lunedì 31 marzo 2008

Tibet, nuove manifestazioni a Delhi davanti all'ambasciata cinese

In onda su Radio Vaticana
Mentre la staffetta della torcia olimpica partiva ieri da piazza Tienammen, nuove proteste a New Delhi costringevano la polizia indiana ad entrare in azione. Centinaia di tibetani sono stati respinti mentre tentavano di marciare verso l’ambasciata cinese per portare una petizione di 1 milione e 400 mila firme raccolta via internet e dove si chiedeva a Pechino di riaprire il dialogo con il Dalai Lama. I rappresentanti cinesi hanno anche rifiutato di accettare una petizione di alcuni esponenti del parlamento tibetano in esilio indirizzata a Hu Jintao in cui si chiede di liberare le persone arrestate e di aprire il Tibet ai soccorsi e agli approvvigionamenti. Hanno riferito che tre grandi monasteri di Sera, Gaden e Drepung sarebbero da giorni senza acqua, cibo e elettricità.
Ma Pechino ieri ha alzato il tiro. Secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua, le autorità avrebbero raccolto la confessione di un sospetto rivoltoso che proverebbe la complicità del Dalai Lama del suo governo nei disordini del 14 marzo.
Intanto il capitano della nazionale indiana di calcio, Baichung Bhutia, ha annunciato il suo rifiuto di portare la fiaccola olimpica quando farà tappa a Delhi il prossimo 17 aprile.

I Deobandi: rubare la corrente è contro il Corano

Su Apcom
Rubare la corrente elettrica è un’attività contraria alla legge coranica. A dichiararlo è la scuola islamica di Deobandi che ha emesso una “fatwa” contro la pratica di allacciarsi illegalmente alle linee elettriche per non pagare la bolletta. “L’Islam non permette il furto e quindi le connessioni abusive alla rete elettrica violano i precetti della religione islamica” hanno decretato le autorità religiose della Darul Uloom Deoband, la scuola coranica fondata nel 1867 a Deoband, a 140 chilometri a nord est di Delhi e che è considerata la seconda per importanza al mondo dopo l’università al-Azhar del Cairo. Gli “ulama” Deobandi sono di solito messi in relazione con i talebani che si ispirano a questa scuola particolarmente conservatrice nell’interpretazione dell’Islam.
La controversia era nata in seguito ad una petizione di un fedele mussulmano che aveva chiesto alle autorità religiose se “usare illegalmente la corrente elettrica per cuocere i cibi durante il periodo del Ramadan era permesso dalla legge coranica”.
Gli allacciamenti abusivi sono molto frequenti in India soprattutto nelle aree rurali. Secondo stime del governo, il 42% della corrente elettrica distribuita è sottratta illegalmente.

domenica 30 marzo 2008

La torcia olimpica in piazza Tiennamen, ma continuano le proteste

In onda su Radio Vaticana
E’ arrivata oggi a Pechino in piazza Tienammen nelle mani di Hu Jintao la fiaccola olimpica dopo essere stata contestata anche ieri fuori dallo stadio del marmo di Atene dove si svolgeva la cerimonia di consegna della torcia al presidente del comitato olimpica cinese Liu Qi. In occasione dell’evento di stamattina trasmesso in diretta televisiva, le autorità hanno dispiegato un massiccio cordone di forze di sicurezza per paura di nuove dimostrazioni. La staffetta ripartirà poi per un viaggio attraverso 19 paesi, tra cui l’India dove sarà a New Delhi il prossimo 17 aprile. Nella capitale indiana, ieri per provocazione, diverse decine di tibetani hanno acceso una fiaccola per l’indipendenza, come l’hanno chiamata, che seguirà lo stesso percorso della fiamma di Olimpia per ritornare ad agosto a Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio.
Intanto la tensione a Lhasa rimane alta dopo le nuove proteste di sabato davanti a un tempio secondo quanto riportato dagli attivisti tibetani. Disordini anche a Katmandu dove sono stati arrestati 130 manifestanti davanti all’ufficio dell’ambasciata cinese. Centinaia di tibetani sono stati respinti e picchiati con i bastoni dalla polizia nepalese.

sabato 29 marzo 2008

Vittorio Missoni: in India mancano gli spazi per le grandi firme

Su Apcom
“Il più grosso problema per l’ingresso delle marche del lusso in India è la mancanza di spazi commerciali, di negozi multibrand e di strutture dedicate al retail”. Sono le parole di Vittorio Missoni, ospite a Nuova Delhi ad un seminario di due giorni dedicato all’industria del lusso, che non nasconde le difficoltà di operare sul mercato indiano. Nonostante la crescita dell’8-9% degli ultimi 4 anni e una classe di 30 milioni di ricchi consumatori, l’India non è ancora riuscita a sviluppare un vero mercato per i prodotti di fascia alta. A Nuova Delhi o a Mumbai non esistono “fashion street” e la maggior parte delle “griffe” internazionali sono confinate negli hotel a cinque stelle. I nuovi progetti di apertura di centri commerciali alla periferia delle metropoli sono in ritardo e comunque non sembrano soddisfare le esigenze delle firme internazionali che sono abbastanza scettiche sulla tipologia di acquirenti che frequenteranno i futuri “mall” ora in costruzione.
Lo stesso Missoni, che è anche vicepresidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, non è ancora presente sul mercato indiano, mentre in Cina ha già aperto tre negozi in franchising. “Se riusciremo a trovare gli spazi adeguati a Mumbay o a Delhi, prevediamo di inaugurare il primo punto vendita tra un anno o un anno e mezzo”.
Un altro ostacolo è il livello ancora alto di protezionismo che, nonostante le recenti liberalizzazioni promosse dal governo di Manmohan Singh, penalizza gli investimenti e l’esportazione di prodotti di fascia alta, come la moda, il vino o i liquori. A causa dei dazi doganali e tasse d’importazione, i prezzi dei beni di lusso stranieri sono più alti dal 20 al 40% rispetto a Londra, Dubai o Singapore. L’accesso al mercato è stato aperto solo nel 2006 per i negozi monomarca. Inaugurando la conferenza organizzata dal quotidiano Hindustan Times e quest’anno dedicata all’Italia, il ministro del commercio estero Kamal Nath ha annunciato la possibilità di aumentare il tetto del 51% di partecipazione straniera nelle joint venture per il retail monobrand. Ma si tratta di una decisione “sensibile” perché “occorre tenere presente che il 97% del commercio appartiene al settore informale. Vogliamo proteggere i negozi a conduzione famigliare – ha detto - ma anche favorire la creazione di posti di lavoro”.

Dalai Lama: "aiutatemi, io posso solo pregare per il Tibet",

In onda su Radio Vaticana
Da New Delhi dove si trova per un ritiro spiriotiale, il Dalai Lama ha rivolto un nuovo accorato appello alla comunità internazionale per risolvere la grave crisi in Tibet. “Per favore aiutateci - ha detto - noi non abbiamo nessun potere se non quello della giustizia, della verità e della sincerità. Io posso solo pregare, ma per il resto sono impotente” - ha aggiunto il 72 enne leader spirituale tibetano che stamattina ha partecipato ad una riunione di preghiera interconfessionale al mausoleo del Mahatma Gandhi. Il Dalai lama aveva già fatto appello ieri alle autorità di Pechino perché riaprissero il dialogo. Davanti ai giornalisti ha poi denunciato l’”aggressione demografica” che sta avvenendo in Tibet. A Lhasa i i tibetani rimasti sarebbero 100 mila, appena la metà degli immigrati cinesi. “La Cina è uno stato di polizia – ha poi aggiunto e il Tibet ha adottato una legge del terrore”. Secondo fonti tibetane 140 persone sarebbero state uccise nelle settimane di repressione delle proteste antigovernative e un migliaio sarebbero gli arresti indiscriminati.
Dopo la missione dei giornalisti, che si è già conclusa, oggi rientra dal Tibet anche la delegazione di diplomatici di 15 Paesi invitati dal governo di Pechino che aveva accusato il Dalai Lama e i suoi sostenitori di aver sobillato e organizzato le proteste per screditare l’immagine della Cina a cinque mesi dall’inizio dei Giochi Olimpici.

venerdì 28 marzo 2008

Dalai Lama: "scongiurare una profonda frattura tra le due parti"

In onda su Radio Vaticana

Da New Delhi dove si trova per un ritiro spirituale, il Dalai Lama ha reiterato oggi il suo appello al dialogo con Pechino. In un comunicato ha invitato i leader cinesi “ a dare prova di saggezza” e a “scongiurare una frattura profonda tra le due parti”. Poi ha però accusato i mezzi di informazione nazionali di aver utilizzato “immagini ingannevoli e distorte” per riferire delle manifestazioni antigovernative di queste due settimane.
Per la prima volta le autorità di Pechino hanno ammesso che tra le vittime degli scontri a Lhasa ci sono anche dei tibetani oltre che dei cinesi di etnia Han. Il vicepresidente della Regione Autonoma Tibetana ha detto che tra le 19 vittime confermate ci sarebbero anche tre tibetani, secondo quanto riferito dal quotidiano “China Daily” che ha riportato anche le proteste dell’altro ieri durante il tour guidato dei giornalisti. Dopo la stampa, il governo centrale ha invitato oggi in Tibet anche una delegazione diplomatica di 15 Paesi che sarà di ritorno già domani.
Intanto la comunità internazionale e anche gli stessi atleti sembrano divisi sull’ipotesi di boicottare la cerimonia di apertura dei Giochi l’8 agosto, ipotesi lanciata dal presidente francese Sarkozy, ma respinta oggi anche dalla speaker del congresso americano, la democratica Nancy Pelosi, notoriamente una convinta sostenitrice della causa tibetana.

