sonia Gandhi al numero 10 di Janpath. Il ministro della scienza Kapil Sibal ha detto che “il merito del successo va a Rahul Gandhi”, il primogenito di Sonia che è stato la star della campagna elettorale.
Il margine di vittoria permette al Congresso di governare con la stessa coalizione creata nel 2004 e di riconfermare l’economista Manmohan Singh alla poltrona di primo ministro per altri cinque anni. Il partito della dinastia Nehru Gandhi ha recuperato terreno in molti stati, tra cui il settentrionale Rajasthan e il centrale Andhra Pradesh, ma anche in Bengala Occidentale e in Kerala dove i i partiti comunisti per la prima volta in decenni hanno subito una secca sconfitta. Ma la principale novità di queste elezioni è che i partiti regionali, come quello di Mayawati, la leader degli intoccabili, sono stati bocciati dagli elettori. Il cosiddetto “terzo fronte” e il “quarto fronte” sono di molto al di sotto delle aspettative che erano di conquistare almeno 100 seggi sui 543 in palio nella Camera Bassa.
La strada per l’Upa, la coalizione guidata dal Congresso, che è andata nettamente meglio che nel 2004, è quindi in discesa. Nei prossimi giorni la presidente della Repubblica Prathiba Patil convocherà il partito della Gandhi per formare un governo che si prevede sarà una “fotocopia” di quello precedente.

venerdì 15 maggio 2009

ELEZIONI 2009, domani lo spoglio. Congresso in cerca di 160 seggi per governare

Tutto è pronto per lo spoglio di domani che metterà fine alla suspense elettorale su chi sarà a governare l’India nei prossimi cinque anni. Circa 60 mila scrutatori in oltre mille città cominceranno alle 8 ora locale a contare 405 milioni di schede elettroniche. La partecipazione al voto nelle cinque tornate elettorali durate un mese è stata del 57% ed è la stessa registrata nel 2004.
Grazie alla computerizzazione dello scrutinio i risultati definitivi si conosceranno già nel pomeriggio. A rendere noti i dati sarà la Commissione Elettorale Indiana, un organismo costituzionale autonomo, che ha gestito finora con successo “il più vasto esercizio democratico del mondo” come è definito in un video documentario del Ministero degli Esteri che è stato presentato l’altro ieri alla stampa e ai diplomatici di Nuova Delhi e che traccia un excursus storico delle 14 elezioni parlamentari finora condotte in India.
Da quando si sono chiuse le urne mercoledì scorso e sono stati pubblicati i primi exit poll che danno alla pari il Congresso e l’opposizione indu nazionalista del Bjp, si è scatenata una frenetica corsa tra i partiti a cercare i numeri per presentarsi “al colle” dalla Presidente della Repubblica, Prathiba Patil, con un accordo di maggioranza e con il nome di un primo ministro. Televisioni e giornali hanno presentato diverse opzioni di governo lasciando aperte praticamente ogni possibilità. Dopo la “figuraccia” del 2004 in cui nessuno ha previsto il ritorno al potere del Congresso di Sonia Gandhi e la netta sconfitta della destra ultra liberalista di Atal Bihari Vajpayee, i sondaggisti sono molto cauti prima di sbilanciarsi troppo. A differenza di quattro anni fa, lo scenario politico indiano appare anche molto più frammentato a causa della presenza del “Terzo Fronte” formato dai comunisti e da influenti partiti regionali come quello della regina degli intoccabili Kumari Mayawati. Ci sono almeno 3 o 4 aspiranti premier che potrebbero affossare le candidature rivali di Lal Krishna Advani, il leader ultraottantenne del Bjp e dell’economista dal turbante azzurro Manmohan Singh, il “tecnico” che Sonia Gandhi vorrebbe di nuovo vedere sulla poltrona di primo ministro in attesa della “maturazione” politica del figlio Rahul.
Il numero “magico” per assicurare al Congresso una maggioranza stabile è 160 seggi, più di quelli ottenuti nel 2004, che permetterebbe la formazione della stessa coalizione con alleati “fedeli” e poco “esigenti”. Se il partito dei Gandhi dovesse andare sotto questa soglia sarebbe costretto a sottostare a troppi ricatti dei “partitini” regionali. Sarebbe poi esclusa anche un’alleanza con il partito dell’elefante del Bsp guidato da Mayawati (che vale 25-30 seggi secondo i sondaggi) perché il Congresso si è già schierato con il suo nemico numero uno, il socialista e pro mussulmano Mulayam Singh Yadav, l’altro potente signore dell’Uttar Pradesh. Sia Mayawati che Yadav avrebbero chiesto in cambio del loro supporto la cancellazione dei processi a loro carico per corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici nelle varie “tangentopoli” locali.
Rimane invece un’incognita il ruolo che giocheranno i partiti comunisti che secondo i sondaggi potrebbero prendere una “batosta” in Bengala Occidentale, ma che rimangono sempre la terza forza in Parlamento con 35 o 36 seggi previsti sul totale dei 543.
In caso in cui Congresso e Bjp siano alla pari, “si apre lo scenario che i partiti regionali e indipendenti hanno sempre sognato – scrive Vinod Sharma, vicedirettore dell’Hindustan Times, sul suo blog – Alcune televisioni hanno rivelato anche quanto costa assicurarsi un seggio, 100 milioni di rupie (che al cambio attuale sono più o meno 2 milioni di dollari). Prevedo che ci sarà da divertirsi quando avremo i risultati soprattutto se Congresso e Bjp avranno la stessa fetta di consensi. Mi aspetto anche che la Presidente della Repubblica a quel punto giocherà la sua parte visto che è stata scelta da Sonia Gandhi”.

