E' un compito difficile quello che attende l'inviato americano Marc Grossman, che oggi a Kabul presiede un nuovo round del dialogo trilaterale, con Afghanistan Pakistan, sulle prospettive della regione. Il momento e' importante perche' arriva a una settimana dall'annuncio di Obama sul ritiro accellerato delle truppe. Sullo sfondo ci sono poi gli sforzi di dialogo con i talebani, su cui permangono divergenze fra i tre protagonisti della scena afgana. Ma a oscurare i colloqui e' soprattutto il clima di tensione e diffidenza tra Pakistan e Afghanistan e tra Pakistan e l'alleato Stati Uniti sulla lotta agli estremisti .
Tra Kabul e Islamabad ci sono nuovi attriti sul poroso confine che talebani e militanti di Al Qaida attraversano quotidianamente in una direzione o nell'altra per fuggire agli attacchi.
Il presidente Hamid Karzai ha accusato l'esercito pachistano di aver lanciato nelle ultime tre settimane oltre 400 razzi oltre frontiera uccidendo donne e bambini. Islamabad ha negato i bombardamenti, ma ha criticato gli Usa per aver ridotto la presenza di truppe nelle province orientali dove si infiltrano i talebani pachistani in fuga. Non proprio un esempio di perfetta coordinazione.
Mentre gli attacchi droni della Cia continuano - ieri due raid lungo la frontiera in Sud Waziristan hanno provocato 27 morti, Islamabad sembra essere poco convinta ad appoggiare i piani di Washington . In una telefonata ieri a Hillary Clinton, il premier Gilani ha ribadito che la riconciliazione con i talebani deve essere guidata dal governo afghano senza interferenze Usa. Ecco perche' il compito di Grossman, chiamato a chiudere dieci anni di guerra, si presenta cosi' complicato.
lunedì 27 giugno 2011
domenica 26 giugno 2011
ANALISI/ India-Pakistan: prove di dialogo
India e Pakistan, vecchi rivali seduti sulle bombe atomiche, stanno cercando di rimettere sulle rotaie il processo di pace deragliato con l’attacco agli hotel di Mumbai nel novembre del 2008. Due delegazioni si sono recentemente incontrate a Islamabad per due giorni per mettere a punto una ''road map'' che prevede diverse misure di distensione e qualche timido passo verso un disgelo nucleare.
Nel mese di luglio e’ previsto un incontro tra il ministro indiano degli Esteri, S.M. Krishna e la giovanissima incaricata della diplomazia pachistana, Hina Rabbani Khar, dove si vedra’ forse qualche passo piu’ concreto nella soluzione del nodo centrale del Kashmir. La regione himalayana, abitata da circa 11 milioni di abitanti, in prevalenza di mussulmane e contesa dai due Paesi e’ il vero ostacolo alla pace.
Prima dell’attentato di Mumbai, compiuto da un commando pachistano arrivato da Karachi, erano stato aperto un canale segreto di negoziati con l'allora generale Pervez Musharraf che sembrava essere gia’ a uno stadio avanzato. Ma dopo ''l'11 settembre indiano'' tutto e' stato rimesso in discussione, proprio ora che a Islamabad c’e’ un governo democraticamente eletto con presidente Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, vittima lei stessa del terrore islamico. Negli ambienti diplomatici di New Delhi si pensa, neppure tanto a bassa voce, che il governo pachistano e’ un fantoccio dell’esercito e dei servizi segreti dell’Isi.
Anche adesso che a palazzo non c’e piu’ un golpista, sembra che la pace si allontani sempre piu’. Eppure e’ stata proprio la segretario agli Esteri, la signora Nirupama Rao, che andra’ presto a occupare la poltrona di ambasciatrice a Washington, a dire nella conferenza stampa conclusiva del colloqui che ‘’e’ necessario che India e Pakistan avanzino passo dopo passo sulla via della pace e della riconciliazione e che occorre evitare di cadere della trappola delle bombe e della violenza degli estremisti’’ aggiungendo poi che ‘'un conflitto militare non ha posto’’ nel XXI secolo.