Andrea Illy vuole aprire 35 bar all'italiana


Su Apcom

Continua l’espansione di Illy Caffè in India con un nuovo accordo di franchising che prevede l’apertura di 35 caffetterie nei prossimi 5 anni. Oggi a Nuova Delhi il presidente del gruppo triestino Andrea Illy ha affidato alla società indiana Narang lo sviluppo di una catena di bar all’italiana. Il primo locale aprirà già ad aprile nel nuovo aeroporto di Bangalore, “mentre per la fine dell’anno è prevista l’apertura del flagship store a Mumbai” ha detto in una conferenza stampa in cui è stata firmata l’intesa di franchising. “Il consumo di caffè in India sta rapidamente aumentando di pari passo con l’espansione del potere di acquisto e la crescita economica – ha aggiunto Illy che prevede “che nei prossimi 5-7 anni il volume consumato di caffè in India raggiungerà quello italiano che è di oltre 90 mila tonnellate all’anno”.
La catena “Espressamente Illy”, lanciata nel 2003, conta oggi 180 caffetterie, di cui la metà in Italia. In Asia esistono 14 accordi di franchising. I prodotti Illy sono già presenti negli hotel e ristoranti delle principali metropoli indiane da circa 5 anni grazie a un accordo di distribuzione con lo stesso partner, la famiglia Narang che è attiva nel catering per le compagnie aeree, nel settore alberghiero e nella ristorazione fast food. “Il primo anno sarà un anno pilota – continua spiega Illy – poi abbiamo in progetto di formare una joint venture”. L’investimento previsto per l’apertura di ogni caffetteria si aggira sui 200-300 mila euro. Un anno fa Illy aveva aperto a Bangalore una sede dell’Università del Caffè che ha già “laureato” 130 studenti nelle varie specializzazioni, dallo studio del chicco di caffè alla professione di barista.
Il mercato indiano della “tazzina” è attualmente dominato da alcune catene locali tra cui Coffee Day e Barista. Quest’ultima, che conta circa 150 punti vendita, era stata acquistata dall’italiana Lavazza circa un anno fa.

mercoledì 26 marzo 2008

Tibet, monaci protestano davanti a tour organizzato della stampa straniera

A sorpresa il tour organizzato dalle autorità cinesi a Lhasa per un gruppo selezionato di giornalisti stranieri è stato oggetto di una protesta inscenata da alcuni monaci buddisti davanti a un tempio di Lhasa. I religiosi hanno protestato contro la violazione della libertà di religione e hanno difeso il Dalai Lama dalle accuse cinesi di aver orchestrato le rivolte antigovernative del 14 marzo scorso. Gli accompagnatori hanno poi subito allontanato la stampa dal luogo della protesta. Durante la loro visita, alcuni reporter hanno riferito che la capitale tibetana è ancora sotto stretto presidio delle forze di sicurezza.
Intanto secondo i dati riferiti dal presidente del parlamento tibetano, Karma Chopel, che si trova in visita al parlamento di Bruxelles, le vittime della repressione sono 135 e migliaia i feriti, ma prendendo in considerazione anche le persone scomparse il bilancio potrebbe essere di dieci volte superiore.

L'India continua a fare shopping in Europa.La Tata si assicura la Jaguar e land Rover

L’acquisizione dei marchi di lusso Jaguar e Land Rover è solo l’ultima di una lunga serie di operazioni realizzate da aziende indiane nel Regno Unito e in generale in Europa. Il colosso Tata, uno dei pionieri dell’industrializzazione indiana preindipendenza, aveva già fatto scalpore in passato per l’acquisizione del produttore di acciaio anglo olandese Corus. Due anni fa il re della birra e da poco anche proprietario di una scuderia di formula uno,Vijay Mallya, aveva comprato la marca di whisky scozzese Whyte e Mackay. Spinte dai tassi di crescita record e dai guadagni in borsa, da alcuni anni le aziende indiane si sono lanciate in una corsa allo shopping di industrie in crisi e di marchi simbolo del Vecchio continente. Molti si chiedono se a oltre sessant’anni dall’indipendenza dal dominio britannico, l’India abbia iniziato una sosta di colonizzazione al rovescio. E’ sicuramente vero, ma non è questo il significato ultimo che viene attribuito a questa ondata di acquisizioni all’estero. Si tratta piuttosto il risultato di una globalizzazione dettata dalla ricerca di materie prime e nuovi mercati di sbocco. Commentando l’accordo da 2,5 miliardi di dollari di Tata con Ford, il ministro del commercio Kamal Nath ha dettpo che si tratat delal prova che e “la recessione mondiale non abbia influito sulla capacità delle imprese indiane di mostrarsi aggressive e capaci di andare all’estero”.

Leonardo Ferragamo (Altagamma): "offuscata l'immagine dell'Italia all'estero"

Su Apcom
“Sono molto preoccupato dalle ripercussioni negative sull’immagine del nostro Paese causate da alcune vicende come quella dei rifiuti”. Da Nuova Delhi, dove si trova in veste di presidente di Altagamma, Leonardo Ferragamo lancia un campanello di allarme per il Made in Italy. “Lo stile italiano è molto apprezzato in India e in tutto il mondo e lo dobbiamo a tante nostre aziende che da decenni hanno puntato su prodotti di qualità. Ma negli ultimi anni i problemi di casa nostra sono rimbalzati sui media di tutto del mondo e stanno purtroppo offuscando l’immagine del Paese, lo stanno rendendo poco appetibile e poco desiderato anche come destinazione turistica”. Altagamma, che rappresenta un giro di affari di 30 miliardi di euro, di cui l’80% proviene da esportazioni, intende quindi “chiedere al prossimo governo di mettere come punto prioritario in agenda l’attività di promozione dell’immagine dell’Italia” che secondo Ferragamo “va gestita come una brand di lusso, ovvero con un’azione costante, efficacie e continua di promozione dell’immagine. Abbiamo così tanto di positivo, bello e di unico da trasmettere che non farlo sarebbe inconcepibile”.
Oggi nella capitale indiana Altagamma e la CII, la Confindustria indiana, firmeranno un memorandum d’intesa che è il frutto di un dialogo avviato tre anni fa dalle aziende del lusso italiano con il governo indiano, in particolare con il dinamico ministro del commercio Kamal Nath. “Grazie alla nostra azione, in questi anni l’India ha liberalizzato l’accesso degli investimenti nel settore retail aprendo le porte così a molte aziende italiane – ha spiegato Ferragamo - C’è ora una disponibilità a migliorare ulteriormente queste condizioni di ingresso”.
In particolare la delegazione di Altagamma, composta da 14 aziende, chiederà al governo indiano di rivedere la politica dei dazi doganali “aggiuntivi” sull’importazione di beni di lusso che sono in media del 45-55%, con punte del 100% su alcuni prodotti tessili. Questo fa si che i prezzi delle brand straniere di lusso in India siano più care del 30% circa rispetto agli altri mercati di Londra, Dubai o Singapore. Un'altra richiesta è quella di permettere il “passaggio” dalla formula del franchising a quella della joint venture. Dopo la liberalizzazione degli investimenti stranieri diretti fino al 51% in negozi “monomarca” avvenuta del 2006, molte marche italiane sono interessate ad abbandonare i precedenti contratti di franchising e ad entrare direttamente nel mercato. Le uniche joint venture presenti ora sono quelle di Tod’s, Fendi, Ermenegildo Zegna e la più recente di Salvatore Ferragamo (che prevede di aprire 5 negozi nei prossimi tre anni, tra cui quello di Nuova Delhi nel centro commerciale dedicato alla moda “Emporio” di prossima apertura che ospiterà anche Dolce e Gabbana, Giorgio Armani, Prada, Bottega Veneta, Gucci, La Perla).
Negli ultimi due anni sono approdate tra Nuova Delhi e Mumbai quasi tutte le grandi firme della moda italiana, da Moschino a Alberta Ferretti, Versace e Brioni, per fare qualche esempio. Ma il consumo di beni di lusso in India è ancora marginale e rappresenta meno dell’1% del fatturato mondiale. Secondo stime, il giro d’affari del mercato del lusso indiano è di 3,5 miliardi di dollari (la maggioranza sono marche locali), ma se sarà mantenuto l’attuale tasso di crescita nazionale, potrà raggiungere i 30 miliardi di dollari entro il 2015. Gli indiani che si possono permettere le firme rappresentano oggi solo una piccola quota, dall’1 al 3% della popolazione, che tradotta in numeri significa tra i 10 e i 30 milioni di potenziali acquirenti.

lunedì 24 marzo 2008

Tibet, è aumentato a 140 il bilancio delle vittime di due settimane di rivolta anticinese

In onda su Radio Vaticana
Il governo tibetano in esilio di Dharamsala ha reso noto un nuovo bilancio delle vittime delle violenze in Tibet che sarebbero 140. In un comunicato diffuso su internet sono stati pubblicati anche i nomi di 40 tibetani uccisi nelle proteste iniziate il 10 marzo. Secondo le autorità di Pechino i morti sarebbero però 22. L’agenzia di stampa statale ha riferito ieri di un poliziotto ucciso in disordini scoppiati a Garze, nel sud provincia di Sichuan, al confine con il Tibet. Fonti di informazione tibetane hanno però dichiarato che nei tumulti è morto anche un giovane monaco mentre un altro sarebbe gravemente ferito.
A oltre due settimane dall’inizio delle rivolte anti Olimpiadi, è però difficile avere un quadro chiaro della situazione. La Cina ha anche sospeso i viaggi turistici in Tibet. Continuerebbero anche i rastrellamenti a Lhasa, presidiata dall’esercito, dove ci sono stati nuovi arresti di sospetti responsabili dei saccheggi e violenze anticinesi del 14 marzo. Il ministro della sicurezza Meng Jianzhu ha detto che lo stato d’allerta in Tibet rimane alto e che sarà rafforzata quella che ha chiamata “la campagna di educazione patriottica” nei monasteri buddisti, secondo quanto scrive il Quotidiano del Popolo, organo d’informazione del partito comunista cinese. Intanto Pechino si è impegnata a rafforzare la sicurezza per evitare proteste durante il passaggio della fiaccola olimpica accesa ieri nel sito dell’antica Olimpia tra le contestazioni di attivisti filo tibetani