martedì 12 maggio 2009

ELEZIONI 2009, oggi si chiude la quinta e ultima fase

In onda su Radio Svizzera Italiana

Tra le regioni dove si vota c’è anche il Ladakh, il piccolo Tibet come è soprannominato, dove molti villaggi sono ancora isolati per la neve e sono raggiungibili solo con elicottero o a dorso di mulo. E’ un esempio della complessità di queste elezioni che oggi giungono alla conclusione. Le urne sono aperte in sette stati per un totale di 108 milioni di elettori chiamati a scegliere l’ultima fetta di rappresentanti della Camera Bassa. Gli occhi sono puntati sul grande stato meridionale del Tamil Nadu, dove la battaglia elettorale è stata influenzata dalla crisi umanitaria nel vicino Sri Lanka, dove decine di migliaia di tamil sono intrappolati nell’offensiva contro le Tigri Tamil. L’appoggio di uno dei due partiti rivali del Tamil Nadu potrebbe essere cruciale per i destini del futuro governo di New Delhi. Secondo le previsioni, è possibile dallo scrutinio di sabato non emerga nessun vincitore. Il Congresso di Sonia Gandhi e l’opposizione indu-nazionalista del Bjp, guidata dall’ultraottantenne Advani, sono testa a testa nei sondaggi. La caccia agli alleati è già iniziata di fatto in questi giorni in cui entrambi i partiti stanno intessendo complicate trame politiche per attrarre i leader regionali, tra cui quelli che compongono il Terzo Fronte, guidato dalla leader degli intoccabile Mayawati, la governatrice dell’Up. Ma determinante, almeno per la coalizione di centro sinistra del Congresso, sarà anche il supporto dei partiti comunisti, che sono al potere in Bengala Occidentale, lo stato di Calcutta, dove l’apertura dei seggi è stata segnata da violenze tra simpatizzati di partiti rivali.

ELEZIONI 2009 - Domani ultimo voto, mentre Bjp e Congresso iniziano la caccia agli alleati

