Dopo due anni di stato di emergenza e di un governo sostenuto dai militari, il Bangladesh tenta di riprendere la via della normalità politica. Circa 81 milioni di elettori, tra cui molti per la prima volta, andranno alle urne domani per ridare al Paese asiatico un governo democratico. Dovranno eleggere 300 dei 345 componenti del parlamento monocamerale di Dacca sciolto nell’ottobre del 2006 quando è giunto a scadenza il mandato della ex premier Khaleda Zia, leader del Partito Nazionale Bangladese (Bnp) che insieme alla sua rivale Sheikh Hasina, dell’Awami League, sono le due “prime donne” che dominano da 20 anni la vita politica. Secondo le previsioni anche queste elezioni, le prime dopo sette anni, saranno dominate dalla battaglia delle due “begum” che sono state scarcerate insieme a molti altri candidati politici colpiti in questi due anni dalla campagna anti corruzione dei militari. Alcuni sondaggi danno in vantaggio la Hasina, che ha formato una “grande alleanza” che include anche il generale Hossain Mohammed Ershad, ex presidente alla fine degli Anni Ottanta e a capo della terza forza politica. Ma secondo altri invece né l’Awami League, né il Bnp della Zia che gode dell’appoggio dei partiti islamici potrebbe conquistare la maggioranza dei seggi.
Il rischio è che il Bangladesh, uno dei Paesi più poveri e corrotti dell’Asia, possa ricadere di nuovo nel caos e nell’instabilità politica come successo prima delle elezioni fissate per il gennaio del 2007 e precedute da settimane di violente proteste popolari e scontri tra i sostenitori delle due formazioni politiche rivali. In particolare all’epoca era stata l’opposizione dell’Awami League ad accusare l’esecutivo ad interim di favorire con brogli elettorali i rivali del Bnp.
Il governo provvisorio dei militari, che ha preso il potere con la promessa di rinnovare la classe politica corrotta, ha schierato 50 mila soldati a protezione dei seggi. Ha anche garantito maggiore trasparenza con la costituzione di una nuova Commissione Elettorale che ha rimosso 11 milioni di nomi “fantasma” dalle liste. Per la prima volta inoltre potranno votare i prigionieri, gli eunuchi e i nomadi, categorie sociali di solito escluse dai più elementari diritti rispetto ai 140 milioni di abitanti.
Avviata due anni fa, la campagna anti corruzione dei militari era stata salutata positivamente dall’opinione pubblica stanca del malaffare e delle sanguinose faide della classe politica. Erano stati arrestati molti rappresentanti politici e uomini d’affari tra cui il figlio della Zia, Tarique Rahman, e avviate anche riforme per garantire l’indipendenza della giustizia. Il tentativo di allontanare le due “prime donne” costringendole all’esilio prima e poi condannandole al carcere non ha avuto l’effetto di indebolire o spaccare i due partiti che continuano a dominare la scena politica in mancanza di una valida alternativa. “Evidentemente i militari non hanno fatto i conti con la popolarità che godono ancora le due donne” spiega Mizanur Rahman Shelley, un’analista interpellato dal sito internet della Bbc. Lo stato di emergenza, le leggi draconiane, la censura dell’informazione – e non da ultimo anche il carovita - hanno costretto il governo provvisorio a fare marcia indietro, a riabilitare i vecchi partiti e a indire elezioni entro la fine dell’anno.
domenica 28 dicembre 2008
venerdì 26 dicembre 2008
Pakistan ricorda Benazir Bhutto tra venti di guerra
E’ festa nazionale oggi in Pakistan per il primo anniversario della morte di Benazir Bhutto, uccisa a Rawalpindi durante un comizio elettorale due mesi dopo il suo ritorno da un lungo esilio. Decine di migliaia di sostenitori del Partito Popolare Pachistano si sono recati al mausoleo della famiglia in un remoto villaggio della provincia meridionale del Sindh per una cerimonia a cui partecipano anche i tre figli e il marito Asif Ali Zardari, che ora è alla guida del Paese. Ad un anno dalla sua scomparsa il Pakistan appare più fragile che mai per via delle minacce dell’integralismo islamico e ora anche per l’escalation politico militare con l’India dopo l’attentato di Mumbai del 26 novembre attribuito alla Lashkar-e-Taiba, un gruppo della jihad pachistana. I rapporti tra le due potenze nucleari si stanno facendo sempre più tesi. E’ di ieri la notizia secondo la quale Islamabad ha deciso di spostare 20 mila soldati dalla frontiera occidentale con il Pakistan a quella orientale con l’India per fronteggiare un’eventuale azione militare che secondo alcune indiscrezioni potrebbe essere nei piani di New Delhi, anche se il premier Manmohan Singh ha escluso di volere una nuova guerra. Nella capitale indiana ieri è arrivato anche il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, uno degli alleati del Pakistan, per tentare di disinnescare una crisi che rischia di destabilizzare l’intera regione e soprattutto di compromettere gli sforzi della Casa Bianca di combattere gli insorti di Al Qaeda e talebani.
Pakistan sposta le truppe verso la frontiera dell'India
Ad un mese esatto dall’attentato terroristico di Mumbai continua a salire la tensione tra India e Pakistan nonostante la pressione della comunità internazionale preoccupata per un’escalation militare che potrebbe destabilizzare l’intera regione sud asiatica. Oggi il ministro degli esteri saudita Saud Al Faisal è arrivato a New Delhi per esprimere il supporto del suo governo che insieme alla Cina è uno degli alleati più stretti dei pachistani. L’India avrebbe le prove certe di un coinvolgimento di un’organizzazione estremiste pachistane nell’attacco del 26 novembre, ma Islamabad continua a negare qualsiasi responsabilità e accusa Delhi di alimentare un clima di “isteria bellica”. Proprio oggi il ministero degli esteri indiano ha raccomandato ai suoi connazionali di non recarsi in Pakistan per motivi di sicurezza. Entrambi i Paesi starebbero per ammassare le truppe al confine. In particolare il Pakistan, che domani ricorda l’anniversario dell’assassinio di Benazir Bhutto, ha cancellato le licenze dei militari e starebbe trasferendo migliaia di soldati dalla frontiera occidentale con l’Afghanistan a quella orientale per fronteggiare un eventuale attacco degli indiani. La manovra potrebbe compromettere la lotta contro i ribelli di Al Qaeda e i talebani che dopo sette anni e enormi sforzi finanziari della casa Bianca è ancora lontana dall’essere vinta.
domenica 21 dicembre 2008
Ratan Tata alla riapertura del Taj Hotel: "non ci faremo mettere al tappeto"
“Ci potranno prendere a pugni, ma non mettere al tappeto”. E’ un Ratan Tata decisamente battagliero quello che oggi pomeriggio ha riaperto la “torre” dell’hotel Taj di Mumbai gravemente danneggiato dall’attacco terroristico del 26 costato la vita a oltre 170 persone. Dopo tre settimane i cinque ristoranti, dove in parte si è consumato il tragico assedio durato 60 ore, hanno riaperto i battenti. Il personale dell’hotel ha detto che stasera hanno fatto il pienone di prenotazioni a dimostrazione di quello che il fondatore del gruppo a cui fa capo la catena Taj ha definito “un grande tributo e un forte segnale della città di Mumbai”. Nello storico hotel-simbolo che sorge sull’estremitá meridionale di Colaba hanno perso la vita in totale 31 persone, tra cui 12 dipedenti e due agenti di sicurezza. A costoro sarà dedicata una scultura bronzea che rappresenta un “Albero della Vita” e che è uno delle pochi pezzi della collezione d’arte non distrutti nell’incendio che si è sprigionato agli ultimi piani sotto la grande cupola. Con la voce rotta dall’emozione, Tata ha poi detto che la torre restaurata sarà “dedicata alle vittime della strage”. Una prima porzione dell’adiacente edificio storico sarà invece riaperta a febbraio, mentre l’intero hotel sarà pronto per la fine dell’anno. “Lo ricostruiremo mattone dopo mattone e lo riporteremo al suo splendore di 100 anni fa ” ha detto ripetendo la promessa che aveva fatto poche ore dopo la fine del blitz delle teste di cuoio, quando si era presentato di fronte in camicia e con gli occhi arrossati per le notti insonni. L’hotel era stato inaugurato dal suo antenato Jamsedji nel 1903 in piena epoca coloniale britannica ed ha quindi un forte valore simbolico per una dinastia che ha segnato la storia industriale dell’India e che oggi ha interessi in tutti i settori, dalle piantagioni di tè fino all’informatica.
Ma quest’anno non è stato particolarmente favorevole per Mister Tata, che dopo aver annunciato all’inizio dell’anno la “mini car” da 2200 dollari, sogno di milioni di indiani, ha dovuto sospendere temporaneamente la produzione a causa delle proteste del movimento contadino del Bengala Occidentale dove doveva sorgere la nuova fabbrica. Dopo è arrivata la crisi economica mondiale che ha fatto vacillare le acquisizioni all’estero, tra cui quella di Jaguar-Land Rover. In tante sventure economiche, la ricostruzione del Taj è anche un modo per prendersi una rivincita e riaffermare lo spirito combattiero dei Tata. E chissa’ forse anche risollevare le sorti di un’India diventata improvvisamente fragile e vulnerabile.
Ma quest’anno non è stato particolarmente favorevole per Mister Tata, che dopo aver annunciato all’inizio dell’anno la “mini car” da 2200 dollari, sogno di milioni di indiani, ha dovuto sospendere temporaneamente la produzione a causa delle proteste del movimento contadino del Bengala Occidentale dove doveva sorgere la nuova fabbrica. Dopo è arrivata la crisi economica mondiale che ha fatto vacillare le acquisizioni all’estero, tra cui quella di Jaguar-Land Rover. In tante sventure economiche, la ricostruzione del Taj è anche un modo per prendersi una rivincita e riaffermare lo spirito combattiero dei Tata. E chissa’ forse anche risollevare le sorti di un’India diventata improvvisamente fragile e vulnerabile.
venerdì 19 dicembre 2008
Intervista a Shashi Tharoor: "Isolare il Pakistan con armi diplomatiche"
Su Apcom
“L’India è uno Stato con un esercito, mentre il Pakistan è un esercito con uno Stato”. Nonostante la sua consumata esperienza di diplomatico ai piani alti del Palazzo di Vetro, Shashi Tharoor non usa certo i guanti di velluto con Islamabad a proposito dell’attentato di Mumbai del 26 novembre costato la vita a oltre 170 persone.
“Fin dall’inizio degli anni 80, il Pakistan ha lanciato una guerra non convenzionale contro l’India sostenendo il terrorismo mussulmano in Kashmir e quello sikh in Punjab. – spiega l’ex sottosegretario alle Nazioni Unite, scrittore ed editorialista - .In tutti questi anni ha creato una sorta di Frankenstein che ora non riesce più a controllare”. L’attacco di Mumbai è stato attribuito a un’organizzazione estremista islamica, la Lashkar-e-Taiba che avrebbe legami con i servizi segreti pachistani dell’Isi. “Non so se l’attentato è stato orchestrato direttamente da qualcuno che occupa una posizione nello Stato oppure da altri elementi a esso legato ma che usano risorse proprie. - aggiunge – Però sta a Islamabad mostrare fermezza contro questo tipo di atti e agire seriamente, non con la duplicità finora mostrata. Sono stato scioccato, per esempio, da come il governo abbia prima annunciato l’invio a Delhi del direttore dell’Isi con un comunicato stampa e poi abbia improvvisamente cambiato idea. Non ci si può evidentemente fidare di persone del genere”.