Pakistan ha un nuovo premier, Yusuf Raza Gillani. Subito liberato il giudice Chaudry

In onda su Radio Svizzera Italiana
Oggi è la prima giornata di libertà per il giudice Iftikar Mohammed Chaudry, l’ex capo della Corte Suprema e principale oppositore di Musharraf. Dopo 4 mesi è stato rimosso il filo spinato dalla sua casa di Islamabad. La liberazione di tutti magistrati che erano ancora agli arresti domiciliari è stata la prima decisione di Yusuf Raza Gillani pochi minuti dopo essere stato eletto primo ministro a larga maggioranza. Con questo 55 enne politico originario del Punjub, il Partito Popolare Pachistano ritorna al potere dopo 12 anni in una coalizione con il partito rivale dell’ex premier Nawaz Sharif. Considerato un leale funzionario di partito, è stato speaker del parlamento oltre dieci anni fa. Accusato nel 2001 dal tribunale anticorruzione voluto da Musharraf dopo il suo golpe, ha passato 5 anni dietro le sbarre. Per ironia della sorte Gillani dovrà prestare oggi giuramento proprio davanti al presidente. Secondo le parole di un editorialista pachistano “ il peggiore incubo di Musharraf sta per diventare realtà”. La nuova coalizione aveva annunciato l’intenzione di reintegrare i giudici della Corte Suprema entro un mese dall’insediamento del nuovo governo. Ma non è ancora chiaro se Gillani, frutto di un compromesso tra le diverse correnti di partito, rimarrà per i 5 anni del mandato oppure lascerà presto l’incarico ad Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto che di recente ha ottenuto l’assoluzione da diverse accuse di corruzione.

Tibet, la contestazione di Olimpia. Aumenta a 130 bilancio vittime della repressione

In onda su Radio Vaticana
La protesta contro la repressione cinese ha avuto come sfondo oggi la città greca di Olimpia dove si è svolta la tradizionale accensione della fiaccola olimpica che il prossimo 8 agosto, dopo aver attraversato 20 paesi, tra cui il Tibet, inaugurerà i giochi di Pechino. Come annunciato, alcuni attivisti filo tibetani sono entrati in azione mostrando bandiere nere con le manette al posto dei cerchi olimpici. Tre di loro, tra cui due esponenti di Reporter senza Frontiere, sono riusciti a salire sul palco e a prendere il microfono dalle mani del presidente del comitato olimpico, Liu Qi. I manifestanti sono subito stati bloccati e la cerimonia è proseguita. La TV cinese ha però censurato le immagini della contestazione.
Violente proteste oggi anche a Katmandu dove la polizia nepalese ha arrestato 475 monaci e profughi tibetani che stavano manifestando davanti agli uffici dell’Onu. In India, invece, le forze dell’ordine hanno bloccato una marcia di 500 persone che si stavano recando in Tibet passando dallo stato nord orientale del Sikkim.
Intanto da Dharamsala, il primo ministro tibetano Sandhong Rimpoche ha detto ch le vittime del pugno di ferro sarebbero aumentate a 130. Mentre da Washington, dopo aver incontrato il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee, Condoleeza Rice ha reiterato l’appello della Casa Bianca a Pechino perché apra il dialogo con il Dalai Lama. E’ quanto ha chiesto oggi anche il presidente francese Nicolas Sarkozy in un messaggio rivolto al presidente Hu Jintao in cui invita il governo cinese alla moderazione e a porre fine alle violenze.

Nancy Pelosi a Dharamsala: "Siamo qui per aiutarvi"

Da Dharamsala per Apcom

In una Dharamsala avvolta da bandierine tibetane e americane è arrivata stamattina la speaker democratica della Camera dei Rappresentanti americana Nancy Pelosi a portare il suo supporto al Dalai Lama. Giunta da Nuova Delhi dove si trovava in visita insieme ad una delegazione di parlamentari, Pelosi ha usato toni duri nel denunciare la “repressione” della Cina in Tibet e ha fatto appello alla comunità internazionale per “un’inchiesta indipendente internazionale” con lo scopo di verificare se le accuse di Pechino sono vere quando dicono che il Dalai Lama ha istigato le violenze. “E’ un’accusa che non ha senso perché Sua Santità è un paladino della non violenza – ha detto in una conferenza stampa in cui ha chiesto anche al governo di Pechino di permettere l’ingresso in Tibet di ispettori internazionali, di giornalisti “perché vedano di prima persona cosa accade” e al “personale medico perché possa assistere i feriti causati dalle azioni repressive dei cinesi”. Rispondendo ad una domanda, Pelosi ha detto che intende proporre al Congresso una “risoluzione” per chiedere un’inchiesta in modo da “chiarire che non ci siano connessioni tra il Dalai Lama e gli incidenti di violenza”.
La speaker americana è considerata una delle più convinte sostenitrici della causa tibetana e in passato ha avuto una posizione molto critica verso la Cina. Era stata lei a promuovere alla fine dello scorso anno l’assegnazione della Medaglia d’Oro del Congresso al leder spirituale tibetano. L’onorificenza era stata consegnata dallo stesso presidente Bush e aveva mandato Pechino su tutte le furie.
La delegazione del Congresso si trova in visita in India per discutere con il governo di Manmohan Singh della questione del cambiamento climatico e dell’intesa sul nucleare pacifico. “E’ il nostro karma, la nostra fede a volere che siamo capitati in questo momento doloroso ed è il nostro karma aiutare la gente del Tibet” ha detto davanti a una folla di circa 2000 persone davanti al tempio adiacente al quartiere generale del Dalai Lama. Tra di loro anche molti stranieri venuti a trascorrere le feste pasquali a Dharamsala per solidarietà. Dopo aver ricevuto in segno di benedizione la tradizionale sciarpa dorata, Pelosi ha aggiunto che la situazione in Tibet “è una sfida alla coscienza del mondo”. E poi: “se non abbiamo il coraggio di denunciare quanto facendo la Cina, allora non avremmo più l’autorità morale di denunciare altre violazioni di diritti umani nel resto del mondo”. Il suo discorso è stato interrotto più volte da lunghi applausi e da ampi segni di assenso del Dalai Lama, seduto a fianco, che più tardi, davanti alla stampa, l’ha definita “una speaker di una grande nazione campione di libertà e di democrazia”.
L’arrivo della delegazione parlamentare (a rappresentare i repubblicani il deputato James Sensenbrenner, intervenuto davanti ai giornalisti) è stato salutato da monaci e scolaresche lungo la strada principale di Mcleodganj, la borgata superiore di Dharamsala, che dal 1959 ospita la residenza e l’ufficio del Dalai Lama. Da una decina di giorni è in corso una serrata generale dei negozi e ristoranti gestiti da tibetani. Lungo i muri e ai balconi sono state affisse gigantografie delle raccapriccianti immagini dei dimostranti uccisi e torturati dalla polizia in Tibet, mentre un gruppo di esponenti del governo tibetano in esilio è impegnato in uno sciopero della fame ad oltranza.

Tibet, Cina respinge inchiesta internazionale suggerita dalla Pelosi

Da Dharamsala per la Radio Vaticana
Mentre aumenta il bilancio delle vittime in Tibet, le autorità cinesi sembrano essere sorde alla pressione della comunità internazionale. Il portavoce del ministro degli esteri ha respinto oggi la richiesta dalla speaker della Camera americana Nancy Pelosi per un'inchiesta internazionale allo scopo di fare luce sulla repressione dei dimostranti tibetani. Ha aggiunto inoltre che i governi di quasi cento nazioni sostengono gli sforzi di Pechino per preservare l'integrità territoriale e la stabilità del Tibet.In un duro editoriale, il Quotidiano del Popolo chiede alle autorità cinesi di schiacciare con risolutezza quella che chiama "la cospirazione per un Tibet indipendente" e accusa di nuovo il Dalai Lama di aver fomentato le violenze. In un nuovo bilancio aggiornato, l'agenzia Xinhua riferisce di 22 morti dei disordini della scorsa settimana, ma per il governo in esilio sarebbero 99, di cui 80 a Lhasa.Anche oggi a Mcleoganj, la borgata di Dharamsala, dovesorge il quartiere generale del Dalai Lama, le saracinesche sono state abbassate in segno di lutto. Per tutto il giorno, davanti al tempio e lungo le strade del paese sono sfilate diverse centinaia di persone scandendo slogan anti cinesi e chiedendo l'intervento dell'Onu. Alcuni monaci mostravano l'immagine del Mahatma Gandhi accanto a quella del Dalai Lama.