I due Paesi, nati dalla traumatica e sanguinosa separazione nel 1947, hanno combattuto finora tre guerre guerreggiate e una serie infinita di guerre fredde. Ancora oggi, di tanto in tanti, nonostante un cessate il fuoco firmato nel 2003, i cannoni tornano a rombare sulla linea di demarcazione in Kashmir dove sono schierati gli eserciti. La trincea, che passa anche sul ghiacciao di Siachen, il fronte di guerra piu' alto del mondo, e’ stata recentemente protagonista di una copertina dell’Economist (The World’s Most Dangerous Border, 21 maggio). Il settimanale britannico ha pure passato dei guai con la censura indiana per via di una mappa pubblicata a corredo dell’inchiesta che illustrava la Loc (Line of Control), il confine conteso che e’ lo status quo, ma che non e’ ufficialmente riconosciuto da New Delhi. Anche dall’altro lato, nell’Azad Kashmir (significa Kashmir libero) dove si sono tenute le elezioni per il rinnovo del parlamento locale, c’e’ un esercito a occupare la popolazione, privata ormai da oltre mezzo secolo del diritto all’autodeterminazione riconosciuto da una risoluzione dell’Onu, mai rispettata. Pochi se ne ricordano: dal 24 gennaio del 1947 ci sono ancora gli osservatori delle Nazioni Unite (Unmogip, United Nations Military Observer Group in India and Pakistan) a guardia del confine internazionale ‘’fantasma’’.
Ma piu’ che la geografia, e’ il terrorismo a dividere profondamente i due paesi. La scoperta del covo di Bin Laden nella citta’ guarnigione di Abbottabada lo scorso 2 maggio non ha fatto che confermare i sospetti dell’India che da anni accusa gli ‘’apparati di sicurezza’’ di Islamabad di proteggere gli estremisti. Anzi all'indomani del raid dei Navy Seals, la tentazione nei palazzi del potere a New Delhi era di bissare una ‘’operazione Geronimo’’ indiana contro le menti delle stragi di Mumbai che sono a piede libero e che secondo un militante americano-pakistano David Hadley, sotto processo negli Stati Uniti, sarebbero in contatto con l’intelligence pachistana.
La partita tra India e Pakistan si gioca anche sulla scena regionale e proprio per questo e’ seguita con attenzione anche dagli Stati Uniti, che sono i principali attori nella regione e dalla Cina, piu’ distaccata, ma con interessi enormi in termini si accesso al mare (Pakistan) e di sfruttamento di risorse minerarie (Afghanistan).
Gli indiani stanno disperatamente cercando di ricavarsi un ruolo nella nuova sistemazione dello scacchiere afghano in modo da arginare l’influenza pachistana che sembra piu’ forte ora con la riconciliazione con i talebani in vista del ritiro delle truppe Isaf. Lo scorso 12 maggio, in una rara visita a Kabul con una folta delegazione di ministri, il premier indiano Manmohan Singh aveva annunciato di avere offerto 500 milioni di dollari supplementari, oltre ai 1,5 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo, tra cui spiccano la costruzione di infrastrutture, come il Parlamento nazionale, strade e reti elettriche .
Ovviamente, Islamabad non vede di buon occhio l’attivismo indiano nel suo ex protettorato e cerca di fare terra bruciata intorno. Per esempio, i pachistani accusano i servizi segreti indiani di fomentare l’insurrezione separatista nella provincia meridionale del Baluchistan, un calderone di tensione soprattutto ora con l’infiltrazione dei talebani e di Al Qaida.
Nel mese di luglio e’ previsto un incontro tra il ministro indiano degli Esteri, S.M. Krishna e la giovanissima incaricata della diplomazia pachistana, Hina Rabbani Khar, dove si vedra’ forse qualche passo piu’ concreto nella soluzione del nodo centrale del Kashmir. La regione himalayana, abitata da circa 11 milioni di abitanti, in prevalenza di mussulmane e contesa dai due Paesi e’ il vero ostacolo alla pace.
Prima dell’attentato di Mumbai, compiuto da un commando pachistano arrivato da Karachi, erano stato aperto un canale segreto di negoziati con l'allora generale Pervez Musharraf che sembrava essere gia’ a uno stadio avanzato. Ma dopo ''l'11 settembre indiano'' tutto e' stato rimesso in discussione, proprio ora che a Islamabad c’e’ un governo democraticamente eletto con presidente Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, vittima lei stessa del terrore islamico. Negli ambienti diplomatici di New Delhi si pensa, neppure tanto a bassa voce, che il governo pachistano e’ un fantoccio dell’esercito e dei servizi segreti dell’Isi.