Su Apcom

La lunga ed estenuante battaglia elettorale indiana arriva alla sua conclusione domani con la quinta e ultima tornata di voto che interessa oltre 107 milioni di elettori chiamati a scegliere i restanti 86 seggi della Camera Bassa o Lok Sabha. Si chiude così il sipario su una campagna elettorale che non ha visto grosse sorprese e che è stata dominata dallo scontro frontale tra il partito al potere del Congresso e dall’opposizione indu nazionalista del Bjp (Bharatiya Janata Party o Partito del Popolo Indiano).
Sabato prossimo sarà la volta dello spoglio delle schede elettroniche e inizierà quella che molti chiamano la “sesta fase” decisiva per formare la nuova coalizione di governo di questa quindicesima legislatura. Siccome è molto probabile che nessuno dei due partiti principali – che si trovano a testa a testa nei sondaggi – riuscirà a conquistare la maggioranza assoluta dei 543 voti dell’assemblea, saranno i “partitini” regionali a fare la parte del leone scegliendo da che parte stare. Le cosiddette alleanze “pre elettorali” non sembrano essere molto affidabili in India e quindi tutti i giochi e gli scenari sono attualmente aperti. La caccia agli alleati è già iniziata in questi giorni in cui Congresso e Bjp stanno intessendo complesse trame politiche per attrarre i leader degli stati più influenti come il popoloso stato settentrionale Uttar Pradesh, il vicino Bihar e il meridionale Tamil Nadu.
Proprio il Tamil Nadu, dove vivono 80 milioni di tamil, va al voto domani con gli occhi puntati al vicino Sri Lanka dove è in corso la brutale offensiva dell’esercito srilankese che sta causando centinaia di vittime tra la minoranza tamil nel Nord-Est dell’isola. I due principali partiti regionali, che da decenni dominano la politica del Tamil Nadu, hanno promesso di sostenere la causa dei tamil srilankesi, anche se non appoggiano apertamente il movimento separatista armato delle Tigri Tamil responsabile dell’uccisione dello statista Rajiv Gandhi, marito di Sonia, la leader del Congresso.
Sempre domani andrà al voto anche il collegio elettorale di Varun Gandhi, il nipote “ribelle” di Indira Gandhi, uno dei protagonisti più vivaci di questa campagna per le sue sortite nazionaliste contro i mussulmani che gli sono costate anche la galera. Il giovane Gandhi si è candidato nelle file del Bjp nella circoscrizione di Philibit, in Uttar Pradesh e si oppone al suo più famoso cugino Rahul, che si sta preparando a raccogliere l’eredità politica della dinastia Nehru-Gandhi.
Nell’ultimo sondaggio pubblicato dal quotidiano “Times of India”, la coalizione di centro sinistra guidata dal Congresso gode di un lieve margine sull’alleanza di destra del Bjp. Il partito di Sonia Gandhi - che a livello regionale è al potere solo in sette Stati – sta cercando di ottenere il supporto dei partiti comunisti (la terza forza in parlamento) che hanno formato il cosiddetto “Terzo fronte” unendosi con la leader degli intoccabili, la signora Kumari Mayawati, potente e controversa governatrice dell’Uttar Pradesh, che ambisce alla carica di primo ministro. I comunisti, concentrati negli stati del Bengala Occidentale, quello di Calcutta, e nel meridionale Kerala, non sarebbero però d’accordo a partecipare ad una coalizione guidata dal primo ministro Manmohan Singh, artefice del patto indo-americano sul nucleare civile da loro fortemente contestato.
Secondo la consuetudine, il partito che avrà più voti nello scrutinio di sabato, sarà convocato dalla presidente della repubblica Prathiba Patil per formare una maggioranza che a sua volta esprimerà il primo ministro. L’attuale premier Singh, 76 anni, economista oxfordiano e di fede sikh, potrebbe essere riconfermato per un secondo mandato nel caso di vittoria della coalizione del Congresso. Il suo diretto rivale è Lal Krishna Advani, ultraottantenne, leader nazionalista del Bjp, che in queste elezioni gioca l’ultima carta dei suoi 60 anni di carriera politica. Entrambi hanno concluso la campagna elettorale ieri con comizi nello stato del Punjab, il granaio dell’India e patria dei sikh, al confine con il Pakistan dove – per una curiosa coincidenza - tutti e due sono nati prima della sanguinosa partizione del subcontinente indiano.

India, in aumento turismo sessuale e prostituzione

Su Apcom
Il turismo sessuale, soprattutto quello che coinvolge minorenni, sarebbe in aumento in India. Secondo stime ufficiali ci sarebbero 3 milioni di prostitute, di cui il 40%sono bambine. A lanciare l’allarme è Aswhani Kumar, direttore del Central Bureau of Investigation (l’agenzia di polizia federale), che ieri è intervenuto ad un seminario sul traffico di esseri umani. “Negli ultimi anni sono emerse alcune tendenze preoccupanti – ha detto – che hanno visto un’impennata dello sfruttamento sessuale attraverso il fenomeno del turismo sessuale, la pedofilia, la prostituzione nei luoghi di pellegrinaggio e in altre mete turistiche, nonché il commercio internazionale di donne e bambini in particolare dai Paesi confinanti con l’India”. Il capo degli investigatori indiani ha ricordato che il traffico umano, che coinvolge ogni anno dai 6 agli 8 milioni di persone del mondo, è una delle attività più importanti della criminalità organizzata dopo la droga e il contrabbando di armi. “Da alcuni anni l’India è diventata un fiorente mercato di origine, destinazione e di transito per il traffico di esseri umani. Donne e bambini sono spesso portati come clandestini in Medio Oriente e in altre parti del mondo dove c’è richiesta di lavoro a basso costo”. Kumar ha poi aggiunto che l’85% del traffico è destinato al mercato interno dove c’è una crescente domanda di ragazze da avviare alla prostituzione.
Negli scorsi anni il governo indiano è intervenuto chiudendo locali notturni e “dance-bar” di Mumbai e di altre città, ma “occorre rafforzare il quadro legislativo e coinvolgere le organizzazioni non governative nel salvare e riabilitare le vittime di questo traffico”.