Tibet, Dalai Lama incontra Nancy Pelosi

Da Dharamsala su Radio Vaticana

Le autorità cinesi hanno diffuso su internet le forosegnaletiche di 19 super ricercati sospettati di averorganizzato i disordini e i saccheggi di Lhasa dellascorsa settimana. Le fotografie sono state ricavate dariprese video. Sono stati indicati anche i numeri ditelefono d’emergenza dove i cittadini possonorivolgersi per fornire segnalazioni utili alla lorocattura. Nonostante gli appelli della comunitàinternazionale, la Cina continua il suo pugno di feroin Tibet e nelle province dove continuano ildispiegamento di truppe e i rastrellamenti casa percasa. Secondi gli attivisti tibetani sarebbero mille lepersone catturate nei raid della polizia, mentre leautorità hanno iniziato a espellere gli ultimigiornalisti che erano entrati a Lhasa. Nella provinciadi Sichuan molte persone avrebbero perso la vita nellemanifestazioni, ma le autorità cinesi hanno confermato ilferimento di quattro rivoltosi. Intanto oggi a Dharamsala il Dalai lama haincontrato una delegazione di parlamentari americaniguidati dalla speaker democratica Nancy Pelosi che ha dato il pieno appoggio al leader spirituale.Davanti a una folla di 2000 persone Pelosi hadenunciato la repressione cinese e ha chiesto un’inchiesta indipendente per verificar le accuse di Pechino secondo le quali sarebbe stato il Dalai Lama a fomentare la rivolta. La speaker democratica, tra gli applausi ha detto che la situazione in Tibet "è unasfida alla coscienza del mondo”.

mercoledì 19 marzo 2008

Tibet, Pechino invia altre truppe mentre il Dalai Lama fa di nuovo appello al dialogo

Su Radio Vaticana
Secondo alcuni giornalisti che si trovano nelle province confinanti la Regione Autonoma Tibetana, sarebbero in corso ingenti movimenti di truppe cinesi. Numerosi convogli militari sarebbero stati visti sulle strade del Sichuan, dove in questi giorni si è estesa la protesta dei tibetani. Le autorità cinesi hanno vietato agli stranieri di raggiungere le province di Qingai, Gansu, Sichuan e Yunnan abitate dalla comunità tibetana. Mentre Lhasa è apparsa tranquilla, anche oggi sarebbero continuati gli scontri nel resto della vasta regione himalayana. Secondo gli attivisti tibetani sarebbero in corso diversi rastrellamenti da parte delle forze dell’ordine contro i responsabili dei disordini e saccheggi della scorsa settimana.
Intanto anche oggi è intervenuto il Dalai Lama che dal suo quartiere generale di Dharamsala ha lanciato un nuovo appello di pace alla comunità internazionale perché promuova il dialogo per risolvere la crisi che secondo il governo tibetano in esilio avrebbe causato centinaia di morti. “Siamo impegnati nella prosecuzione del dialogo – ha detto il leader religioso - per trovare una soluzione alla questione tibetana a beneficio delle due parti”. Anche se con cautela, soprattutto sulla delicata questione dei Giochi Olimpici, le diplomazie occidentali si stanno mettendo in moto. Il premier britannico Gordon Brown in una telefonata con il cinese Wen Jiabao ha rivolto un appello alla moderazione nell’affrontare la crisi che secondo Pechino sarebbe stata fomentata dai sostenitori del Dalai lama per sabotare i Giochi di agosto.

Nancy Pelosi arriva in India. Previsto incontro con Dalai lama a Dharamsala

Su Apcom
Da oggi la democratica Nancy Pelosi, presidente della Camera, è in India per una visita di cinque giorni che prevede anche un incontro con il Dalai lama a Dharamshala, sede del governo tibetano in esilio. Al primo punto delle discussioni con la leadership indiana ci sarebbe l’accordo indo-americano sul nucleare civile che è fortemente ostacolato dai partiti comunisti che appoggiano la coalizione di Manmohan Singh e che hanno minacciato di causare una crisi di governo. La Casa Bianca sta facendo pressione su Nuova Delhi perché sblocchi l’intesa entro luglio prima della sospensione pre elettorale del Congresso americano.
La visita di Pelosi sarà “India Only”, ovvero non comprenderà anche una tappa in Pakistan come è consuetudine nelle visite di parlamentari stranieri.
Alla luce dei tragici avvenimenti in Tibet di questi ultimi giorni, parte dell’agenda sarà dedicata anche ai rapporti tra Cina e India. Nuova Delhi, che dal 1959 ospita e assiste il Dalai Lama, ha impedito a manifestanti tibetani di iniziare una marcia da Dharamsala a Lhasa per protestare contro i Giochi Olimpici e il passaggio della torcia sull’Everest. La leader democratica dovrebbe incontrare il Dalai Lama venerdì, ma il suo programma non è stato reso noto dall’ambasciata Usa di Nuova Delhi per motivi di sicurezza. Ad assistere all’incontro dovrebbe esserci anche l’attore Richard Gere, uno dei più convinti sostenitori della causa tibetana. Era stata proprio Pelosi a promuovere il conferimento della Medaglia d’Oro del Congresso al Dalai Lama. Il prestigioso riconoscimento, assegnato lo scorso ottobre, aveva mandato Pechino su tutte le furie.

Tibet, centinaia di persone arrestate nei rastrellamenti della polizia secondo governo in esilio

Su Radio Vaticana
Secondo le associazioni tibetane, sarebbero diverse centinaia le persone arrestate in rastrellamenti della polizia in diverse parti del Tibet. Il governo di Pechino sarebbe intenzionato a continuare il suo pugno di ferro per sedare la rivolta scoppiata la scorsa settimana e che, secondo le parole del premier Wen Jiabao, sarebbe stata istigata e fomentata dai sostenitori del Dalai lama. Secondo l’agenzia di stampa, Xinhua, 105 presunti rivoltosi si sono arresi a Lhasa dopo l’ultimatum scaduto lunedì notte. Nella capitale tibetana la situazione starebbe tornando alla normalità secondo la tv cinese, ma nel resto della regione himalayana ieri ci sono altre 19 vittime in scontri con la polizia. Gli attivisti tibetani hanno diffuso ieri sui siti internet le immagini raccapriccianti di manifestanti picchiati e torturati. Intanto il governo di Pechino avrebbe inviato altre truppe di rinforzo e come, ha detto il leader locale del partito comunista, sarebbe determinato a ingaggiare una lunga battaglia “per la vita o la morte” con il movimento tibetano.
Di fronte al precipitare delle crisi, il Dalai Lama ieri, da Dharamsala ha fatto appello al dialogo e alla non violenza minacciando le dimissioni da leader politico se la situazione dovesse degenerare nei prossimi giorni. Il leader religioso incontrerà venerdì Nancy Pelosi, la speaker della camera dei Rappresentanti americana da oggi in visita in India.

martedì 18 marzo 2008

Appello del Dalai Lama alla non violenza: "se la situzione degenera mi dimetto"


Su Il Giornale

E’ un appello disperato quello lanciato ieri dal Dalai Lama sempre più preoccupato per l’ondata di violenza che da una settimana sta insanguinando il Tibet. Di fronte alla dura repressione di Pechino e all’impossibilità di fermare le protesta contro i Giochi Olimpici di agosto, il settantaduenne leader tibetano ha minacciato le sue “dimissioni” se la situazione dovesse degenerare. Dal suo quartiere generale di Dharamsala, in India, ha detto ai giornalisti di essere pronto a dimettersi dalla sua carica di capo dello stato nel caso in cui il confronto tra i dimostranti e la polizia cinese dovesse trasformarsi in un altro bagno di sangue. Il Premio Nobel per la Pace ha ricordato i valori gandhiani della non violenza con un forte richiamo che è indirettamente anche un’ammissione di impotenza ad intervenire in una crisi che sembrerebbe ormai fuori dal suo controllo. “La violenza è grave, contraria alla natura umana, è quasi un suicidio – ha detto - Anche se mille tibetani sacrificassero la loro vita, non cambierebbe nulla”. E poi ha continuato: “Se le passioni delle due parti si placheranno, potremo lavorare insieme” precisando che “dobbiamo costruire dei buoni rapporti con i cinesi per vivere fianco a fianco”. Si tratta di un invito al dialogo che è in chiara contraddizione con le dure denunce di due giorni fa quando aveva accusato il governo di Pechino di “genocidio culturale” e di instaurazione di un “regime del terrore”. Sembrerebbe quasi che il Dalai Lama, dopo i toni battaglieri del 10 marzo, l’anniversario dell’insurrezione anti cinese del 1959 che ha scatenato la rivolta, sia ritornato sui binari pacifisti della sua strategia del “middle path”, la “via di mezzo”, un approccio moderato alla rivendicazione dell’autonomia del Tibet, però contestata da alcune frange radicali della diaspora. Anche ieri da Dharamsala, ha ribadito che “l’indipendenza è fuori discussione” rispondendo così alle accuse mosse alcune ore prima da Wen Jiabao. Il primo ministro cinese, in un intervento televisivo, ha di nuovo puntato il dito contro la “cricca del Dalai Lama” che avrebbe fomentato gli incidenti alo scopo di “sabotare le Olimpiadi” che “da molte generazioni sono il sogno del popolo cinese”. Wen ha detto di “avere le prove ” che gli incendi e i saccheggi - che hanno causato danni per 10 milioni di euro - sarebbero stati premeditati. Ha inoltre aggiunto che la polizia ha “usato moderazione” nel sedare le rivolte in cui avrebbero perso la vita circa un centinaio di persone secondo stime del governo tibetano in esilio (mentre il bilancio delle autorità cinesi parla di 13 morti). Su alcuni siti internet circolano però alcune immagini raccapriccianti dei cadaveri di giovani tibetani e monaci vittime della repressione della polizia. Le foto sono state esposte anche durante i cortei a New Delhi e sui muri della piccola colonia degli esuli tibetani di Majnu Ka Tila, dove da una settimana è in corso una serrata generale.
Anche oggi in diverse parti del Tibet le forze dell’ordine sarebbero entrate in azione per fermare le proteste che sono dilagate del vasto territorio himalayano. Secondo quanto denuncia il governo in esilio, 19 tibetani sarebbero stati uccisi da colpi di arma da fuoco a Manchu, nei pressi di Lhasa, durante una manifestazione. Intanto la capitale tibetana rimane presidiata dai carri armati e continuerebbero anche i rastrellamenti casa per casa, come riferiscono dei testimoni oculari citati da Radio Free Asia. Tuttavia, la televisione di stato Cctv, l’unica a poter entrare a Lhasa, ha mostrato le immagini di una città tranquilla con i negozi aperti e i bambini che vanno a scuola. Sempre secondo la tv pubblica, un centinaio di rivoltosi si sarebbero arresi alla polizia dopo l’ultimatum scaduto alla mezzanotte di lunedì.