Tharoor ha espresso questa opinione anche dal podio di un convegno in corso a Delhi organizzato dalla CII, la Confindustria indiana, e dall’Aspen Institute e dedicato a ridisegnare l’immagine di India alla luce della recessione economica mondiale e della nuova crisi con il Pakistan. A questo proposito, la cosiddetta “opzione militare” - che New Delhi ha comunque escluso - sarebbe una “stupidaggine”. Anche se fosse solo bombardare un campo di addestramento nel Kashmir pachistano “costerebbero di più le bombe che la base da distruggere e ne risorgerebbe un’altra il giorno dopo”. Inoltre “provocherebbe una reazione a catena e un conflitto che nessuno è in grado di vincere”. Occorre invece usare il “soft power” e la pressione diplomatica nelle sedi internazionali, tra cui l’Onu, dove ci sono stati importanti “segnali positivi” da parte della Cina che non ha ostacolato la risoluzione di condanna del gruppo caritatevole pachistano Jamaat ud Dawa, sospettato nell’attacco di Mumbai. Secondo il diplomatico indiano, che è stato il candidato rivale di Ban Ki Moon al posto di segretario generale dell’Onu, l’India deve usare tutte le armi diplomatiche in suo possesso per cercare di isolare il Pakistan, compreso il congelamento delle relazioni, le sanzioni economiche e anche la sospensione delle partite di cricket, come già avvenuto con l’annullamento della tournée indiana degli inizi di gennaio.
Il terrore di Mumbai non ha avuto solo ricadute sul processo di pace con Islamabad, ma anche sul comportamento della classe politica “che non può ignorare le proteste della classe media che per la prima volta si è risvegliata dalla sua apatia e ha fatto sentire la sua voce”. L’effetto immediato è stato di sostituire il ministro degli interni con il dinamico economista P. Chidambaram e poi di reintrodurre la legislazione anti terrorismo. Ma non basta. “La classe politica indiana deve uscire dalla sua mediocrità e deve essere rinnovata” spiega Tharoor che sta pensando di entrare in politica partendo dal Kerala, lo stato meridionale dove ha le radici e dove è ritornato dopo New York. Secondo la stampa indiana, sarebbe stato “notato” dalla stessa Sonia Gandhi, leader del partito del Congresso che potrebbe pensare a lui come candidato nelle elezioni legislative della prossima primavera.
“L’India è uno Stato con un esercito, mentre il Pakistan è un esercito con uno Stato”. Nonostante la sua consumata esperienza di diplomatico ai piani alti del Palazzo di Vetro, Shashi Tharoor non usa certo i guanti di velluto con Islamabad a proposito dell’attentato di Mumbai del 26 novembre costato la vita a oltre 170 persone.
“Fin dall’inizio degli anni 80, il Pakistan ha lanciato una guerra non convenzionale contro l’India sostenendo il terrorismo mussulmano in Kashmir e quello sikh in Punjab. – spiega l’ex sottosegretario alle Nazioni Unite, scrittore ed editorialista - .In tutti questi anni ha creato una sorta di Frankenstein che ora non riesce più a controllare”. L’attacco di Mumbai è stato attribuito a un’organizzazione estremista islamica, la Lashkar-e-Taiba che avrebbe legami con i servizi segreti pachistani dell’Isi. “Non so se l’attentato è stato orchestrato direttamente da qualcuno che occupa una posizione nello Stato oppure da altri elementi a esso legato ma che usano risorse proprie. - aggiunge – Però sta a Islamabad mostrare fermezza contro questo tipo di atti e agire seriamente, non con la duplicità finora mostrata. Sono stato scioccato, per esempio, da come il governo abbia prima annunciato l’invio a Delhi del direttore dell’Isi con un comunicato stampa e poi abbia improvvisamente cambiato idea. Non ci si può evidentemente fidare di persone del genere”.
Tharoor ha espresso questa opinione anche dal podio di un convegno in corso a Delhi organizzato dalla CII, la Confindustria indiana, e dall’Aspen Institute e dedicato a ridisegnare l’immagine di India alla luce della recessione economica mondiale e della nuova crisi con il Pakistan. A questo proposito, la cosiddetta “opzione militare” - che New Delhi ha comunque escluso - sarebbe una “stupidaggine”. Anche se fosse solo bombardare un campo di addestramento nel Kashmir pachistano “costerebbero di più le bombe che la base da distruggere e ne risorgerebbe un’altra il giorno dopo”. Inoltre “provocherebbe una reazione a catena e un conflitto che nessuno è in grado di vincere”. Occorre invece usare il “soft power” e la pressione diplomatica nelle sedi internazionali, tra cui l’Onu, dove ci sono stati importanti “segnali positivi” da parte della Cina che non ha ostacolato la risoluzione di condanna del gruppo caritatevole pachistano Jamaat ud Dawa, sospettato nell’attacco di Mumbai. Secondo il diplomatico indiano, che è stato il candidato rivale di Ban Ki Moon al posto di segretario generale dell’Onu, l’India deve usare tutte le armi diplomatiche in suo possesso per cercare di isolare il Pakistan, compreso il congelamento delle relazioni, le sanzioni economiche e anche la sospensione delle partite di cricket, come già avvenuto con l’annullamento della tournée indiana degli inizi di gennaio.
Il terrore di Mumbai non ha avuto solo ricadute sul processo di pace con Islamabad, ma anche sul comportamento della classe politica “che non può ignorare le proteste della classe media che per la prima volta si è risvegliata dalla sua apatia e ha fatto sentire la sua voce”. L’effetto immediato è stato di sostituire il ministro degli interni con il dinamico economista P. Chidambaram e poi di reintrodurre la legislazione anti terrorismo. Ma non basta. “La classe politica indiana deve uscire dalla sua mediocrità e deve essere rinnovata” spiega Tharoor che sta pensando di entrare in politica partendo dal Kerala, lo stato meridionale dove ha le radici e dove è ritornato dopo New York. Secondo la stampa indiana, sarebbe stato “notato” dalla stessa Sonia Gandhi, leader del partito del Congresso che potrebbe pensare a lui come candidato nelle elezioni legislative della prossima primavera.
giovedì 18 dicembre 2008
India e Pakistan, guerra a colpi di cricket
Come sempre la prima vittima delle ripetute crisi di nervi tra India e Pakistan è il cricket, l’ossessione sportiva nazionale dei due paesi che dopo l’attacco di Mumbai, hanno congelato le loro relazioni. Davanti al parlamento riunito per approvare nuove leggi antiterrorismo, il ministro indiano dello sport M.S.Gill ha annunciato ieri la cancellazione di una tournee della squadra nazionale di cricket prevista a partire dagli inizi di gennaio. La decisione, che era già nell’aria da tempo, è stata fortemente criticata dalle autorità sportive di Islamabad. I tornei di cricket tra le due squadre rivali, che hanno un enorme seguito di pubblico, erano ripresi solo nel 2004 dopo una pausa di 14 anni.
Ma non è solo lo sport a far salire la tensione che sembrava smorzata dopo l’intervento della diplomazia americana e britannica. La stampa indiana oggi accusa di doppiogiochismo il governo di Zardari che ieri ha presentato attraverso canali diplomatici ieri una protesta formale per una violazione dello spazio aereo avvenuta la scorsa settimana, definita dallo stesso presidente uno “sconfinamento involontario”. Zardari ha anche smentito a sorpresa la notizia degli arresti domiciliari di Masood Azhar, uno dei principali leader islamici nella lista dei super ricercati presentata da New Delhi. A questo punto molti si chiedono quale sarà la prossima mossa dopo la sospensione del cricket.
Ma non è solo lo sport a far salire la tensione che sembrava smorzata dopo l’intervento della diplomazia americana e britannica. La stampa indiana oggi accusa di doppiogiochismo il governo di Zardari che ieri ha presentato attraverso canali diplomatici ieri una protesta formale per una violazione dello spazio aereo avvenuta la scorsa settimana, definita dallo stesso presidente uno “sconfinamento involontario”. Zardari ha anche smentito a sorpresa la notizia degli arresti domiciliari di Masood Azhar, uno dei principali leader islamici nella lista dei super ricercati presentata da New Delhi. A questo punto molti si chiedono quale sarà la prossima mossa dopo la sospensione del cricket.
martedì 16 dicembre 2008
Sri Lanka, assalto finale a Kilinochchi?
E’ stata una giornata di pesanti combattimenti oggi nella penisola di Jaffna nei pressi delle roccaforti delle Tigri Tamil. Da alcune settimane l’esercito cingalese sta cercando di stringere il cerchio intorno a Kilinochchi, il quartiere generale dei ribelli e ultimo bastione di resistenza. Come sempre, non è possibile verificare indipendentemente il numero delle vittime che secondo un portavoce militare di Colombo sarebbero 145, tra cui 120 guerriglieri. Fonti dei ribelli tamil hanno invece riferito di essere riusciti a respingere l’offensiva governativa dopo 9 ore di battaglia. L’esercito cingalese avrebbe attaccato alcuni villaggi lungo la principale strada che collega il resto del paese con la penisola di Jaffna. In un bombardamento con elicotteri sarebbe stata colpita e distrutta un’imbarcazione delle tigri tamil che portava rinforzi verso Kilinochchi. Sembrerebbe che il governo di Mahinda Rajapaksa sia davvero giunto alla stretta finale per la liberazione del territorio controllato dai guerriglieri tamil. Ma l’accesso ai giornalisti è vietato nell’intera zona dove sono in corso le operazioni militari. E’ quindi difficile dare una valutazione sul successo dell’avanzata. Negli ultimi mesi l’esercito ha conquistato larghe porzioni di territorio nella fascia del nord ovest, ma starebbe incontrando una dura resistenza intorno a Kilinochchi.
Il conflitto, scoppiato dopo la rottura della fragile tregua del 2002, avrebbe causato un esodo della popolazione tamil. Secondo dati di Human Rights Watch almeno 230 mila civili sono stai costretti a lasciare le proprie case.
Il conflitto, scoppiato dopo la rottura della fragile tregua del 2002, avrebbe causato un esodo della popolazione tamil. Secondo dati di Human Rights Watch almeno 230 mila civili sono stai costretti a lasciare le proprie case.
Governo indiano vara nuove leggi anti terrorismo
Su Apcom
A tre settimane dal tragico attacco di Mumbai, l’India ha deciso di varare nuove leggi anti terrorismo e di istituire un’Agenzia Nazionale di Investigazione, una sorta di “super Fbi” per contrastare le minacce alla sovranità e alla sicurezza nazionale. Le nuove misure repressive sono state presentate in parlamento dal neo ministro degli interni P.Chidambaram sotto forma di due decreti legge. Il primo riguarda l’istituzione di una National Investigation Agency (NIA) in grado di operare sul territorio nazionale superando quindi le competenze dei singoli stati indiani, mentre il secondo è un emendamento ad una precedente legislazione anti terrorismo che introduce misure e pene più severe.