lunedì 11 maggio 2009

Pakistan, Onu invia soccorsi per 360 mila sfollati

In onda su Radio Svizzera Italiana


E’ difficile prevedere quanto durerà la massiccia offensiva dell’esercito pachistano contro i talebani nella vallata di Swat, ma è sicuro che il prezzo pagato dalla popolazione sarà altissimo. L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, che sta mettendo in moto la macchina dei soccorsi, ha riferito che gli sfollati potrebbero essere di più dei 360 mila attualmente registrati. “Siamo di fronte ad un enorme e improvvisa crisi che richiede molte più risorse di quelle disponibili nel Paese” ha detto l’alto commissario Antonio Guterres che ha chiesto il contributo della comunità internazionale. Presto l’Onu comincerà la distribuzione di tende e altro materiale per allestire i campi di accoglienza. Nonostante i finanziamenti promessi dagli Stati Uniti per l’intervento militare, il governo di Islamabad non sembra essere in grado di far fronte ad una crisi di queste proporzioni. Il primo ministro Yousuf Raza Gilani ieri ha deciso di convocare una nuova conferenza dei donatori a Islamabad dopo quella tenuta a Tokyo il mese scorso in cui sono stati promessi oltre 5 miliardi di dollari per salvare il Paese dalla bancarotta.
Secondo fonti governative, l’offensiva diretta ad eliminare completamente i talebani, sta registrando dei successi. Negli ultimi 4 giorni di combattimenti sarebbero stati uccisi 700 insorti nella valle di Swat, ex meta turistica a poche ore dalla capitale, dove risiede una popolazione di un milione e mezzo di abitanti.

domenica 10 maggio 2009

Pakistan, esodo di 100 sfollati dall'offensiva contro i talebani nella valle di Swat

Approfittando del coprifuoco di ieri, centomila persone sono fuggite dalla valle di Swat dove è in corso l’offensiva dell’esercito pachistano contro i talebani. A dorso di asini, sui tetti dei pochi autobus strapieni o semplicemente a piedi, gli abitanti delle città di Mingora, Kambad e Rahimabad hanno lasciato le loro case e si sono messi in marcia verso Peshawar. Ad attenderli ci sono dei campi profughi allestiti dal governo che ospitano in condizioni impossibili già mezzo milione di persone. Secondo alcuni osservatori l’esodo è paragonabile a quello del 1947 quando fu creato il Pakistan dallo smembramento dell’India coloniale britannica.
Allo scadere del coprifuoco sono ripresi i bombardamenti e i raid contro le basi dei talebani. Secondo Islamabad l’offensiva sta registrando successi dal punto di vista militare . Un portavoce delle forze armate ha detto che ieri in 24 ore tra 180 e 200 insorti sono stati uccisi nelle regioni di Swat e Shanglas. Migliaia di soldati, con l’appoggio dell’aviazione e con i finanziamenti degli Stati Uniti sono impegnati a “eliminare” i talebani nella valla di Swat, ex meta turistica montana, che sorge a cento chilometri da Islamabad. Secondo il “New York Times”, la guerra contro i talebani pachistani potrebbe rafforzare i militanti di Al Qaeda interessati ad accrescere la loro presenza in altri territori in Pakistan dopo le recenti perdite inflitte dagli aerei droni della Cia sul confine afghano-pachistano.

Sri Lanka, aumenta bilancio del massacro di sabato nei campi degli sfollati tamil

In onda su Radio Svizzera Italiana

Anche le Nazioni Unite hanno confermato la notizia del massacro di civili nella cosiddetta “zona di sicurezza” a nord di Mullaitivu dove sono intrappolati decine di migliaia di tamil. Secondo un portavoce dell’Onu, le vittime dei bombardamenti avvenuti nella notte tra sabato e domenica sarebbero centinaia, tra cui oltre 100 bambini. Un medico, che lavora in uno degli ospedali da campo allestiti dal governo, ha riferito di 378 corpi senza vita e di oltre mille feriti. Un bilancio che con il passare del tempo potrebbe aumentare e che non terrebbe conto delle vittime che sarebbero ancora sul terreno. Secondo quanto denunciato dal sito internet Tamilnet, filo ribelle, la massiccia offensiva sferrata dall’esercito di Colombo avrebbe causato almeno 2000 morti in appena 24 ore. Tra le vittime ci sarebbe anche uno dei portavoce delle Tigri Tamil. Secondo i soccorritori sul posto la situazione sarebbe drammatica per il grande numero di feriti e per la mancanza di medici.
Le autorità srilankesi hanno smentito il bombardamento e accusato i ribelli di aver lanciato colpi di mortaio dalle loro postazioni direttamente sugli sfollati che sono concentrati in pochi chilometri quadrati in tende e rifugi sotterranei. Secondo il governo, circa 300 guerriglieri sopravissuti, compreso il leader Vellupillai Prabhakaran, si nascondono tra la popolazione civile nella cosiddetta “zona di sicurezza” che paradossalmente era stata creata per proteggere i tamil in fuga dai combattimenti.