Dolore e rabbia a Majnu ka Tila, la colonia tibetana di Delhi

Su Apcom
Nella colonia dei profughi tibetani a Majnu ka Tila c’è un silenzio surreale. Dal 10 marzo, l’anniversario della storica insurrezione anticinese in Tibet, le saracinesche dei negozi sono abbassate, le bancarelle vuote e i vicoli deserti. Ogni tanto qua e là si vedono dei gruppi di monaci che scrutano le fotocopie appese al muro. Sono ritagli di giornale con le dichiarazioni del Dalai Lama, notizie di agenzia e soprattutto foto delle vittime dei massacri di Lhasa. Immagini raccapriccianti di monaci con il viso emaciato, di cadaveri con il petto bucato dai proiettili e di altri fagotti indistinti che giacciono in strada. Sarà difficile per il governo cinese, che nega di aver usato la forza contro i dimostranti, cancellare queste immagini che già circolano sui website della diaspora tibetana.
A Majnu ka Tila vivono circa 5000 tibetani giunti a Nuova Delhi con la prima ondata di profughi che hanno seguito il Dalai Lama fuggito nel 1959 alla persecuzione. E’ un piccolo quartiere, che sorge su una sponda del fiume Yamuna, non lontano dalla Delhi University, pieno di laboratori di artigianato e di economici ristorantini. Di solito è affollato da turisti e studenti della vicina università, ma in questi giorni si è improvvisamente svuotato. Sono quasi tutti a manifestare nella strada davanti al Jantar Mantar, l’antico osservatorio astronomico, l’unico posto a Nuova Delhi dove sono autorizzate le proteste. Da lì, anche oggi, hanno marciato verso l’ambasciata cinese nel quartiere diplomatico di Janakyapuri e davanti alla sede delle Nazioni Unite, ma sono stati bloccati dalle forze dell’ordine.
Tra le nuove generazioni di Majnu ka Tila, che sono nati e cresciuti in India, che vestono all’occidentale e che non si separano mai dal telefonino, prevale un forte risentimento verso il governo indiano. “L’India sta tenendo un comportamento ambiguo, evidentemente sono preoccupati a mantenere buone relazioni con la Cina” dice un ragazzo che esibisce una maglietta con la scritta: “Bring Tibet to the 2008 Games” (porta il Tibet ai Giochi del 2008) e sotto l’indicazione di un website www.supportteamtibet.com. Secondo lui è importante mantenere la pressione internazionale, soprattutto quella degli Stati Uniti. Ricorda che la speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi, dovrebbe incontrare il Dalai Lama venerdì a Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, insieme all’attore Richard Gere, uno dei maggiori sostenitori della causa tibetana.
Poco distante c’è un’agenzia di viaggi che organizza tour in Tibet, ma adesso le autorità cinesi hanno sospeso il rilascio dei visti. Davanti c’è un turista francese che si lamenta perché doveva andare a Kathmandu e poi a Lhasa e aveva già pagato i biglietti aerei. “Non sappiamo quando riapriremo – spiega un altro esule che organizza i bus notturni Delhi-Dharamsala (12 ore di viaggio) – La nostra comunità è sconvolta da quanto sta per accadere in Tibet”. Anche la piazzetta davanti ai due templi, luogo di ritrovo della piccola comunità di profughi, è insolitamente deserta a parte un gruppo di monaci che discute sottovoce. Ci vorrà molto tempo perché ritorni la vita a Majnu ka Tila.

lunedì 17 marzo 2008

Tibet, scaduto ultimatum, scatta la rappresaglia?

Su Radio Vaticana
E’ scaduto l’ultimatum imposto dalle autorità cinesi ai manifestanti di Lhasa perché si arrendano e pongano fine alle proteste. La capitale del Tibet si trova blindata da un massiccio dispiegamento di poliziotti che hanno preso posizione sui tetti degli edifici e creato posti di blocco nelle principali arterie stradali. Secondo alcuni testimoni e giornalisti sul posto, ci sarebbero stati dei rastrellamenti casa per casa dove sarebbero stati prelevati tutti coloro che sono stati trovati senza documenti di identità. La polizia sarebbe in assetto da guerra e pronta ad entrare in azione.
Intanto continua la pressione internazionale su Pechino che ha smentito di aver sparato sulla folla nel sedare le proteste scoppiate venerdì scorso. Secondo il governo tibetano in esilio a Dharmshala le vittime della brutale repressione sarebbero centinaia, ma le autorità cinesi hanno confermato solo 16 morti. Di fronte all’escalation della crisi, è intervenuto oggi anche il segretario di stato americano Condoleeza Rice che ha chiesto alla Cina di riaprire il dialogo con il Dalai Lama. Anche dall’India che dal 1959 ospita il leader religioso e la sua comunità, è arrivato un richiamo a non usare la violenza contro i dimostranti. Bisogna vedere ora fino a che punto la Cina intende mettere a repentaglio la sua immagine a cinque mesi dall’apertura delle Olimpiadi.

Taslima Nasreen ha deciso di lasciare l'India

La scrittrice bengalese Taslima Nasreen ha intenzione di lasciare l’India per ragioni di salute. Tenuta segregata per via delle minacce degli integralisti islamici in una località segreta alla periferia di Nuova Delhi, l’intellettuale mussulmana ha comunicato al Ministero indiano degli Esteri la sua decisione di recarsi all’estero per ricevere cure mediche, ma non ha specificato in quale Paese. Attualmente è in possesso di un passaporto svedese.
Secondo alcune speculazioni di stampa, Taslima avrebbe deciso di abbandonare l’India, dove vive in esilio da quattro anni, perché non poteva “sopportare più a lungo di vivere nascosta e isolata da tutti. Non ci sono altre alternative” come ha detto per telefono ad alcuni giornalisti. La scrittrice femminista aveva più volte espresso il desiderio di ritornare a Calcutta, la metropoli bengalese, dove risiedeva e che è stata costretta a lasciare precipitosamente lo scorso novembre dopo violente proteste di un gruppo fondamentalista mussulmano. Il governo indiano aveva escluso un suo ritorno nel breve termine in quella che considera la sua “città di adozione”, ma a febbraio le aveva rinnovato il visto di soggiorno per altri sei mesi dopo l’accorato appello di un gruppo di intellettuali indiani. Costretta a vivere sotto scorta, senza poter vedere nessuno, Taslima aveva accusato alcuni disturbi cardiaci e circa un mese fa era stata ricoverata in un ospedale della capitale per quattro giorni.

Tibet, scade oggi ultimatum a dimostranti

Su Radio Vaticana
L’esercito cinese è pronto a nuove azioni repressive contro i manifestanti tibetani che non si arrenderanno entro la mezzanotte di oggi quando scade l’ultimatum imposto dalle autorità di Pechino dopo i disordini scoppiati a Lhasa venerdì scorso. A temere nuova violenza è anche il Dalai Lama che ieri da Dharamshala ha detto ai giornalisti che la situazione è grave ed è diventata molto tesa. I tibetani sono molto determinati e i cinesi anche – ha detto - Il risultato non può essere che altri morti e altra sofferenza”. Secondo le stime del governo tibetano in esilio sarebbero 80 le vittime confermate degli scontri dell’altra settimana, ma le proteste si stanno estendendo nelle altre province confinate con il Tibet, tra cui il Sichuan dove ieri sono morte sette persone negli scontri con la polizia. Il governo cinese sta inviando mezzi di rinforzo e ha aumentato la sicurezza lungo il confine con l’India. In una conferenza stampa il Dalai Lama ha parlato di “regime del terrore” e di “genocidio culturale” che sarebbe in atto in Tibet, ma non ha fatto appello al boicottaggio delle Olimpiadi che inizieranno a Pechino tra 5 mesi. “Il popolo cinese ha bisogno di sentirsi fiero. La Cina merita di accogliere i Giochi – ha detto - ma ha occorre ricordare a Pechino che ha l’obbligo di comportarsi in modo consono a chi ospita le Olimpiadi”.

domenica 16 marzo 2008

Dalai Lama denuncia il "genocidio culturale" in Tibet ma non chiede boicottaggio Olimpiadi