Tra le novità c’è la possibilità di creare dei “tribunali speciali” per accelerare i processi contro i sospetti militanti estremisti. Gli inquirenti della NIA avranno ampi poteri nelle inchieste contro gli atti di terrorismo in tutto il territorio nazionale. Il periodo di incarcerazione preventiva è raddoppiato a 180 giorni e non è previsto il rilascio su cauzione per gli imputati stranieri. E’ anche previsto il congelamento dei beni e del conti bancari delle organizzazioni estremiste coinvolte in attacchi terroristici. Inoltre la pena per il possesso di armi è aumentata fino a un massimo di dieci anni.
Tuttavia la decisione, salutata anche dall’opposizione del partito indu-nazionalista del Bjp che aveva accusato il governo di incapacità nella gestione dell’attacco di Mumbai del 26 novembre, avrebbe già sollevato alcune polemiche. Non è infatti chiaro come la nuova Agenzia dovrà coordinarsi con quelle già esistenti, ovvero il Central Bureau of Investigation (CBI) che si occupa di sicurezza interna ed è simile all’americana FBI o all’inglese MI5 e con i servizi segreti della Research and Analysis Wing (RAW) competente lo spionaggio all’estero.
A tre settimane dal tragico attacco di Mumbai, l’India ha deciso di varare nuove leggi anti terrorismo e di istituire un’Agenzia Nazionale di Investigazione, una sorta di “super Fbi” per contrastare le minacce alla sovranità e alla sicurezza nazionale. Le nuove misure repressive sono state presentate in parlamento dal neo ministro degli interni P.Chidambaram sotto forma di due decreti legge. Il primo riguarda l’istituzione di una National Investigation Agency (NIA) in grado di operare sul territorio nazionale superando quindi le competenze dei singoli stati indiani, mentre il secondo è un emendamento ad una precedente legislazione anti terrorismo che introduce misure e pene più severe.
Tra le novità c’è la possibilità di creare dei “tribunali speciali” per accelerare i processi contro i sospetti militanti estremisti. Gli inquirenti della NIA avranno ampi poteri nelle inchieste contro gli atti di terrorismo in tutto il territorio nazionale. Il periodo di incarcerazione preventiva è raddoppiato a 180 giorni e non è previsto il rilascio su cauzione per gli imputati stranieri. E’ anche previsto il congelamento dei beni e del conti bancari delle organizzazioni estremiste coinvolte in attacchi terroristici. Inoltre la pena per il possesso di armi è aumentata fino a un massimo di dieci anni.
Tuttavia la decisione, salutata anche dall’opposizione del partito indu-nazionalista del Bjp che aveva accusato il governo di incapacità nella gestione dell’attacco di Mumbai del 26 novembre, avrebbe già sollevato alcune polemiche. Non è infatti chiaro come la nuova Agenzia dovrà coordinarsi con quelle già esistenti, ovvero il Central Bureau of Investigation (CBI) che si occupa di sicurezza interna ed è simile all’americana FBI o all’inglese MI5 e con i servizi segreti della Research and Analysis Wing (RAW) competente lo spionaggio all’estero.
lunedì 15 dicembre 2008
Fiat rimanda lancio ufficiale della Linea
Il lancio della Linea, la berlina prodotta dalla Fiat nello stabilimento di Ranjangaon, nello stato indiano del Maharashtra, slitterà al prossimo gennaio per via del clima di “sofferenza fisica e emotiva” causata dall’attentato di Mumbai del 26 novembre. “Non ce la sentiamo di celebrare ora un lieto evento come il lancio della Linea – fa sapere in un comunicato Rajiv Kapur, il responsabile della joint venture indiana tra Fiat e Tata - Preferiamo invece annunciare il suo arrivo con la giusta dose di serenitá e ottimismo nel nuovo anno”.
Alla Linea, modello già prodotto in Turchia, sono affidate le sorti del rilancio del Lingotto in India. La produzione era iniziata a fine novembre nella nuova fabbrica di Ranjangoan, vicino a Pune, mentre il lancio ufficiale nei concessionari era previsto per il 16 dicembre. L’obiettivo dichiarato da Kapur durante l’inaugurazione dello stabilimento era di vendere 2500 auto al mese nonostante la forte crisi di consumi che ha colpito l’industria indiana dell’auto.
Alla Linea, modello già prodotto in Turchia, sono affidate le sorti del rilancio del Lingotto in India. La produzione era iniziata a fine novembre nella nuova fabbrica di Ranjangoan, vicino a Pune, mentre il lancio ufficiale nei concessionari era previsto per il 16 dicembre. L’obiettivo dichiarato da Kapur durante l’inaugurazione dello stabilimento era di vendere 2500 auto al mese nonostante la forte crisi di consumi che ha colpito l’industria indiana dell’auto.
Ileana Citaristi, danza, amori e lutti
Su Il Giornale
“Sono venuta qui per studiare la danza Odissi per 12 mesi e ci sono rimasta per 29 anni”. E’ difficile capire se l’India sia stata la vera passione di Ileana Citaristi o solo una semplice fuga da un cognome che è diventato il simbolo dell’era di Tangentopoli. Mentre si trucca prima dello spettacolo organizzato sabato sera dall’Istituto di Cultura Italiano di New Delhi, trova il tempo per sbirciare nel cassetto dei ricordi, ma non c’è traccia della tormentata vicenda del padre Severino Citaristi, il cassiere dell’ex Democrazia Cristiana, famoso per aver battuto il record di avvisi di garanzia dei giudici di Manipulite. Qui in India nessuno lo conosce e Ileana Citaristi è prima di tutto una delle più rinomate danzatrici di Odissi.
Di strada ne ha fatta tanta da quando nel 1978 rimase folgorata dall’esibizione di Krishna Namboodiri, artista di danza Kathakali, in un teatro della sua Bergamo e decise di partire quasi immediatamente per il Kerala, paradiso tropicale all’estremità meridionale dell’India, per inseguire un sogno che aveva fin da piccola e che era stato ostacolato proprio da suo padre. “Ho cominciato danza classica quando avevo 8 anni – racconta - e per tre anni, due volte la settimana, i miei genitori mi hanno mandato a lezione fino a quando decisero che non potevo più andare perché c’erano degli impegni scolastici il pomeriggio. Mi iscrissero invece ad un corso di pattinaggio artistico. Non ho mai avuto il coraggio di ribellarmi, ma ogni volta che vedevo un balletto alla televisione scappavo in camera a piangere”. Il coraggio arriva a 16 anni, anche grazie al primo fidanzato “che mi ha insegnato a camminare con le mie gambe”. Era il Sessantotto e Ileana si immerge nel movimento femminista, fa esperimenti con le droghe e lunghi viaggi in autostop. E s’innamora delle filosofie orientali che studia a Ca Foscari a Venezia e anche della mitologia indiana che è alla base dello stile di danza Odissi, quello praticato dalle “devadasis”, le sacerdotesse del tempio oltre duemila anni fa nello stato nord orientale dell’Orissa, uno dei più affascinanti dell’India, ma anche il più tormentato per via delle violenze tra induisti e la minoranza cristiana. E’ nel capoluogo Bhubaneswar che pianta le sue radici (“ho costruito da sola la mia casa”) dopo una full immersion di ben 6 anni (“non sono mai tornata in Italia”) sotto la guida del suo “guru” di cui ha anche scritto un libro biografico qualche anno fa. Lo studio e la pratica della danza Odissi diventa il suo mestiere tanto che nel 1995 apre una scuola, Art Vision, diventata il perno della sua attività artistica che è culminata nel 2006 con la benemerenza del Padmashri, una sorta di “cavalierato” della Repubblica Indiana. “E’ stato il riconoscimento più importante della mia carriera - continua – e ne sono fiera soprattutto perché sono la prima ballerina straniera ad averlo. Ho dovuto combattere parecchio per farmi largo, ma non mi sono mai tirata indietro. Io sono uno scorpione bergamasco…”. Quando lo ha saputo si trovava al capezzale del padre: “Sono riuscita a dirglielo in tempo prima che perdesse conoscenza. Pochi giorni dopo il funerale sono ripartita per Delhi per ritirare il premio”. Ma poi preferisce cambiare discorso. Ci sono stati tanti lutti nella sua vita. La sorella e il nipotino sono morti in un incidente aereo in Colombia nel 1998 (“sono casi della vita” sospira) e il suo grande amore, Ernesto, è scomparso prematuramente, una perdita che l’ha segnata per sempre. Ma non è un destino per le ballerine essere delle “single”? ”In Italia forse sì – dice – ma qui in India molte sono sposate e hanno anche l’appoggio della famiglia”. Già l’Italia, la patria dimenticata, dove ci viene solo per ballare “e mai più di tre settimane”. Adesso sta preparando uno spettacolo con Carla Fracci (“ho già ballato con lei in due diversi occasioni”) al Teatro Nazionale di Roma per maggio.
E poi rivela che uno dei suoi sogni sarebbe di fondare una scuola di danza Odissi a Milano. “C’è una mia ex allieva italiana che potrebbe gestirla. E’ ora che si apra una scuola perché ci sono tante giovani attirate da questo tipo di danza”. E perché non ci potrebbe andare lei? Spalanca un sorriso: “Forse quando sono vecchia”. Poi aggiunge, sorniona: “ma le ballerine non invecchiano mai…”.
domenica 14 dicembre 2008
Gordon Brown, nuova pressione e soldi al Pakistan
E’ stata una vera e propria missione lampo quella di Gordon Brown ieri prima a New Delhi e poi a Islamabad per una navetta che ha lo scopo di allentare la tensione dopo l’attacco di Mumbai, ma soprattutto quello di convincere il Pakistan a prendere azioni concrete contro i gruppi della jihad. Il premier britannico è stato abbastanza esplicito parlando con il primo ministro indiano Manmohan Singh. “Tre quarti degli attacchi terroristi – ha detto - sono legati a organizzazioni che hanno sede in Pakistan”. Proponendosi come alleato chiave nella lotta al terrorismo, Brown ha poi annunciato un piano congiunto che prevede tra l’altro un finanziamento di 9 milioni di dollari per migliorare i sistemi di sicurezza anti terrorismo e aumentare la protezione negli aeroporti.
E indicativo che nello stesso giorno della missione di Briown, a Delhi sia arrivato anche il senatore democratico John Kerry, stretto collaboratore di Barack Obama. Oggi Kerry incontra la leadership indiana e poi volerà a Islamabad. Il senatore ha detto che una delle priorità della Casa Bianca sará quella di mettere a punto un maxi programma di 15 miliardi di dollari in aiuti, non solo militari, a Islamabad, chiedendo in cambio una radicale trasformazione dell’Isi, il potente servizio segreto pachistano che gli Stati Uniti vorrebbero sotto il controllo del governo e non più dell’esercito.