Nuova carneficina in Sri Lanka, 257 morti in bombardamenti nella notte

Se sono vere le notizie che arrivano dal fronte di guerra, ormai ristretto a una manciata di chilometri quadrati, l’attacco sferrato la scorsa notte dall’esercito srilankese sarebbe stato il più sanguinoso dall’inizio dell’offensiva diretta ad eliminare le Tigri Tamil e a riunificare l’isola. Un medico governativo ha riferito che i bombardamenti hanno ucciso 257 civili tamil e causato oltre 800 feriti. La notizia del massacro è riportata anche da Tamilnet, il sito internet dell’Ltte, che ha denunciato i bombardamenti indiscriminati, con l’uso illegale di bombe a grappolo, nella zona dove sono concentrati migliaia di sfollati in tende di fortuna e nascondigli sotterranei. Secondo la fonte tamil sarebbero oltre 2000 le vittime nelle ultime 24 ore di guerra. Moltissimi corpi sarebbero stati lasciati sul terreno dove continuano i combattimenti.
Un portavoce dell’esercito di Colombo ha smentito la carneficina accusando le Tigri Tamil di “propaganda” e di impedire ai civili di lasciare l’area a nord di Mullaitivu dove sarebbero intrappolate circa 50 mila persone secondo una stima delle Nazioni Unite. La rigida censura imposta dal governo di Rajapaksa impedisce qualsiasi contatto con gli sfollati. Ieri tre giornalisti britannici sono stati fermati dalla polizia ed espulsi per un reportage che denunciava abusi sessuali di donne tamil commessi all’interno dei campi di accoglienza di Vavunya dove gli sfollati sono tenuti sotto stretta sorveglianza.

giovedì 7 maggio 2009

ELEZIONI 2009 - New Delhi va al voto, ma senza troppo entusiasmo


Davanti alla moschea di Jama Majid, nel cuore storico di Nuova Delhi, i volontari del Congresso sonnecchiano dietro i tavoli ingombri di fogli con le liste dei votanti. Mancano due ore alla chiusura dei seggi, ma la giornata elettorale sembra già terminata. La maggior parte della gente ha già votato nelle prime ore del mattino per evitare la calura estiva che in questa stagione tocca i 40 gradi. “Abbiamo vinto” proclama trionfante Nitish, attivista del Congresso mentre mostra un calendario con l’immagine di Kapil Sibal, ex ministro della scienza e candidato nel collegio di Chandni Chowk, il grande bazar che sorge davanti al Forte Rosso, dove 61 anni fa il presidente Jawaharlal Nehru proclamò l’indipendenza dell’India.
Nelle ultime elezioni parlamentari del 2004, il partito della dinastia Nehru- Gandhi ha fatto incetta di voti a Nuova Delhi conquistando sei seggi sui sette della circoscrizione che conta 11 milioni di aventi diritto al voto. La popolarità del Congresso è ancora intatta tra i mussulmani che sono prevalenti in questa parte della città, ma nella “nuova Delhi”, quella del ceto borghese, si prevede il testa a testa con il partito dell’opposizione indu-nazionalista del Bjp che cerca una rivincita dopo la bruciante sconfitta di quattro anni fa.
Come a Mumbai, l’altra metropoli che è andata al voto la scorsa settimana nella terza fase della maratona elettorale indiana, una delle preoccupazioni principale è il terrorismo. L’anno scorso i mercati di Nuova Delhi e la popolare Connaught Place sono stati nel mirino di attentati a catena attribuiti a gruppi estremisti islamici. Ma la gente chiede anche più sicurezza e protezione soprattutto dalla criminalità comune che sarebbe in aumento. Di recente hanno suscitato molto scalpore due casi di omicidio di giovani donne rapinate e uccise mentre rincasavano in auto di notte. Anche le “colonie”, i quartieri residenziali, dove vive il ceto medio, non sono più sicure come in passato. “Vogliamo più sicurezza nelle strade - dice una signora che abita a Safdarjung Enclave, un quartiere di professionisti nel sud della capitale- ma anche più servizi pubblici e elettricità costante”. Nonostante le promesse, anche nella capitale, come nel resto dell’India, sono molto frequenti le interruzioni di corrente in particolare nella stagione estiva quando la domanda è più alta per via dei condizionatori.
Nonostante gli appelli sui giornali e televisioni, l’affluenza al voto sarebbe sempre bassa a Delhi, una tendenza costante in queste elezioni iniziate lo scorso 16 aprile e che si concluderanno con lo spoglio del 16 maggio. Secondo conteggio ancora parziale nella circoscrizione della capitale la percentuale di votanti sarebbe stata circa del 50%. Tra i primi a recarsi alle urne sono stati i Gandhi, la leader Sonia e i figli Rahul e Priyanka.
Allargando lo sguardo al resto dell’India, questa quarta e penultima fase ha interessato sette Stati settentrionali, per un totale di 85 seggi nella Camera Bassa (Lok Sabha) che conta 543 rappresentanti. L’affluenza al voto sarebbe stata del 57%.
Al voto è andato parte del Bengala Occidentale, compresa la metropoli di Calcutta dove si è registrata la partecipazione più alta, il 75 per cento. Si tratta di un test importante per verificare la tenuta dei partiti comunisti, al potere in Bengala e terza forza in Parlamento. La sinistra e “corteggiata” dal Congresso che è alla ricerca di alleati per formare una coalizione di governo. L’anno scorso i comunisti avevano ritirato l’appoggio al governo di Manmohan Singh dopo la firma dell’accordo con gli Stati Uniti sul nucleare pacifico che da il via all’importazione di centrali atomiche. Diversi scontri tra manifestanti comunisti e quelli del Congresso hanno disturbato il voto in alcuni seggi alla periferia di Calcutta. Disordini si sono registrati anche a Nandigram, teatro insieme a Singur delle sanguinose proteste dei contadini contro l’esproprio delle terre agricole da parte del governo bengalese. Giornata violenta anche in Kashmir, lo stato mussulmano, dove si è votato a Srinagar, il capoluogo che nei giorni scorsi è stato paralizzato da uno sciopero generale dei separatisti mussulmani che hanno invitato la popolazione a boicottare il voto.