Su Il Giornale
“Il popolo cinese ha bisogno di sentirsi fiero. La Cina merita di accogliere le Olimpiadi del 2008” ma occorre ricordare al governo di Pechino “che ha l’obbligo di comportarsi in modo consono a chi ospita i Giochi”. In una conferenza stampa ieri a Dharamshala, sede del governo Tibetano provvisorio, il Dalai Lama si è rifiutato di chiedere il boicottaggio dei Giochi olimpici di agosto. Una posizione che aveva già espresso prima dei tragici scontri di Lhasa e che aveva deluso parte della comunità tibetana in esilio che invece è impegnata in una campagna internazionale anti-Olimpiadi. Il 72enne leader religioso ha però usato toni molto duri nel denunciare la repressione delle manifestazioni in Tibet che avrebbero causato un centinaio di vittime e ha chiesto un’inchiesta internazionale. “Qualche organizzazione internazionale rispettata- ha dichiarato – potrebbe accertare quale sia la situazione in Tibet e quali le cause dei disordini”. Riferendosi probabilmente alla “sinesizzazione” del territorio tibetano, il Dalai Lama ha parlato di “regime del terrore” e di “genocidio culturale”. “Che il governo cinese lo ammetta o no – ha detto - esiste un problema: un’antica tradizione culturale è in serio pericolo. Intenzionalmente o no è in corso una sorta di genocidio culturale”. Dopo l’invasione dell’Armata Rossa nel 1950, il governo di Pechino ha distrutto centinaia di monasteri, perseguitato i religiosi ed alterato l’equilibrio etnico. “Esiste una sorta di discriminazione – ha aggiunto – secondo la quale i tibetani che vivono nella loro terra sono trattati da cittadini di serie B” rispetto agli immigrati cinesi che sono chiamati Han e che costituiscono oggi la maggioranza della popolazione. E poi: “I cinesi sono costretti a ricorrere alla forza per imporre la pace, una pace che si basa su un regime di terrore”.
In un’intervista alla Bbc, sempre ieri, il Dalai Lama ha paragonato i disordini degli ultimi giorni all’insurrezione anticinese del 1959 quando fu costretto alla fuga per non essere arrestato. Con un lungo viaggio a cavallo attraverso l’Himalaya arrivò in India che lo ha accolto insieme a decine di migliaia di profughi che un maggioranza vivono nella vallata di Dharamshala. Dopo lo stallo dei negoziati avviati nel 2002, le nuove generazioni sono diventate più impazienti e meno disposte ad accettare la diplomazia del “middle way” seguita dal loro capo spirituale, ovvero di un approccio moderato nel rivendicare l’autonomia e non l’indipendenza. Questa spaccatura ideologica all’interno della comunità è nota anche al Dalai Lama che ha ammesso di essere impotente. “Non posso fermare le manifestazioni in Tibet – ha detto - Sono il portavoce dei tibetani, ma non il loro padrone. E’ un movimento popolare, sono loro che decidono”. Ha poi aggiunto che teme altre violenze allo scadere dell’ultimatum di oggi e ha quindi rivolto un appello al governo cinese perché “guardi la realtà piuttosto che soffocarla. Credono che bastino le armi per avere il controllo. Ma non possono controllare la mente degli uomini”.

sabato 15 marzo 2008

Tibet, continua la repressione cinese

Su Radio Vaticana
La Cina continua il suo pugno di ferro in Tibet. Le autorità hanno lanciato oggi un ultimatum ai manifestanti perché si arrendano e si consegnino alla polizia entro lunedì. Il nuovo ordine giunge al termine di un’altra giornata carica di tensione e di preoccupazione soprattutto per il numero delle vittime negli scontri di ieri. Il governo tibetano in esilio in India ha confermato una trentina di vittime, mentre le autorità cinesi hanno dato notizia di dieci morti. Ma secondo gli esuli potrebbero essere cento. Il parlamento tibetano ha chiesto l’intervento dell’Onu. Mentre Lhasa è rimasta oggi deserta per via del coprifuoco, nuovi disordini sono scoppiati nella provincia nord occidentale di Gansu dove una protesta di monaci è stata soffocata con i gas lacrimogeni. Tra due settimane in Tibet dovrebbe arrivare la torcia olimpica e per l’occasione le autorità di Pechino hanno chiuso il versante settentrionale dell’Everest.

venerdì 14 marzo 2008

Dalai lama, appello a non usare la violenza contro dimostranti in Tibet

Su Radio Svizzera Italiana

Temendo forse un precipitare della situazione, il Dalai Lama ha fatto appello alle autorità cinesi perché non usino la forza per reprimere le manifestazioni di protesta scoppiate a Lhasa. In un comunicato dall’India, il leader spirituale tibetano ha detto di essere “profondamente preoccupato per la situazione che si è venuta a creare dopo le dimostrazioni pacifiche” in diverse parti del Tibet. Centinaia di monaci tibetani sono scesi in piazza per protestare contro le Olimpiadi che si terranno il prossimo agosto e che prevedono il passaggio della fiaccola olimpica sul versante nord dell’Everest. Lunedì scorso, in occasione del 49esimo anniversario della fallita insurrezione anti cinese in Tibet, alcuni esuli a Dharamsala, la sede del governo provvisorio, avevano iniziato una marcia su Lhasa subito bloccata dalle autorità indiane. La polizia oggi ha deciso di detenere per 14 giorni un centinaio di dimostranti che si erano messi in cammino nonostante il divieto. Dal 1959 il governo di New Delhi garantisce accoglienza e assistenza al Dalai Lama, ma negli ultimi anni l’India è più preoccupata a non irritare il suo potente vicino cinese. Anche all’interno della comunità tibetana si è creata una spaccatura tra coloro che vogliono la liberazione del territorio occupato dall’esercito cinese nel 1950 e sono pronti anche a usare la violenza e coloro che invece seguono l’approccio più morbido del Dalai Lama che, per esempio, finora non ha mai condannato il diritto della Cina ad ospitare i Giochi Olimpici del 2008.

I dieci anni della regina Sonia

Su Apcom

Una folla si è radunata oggi davanti al numero 10 di Janpath, la storica sede del partito del
Congresso, per festeggiare i 10 anni della presidenza di Sonia Gandhi. La vedova italiana dello statista Rajiv è la leader più longeva a capo dello storico partito della dinastia Nehru-Gandhi che ha governato per la maggior parte della storia dell’India post-coloniale. Dopo l’assassinio del marito nel 1991 e dopo alcuni anni di tentennamenti, dieci anni fa l’ex first lady Sonia decise di entrare in politica per “salvare” un partito che era rimasto orfano e che senza un “Gandhi” alla guida avrebbe avuto poche chance di sopravvivenza. All’inizio molti rimproverarano a Sonia di inesperienza politica, di avere una spiccata pronuncia italiana quando leggeva i discorsi in hindi e di essere completamente manovrata dagli anziani funzionari di partito che la circondavano. Dieci anni dopo, la “ragazza” di Orbassano - la cittadina operaia vicino a Torino dove vive ancora la sua famiglia - ha completato la sua parabola diventando una “dieci donne più potenti del mondo” secondo la classifica compilata da Forbes negli ultimi tre anni. La sua popolarità era cresciuta enormemente dopo la vittoria elettorale del maggio 2004 che ha riportato il Congresso al governo insieme a una coalizione di sinistra, in particolare quando ha deciso di rifiutare il posto di primo ministro per “seguire la sua voce interiore” come disse in una celebre frase rimasta scolpita negli annali della storia indiana. Fu lei a scegliere l’economista dal turbante azzurro Manmohan Singh. Non è un mistero a Nuova Delhi che dietro ogni decisione del consiglio dei ministri c’è il suo “imprimatur” e che il primo ministro Singh si consulta regolarmente con il numero 10 di Janpath. In più occasioni Sonia è intervenuta a difesa dei ceti sociali più deboli, che sono il suo serbatoio elettorale, e per proteggere gli interessi dei contadini e dei piccoli commercianti contro le multinazionali. E’ una sua iniziativa, per esempio, la misura contenuta nella legge finanziaria di fine febbraio per cancellare la cifra record di 15 miliardi di dollari di debiti contratti da piccoli contadini con lo scopo di “arginare” l’ondata di suicidi tra gli agricoltori finiti nelle grinfie degli strozzini, soprattutto nella zona di coltivazione del cotone nello stato centrale del Maharashtra.
Tra i successi della sua presidenza c’è anche la politica delle alleanze con i partiti comunisti marxista e con gli influenti, ma litigiosi, partiti regionali dell’Uttar Pradesh e del Tamil Nadu. Secondo i sondaggi, il Congresso potrebbe vincere di nuovo alle prossimi elezioni generali del maggio 2009 (ci sono anche voci di voto anticipato a novembre). Il principale partito dell’opposizione, il Bjp, che punta sull’anziano leader della destra, Lal Krishna Advani, raccoglie i consensi della classe medio-alta, che però è una piccola minoranza rispetto alle masse contadine indiane che rappresentano quasi il 70% della popolazione indiana. A raccogliere l’eredità di Sonia sarà molto probabilmente il primogenito Rahul, 38 anni, di recente nominato a capo dell’ala giovanile del Congresso e già impegnato nella campagna elettorale con un tour “Discovery India” nelle zone più isolate e emarginate. Di recente è andato alla “scoperta” dello stato tribale dell’Orissa, ricco di risorse minerarie, ma dominato dalla guerriglia maoista.
Nel ricordare l’anniversario, alcune televisioni sottolineavano la natura “enigmatica” e “riservata” della leader del Congresso che è protetta da un’imponente sicurezza e che raramente viaggia all’estero o concede interviste. Sono rare anche le sue apparizioni pubbliche, salvo quelle obbligatorie in Parlamento. Si conosce poco anche della vita privata di Sonia. Il canale televisivo Cnn-Ibn oggi “svelava” alcune abitudini, come quella di svegliarsi ogni mattino alle sei e di bere un “cappuccino” prima della lettura dei quotidiani e di “spolverare” lei stessa il suo ufficio.

mercoledì 12 marzo 2008

Thailandia, inizia processo contro ex premier Thaksin

Su Radio Vaticana
E’ comparso ieri davanti alla Corte Suprema a Bangkok l’ex premier Thaksin Shinawatra che due settimane fa è tornato in Thailandia dopo il suo lungo esilio volontario dovuto al golpe militare del novembre 2006. Il magnate delle telecomunicazioni è accusato di corruzione, in particolare in connessione con un contratto immobiliare e di violazione del regolamento borsistico. L’udienza è durata solo 20 minuti in cui Thaksin ha respinto ogni accusa e ha detto di essere vittima di una cospirazione politica. Il processo, che è stato seguito da centinaia di suoi sostenitori, è stato quindi aggiornato alla fine di aprile. Nel frattempo l’ex primo ministro ha chiesto l’autorizzazione di tornare nel Regno Unito dove è proprietario della squadra di calcio del Manchester City.
Dopo la vittoria nelle elezioni di dicembre del People Power Party, formato dai sostenitori dell’ex partito di Thaksin e la nomina di un nuovo primo ministro, si pensava ad un suo ritorno nella politica attiva. Un’ipotesi che il 58enne miliardario ha però smentito.