E indicativo che nello stesso giorno della missione di Briown, a Delhi sia arrivato anche il senatore democratico John Kerry, stretto collaboratore di Barack Obama. Oggi Kerry incontra la leadership indiana e poi volerà a Islamabad. Il senatore ha detto che una delle priorità della Casa Bianca sará quella di mettere a punto un maxi programma di 15 miliardi di dollari in aiuti, non solo militari, a Islamabad, chiedendo in cambio una radicale trasformazione dell’Isi, il potente servizio segreto pachistano che gli Stati Uniti vorrebbero sotto il controllo del governo e non più dell’esercito.
sabato 13 dicembre 2008
Arriva Gordon Brown in missione distensiva post Mumbai
L’India continua a essere al centro dell’attenzione della diplomazia occidentale preoccupata sempre più dall’escalation della tensione con il Pakistan. A una settimana dalla visita lampo del segretario di stato americano Condoleezza Rice, domani arriva a Nuova Delhi il premier britannico Gordon Brown per “consultazioni” con il primo ministro Manmohan Singh in merito alle indagini sul tragico attentato di Mumbai del 26 novembre. Si tratta di una visita “non prevista” per Brown reduce da una missione a sorpresa in Afghanistan dove ha reso omaggio ai quattro militari britannici uccisi ieri in diversi attentati.
Dopo l’assedio di Mumbai, costato la vita a 179 persone, tra cui un cittadino britannico-cipriota, e attribuito al gruppo islamico pachistano Lashkar-e-Taiba, è scattato un allarme rosso a Washington e a Londra, entrambe preoccupate dall’eventualità di un nuovo conflitto indo-pachistano che rischierebbe di destabilizzare la regione e distogliere l’attenzione dalla lotta ai talebani e ad Al Qaeda in corso nelle regioni lungo la impervia frontiera afghano-pachistana. Il governo di Nuova Delhi ha più volte escluso un’azione militare e aspetta di vedere i risultati concreti del “pressing diplomatico” su Islamabad che ha promesso il pugno di ferro contro i presunti responsabili della strage di Mumbai, ma continua a chiedere agli indiani le prove del loro coinvolgimento insistendo che non ci sarebbero indizi sulla presunta nazionalità pachistana degli attentatori. In seguito a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il governo pachistano ha chiuso le sedi dell’associazione benefica Jamaat-ud-Dawa, che si ritiene affiliata al gruppo fuorilegge Lashkar-e-Taiba e ha messo agli arresti domiciliari anche alcuni leader sospettati di essere le “menti” del commando terrorista che per 60 ore ha tenuto d’assedio due hotel e un centro ebraico nel cuore di Mumbai. Ma per l’India non sarebbe sufficiente e proprio oggi Singh, ad un convegno, ha detto che il Pakistan ha il “dovere morale” di combattere il terrorismo.
La tensione è ancora palpabile nonostante un’altra missione “distensiva” della Casa Bianca che dopo la Rice, ha inviato a fare la navetta tra le due potenze rivali il suo vice John Negroponte. I giornali indiani hanno riferito che l’esito della visita di ieri è “strettamente confidenziale” e riguarderebbe le indagini che sono condotte in cooperazione con un team dell’FBI. E’ probabile anche che Negroponte abbia riferito a Nuova Delhi alcuni “messaggi” inviati dalle autorità di Islamabad durante la sua missione di giovedì scorso. La Casa Bianca continua a tenere alta la pressione sul governo di Asif Ali Zardari perché collabori con il governo indiano che ha presentato una lista nera di 40 presunti estremisti da estradare e che considera il Pakistan come “epicentro” del terrorismo islamico. Secondo quanto riferisce oggi il “Times of India”, dopo Negroponte sarà la volta del senatore democratico John Kerry, uno dei consulenti del presidente eletto Barack Obama, a fare da “pompiere” la prossima settimana nel ribollente subcontinente indiano.
Dopo l’assedio di Mumbai, costato la vita a 179 persone, tra cui un cittadino britannico-cipriota, e attribuito al gruppo islamico pachistano Lashkar-e-Taiba, è scattato un allarme rosso a Washington e a Londra, entrambe preoccupate dall’eventualità di un nuovo conflitto indo-pachistano che rischierebbe di destabilizzare la regione e distogliere l’attenzione dalla lotta ai talebani e ad Al Qaeda in corso nelle regioni lungo la impervia frontiera afghano-pachistana. Il governo di Nuova Delhi ha più volte escluso un’azione militare e aspetta di vedere i risultati concreti del “pressing diplomatico” su Islamabad che ha promesso il pugno di ferro contro i presunti responsabili della strage di Mumbai, ma continua a chiedere agli indiani le prove del loro coinvolgimento insistendo che non ci sarebbero indizi sulla presunta nazionalità pachistana degli attentatori. In seguito a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il governo pachistano ha chiuso le sedi dell’associazione benefica Jamaat-ud-Dawa, che si ritiene affiliata al gruppo fuorilegge Lashkar-e-Taiba e ha messo agli arresti domiciliari anche alcuni leader sospettati di essere le “menti” del commando terrorista che per 60 ore ha tenuto d’assedio due hotel e un centro ebraico nel cuore di Mumbai. Ma per l’India non sarebbe sufficiente e proprio oggi Singh, ad un convegno, ha detto che il Pakistan ha il “dovere morale” di combattere il terrorismo.
La tensione è ancora palpabile nonostante un’altra missione “distensiva” della Casa Bianca che dopo la Rice, ha inviato a fare la navetta tra le due potenze rivali il suo vice John Negroponte. I giornali indiani hanno riferito che l’esito della visita di ieri è “strettamente confidenziale” e riguarderebbe le indagini che sono condotte in cooperazione con un team dell’FBI. E’ probabile anche che Negroponte abbia riferito a Nuova Delhi alcuni “messaggi” inviati dalle autorità di Islamabad durante la sua missione di giovedì scorso. La Casa Bianca continua a tenere alta la pressione sul governo di Asif Ali Zardari perché collabori con il governo indiano che ha presentato una lista nera di 40 presunti estremisti da estradare e che considera il Pakistan come “epicentro” del terrorismo islamico. Secondo quanto riferisce oggi il “Times of India”, dopo Negroponte sarà la volta del senatore democratico John Kerry, uno dei consulenti del presidente eletto Barack Obama, a fare da “pompiere” la prossima settimana nel ribollente subcontinente indiano.
giovedì 11 dicembre 2008
Mumbai, catena umana a Colaba per ricordare attacco
Una catena umana per la pace intorno all’hotel Taj Mahal, all’Oberoi-Trident e al centro ebraico di Nariman House nel sud di Mumbai. E’ l’idea lanciata dalla chiesa cattolica indiana per ricordare il tragico attentato del 26 novembre e soprattutto invitare la popolazione di Mumbai all’unità e alla riconciliazione. Alla catena umana, costruita a partire dalle 12 ora locali intorno i principiali obiettivi dell’attacco terroristico, partecipano un centinaio di organizzazioni di altre confessioni e rappresentanti della società civile. E’ prevista anche la partecipazione del nipote del Mahatma, Tushkar Gandhi, di alcuni attori di Bollywood e di diversi intellettuali. Gli organizzatori della Bombay Catholic Sabha, un’associazione laica cattolica, prevedono che nei diversi punti parteciperanno migliaia di persone. Lo slogan è “Stringiamo le mani per l’unità”, mentre in un manifesto sono state formulate anche precise richieste al governo perche prenda misure adeguate per proteggere i propri cittadini e metta in atto un maggiore coordinamento tra le forze di sicurezza. Si chiede anche un’azione per combattere l’estremismo religioso sia in India che in Pakistan, senza però demonizzare nessuna comunità religiosa.
Seondo gli investigatori indiani, l’attacco di Mumbia, costato la vita a oltre 170 persone, è stato compito da un commando di dieci terroristi di nazionalità pachistana affiliati ad un’ organizzazione estremista legata ai servizi segreti di Islamabad.
Seondo gli investigatori indiani, l’attacco di Mumbia, costato la vita a oltre 170 persone, è stato compito da un commando di dieci terroristi di nazionalità pachistana affiliati ad un’ organizzazione estremista legata ai servizi segreti di Islamabad.
Pakistan, l'Onu mette sulla lista nera la Jamaat ud Dawa
Aumenta sempre più la pressione diplomatica sul governo di Islamabad dopo il rifiuto di consegnare i presunti responsabili della strage di Mumbai del 26 novembre. Riuscendo ad ottenere il consenso delle maggiori potenze, inclusa la Cina, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche anche la Jamaat ud Dawa, l’associazione benefica considerata affiliata al gruppo estremista Laskar e taiba, già messo al bando dalle Nazioni Unite fin dal 2005 . Sono state imposte sanzioni anche contro quattro responsabili dell’associazione islamica. Occorrerà vedere ora se Islamabad si adeguerà alla risoluzione del consiglio di Sicurezza. Il governo pachistano, che ha finora arrestato due militanti estremisti sospettati di essere le menti del commando terroristico di Mumbai, ha accusato New Delhi di non voler condividere gli esiti delle indagini. Nonostante la mediazione degli Stati Uniti, il braccio di ferro tra le due potenze nucleari continua. L’India avrebbe presentato una lista nera con i nomi di 40 militanti da estradare, secondo quanto ha detto il ministro degli esteri Pranab Mukherjee nel dibattito parlamentare di stamattina. Il ministro ha però di nuovo escluso che la crisi possa sfociare in un’azione militare.
martedì 9 dicembre 2008
Niente candeline oggi per Sonia Gandhi
E’ stato un compleanno in sordina per Sonia Gandhi, la leader del partito del Congresso, che oggi ha compiuto 62 anni. Come aveva chiesto in segno di solidarietà con le vittime dell’attentato di Mumbai del 26 novembre, non ci sono stati i tradizionali festeggiamenti davanti alla residenza al numero 10 di Janpath, ma solo una fila silenziosa di sostenitori con mazzi di fiori in mano. Gli unici a farle gli auguri di persona sono stati l’economista e neo ministro degli interni P.Chidambaram, chiamato a gestire l’emergenza del terrorismo, e il figlio Rahul Gandhi che è anche il suo delfino politico. La vedova dello statista assassinato Rajiv Gandhi è nata a Orbassano, in provincia di Torino, il 9 dicembre del 1946.
Annullate anche le celebrazioni per la vittoria del Congresso nelle elezioni locali che si sono tenute in sei stati dell’India settentrionale. Nonostante le polemiche sulla sicurezza e la crisi finanziaria in atto, il partito della Gandhi ha trionfato in Rajasthan, Mizoram e nello stato di Delhi dove la leader locale Sheila Dikshit, suo braccio destro, è stata riconfermata per la terza volta.
Il mini test elettorale di dicembre era considerato un banco di prova in vista delle elezioni generali della prossima primavera dove è previsto un duello tra il governo di Manmohan Singh e il partito indù nazionalista del Bjp (Bharatiya Janata Party o Partito del Popolo Indiano) guidato dall’ottuagenario Lal Krishna Advani.
Annullate anche le celebrazioni per la vittoria del Congresso nelle elezioni locali che si sono tenute in sei stati dell’India settentrionale. Nonostante le polemiche sulla sicurezza e la crisi finanziaria in atto, il partito della Gandhi ha trionfato in Rajasthan, Mizoram e nello stato di Delhi dove la leader locale Sheila Dikshit, suo braccio destro, è stata riconfermata per la terza volta.