mercoledì 6 maggio 2009

Analisi - Maoisti di nuovo sul piede di guerra in Nepal

Su Apcom

Ad un anno dalla caduta della monarchia, il Nepal rischia di nuovo di precipitare in un caos politico che potrebbe portare a nuove rivolte di piazza a Katmandu. La crisi di governo, innescata dalla rimozione del generale Rookmangud Katawal, getta nuove incognite sulla transizione politica dell’ex regno himalayano verso una repubblica democratica in base agli accordi di pace del 2006. In queste ore i principali partiti sono impegnati in frenetiche trattative per la formazione di una nuova coalizione di governo dopo le dimissioni di ieri del primo ministro Pushpa Kamal Dahal, meglio conosciuto con il suo nome di guerra di “Prachanda”, che significa “il fiero”. Il presidente Ram Baran Yadav ha dato tempo ai partiti fino a sabato prossimo per risolvere la crisi, ma sarebbe escluso un compromesso con i maoisti che hanno deciso per protesta di bloccare i lavori parlamentari e minacciano di scendere in piazza. Anche oggi si sono registrati violenti scontri tra la polizia e un migliaio di dimostranti a Kathmandu che hanno fatto appello alla mobilitazione generale.
Con 238 seggi su un totale di 601, il partito dell’ex capo ribelle Prachanda è la prima forza nell’Assemblea Costituente eletta nelle prime elezioni democratiche che si sono tenute nell’aprile 2008 e incaricata di redigere una nuova costituzione entro il maggio 2010. Il secondo partito è il Congresso Nepalese, legato alla tradizionale e conservatrice dinastia politica dei Koirala con 114 seggi, mentre il terzo è il partito comunista CPN (UML) con 110 seggi. E’ stato proprio quest’ultima forza politica a ritirarsi dalla coalizione di governo domenica scorsa per protesta contro la decisione di Prachanda di “silurare” il generale Katawal per “insubordinazione”. Una decisione abbastanza controversa dal punto di vista costituzionale. Il capo di stato maggiore, che tra pochi mesi andrà in pensione e che si è formato in un’accademia militare in India, era già da tempo in rotta di collisione con il partito di maggioranza maoista per il suo rifiuto di integrare nelle fila dell’esercito nepalese gli ex guerriglieri. Lo scorso marzo la Corte Suprema Nepalese era intervenuta contro il ministro della difesa per sospendere la decisione di “pre-pensionare” otto ufficiali dell’esercito.
Circa 19 mila ex ribelli maoisti hanno deposto le armi in base agli accordi di pace del 2006 e si trovano attualmente in decine di caserme sotto la sorveglianza di osservatori delle Nazioni Unite. Le sorti della milizia maoista, che dal 1996 ha guidato una sanguinosa guerriglia per il rovesciamento della corona, è uno dei nodi irrisolti che ora è venuto al pettine.
Secondo quanto accusato dallo stesso Prachanda - ieri nel discorso televisivo alla nazione in cui ha annunciato le sue dimissioni - dietro la crisi ci sarebbe anche lo zampino dell’India, l’influente vicino che ha sempre appoggiato l’unica monarchia induista al mondo.
Il primo ministro ha citato “elementi stranieri e forze reazionarie” tra i fattori che hanno provocato la crisi istituzionale. Il governo di Nuova Delhi teme di perdere influenza politica sul Nepal - con cui gode di legami etnici e culturali oltre che economici – e soprattutto è preoccupato dal rafforzamento delle relazioni diplomatiche tra il governo maoista e la Cina, l’altro gigante asiatico interessato ad allargare la sua sfera di influenza a sud del Tibet. In diverse occasioni la diplomazia indiana avrebbe appoggiato apertamente il generale Katawal, considerato tra l’altro leale al deposto monarca Gyanendra che - anche se spogliato di ogni potere - continuerebbe a giocare un ruolo non marginale nella vita politica nepalese come dimostra la sua visita di qualche mese fa a Nuova Delhi.