La Cina chiude versante nord dell'Everest alle spedizioni fino al 10 maggio

Su Radio Svizzera Italiana
In un'altra mossa che sembra diretta a prevenire dimostrazioni di protesta contro le Olimpiadi, la Cina avrebbe deciso di dichiarare off limits la parete nord dell’Everest. Secondo quanto riporta un sito internet di alpinismo, le autorità di Pechino non rilasceranno più i permessi per l’ascensione delle spedizioni sulla vetta fino al 10 maggio. Per quella data, compatibilmente con le condizioni metereologiche, è previsto l’arrivo da Lhasa della fiaccola olimpica nel primo campo base attraverso una nuova strada che tra l’altro è stata fortemente criticata dagli ambientalisti. I gruppi tibetani, che in questi giorni sono impegnati in manifestazioni in tutto il mondo contro i giochi olimpici, contestano duramente la decisione di fare dell’Everest, che si trova in Tibet, uno dei simboli delle Olimpiadi di agosto e di usare la cerimonia della fiaccola per rivendicare la montagna che i tibetani chiamano Chomolungma. Secondo il website, i cinesi avrebbero chiesto anche alle autorità nepalesi di sospendere le spedizioni dal versante meridionale, che sono più numerose, per lo stesso periodo, ma Katmandu avrebbe respinto la richiesta.

martedì 11 marzo 2008

INDIA PARTE ALLA CONQUISTA DELL'AFRICA

Su Apcom
Dopo la Cina, anche l’India ha iniziato a corteggiare l’Africa. Il governo di Nuova Delhi ha ufficialmente lanciato il summit India-Africa che si terrà nella capitale l’8 e il 9 aprile e a cui sono stati invitati 14 Paesi africani. L’iniziativa, annunciata all’ultimo vertice dell’Unione Africana ad Addis Ababa a fine gennaio, giunge un anno e mezzo dopo la decisione di Pechino di avviare una massiccia campagna di investimenti nel continente africano che ha suscitato perplessità soprattutto sul tema dei diritti umani. Secondo il viceministro indiano degli esteri, Anand Sharma, il summit indo-africano “servirà a consolidare la nostra partnership e ad aprire nuove forme di collaborazione”.
Per i due giganti asiatici affamati di energia l’Africa rappresenta oggi l’ultimo continente del pianeta dove reperire facilmente vaste risorse naturali. Oltre alle riserve di idrocarburi, l’India è interessata a importare carbone, oro, metalli ferrosi, fertilizzanti e pietre preziose. Ma la diplomazia indiana punta anche ad ottenere il consenso dei Paesi Africani nella sua lunga battaglia per la candidatura a membro permanente nel futuro allargamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. I legami con il Continente nero sono quindi preziosi per la diplomazia indiana che comunque in passato ha sempre seguito una politica filo terzomondista nell’ambito del movimento dei Paesi Non Allineati. La cooperazione indiana è già presente in Africa con un ambizioso progetto di un network informatico attraverso 54 Paesi con il supporto di satelliti e fibre ottiche.

Rahul Gandhi, il principe azzurro del Congresso

Su Il Giornale
A chi gli chiede se parla italiano, Rahul Gandhi risponde con un sorriso innocente da ragazzo che non ha studiato la lezione e non vuole essere interrogato. Eppure qualche parola la dovrà pur sapere se vuole comunicare con la nonna Paola Maino che ogni anno viene a svernare a New Delhi a casa della figlia Sonia. Da quando ha messo la testa a posto e ha indossato i panni di parlamentare, il “ranocchio” Rahul si è trasformato nel principe azzurro della politica indiana. O meglio nell’erede al trono della dinastia dei Nehru-Gandhi, i “Kennedy” in salsa curry che hanno ereditato l’India dai colonialisti britannici e che ora vogliono trasformarla in una potenza economica mondiale.
Con un bisnonno come Jawaharlal Nehru, una nonna e un padre come premier e una madre definita “una delle donne più potenti del mondo”, è difficile intravedere altri sbocchi professionali per l’italo-indiano Rahul che a giugno compirà 38 anni, ma che da solo 4 anni è a tempo pieno in politica al servizio del Congresso, lo storico partito della famiglia, dove guida da pochi mesi l’ala giovanile. In questi anni, su suggerimento di Sonia, ha fatto una dura gavetta nel suo collegio elettorale di Amethi, il feudo elettorale della dinastia che ha adottato questo povero villaggio dell’Uttar Pradesh, il mega stato di 160 milioni di abitanti. Nonostante il suo impegno a favore degli strati sociali più deboli, durante le ultime elezioni regionali il Congresso ha ottenuto solo un magro 8,5%, mentre a trionfare è stata la signora Mayawati, la leader degli “intoccabili”. Per il giovane Gandhi è stata una doccia fredda che lo ha costretto ad una sorta di esame di coscienza sulla sua strategia elettorale.
Accusato di essere poco carismatico, rispetto alla sorella Priyanka (che per ora ha scelto di fare la mamma) e di essere troppo distante dai suoi elettori, Rahul ha scatenato un’offensiva di primavera. Per prima cosa ha rivoluzionato il sistema di reclutamento nel Congresso, un partito che sembra viva ancora ai tempi dell’arcolaio del Mahatma Gandhi (con cui non c’è nessun legame di parentela, ma solo una fortunata omonimia). Poi ha iniziato a viaggiare in lungo e largo per la “madre India” per fare conoscenza con l’”aam admi”, in hindi “l’uomo comune” che è il volto informe delle masse indiane escluse dal nuovo benessere delle metropoli. Indossati i sandali e il kurta-pijama bianco, l’uniforme dei politici del Congresso, si è liberato degli “yes men” che lo circondavano e si è calato nella realtà delle campagne. I giornali indiani hanno battezzato il suo ultimo tour elettorale nello stato orientale dell’Orissa, “Discovery India”, la “Scoperta dell’India”, ma lui ha respinto seccamente l’etichetta in una conferenza stampa. Il suo viaggio di quattro giorni tra le popolazioni tribali, non poteva però passare inosservato in un momento in cui a New Delhi si parla di elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del governo di Manmohan Singh nella primavera del 2009. Il Congresso ha già acceso i motori della sua potente macchina elettorale. Lo si è visto dalla finanziaria presentata a fine febbraio e che prevede ben 15 miliardi di dollari di cancellazione dei debiti contratti dai contadini. L’Orissa è uno degli stati indiani più poveri ed è dominato in parte dalla guerriglia maoista, ma possiede anche ricche risorse minerarie e Rahul si indirizzato proprio a coloro che temono di essere espropriati dalle loro terre dalle grandi industrie. Ma non lo ha fatto come gli altri leader che arrivano in elicottero e poi volano via in una nuvola di polvere e di illusioni. Si è invece lasciato andare ai bagni di folla, ha parlato con gli agricoltori, con insegnanti delle scuole, con gli studenti e con gli emarginati. Ha scioccato i suoi accompagnatori per ben due volte quando nottetempo è letteralmente “scappato” dall’hotel a cinque stelle dove lo avevano sistemato, per andare a cenare a casa di una famiglia del posto. Lo aveva già fatto in Uttar Pradesh a gennaio quando aveva trascorso la notte su una branda a casa di una famiglia di “intoccabili”. D’altronde anche suo padre Rajiv si era rivolto alle tribù dell’Orissa nel suo ultimo comizio il 21 maggio 1991 nel villaggio di Gunupur. Il giorno dopo mentre continuava il suo tour elettorale in Tamil Nadu fu assassinato da una donna kamikaze delle Tigri Tamil. Rahul aveva 21 anni, stava studiando economia a Londra e aveva uno spiccato interesse per le ragazze sudamericane. Non avrebbe mai immaginato di diventare un giorno il principe azzurro del Congresso.

lunedì 10 marzo 2008

Partito tamil pro-governativo vince elezioni nel distretto di Batticaloa

Su Radio Vaticana
Confermando le previsioni della vigilia, il partito tamil pro governativo TMVP, ha stravinto nelle elezioni amministrative nella provincia di Batticaloa, sulla costa orientale. L’area, popolata dalla comunità tamil, era controllata fino ad un anno fa dai ribelli delle Tigri Tamil e poi è stata riconquistata dall’esercito cingalese. Si tratta del primo voto dopo 14 anni, ma le Nazioni Unite e altri gruppi di difesa dei diritti umani hanno accusato il partito vincitore di violenza e intimidazioni durante la campagna elettorale. Il TMVP, composto da ex militanti delle Tigri Tamil e appoggiato dal governo di Colombo, si è assicurato il controllo di otto consigli comunali su un totale di nove. Secondo alcuni, il voto di Batticaloa sarebbe un test per altre elezioni provinciali nel nord e nell’est dell’isola previste per la fine dell’anno e che dovrebbero garantire maggiore autonomia politica alla minoranza tamil e a quella mussulmana.
Intanto a Colombo è salita la tensione dopo che ieri un ordigno esplosivo, piazzato sulla trafficata strada Colombo-Galle, ha ucciso un passante e ferito altre persone.