Il mini test elettorale di dicembre era considerato un banco di prova in vista delle elezioni generali della prossima primavera dove è previsto un duello tra il governo di Manmohan Singh e il partito indù nazionalista del Bjp (Bharatiya Janata Party o Partito del Popolo Indiano) guidato dall’ottuagenario Lal Krishna Advani.
Arresti domiciliari per il capo del gruppo Jaish-e-Mohammed
Su Apcom
Sotto la pressione internazionale, il governo pachistano sta mantenendo fede alle promesse di usare il pugno di ferro contro gli estremisti. Dopo il raid di domenica contro una base del gruppo Lashkar-e-Taiba, i militari pachistani avrebbero messo agli arresti domiciliari il leader e fondatore del gruppo fondamentalista Jaish-e-Muhammed. Si tratta di Maulana Mahsud Azhar, il principale nome nella lista dei 20 super ricercati presentata da Nuova Delhi in seguito all’attacco di Mumbai del 26 novembre. Sarebbe stato confinato nella sua “palazzina di diversi piani” nell’area di Model Town a Bahawalpur, come ha precisato il quotidiano “Dawn” che ha riportato la notizia non confermata ufficialmente dalle autorità pachistane che da ieri sono impegnate in una serie di raid contri presunti terroristi e sospetti campi di addestramento in Kashmir.
In particolare Ahzar è ricercato in India per l’assalto al parlamento di Delhi nel dicembre del 2001 attribuito al gruppo estremista Jaish-e-Muhammad sospettato anche per un tentativo di assassinio dell’ex presidente Pervez Musharraf. L’organizzazione, messa fuorilegge, ma risorta con altri nomi, sarebbe implicata anche nel rapimento e nella barbara uccisione del giornalista americano Daniel Pearl a Karachi.
Il governo di Islamabad non è però disponibile a consegnare il super ricercato a Nuova Delhi. In una risposta ufficiale alla protesta diplomatica presentata la scorsa settimana il presidente Asif Ali Zardari Zardari ha infatti precisato che non esiste trattato di estradizione tra i due Paesi e che quindi non è possibile consegnare i ricercati, tra cui ci sono anche i capi mafia di Mumbai Dawood Ibrahim e Tiger Menon. Non è però escluso che gli investigatori indiani possano partecipare agli interrogatori degli arrestati, come ha fatto intendere il ministro pachistano della difesa Chaudry Ahmed Mukhtar, intervistato da un canale televisivo indiano.
Il gruppo Jaish-e-Muhammad (l’Esercito di Maometto) è stato fondato nel 1994 con l’obiettivo di guidare la guerriglia in Kashmir. Nel 2000 Azhar fu liberato insieme ad altri estremisti da una prigione indiana in cambio dei passeggeri del volo Indian Airlines dirottato da Kathmandu a Kandahar, in Afghanistan, alla fine del 1999. L’operazione sarebbe stata organizzata con l’appoggio dei talebani e di Al Qeada con cui il gruppo avrebbe forti legami.
Intanto ieri l’esercito pachistano ha confermato l’arresto di 20 sospetti militanti della Lashkar-e-Taiba (Armata dei Puri) in un raid condotto vicino a Muzaffarabad, capoluogo del Kashmir pachistano. Tra di loro c’è anche il leader Zakiur Rehman Lakhti, 48 anni, detto “Chachu”, accusato di essere la “mente” dell’attentato di Mumbai. Sarebbe stato lui a tenere i contatti telefonici con il commando di dieci terroristi asserragliati nei due hotel a cinque stelle e nel centro ebraico, secondo quanto ha rivelato agli investigatori indiani Ajmal Amir Kasab, l’unico attentatore catturato vivo e diventato ora una preziosa fonte di informazioni.
La notizia degli arresti domiciliari di Ahzar è però stata accolta con una certa freddezza in India. Secondo alcuni analisti, si tratterebbe di “un’operazione di facciata” di Islamabad che già in passato aveva cercato di bloccare le attività del gruppo Jaish-e-Mohammad che compare anche nella lista “nera” delle organizzazioni terroristiche straniere compilata dal dipartimento di stato americano. Lo stesso Ahzar era stato arrestato nel dicembre del 2001 dopo l’assalto al Parlamento, ma era stato rilasciato un anno dopo da un tribunale di Lahore.
Sotto la pressione internazionale, il governo pachistano sta mantenendo fede alle promesse di usare il pugno di ferro contro gli estremisti. Dopo il raid di domenica contro una base del gruppo Lashkar-e-Taiba, i militari pachistani avrebbero messo agli arresti domiciliari il leader e fondatore del gruppo fondamentalista Jaish-e-Muhammed. Si tratta di Maulana Mahsud Azhar, il principale nome nella lista dei 20 super ricercati presentata da Nuova Delhi in seguito all’attacco di Mumbai del 26 novembre. Sarebbe stato confinato nella sua “palazzina di diversi piani” nell’area di Model Town a Bahawalpur, come ha precisato il quotidiano “Dawn” che ha riportato la notizia non confermata ufficialmente dalle autorità pachistane che da ieri sono impegnate in una serie di raid contri presunti terroristi e sospetti campi di addestramento in Kashmir.
In particolare Ahzar è ricercato in India per l’assalto al parlamento di Delhi nel dicembre del 2001 attribuito al gruppo estremista Jaish-e-Muhammad sospettato anche per un tentativo di assassinio dell’ex presidente Pervez Musharraf. L’organizzazione, messa fuorilegge, ma risorta con altri nomi, sarebbe implicata anche nel rapimento e nella barbara uccisione del giornalista americano Daniel Pearl a Karachi.
Il governo di Islamabad non è però disponibile a consegnare il super ricercato a Nuova Delhi. In una risposta ufficiale alla protesta diplomatica presentata la scorsa settimana il presidente Asif Ali Zardari Zardari ha infatti precisato che non esiste trattato di estradizione tra i due Paesi e che quindi non è possibile consegnare i ricercati, tra cui ci sono anche i capi mafia di Mumbai Dawood Ibrahim e Tiger Menon. Non è però escluso che gli investigatori indiani possano partecipare agli interrogatori degli arrestati, come ha fatto intendere il ministro pachistano della difesa Chaudry Ahmed Mukhtar, intervistato da un canale televisivo indiano.
Il gruppo Jaish-e-Muhammad (l’Esercito di Maometto) è stato fondato nel 1994 con l’obiettivo di guidare la guerriglia in Kashmir. Nel 2000 Azhar fu liberato insieme ad altri estremisti da una prigione indiana in cambio dei passeggeri del volo Indian Airlines dirottato da Kathmandu a Kandahar, in Afghanistan, alla fine del 1999. L’operazione sarebbe stata organizzata con l’appoggio dei talebani e di Al Qeada con cui il gruppo avrebbe forti legami.
Intanto ieri l’esercito pachistano ha confermato l’arresto di 20 sospetti militanti della Lashkar-e-Taiba (Armata dei Puri) in un raid condotto vicino a Muzaffarabad, capoluogo del Kashmir pachistano. Tra di loro c’è anche il leader Zakiur Rehman Lakhti, 48 anni, detto “Chachu”, accusato di essere la “mente” dell’attentato di Mumbai. Sarebbe stato lui a tenere i contatti telefonici con il commando di dieci terroristi asserragliati nei due hotel a cinque stelle e nel centro ebraico, secondo quanto ha rivelato agli investigatori indiani Ajmal Amir Kasab, l’unico attentatore catturato vivo e diventato ora una preziosa fonte di informazioni.
La notizia degli arresti domiciliari di Ahzar è però stata accolta con una certa freddezza in India. Secondo alcuni analisti, si tratterebbe di “un’operazione di facciata” di Islamabad che già in passato aveva cercato di bloccare le attività del gruppo Jaish-e-Mohammad che compare anche nella lista “nera” delle organizzazioni terroristiche straniere compilata dal dipartimento di stato americano. Lo stesso Ahzar era stato arrestato nel dicembre del 2001 dopo l’assalto al Parlamento, ma era stato rilasciato un anno dopo da un tribunale di Lahore.
lunedì 8 dicembre 2008
Pakistan, raid contro basi della Lashkar-e-taiba
Cedendo alle pressioni dell’India e forse anche ad un ultimatum degli Stati Uniti, il governo pachistano sta mantenendo fede alle promesse di usare il pugno di ferro contro gli estremisti. Secondo fonti di stampa, non ufficialmente confermate da Islamabad, l’esercito avrebbe catturato uno dei leader del gruppo islamico sospettato di essere dietro l’attacco di Mumbai del 26 novembre. In un raid, sembra seguito da un conflitto a fuoco, contro un presunto campo di addestramento nel Kashmir pachistano, i militari avrebbero arrestato Zaki ur Rehman Lakvhi insieme ad una decina di altri sospetti militanti. Sarebbe stato in contatto telefonico con il comando terrorista durante l’assedio ai due hotel e al centro ebraico. In realtà la base, che sorge nei pressi di Muzaffarabad, appartiene all’organizzazione benefica Jamaat-ud-Dawa, affiliata con il gruppo estremista fuorilegge Lashkar-e-taiba, l’Armata dei Puri, che avrebbe anche legami con i servizi segreti pachistani.
Bisognerà vedere ora se l’avvenuto raid servirà ad allentare la tensione tra India e Pakistan. New Delhi aveva indicato anche altri nomi di presunti mandanti della strage costata la vita a 171 persone, tra cui oltre 20 stranieri.
Bisognerà vedere ora se l’avvenuto raid servirà ad allentare la tensione tra India e Pakistan. New Delhi aveva indicato anche altri nomi di presunti mandanti della strage costata la vita a 171 persone, tra cui oltre 20 stranieri.
sabato 6 dicembre 2008
Falsa telefonata ha creato crisi tra India e Pakistan?
E’ possibile che la tensione tra India e Pakistan, poi smorzata dalla missione lampo di Condoleezza Rice, sia stata causata da uno scherzo telefonico? E’ quanto ipotizza oggi il quotidiano Dawn con un’inquietante rivelazione confermata dalle autorità pachistane. La sera del 28 novembre, mentre era ancora in corso il blitz contro i terroristi a Mumbai, il presidente Zardari avrebbe ricevuto una falsa telefonata da New Delhi. All’apparecchio era il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee che con toni aggressivi minacciava l’intervento militare. La chiamata non sarebbe passata attraverso i tradizionali canali diplomatici e neppure verificata dall’ufficio presidenziale “vista la gravita della situazione”, spiega il giornale che poi ricostruisce anche le ore febbrili che seguirono l’incidente e l’allarme scattato alla Casa Bianca e in tutte le cancellerie occidentali. Si sta ora cercando di capire la provenienza della telefonata che paradossalmente avrebbe potuto scatenare una nuova guerra tra le due potenze nucleari asiatiche.