martedì 5 maggio 2009

Nepal, partiti cercano di formare nuovo governo dopo dimissioni di Prachanda

In onda su Radio Vaticana
Il presidente Ram Baran Yadav ha dato tempo fino a sabato ai partiti per formare un nuovo governo dopo le dimissioni del primo ministro Prachanda, l’ex capo ribelle maoista salito al potere lo scorso anno dopo aver trionfato nelle prime elezioni democratiche del Nepal. La crisi politica si era aperta ieri a causa di un braccio di ferro tra il premier e il capo dello stato sulla rimozione del generale Katawal che si era opposto al piano di inserire gli ex ribelli nei ranghi dell’esercito regolare. La decisione del presidente Yadav di revocare la sospensione del capo delle forze armate decisa da Prachanda sarà esaminata dalla Corte Suprema Nepalese.
Il giorno dopo le dimissioni, alcuni partiti, tra cui il Congresso e i comunisti nepalesi, la seconda e terza forza in parlamento, avrebbero lanciato la proposta di formare un governo di unità nazionale per evitare che l’ex regno himalayana precipiti in un limbo politico che potrebbe mettere in pericolo il processo di pace. I maoisti hanno però respinto l’offerta chiedendo le scuse del presidente. Lo scontro istituzionale, che giunge ad appena 8 mesi dalla formazione del governo maoista e a tre anni dalla fine della guerriglia, rischia di innescare nuove rivolte di piazza a Katmandu e in tutto il Paese dove in questi giorni si sono già verificati scontri tra polizia e dimostranti.

Pakistan, comincia esodo dalla valle di Swat

La battaglia per la riconquista della valle di Swat starebbe per iniziare. I talebani pachistani hanno iniziato ieri a prendere possesso di alcuni edifici strategici nel capoluogo di Mingora dopo aver attaccato una caserma della polizia, diversi posti di blocco e anche una centrale elettrica. I militanti avrebbero anche minato alcuni incroci e organizzato pattugliamenti stradali. Segno che stanno preparandosi a resistere all’offensiva dell’esercito pachistano che dopo aver respinto gli estremisti in altri due distretti della provincia, intende ora concentrarsi nella valle di Swat, ex località turistica montana che sorge ad appena due ore di auto da Islamabad. Il controverso accordo di pace, siglato a febbraio, che ha permesso ai talebani di imporre la legge coranica, è ormai carta straccia. Il governo di Islamabad, sotto forte pressione della Casa Bianca dove si trova oggi il presidente Zardari, non ha ormai altre alternative che passare all’attacco per riprendere il controllo del distretto nord occidentale. Secondo alcune stime i talebani e i gruppi islamici legati ad Al Qaeda avrebbero il possesso dell’11 per cento del territorio pachistano. A preoccupare ora è pero il rischio di un massiccio esodo della popolazione di Swat. Le autorità pachistane sarebbero pronte a ricevere 500 mila sfollati. La fuga dalla città di Mingora, dove è in vigore il coprifuoco dopo gli scontri di ieri, sarebbe già iniziata. L’esercito ieri aveva emanato un ordine di evacuazione che è stato poi sospeso dopo che un portavoce militare ha smentito i piani di un’imminente offensiva nella regione.

Rahul Gandhi: “Il Congresso farà meglio che nelle altre elezioni”