la polizia iundiana blocca la lunga marcia dei tibetani su Lhasa

Su Radio Svizzera Italiana
La marcia di protesta degli esuli tibetani contro le Olimpiadi cinesi è stata bloccata ancor prima che iniziasse. A Daramshala, il quartier generale del Dalai Lama, la polizia indiana ha vietato ad un centinaio di manifestanti di lasciare la vallata per iniziare un lungo e impervio trekking attraverso l’Himalaya che si sarebbe concluso tra sei mesi nella capitale tibetana di Lhasa. L’ordine di fermare la protesta è arrivato dal governo indiano che nel 1959 ha accolto il Dalai Lama in fuga, ma a patto che non organizzasse attività contro Pechino. L’iniziativa della marcia coincide con l’anniversario della fallita insurrezione in Tibet celebrato anche a New Delhi e a Katmandu, dove i dimostranti sono stati caricati dalla polizia nepalese. La ricorrenza è stata usata dal Dalai Lama per denunciare quelle che ha definito “le numerose, inimmaginabili e spaventose violazioni dei diritti umani e la negazione della libertà religiosa” in Tibet. Usando un tono insolitamente duro, l’anziano leader ha aggiunto che da “quasi sei decenni i tibetani vivono in un costante stato di paura, intimidazione e repressione sotto la sovranità cinese”. A proposito delle Olimpiadi, non ha però fatto appello al boicottaggio, ma ha chiesto che i giochi vengano usati "per ricordare a Pechino il rispetto dei diritti e delle libertà civili".

Arrestato giovane di Goa sospettato di omicidio e stupro di quindicenne inglese

Su Apcom
La polizia indiana ha arrestato un giovane di 29 anni sospettato dell’omicidio di una teen-ager inglese in vacanza a Goa, l’ex colonia portoghese famosa per le droghe e i rave-party. Il cadavere di Scarlette Keeling, 15 anni, era stato ritrovato seminudo tre settimane fa sulla spiaggia di Anjuna, una delle mete “storiche” del movimento hippy. In un primo momento la polizia aveva detto che si trattava di un annegamento, ma la versione non aveva convinto la madre della giovane che ha chiesto una seconda autopsia sul corpo della ragazza martoriato da numerose ferite. Sulla base dell’esame medico, gli investigatori avevano poi ammesso che la ragazza era stata uccisa dopo un rapporto sessuale. Secondo alcuni testimoni, Scarlette sarebbe stata vista in compagnia di alcuni giovani del posto che sono stati fermati e interrogati. L’arrestato è Samsung D’Souza, che lavora in uno dei numerosi bar-ristoranti sul litorale e che sarebbe stato visto in “posizione compromettente” con la quindicenne poche ore prima del ritrovamento del corpo secondo le parole di un funzionario della polizia di Goa che ha anche annunciato “altri arresti nei prossimi giorni”. Il poliziotto ha aggiunto che tra i capi di accusa c’è anche lo stupro “in quanto si tratta di minorenne e quindi non importa se l’atto sessuale è stato consenziente”.
La madre, Fiona MacKeown, ha intanto accusato le autorità locali di aver voluto “coprire” l’assassinio e ha chiesto l’intervento del CBI (Central Bureau of Investigation, in pratica l’FBI indiano) per far luce sull’accaduto.
Oggi il quotidiano “Times of India” ha fornito una ricostruzione delle ultime ore di vita di Scarlett basate sulla versione della polizia. La ragazza sarebbe stata prelevata da alcuni amici indiani verso l’una di notte per andare in un locale, “Lui Cafi”, dove era in corso un festino a base di cocaina. Gli ultimi a lasciare il posto, circa tre ore dopo, sono stati Samsung e altri due amici, che secondo la polizia sarebbero coinvolti nell’omicidio. Questa è la versione del quotidiano che in un articolo denuncia anche la trasformazione del paradiso tropicale di Goa in una base del narcotraffico internazionale. “Mentre i russi hanno assunto il controllo dello spaccio nelle spiagge di Morjim e Arambol – scrive - gli israeliani hanno il dominio di Vagator. Gli scozzesi prevalgono a Calangute e Baga, mentre nigeriani e kenyani hanno il controllo della cocaina a Candolim”. Questo vasto traffico di droga avverrebbe grazie alla complicità tra spacciatori, polizia e residenti locali.
Dall’inizio dell’anno sono già 12 i turisti stranieri morti a Goa in circostanze “misteriose” (negli ultimi due anni sono stati ben 126). L’ultimo caso riguarda due giapponesi trovati morti agli inizi di marzo per overdose. In forte aumento sarebbero anche i casi di violenze e molestie sessuali su turiste straniere, mentre in alcuni spiagge a Sud si sarebbe sviluppato un fiorente racket della pedofilia.

domenica 9 marzo 2008

I due ex rivali Zardari e Sharif hanno formato un'alleanza anti-Musharraf

In onda su radio Svizzera Italiana
La poltrona del presidente Pervez Musharraf è diventata ancora più traballante dopo l’accordo annunciato ieri tra i due partiti emersi vincitori dalle elezioni del 18 febbraio. Il leader del Partito Popolare Pachistano e vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari ha deciso di formare una coalizione di governo con il suo vecchio rivale, Nawaz Sharif, l’ex premier esiliato nel golpe del 99. Musharraf dovrà quindi confrontarsi con una maggioranza ostile nel nuovo parlamento che sarà convocato tra una decina di giorni. Ma a preoccupare di più l’ex generale di Islamabad è la decisione di reintegrare entro un mese dall’insediamento del nuovo governo i giudici della Corte Suprema rimossi a novembre. Tra questi c’è anche l’ex capo della giustizia Iftikar Chaudry che si trova ancora agli arresti domiciliari e che nell’ultimo anno è diventato l’icona del movimento democratico di protesta. Ma la coesistenza tra i due alleati non sarà facile. Mentre Sharif ha detto che il posto di Musharraf è incostituzionale, Zardari ha una posizione più moderata. Il Partito Popolare Pachistano inoltre è ancora diviso sulla candidatura a primo ministro che dovrebbe spettare a Makhdoom Amin Fahim, stretto collaboratore della signora Bhutto durante gli anni del suo esilio.

venerdì 7 marzo 2008

Nuovo veto dei comunisti contro l'accordo nucleare con gli Usa

Su Apcom
Dopo alcuni mesi di tregua politica, i comunisti indiani hanno lanciato una nuova offensiva contro il governo di Manmohan Singh sulla questione del controverso accordo nucleare indo-americano. Il CPM, il Partito comunista marxista, che appoggia la coalizione del governo guidata dal Congresso, ha reiterato il suo veto al patto avviato nel 2005 con Washington che permetterebbe all’India di importare centrali e tecnologia nucleare dall’estero mettendo fine a tre decenni di “isolamento” atomico. La sinistra indiana teme una “ingerenza” americana nella sovranità nazionale e una minaccia al programma nucleare indigeno. Se l’esecutivo di Singh, messo alle strette dalla Casa Bianca, darà il via libera all’accordo, i comunisti minacciano di far cadere il governo che sarebbe così costretto ad andare alle elezioni con un anno di anticipo sulla scadenza naturale del mandato previsto nel maggio del 2009.
Le prossime settimane saranno quindi cruciali per la sopravvivenza stessa dell’accordo che per diventare operativo deve ancora ottenere il via libera dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e del Nuclear Suppliers Group (NSG), l’esclusivo club di 45 Paesi fornitori di tecnologia nucleare.
Il CPM ha chiesto alla coalizione di Singh di riunire entro il 15 marzo lo speciale comitato congiunto creato l’anno scorso per trovare un consenso sull’accordo e potrebbe in quell’occasione dare un ultimatum al governo perché abbandoni l’intesa che è considerata come elemento centrale del nuovo asse indo-americano voluto dal presidente Bush in funzione di “contenimento” anti cinese.
Nell’ultimo mese a Nuova Delhi ci sono state alcune visite di alto profilo da parte di esponenti dell’amministrazione americana – l’ultima, due giorni fa, del sottosegretario di stato Richard Boucher - che hanno messo alle strette il governo di Singh sulla necessità di accelerare i tempi del complesso iter di approvazione dell’accordo prima della sospensione pre elettorale del Congresso americano. Il termine ultimo sarebbe a luglio, ma potrebbe saltare anche il limite dato dall’Aiea di Vienna per negoziare le “clausole di salvaguardia” entro la fine di marzo. L’India non compare nell’agenda di discussione nella riunione del consiglio dei governatori Aiea iniziata questa settimana. Ci vorrà quindi una seduta straordinaria per approvare le clausole. Il prossimo meeting del NSG (dove le decisioni vengono prese per consenso) si riunisce invece il 19 maggio in Sudafrica. “Se cade il governo – scrive oggi il Times of India – difficilmente la comunità internazionale vorrà occuparsi del caso indiano”.
Circa due anni fa l’India - che non aderisce al Trattato di Non Proliferazione e che ha condotto due test atomici nel 1974 e nel 1998 - ha acconsentito di aprire alle ispezioni internazionali 14 siti atomici (su un totale di 22) in cambio della possibilità di importare tecnologia e combustibile nucleare dagli Stati Uniti, ma anche da Francia e Russia. Le centrali nucleari contribuiscono solo con una piccola frazione al fabbisogno energetico totale che è per il 70% dipendente da combustibili fossili e che in futuro dovrà essere limitato per contenere gli effetti devastanti del cambiamento climatico.