Dopo l’intervento della Rice e dei vertici delle forze armate americane, la crisi sembra ora rientrata, anche se rimane una forte pressione sul governo di Islamabad. La Casa Bianca avrebbe dato un ultimatum chiedendo azioni concrete e immediate contro gli integralisti e i campi di addestramento della jihad. Intanto continuano le indagini sull’attacco di Mumbai. La polizia indiana ha arrestato oggi due uomini che avrebbero fornito le carte sim per i telefonini usati dal commando dei 10 terroristi.
Da ND MGC
Dopo l’intervento della Rice e dei vertici delle forze armate americane, la crisi sembra ora rientrata, anche se rimane una forte pressione sul governo di Islamabad. La Casa Bianca avrebbe dato un ultimatum chiedendo azioni concrete e immediate contro gli integralisti e i campi di addestramento della jihad. Intanto continuano le indagini sull’attacco di Mumbai. La polizia indiana ha arrestato oggi due uomini che avrebbero fornito le carte sim per i telefonini usati dal commando dei 10 terroristi.
Da ND MGC
Emanuele Lattanzi: non sono un eroe, ma solo un padre di famiglia
Su Famiglia Cristiana
“Non mi sento un eroe, ma solo un padre di famiglia”. Non si stanca di ripeterlo Emanuele Lattanzi, il cuoco romano che ha sfidato i terroristi per portare il latte alla sua bambina intrappolata con la madre in una camera dell’hotel Trident-Oberoi di Mumbai. Si sta riprendendo dallo shock di quei tre giorni passati sul marciapiede con gli occhi fissi al primo piano di quel palazzone che si specchia nell’Oceano Indiano. E’ ora di ricominciare a vivere, di “ritornare al tran tran quotidiano” come dice sua moglie Lea che è preoccupata perché “ha dovuto fare la parte della dura” e sta ancora aspettando di sciogliersi in lacrime. Ma Emanuele è molto arrabbiato. “Le televisioni hanno tagliato le parti in cui ringraziavo il consolato italiano e le persone che mi hanno aiutato. Non è giusto” si sfoga in questa intervista esclusiva a Famiglia Cristiana interrotta ogni tanto dal pianto della piccola Clarice, nata sei mesi fa a Roma e diventata anche nella lontana India il simbolo della speranza dopo il sanguinoso attentato che ha ucciso quasi 200 persone, tra cui un italiano.
Domanda: come ci si sente nei panni di eroe?
Emanuele: io volevo solo portare il latte alla mia bambina che ormai era stremata dalla fame. Ho fatto quello che farebbero tutti i padri di famiglia. Avevo solo quello in testa, ma ci sono riuscito grazie all’aiuto di altre persone il cui intervento è stato determinante. Però le televisioni italiane e anche il quotidiano indiano “Bombay Mirror” ha tagliato le parti in cui ringraziavo queste persone. Sembra che sia stato solo io a prendermi i meriti.
D. Chi sono?
E. Innanzitutto il presidente della catena alberghiera Oberoi, Ratan Keswani, che mi aggiornava continuamente della situazione all’interno e che quando ho deciso di entrare la mattina del secondo giorno è venuto con me e con le truppe fino alla camera di Lea. Poi il funzionario del consolato Francesco Venti, il mio angelo custode che è sempre stato come me e teneva i contatti telefonici con mia moglie, perché io a un certo punto non ce la facevo più a parlare perché ero troppo sconvolto. Ma ci ha aiutato anche una famiglia che abitava vicino e che ci portava da mangiare e ci caricava i telefonini. E’ un eroe anche il maitre del mio ristorante che ha salvato tre italiani facendoli scappare dalle cucine.
D. Certo però quelle immagini di te che esci trionfante dall’albergo con la piccola Clarice in braccio mostrano un uomo coraggioso…
E. Quando sono uscito pensavo solo a raggiungere la macchina. Quelli con le telecamere mi stavano travolgendo senza pietà, nonostante avessi la bambina in braccio, allora ho cercato di proteggerla con una mano, mentre con l’altra mi facevo largo. Comunque sempre per chiarire la faccenda dell’eroe, bisogna sapere che quando sono andato da mia moglie l’hotel Trident era sicuro al 99%. Le esplosioni e le sparatorie che sentivo erano nell’altra ala dove c’è l’Oberoi.
D. Che cosa hai fatto in quel momento?
E. Loro erano chiusi dentro la camera al primo piano, ma erano stati avvertiti del mio arrivo. Li ho abbracciati e abbiamo subito allattato la bimba che ringraziando Dio è stata molto brava e forte. Dopo qualche ora, ci hanno detto che il blitz era terminato e che potevano uscire.
D. Finito l’incubo e ora?
E. Adesso siamo ospiti di Francesco, ma nei prossimi giorni ritorneremo nell’hotel. Ho già fatto una perlustrazione. Il mio ristorante è rimasto intatto, ma il Tiffin al piano terra è devastato. Hanno ucciso 11 persone dello staff e 35 clienti. Non bisogna farsi prendere dalla paura e comunque ormai penso che in tutto il mondo siamo in pericolo.
Si sentono dei gridolini in sottofondo, Emanuele lascia la cornetta a Lea e va a prendere in braccio la bambina.
Domanda: E vero che non ti è ancora scappata una lacrima?
Lea: Mi preoccupa questo mio stato di calma. Forse è meglio che vado da un dottore, non vorrei avere un crollo psicologico più tardi. Ho dovuto fare la dura anche perché le quattro massaggiatrici indonesiane che erano con me in camera erano in preda al panico. Ho fatto da mamma. Ci vorrà del tempo, ma sono abbastanza abituata ai traumi, anche se non così forti. Ho avuto una gravidanza molto difficile e poi in Sudafrica dove sono nata e dove sono stata fino a 14 anni ero a contatto quotidiano con il terrorismo. Purtroppo riconosco il suono del kalashnikov. A scuola facevano anche dei corsi di addestramenti per fronteggiare gli attacchi terroristici.
D. Cosa dirai a Clarice quando sarà grande?
L. Non molto, non voglio esaltare questi momenti che fanno parte della nostra vita. E’ successo a Londra pochi mesi prima che partissimo, potrebbe succedere in un qualsiasi aeroporto o anche a Roma. Non bisogna darla vinta a questa gente.
D. E’ cambiato ora il rapporto con la bimba?
L. Nessuno potrà dire che non sono più una buona mamma ora! Sono riuscita a farla sopravvivere per due giorni con acqua e nove biscotti al cioccolato pieni di coloranti che spezzettavo nel biberon. Pensare che io mi faccio sempre tanti scrupoli ora che ho iniziato lo svezzamento.
D. E adesso?
L: Io sono in maternità, prima gestivo il marketing dell’hotel de Russie. Considero l’India un passaggio nella carriera di Emanuele. Adesso cerchiamo di riprendere il tran tran quotidiano, ma non abbiamo ancora fatto progetti per il futuro. Sogno di ritornare in Italia magari in un piccolo paesello di provincia dove forse sono al sicuro…
“Non mi sento un eroe, ma solo un padre di famiglia”. Non si stanca di ripeterlo Emanuele Lattanzi, il cuoco romano che ha sfidato i terroristi per portare il latte alla sua bambina intrappolata con la madre in una camera dell’hotel Trident-Oberoi di Mumbai. Si sta riprendendo dallo shock di quei tre giorni passati sul marciapiede con gli occhi fissi al primo piano di quel palazzone che si specchia nell’Oceano Indiano. E’ ora di ricominciare a vivere, di “ritornare al tran tran quotidiano” come dice sua moglie Lea che è preoccupata perché “ha dovuto fare la parte della dura” e sta ancora aspettando di sciogliersi in lacrime. Ma Emanuele è molto arrabbiato. “Le televisioni hanno tagliato le parti in cui ringraziavo il consolato italiano e le persone che mi hanno aiutato. Non è giusto” si sfoga in questa intervista esclusiva a Famiglia Cristiana interrotta ogni tanto dal pianto della piccola Clarice, nata sei mesi fa a Roma e diventata anche nella lontana India il simbolo della speranza dopo il sanguinoso attentato che ha ucciso quasi 200 persone, tra cui un italiano.
Domanda: come ci si sente nei panni di eroe?
Emanuele: io volevo solo portare il latte alla mia bambina che ormai era stremata dalla fame. Ho fatto quello che farebbero tutti i padri di famiglia. Avevo solo quello in testa, ma ci sono riuscito grazie all’aiuto di altre persone il cui intervento è stato determinante. Però le televisioni italiane e anche il quotidiano indiano “Bombay Mirror” ha tagliato le parti in cui ringraziavo queste persone. Sembra che sia stato solo io a prendermi i meriti.
D. Chi sono?
E. Innanzitutto il presidente della catena alberghiera Oberoi, Ratan Keswani, che mi aggiornava continuamente della situazione all’interno e che quando ho deciso di entrare la mattina del secondo giorno è venuto con me e con le truppe fino alla camera di Lea. Poi il funzionario del consolato Francesco Venti, il mio angelo custode che è sempre stato come me e teneva i contatti telefonici con mia moglie, perché io a un certo punto non ce la facevo più a parlare perché ero troppo sconvolto. Ma ci ha aiutato anche una famiglia che abitava vicino e che ci portava da mangiare e ci caricava i telefonini. E’ un eroe anche il maitre del mio ristorante che ha salvato tre italiani facendoli scappare dalle cucine.
D. Certo però quelle immagini di te che esci trionfante dall’albergo con la piccola Clarice in braccio mostrano un uomo coraggioso…
E. Quando sono uscito pensavo solo a raggiungere la macchina. Quelli con le telecamere mi stavano travolgendo senza pietà, nonostante avessi la bambina in braccio, allora ho cercato di proteggerla con una mano, mentre con l’altra mi facevo largo. Comunque sempre per chiarire la faccenda dell’eroe, bisogna sapere che quando sono andato da mia moglie l’hotel Trident era sicuro al 99%. Le esplosioni e le sparatorie che sentivo erano nell’altra ala dove c’è l’Oberoi.
D. Che cosa hai fatto in quel momento?
E. Loro erano chiusi dentro la camera al primo piano, ma erano stati avvertiti del mio arrivo. Li ho abbracciati e abbiamo subito allattato la bimba che ringraziando Dio è stata molto brava e forte. Dopo qualche ora, ci hanno detto che il blitz era terminato e che potevano uscire.
D. Finito l’incubo e ora?
E. Adesso siamo ospiti di Francesco, ma nei prossimi giorni ritorneremo nell’hotel. Ho già fatto una perlustrazione. Il mio ristorante è rimasto intatto, ma il Tiffin al piano terra è devastato. Hanno ucciso 11 persone dello staff e 35 clienti. Non bisogna farsi prendere dalla paura e comunque ormai penso che in tutto il mondo siamo in pericolo.
Si sentono dei gridolini in sottofondo, Emanuele lascia la cornetta a Lea e va a prendere in braccio la bambina.
Domanda: E vero che non ti è ancora scappata una lacrima?