Su Apcom
“Sono sicuro che il Congresso vincerà e aumenterà anche la sua quota di consensi”. E’ quanto ha detto stamattina Rahul Gandhi, segretario generale del partito del Congresso e figlio dell’italo indiana Sonia in una conferenza stampa a Nuova Delhi dove giovedì si terrà la quarta e penultima fase delle elezioni per il rinnovo del parlamento indiano.
Secondo il giovane leader, il partito indu nazionalista del Bjp all’opposizione e principale rivale del Congresso starebbe perdendo terreno. “Dopo 35 giorni di campagna elettorale – ha detto – ho la sensazione che Bjp stia perdendo seggi in tutti gli stati dove aveva trionfato nelle ultime elezioni”.
Gandhi, che si occupa dell’ala giovanile del partito e che per ora non intende assumere incarichi di governo, ha anche teso un ramoscello di ulivo alla sinistra indiana che lo scorso anno aveva ritirato l’appoggio esterno alla coalizione di Manmohan Singh per opposizione all’accordo indo-americano sul nucleare pacifico. I partiti comunisti e marxisti rappresentano la terza forza in Parlamento. Secondo le previsioni, né il Congresso, né il Bjp saranno in grado di conquistare una maggioranza il 16 maggio, giorno in cui saranno resi noti i risultati della lunga maratona elettorale iniziata lo scorso 16 aprile. “Siamo disponibili ad alleanze con partiti che la pensano come noi” ha detto il trentottenne primogenito di Sonia aggiungendo che “c’è un terreno comune” con i partiti comunisti che hanno in agenda politiche a favore dei ceti poveri e di ridistribuzione della ricchezza. mgc


SEGUE
Rahul Gandhi: “I soldi dello Stato non vanno a chi ne ha bisogno”
Il leader del Congresso intende combattere corruzione e nepotismo

Secondo Rahul Gandhi “il problema centrale in India” e “di cui nessuno parla in queste elezioni” è ancora quello denunciato da suo padre Rajiv oltre 20 anni fa, ovvero quello della corruzione e dell’inefficienza delle strutture amministrative locali che fa sì che “solo un decimo di ogni rupia delle spesa pubblica raggiunga il suo obiettivo”. “Il più grande problema – ha detto ai giornalisti che affollavano la conferenza stampa in un hotel di Nuova Delhi - è che siamo incapaci di distribuire i soldi ai villaggi che ne hanno bisogno”. Nei suoi frequenti viaggi nell’India contadina, Gandhi si sarebbe reso conto del “fallimento delle istituzioni politiche”. “Nei villaggi non c’è assolutamente nulla e con pochissimo denaro si potrebbe trasformare la vita delle persone. Penso alla montagna di denaro che oggi abbiamo a disposizione e di come invece vada sprecata”. A chi gli ha chiesto come risolvere il divario economico, il leader del Congresso ha detto che “occorre cambiare l’intero sistema di gestione e che è un processo che richiede tempo”. Uno degli strumenti per favorire il cambiamento è di “aprire il sistema” introducendo criteri democratici di scelta dei rappresentanti politici “che permettano alle persone di far pressione sui partiti”. La missione del giovane Gandhi nei prossimi due anni è di “democratizzare” il secolare partito del Congresso favorendo l’ingresso di giovani attraverso elezioni dei consigli locali e distrettuali di partito come già avvenuto negli stati del Gujarat e in Punjab.
“La mia posizione di rappresentante della famiglia Gandhi - ha aggiunto – mi dà certi privilegi, ma mi offre il vantaggio di accelerare e forzare questo rinnovamento”. Gandhi ha ammesso che in India il successo in politica “dipende da chi conosci o con chi sei imparentato”. “Paradossalmente io voglio cambiare proprio il sistema di cui sono io stesso un prodotto”.

Nepal, si dimette Prachanda dopo scontro con presidente

In onda su Radio Svizzera Italiana
A tre anni dalla caduta della monarchia e a 8 mesi dal primo governo eletto democraticamente, il Nepal rischia di precipitare di nuovo nel caos politico e nelle rivolte di piazza a Kathmandu. Le dimissioni del primo ministro, il maoista Prachanda e l’apertura della crisi di governo, sono l’ultimo capitolo di un lungo braccio di ferro tra gli ex ribelli maoisti che hanno vinto le elezioni lo scorso anno e i partiti conservatori legati alle tradizionali dinastie politiche nepalesi come quella dei Koirala. A mandare in frantumi la fragile coalizione, è stata la decisione di Prachanda di rimuovere del capo delle forze armate, il generale Katawal che si era rifiutato di integrare nei ranghi dell’esercito gli ex combattenti maoisti come previsto dagli accordi di pace del 2006. In campi sorvegliati dalle Nazioni Unite si trovano ancora 19 mila soldati dell’esercito maoista. A opporsi all’allontanamento è stato il presidente Ram Baran Yadav, che in base alla costituzione provvisoria, è il responsabile dell’esercito. Nel messaggio televisivo, in cui ha annunciato le dimissioni, Prachanda ha parlato di attacco contro la democrazia e contro il processo di pace e ha fatto allusione all’interferenza di “forze straniere” dietro la crisi, intendendo l’India, che tradizionalmente aveva appoggiato la monarchia induista e che ora teme la creazione di un forte governo maoista nell’ex regno himalayano.