Anche adesso che a palazzo non c’e piu’ un golpista, sembra che la pace si allontani sempre piu’. Eppure e’ stata proprio la segretario agli Esteri, la signora Nirupama Rao, che andra’ presto a occupare la poltrona di ambasciatrice a Washington, a dire nella conferenza stampa conclusiva del colloqui che ‘’e’ necessario che India e Pakistan avanzino passo dopo passo sulla via della pace e della riconciliazione e che occorre evitare di cadere della trappola delle bombe e della violenza degli estremisti’’ aggiungendo poi che ‘'un conflitto militare non ha posto’’ nel XXI secolo.
I due Paesi, nati dalla traumatica e sanguinosa separazione nel 1947, hanno combattuto finora tre guerre guerreggiate e una serie infinita di guerre fredde. Ancora oggi, di tanto in tanti, nonostante un cessate il fuoco firmato nel 2003, i cannoni tornano a rombare sulla linea di demarcazione in Kashmir dove sono schierati gli eserciti. La trincea, che passa anche sul ghiacciao di Siachen, il fronte di guerra piu' alto del mondo, e’ stata recentemente protagonista di una copertina dell’Economist (The World’s Most Dangerous Border, 21 maggio). Il settimanale britannico ha pure passato dei guai con la censura indiana per via di una mappa pubblicata a corredo dell’inchiesta che illustrava la Loc (Line of Control), il confine conteso che e’ lo status quo, ma che non e’ ufficialmente riconosciuto da New Delhi. Anche dall’altro lato, nell’Azad Kashmir (significa Kashmir libero) dove si sono tenute le elezioni per il rinnovo del parlamento locale, c’e’ un esercito a occupare la popolazione, privata ormai da oltre mezzo secolo del diritto all’autodeterminazione riconosciuto da una risoluzione dell’Onu, mai rispettata. Pochi se ne ricordano: dal 24 gennaio del 1947 ci sono ancora gli osservatori delle Nazioni Unite (Unmogip, United Nations Military Observer Group in India and Pakistan) a guardia del confine internazionale ‘’fantasma’’.
Ma piu’ che la geografia, e’ il terrorismo a dividere profondamente i due paesi. La scoperta del covo di Bin Laden nella citta’ guarnigione di Abbottabada lo scorso 2 maggio non ha fatto che confermare i sospetti dell’India che da anni accusa gli ‘’apparati di sicurezza’’ di Islamabad di proteggere gli estremisti. Anzi all'indomani del raid dei Navy Seals, la tentazione nei palazzi del potere a New Delhi era di bissare una ‘’operazione Geronimo’’ indiana contro le menti delle stragi di Mumbai che sono a piede libero e che secondo un militante americano-pakistano David Hadley, sotto processo negli Stati Uniti, sarebbero in contatto con l’intelligence pachistana.
La partita tra India e Pakistan si gioca anche sulla scena regionale e proprio per questo e’ seguita con attenzione anche dagli Stati Uniti, che sono i principali attori nella regione e dalla Cina, piu’ distaccata, ma con interessi enormi in termini si accesso al mare (Pakistan) e di sfruttamento di risorse minerarie (Afghanistan).
Gli indiani stanno disperatamente cercando di ricavarsi un ruolo nella nuova sistemazione dello scacchiere afghano in modo da arginare l’influenza pachistana che sembra piu’ forte ora con la riconciliazione con i talebani in vista del ritiro delle truppe Isaf. Lo scorso 12 maggio, in una rara visita a Kabul con una folta delegazione di ministri, il premier indiano Manmohan Singh aveva annunciato di avere offerto 500 milioni di dollari supplementari, oltre ai 1,5 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo, tra cui spiccano la costruzione di infrastrutture, come il Parlamento nazionale, strade e reti elettriche .
Ovviamente, Islamabad non vede di buon occhio l’attivismo indiano nel suo ex protettorato e cerca di fare terra bruciata intorno. Per esempio, i pachistani accusano i servizi segreti indiani di fomentare l’insurrezione separatista nella provincia meridionale del Baluchistan, un calderone di tensione soprattutto ora con l’infiltrazione dei talebani e di Al Qaida.
Iscriviti a:
Post (Atom)