Lea: Mi preoccupa questo mio stato di calma. Forse è meglio che vado da un dottore, non vorrei avere un crollo psicologico più tardi. Ho dovuto fare la dura anche perché le quattro massaggiatrici indonesiane che erano con me in camera erano in preda al panico. Ho fatto da mamma. Ci vorrà del tempo, ma sono abbastanza abituata ai traumi, anche se non così forti. Ho avuto una gravidanza molto difficile e poi in Sudafrica dove sono nata e dove sono stata fino a 14 anni ero a contatto quotidiano con il terrorismo. Purtroppo riconosco il suono del kalashnikov. A scuola facevano anche dei corsi di addestramenti per fronteggiare gli attacchi terroristici.
D. Cosa dirai a Clarice quando sarà grande?
L. Non molto, non voglio esaltare questi momenti che fanno parte della nostra vita. E’ successo a Londra pochi mesi prima che partissimo, potrebbe succedere in un qualsiasi aeroporto o anche a Roma. Non bisogna darla vinta a questa gente.
D. E’ cambiato ora il rapporto con la bimba?
L. Nessuno potrà dire che non sono più una buona mamma ora! Sono riuscita a farla sopravvivere per due giorni con acqua e nove biscotti al cioccolato pieni di coloranti che spezzettavo nel biberon. Pensare che io mi faccio sempre tanti scrupoli ora che ho iniziato lo svezzamento.
D. E adesso?
L: Io sono in maternità, prima gestivo il marketing dell’hotel de Russie. Considero l’India un passaggio nella carriera di Emanuele. Adesso cerchiamo di riprendere il tran tran quotidiano, ma non abbiamo ancora fatto progetti per il futuro. Sogno di ritornare in Italia magari in un piccolo paesello di provincia dove forse sono al sicuro…
giovedì 4 dicembre 2008
Misterosa sparatoria all'aeroporto di Delhi
La situazione all’aeroporto internazionale Indira Gandhi di New Delhi è ritornata normale stamattina dopo la sparatoria avvenuta nella notte nel piazzale davanti agli arrivi. Non è ancora chiara la natura dell’incidente che non ha provocato vittime. La polizia ha escluso che si è trattato di un attentato, ma continua lo stato di allerta nello scalo della capitale e negli altri aeroporti indiani,m in particolare a Bangalore e Chennai. Ieri i servizi segreti hanno avvertito di un possibile attacco dal cielo con modalità simili a quello dell’11 settembre in coincidenza con la giornata di oggi, 6 dicembre, in cui ricorre l’anniversario della distruzione da parte degli estremisti indù della moschea Babri della città di Ayodhya sacra al dio Ram. Nei pressi di siti strategici e luoghi simbolo delle città indiane è stata rafforzata la difesa contraerea. Posti di blocco sono stati organizzati anche nelle strade di New Delhi dove oggi si trova il presidente russo Dmitry Medvedev per l’annuale vertice indo-russo.
Intanto ci sarebbero nuovi indizi di un coinvolgimento del servizio segreto pachistano ISI che rischiano di far salire la tensione tra India e Pakistan. Nel suo incontro con segretario di stato americano Condoleezza Rice il presidente Zardari ha promesso il pugno di ferro contro gli estremisti ma New Delhi aspetta ora di vedere azioni concrete.
Intanto ci sarebbero nuovi indizi di un coinvolgimento del servizio segreto pachistano ISI che rischiano di far salire la tensione tra India e Pakistan. Nel suo incontro con segretario di stato americano Condoleezza Rice il presidente Zardari ha promesso il pugno di ferro contro gli estremisti ma New Delhi aspetta ora di vedere azioni concrete.
Domani vertice indo-russo, accordo nucleare in vista
Nonostante l’emergenza dell’attacco di Mumbai, la diplomazia indiana continua a tessere la sua rete di alleanze politiche e commerciali con le potenze mondiali. Il presidente russo Dmitry Medvedev è arrivato a Nuova Delhi per l’annuale summit indo-russo con il premier Manmohan Singh che si terrà domani. Le relazioni tra i due Paesi, alleati durante la Guerra Fredda e tradizionali partner nella difesa, si sono un po’ raffreddate negli ultimi tempi dopo la controversa vicenda dell’acquisto della vecchia portaerei russa Admiral Gorshkov. Ma l’accordo sul nucleare civile tra India e Usa, concluso lo scorso settembre e che permette l’esportazione di centrali atomiche, apre ora nuovi sbocchi commerciali per Mosca.
Tra le sette intese che saranno firmati dai due leader, il più importante è infatti quello sulla cooperazione in materia di energia nucleare. L’intesa era già pronta un anno fa, ma non poteva essere conclusa perché mancava il via libera dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e del Nuclear Suppliers Group, il club dei Paesi fornitori di tecnologia nucleare. Ora che New Delhi – dopo tre decenni di isolamento internazionale – è entrata a pieno titolo nella ristretta cerchia di potenze nucleari legittime, possono essere siglate le intese bilaterali come è già successo per la Francia e gli Stati Uniti. In base all’accordo indo-russo che sarà firmato domani, il gruppo pubblico Rosatom potrà partecipare alle gare per la costruzione di impianti nucleari. Il mercato indiano è molto appetitoso perché prevede di aumentare la capacità di 40 mila megawatt entro il 2020 al fine di ridurre per quella data la sua dipendenza dagli idrocarburi e alleviare la pressione sul clima. Lo scorso gennaio Mosca aveva già deciso di fornire 4 nuovi reattori per la grande centrale di Kudankulam, nel sud dell’India, che si vanno ad aggiungere ai due già costruiti grazie ai russi.
Secondo stime, l’India prevede di acquistare tecnologia nucleare per 14 miliardi di dollari il prossimo anno e in corsa per gli appalti oltre i colossi americani come General Electric e Westinghouse (Toshiba) ci sono anche la società francese Areva e la russa Rosatom.
I due paesi sigleranno anche un’intesa sulla cooperazione in materia di antiterrorismo, che alla luce della strage di Mumbai attribuita a un gruppo pachistano vicino ad Al Qaeda, potrebbe avere una valenza particolare. Questa è la prima visita ufficiale di Medvedev e coincide con un periodo difficile per il governo di Singh sotto pressione sul fronte interno per l’emergenza terrorismo e anche per via della recessione mondiale che sta colpendo l’industria e i consumi della classe media indiana. L’interscambio indo-russo sta però andando a gonfie vele. E’ salito di oltre il 40 per cento nei primi nove mesi del 2008.
Tra le sette intese che saranno firmati dai due leader, il più importante è infatti quello sulla cooperazione in materia di energia nucleare. L’intesa era già pronta un anno fa, ma non poteva essere conclusa perché mancava il via libera dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e del Nuclear Suppliers Group, il club dei Paesi fornitori di tecnologia nucleare. Ora che New Delhi – dopo tre decenni di isolamento internazionale – è entrata a pieno titolo nella ristretta cerchia di potenze nucleari legittime, possono essere siglate le intese bilaterali come è già successo per la Francia e gli Stati Uniti. In base all’accordo indo-russo che sarà firmato domani, il gruppo pubblico Rosatom potrà partecipare alle gare per la costruzione di impianti nucleari. Il mercato indiano è molto appetitoso perché prevede di aumentare la capacità di 40 mila megawatt entro il 2020 al fine di ridurre per quella data la sua dipendenza dagli idrocarburi e alleviare la pressione sul clima. Lo scorso gennaio Mosca aveva già deciso di fornire 4 nuovi reattori per la grande centrale di Kudankulam, nel sud dell’India, che si vanno ad aggiungere ai due già costruiti grazie ai russi.
Secondo stime, l’India prevede di acquistare tecnologia nucleare per 14 miliardi di dollari il prossimo anno e in corsa per gli appalti oltre i colossi americani come General Electric e Westinghouse (Toshiba) ci sono anche la società francese Areva e la russa Rosatom.
I due paesi sigleranno anche un’intesa sulla cooperazione in materia di antiterrorismo, che alla luce della strage di Mumbai attribuita a un gruppo pachistano vicino ad Al Qaeda, potrebbe avere una valenza particolare. Questa è la prima visita ufficiale di Medvedev e coincide con un periodo difficile per il governo di Singh sotto pressione sul fronte interno per l’emergenza terrorismo e anche per via della recessione mondiale che sta colpendo l’industria e i consumi della classe media indiana. L’interscambio indo-russo sta però andando a gonfie vele. E’ salito di oltre il 40 per cento nei primi nove mesi del 2008.
Sonia Gandhi, niente compleanno per solidarietà con vittime attacco di Mumbai
Niente festa di compleanno per Sonia Gandhi, la leader del Congresso che il 9 dicembre prossimo compirà 62 anni. L’italo-indiana, che guida la coalizione di centro-sinistra al potere in India, ha deciso di rinunciare alle candeline sulla torta in solidarietà con le vittime del gravissimo attacco terroristico di Mumbai del 26 novembre costato la vita ad almeno 171 persone, tra cui una trentina di stranieri.
Era già successo tre anni fa che la Gandhi aveva annullato i festeggiamenti che tradizionalmente si svolgono in fronte alla sua residenza al numero 10 di Janpath dove i suoi sostenitori organizzano danze e spettacoli. All’epoca aveva trascorso il compleanno con i senzatetto del Kashmir colpiti dal terremoto dell’ottobre 2005.
Parlando della tensione tra India e Pakistan e del rischio di un’escalation militare, la Gandhi ha detto oggi che l’India “vuole la pace con i suoi vicini, ma non questo non deve essere interpretato come un segno di debolezza”. La leader ha tenuto un comizio in Kashmir, vicino alla linea di demarcazione, dove in queste settimane è in corso il voto per il rinnovo del parlamento locale.
Era già successo tre anni fa che la Gandhi aveva annullato i festeggiamenti che tradizionalmente si svolgono in fronte alla sua residenza al numero 10 di Janpath dove i suoi sostenitori organizzano danze e spettacoli. All’epoca aveva trascorso il compleanno con i senzatetto del Kashmir colpiti dal terremoto dell’ottobre 2005.
Parlando della tensione tra India e Pakistan e del rischio di un’escalation militare, la Gandhi ha detto oggi che l’India “vuole la pace con i suoi vicini, ma non questo non deve essere interpretato come un segno di debolezza”. La leader ha tenuto un comizio in Kashmir, vicino alla linea di demarcazione, dove in queste settimane è in corso il voto per il rinnovo del parlamento locale.
mercoledì 3 dicembre 2008
Condi Rice a Islamabad: risposta forte contro terrorismo
In onda su Radio Vaticana
Condoleezza Rice, a Islamabad per la seconda tappa di una navetta diplomatica tra India e Pak, ha chiesto al governo una risposta forte al terrorismo che ha colpito Mumbai una settimana fa. Uscendo dall’incontro con il presidente Asif Ali Zardari, il segretario di stato americano, ha detto di che Islamabad è in contatto con le autorità indiane e che ha offerto la sua collaborazione a collaborare nelle indagini. La Rice, ieri da Delhi aveva esortato il Pakistan “a collaborare pienamente e in modo trasparente” per fronteggiare la minaccia del terrorismo e aveva detto che il messaggio era già stato consegnato alla leadership pachistana. La Casa Bianca si aspetta dall’alleato pachistano delle nuove rassicurazioni in merito all’ impegno di smantellare i campi della jihad da cui arriverebbero anche i terroristi del commando che ha assediato per tre giorni due hotel e un centro ebraico nel cuore di Mumbai. Gli Stati Uniti sono preoccupati in particolare dall’eventuale escalation della crisi tra le due potenze nucleari che potrebbe distogliere l’attenzione dalla caccia ai talebani e ad Al Qaeda. La missione lampo della Rice è condotta in parallelo ma in senso opposto con quella del numero uno delle forze americane, l’ammiraglio Mike Mullen, che oggi è arrivato a Delhi proveniente da Islamabad , dove ha chiesto al governo un’azione decisa contro gli estremisti.
Condoleezza Rice, a Islamabad per la seconda tappa di una navetta diplomatica tra India e Pak, ha chiesto al governo una risposta forte al terrorismo che ha colpito Mumbai una settimana fa. Uscendo dall’incontro con il presidente Asif Ali Zardari, il segretario di stato americano, ha detto di che Islamabad è in contatto con le autorità indiane e che ha offerto la sua collaborazione a collaborare nelle indagini. La Rice, ieri da Delhi aveva esortato il Pakistan “a collaborare pienamente e in modo trasparente” per fronteggiare la minaccia del terrorismo e aveva detto che il messaggio era già stato consegnato alla leadership pachistana. La Casa Bianca si aspetta dall’alleato pachistano delle nuove rassicurazioni in merito all’ impegno di smantellare i campi della jihad da cui arriverebbero anche i terroristi del commando che ha assediato per tre giorni due hotel e un centro ebraico nel cuore di Mumbai. Gli Stati Uniti sono preoccupati in particolare dall’eventuale escalation della crisi tra le due potenze nucleari che potrebbe distogliere l’attenzione dalla caccia ai talebani e ad Al Qaeda. La missione lampo della Rice è condotta in parallelo ma in senso opposto con quella del numero uno delle forze americane, l’ammiraglio Mike Mullen, che oggi è arrivato a Delhi proveniente da Islamabad , dove ha chiesto al governo un’azione decisa contro gli estremisti.
E' riuscita Condi Rice a disinnescare la crisi con il Pakistan?
Su Apcom
Almeno per ora Condoleezza Rice sembra essere riuscita nel suo intento di disinnescare la miccia che rischiava di far esplodere l’ennesima crisi tra India e Pakistan con pesanti conseguenze per gli equilibri regionali e soprattutto per la lotta ad Al Qaida e ai talebani in corso in Afghanistan e nel nord ovest pachistano. Il segretario di stato americano, che nel tardo pomeriggio ha incontrato il suo omologo indiano Pranab Mukherjee, ha rassicurato Nuova Delhi su due fronti. Il primo è quello della collaborazione nelle indagini sull’attacco di una settimana fa costato la vita a oltre 170 persone e attribuito al gruppo estremista Lashkar-e-Taiba legato ai servizi segreti pachistani. “L’India non è sola in questa lotta – ha detto – ma ha il supporto di molti amici” i quali “hanno sofferto per lo stesso problema”. Il terrorismo è una minaccia globale che richiede una risposta globale sia per assicurare alla giustizia i responsabili che per prevenire nuove azioni. Sul fronte della presunta pista pachistana (“Non abbiamo dubbi che i responsabili provengono e sono guidati dal Pakistan” ha affermato Mukherjee), la Rice ha detto di aver ricevuto dal presidente Zardari “l’impegno a collaborare ”. Il capo della diplomazia statunitense incontrerà solo domani la leadership pachistana, ma “il messaggio è già stato consegnato”. Il Pakistan “avrebbe una speciale responsabilità” nella prevenzione degli attentati e “deve cooperare in modo totale e trasparente”. E’ interessante sottolineare che in tandem con la Rice si è svolta anche una missione in Pakistan dell’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore delle forze americane che ha invitato i pachistani ad agire in modo più efficace contro le forze fondamentaliste.
In un’intervista alla Cnn il vedovo di Benazir Bhutto aveva detto di non essere disponibile a consegnare i 20 sospetti terroristi richiesti da Nuova Delhi. Finora Islamabad ha sempre respinto ogni coinvolgimento del suo Paese nella strage di una settimana fa e sostiene di non avere avuto nessun indizio. Non è chiaro quale tipo di “azione concreta” potrà prendere per mostrare la sua buona fede a Delhi e scongiurare una nuova crisi che potrebbe sfociare in un’escalation militare come quella del 2002 scoppiata in seguito all’attentato al Parlamento di Delhi e disinnescata dall’ex segretario di stato americano Colin Powell. Alla conferenza stampa congiunta il ministro Mukherjee - in risposta alla domanda su un’eventuale “opzione militare” - ha detto che “ogni futura azione dipenderà dalla risposta che riceverà da Islamabad” dopo le proteste ufficiali presentate per canali diplomatici e la lista con i 20 super ricercati, già presentata in passato e che contiene i nomi dei responsabili di molti attentati, tra cui quello del 1993 al distretto finanziario di Mumbai. Dopo di che “il governo indiano si riserva di prendere ogni misura necessaria per proteggere la propria sovranità territoriale e la sicurezza dei propri cittadini”. Nonostante gli allarmismi della stampa di questi giorni, non ci sarebbero stati finora movimenti di truppe lungo il confine. Islamabad aveva minacciato di dislocare 100 mila militari dal confine afghano a quello indiano se ce ne fosse stato bisogno, un’ipotesi che significava sguarnire il fronte della battaglia contro i militanti di Al Qaeda e i talebani nascosti nelle regioni a etnia pashtun nelle impervie zone di frontiera del nord-ovest. E’ una possibilità che la Casa Bianca, sia con Bush che con Barack Obama, non si può assolutamente permettere ora che cerca di aumentare la pressione militare in Afghanistan. A questo proposito la Rice - che “non pensava più di ritornare in India nella veste di segretario di stato” - ha lanciato un avvertimento anche all’India invitando a non prendere azioni “che possano produrre effetti o conseguenze non previsti”. Per ora sembra che la “pompiera” Rice sia riuscita a raffreddare gli animi, ma bisognerà aspettare nei prossimi giorni se il pericolo è davvero scampato.
Rice a Delhi: "il Pakistan deve collaborare"
In onda su Radio Svizzera Italiana
E’ stato un segnale chiaro quello che Condoleezza Rice ha inviato a New Delhi con la sua missione lampo mirata a smorzare la tensione tra India e Pakistan dopo il grave attacco di Mumbai di una settimana fa. La segretaria di stato americano ha voluto rassicurare la leadership indiana su due fronti: il primo è che gli Stati Uniti aiuteranno l’India nelle indagini per assicurare i responsabili alla giustizia. “L’India non è sola in questa battaglia ma ha il supporto di molti amici che hanno sofferto per lo stesso problema” ha detto nella conferenza stampa con il suo omologo indiano Pranab Mukerjee. Sul secondo fronte invece, quello che riguarda la presunta pista pachistana, ha assicurato che Islamabad ha già ricevuto il messaggio e che si è impegnato a offrire “una collaborazione totale e trasparente”.. La Rice non ha però precisato quale tipo di promesse ha avuto dal presidente pachistano Asif Ali Zardari che ha finora respinto le accuse di coinvolgimento del proprio Paese e che ha già detto di no alla richiesta formulata da New Delhi di consegnare 20 sospetti terroristi. A chi gli chiedeva se l’opzione militare è una possibilità il ministro Mukerjee ha replicato che ora si aspetta una risposta da Islamabad e sulla base di questa, sono le sue parole “prenderà le misure necessarie per proteggere la propria integrità territoriale e la sicurezza dei propri cittadini”.
E’ stato un segnale chiaro quello che Condoleezza Rice ha inviato a New Delhi con la sua missione lampo mirata a smorzare la tensione tra India e Pakistan dopo il grave attacco di Mumbai di una settimana fa. La segretaria di stato americano ha voluto rassicurare la leadership indiana su due fronti: il primo è che gli Stati Uniti aiuteranno l’India nelle indagini per assicurare i responsabili alla giustizia. “L’India non è sola in questa battaglia ma ha il supporto di molti amici che hanno sofferto per lo stesso problema” ha detto nella conferenza stampa con il suo omologo indiano Pranab Mukerjee. Sul secondo fronte invece, quello che riguarda la presunta pista pachistana, ha assicurato che Islamabad ha già ricevuto il messaggio e che si è impegnato a offrire “una collaborazione totale e trasparente”.. La Rice non ha però precisato quale tipo di promesse ha avuto dal presidente pachistano Asif Ali Zardari che ha finora respinto le accuse di coinvolgimento del proprio Paese e che ha già detto di no alla richiesta formulata da New Delhi di consegnare 20 sospetti terroristi. A chi gli chiedeva se l’opzione militare è una possibilità il ministro Mukerjee ha replicato che ora si aspetta una risposta da Islamabad e sulla base di questa, sono le sue parole “prenderà le misure necessarie per proteggere la propria integrità territoriale e la sicurezza dei propri cittadini”.
martedì 2 dicembre 2008
Condoleezza Rice a Delhi per calmare la tensione con Pakistan
Mentre si rafforza la pista pachistana dell’attacco di Mumbai, Condoleeza Rice è arrivata a New Delhi con la missione di disinnescare la tensione tra India e Pakistan che potrebbe destabilizzare l’intera regione in un momento particolarmente delicato per la lotta contro il terrorismo islamico. La segretaria di stato intende esprimere la solidarietà e il supporto degli Stati Uniti al governo di Manmohan Singh, che si trova sotto una forte pressione sul fronte interno e che ieri ha lanciato un nuovo diktat a Islamabad per la consegna di 20 super ricercati. Ma non solo. La Casa Bianca è molto preoccupata da un eventuale dispiegamento delle truppe pachistane dal confine afghano a quello indiano sul versante kashmiro. Alcuni commentatori ipotizzano che l’attentato abbia avuto come obiettivo proprio quello di allentare la pressione sulle turbolente zone a cavallo del confine afgano-pachistano, dove sarebbero raggruppati i militanti di Al Qaeda e i talebani. Inoltre di recente il nuovo governo democratico di Asif Ali Zardari aveva mostrato delle aperture verso una soluzione del lungo conflitto in Kashmir dove dal 2003 è in vigore un cessate il fuoco. Adesso si sono rimescolate di nuovo le carte nella polveriera del sud dell’Asia. Dopo Delhi, la Rice volerà ad Islamabad dove si aspetta delle azioni concrete da parte del governo di Zardari che continua pero a negare ogni coinvolgimento del suo paese nell’attacco di Mumbai costato la vista a oltre 170 persone, tra cui americani e israeliani.
lunedì 1 dicembre 2008
Strage di Mumbai, arriva Condoleezza Rice
In onda su Radio Svizzera
La possibile escalation della tensione tra India e Pakistan dopo l’attacco terroristico di Mumbai ha fatto scattare un campanello di allarme nelle cancellerie occidentali. Mentre New Delhi ieri ha convocato l’ambasciatore pachistano per una dèmarche ufficiale, il presidente uscente Bush ha deciso di inviare la segretario di stato Condoleezza Rice per cercare di allentare la tensione che rischia di nuovo di infiammare la regione sud asiatica con prevedibili conseguenze sulla caccia ai talebani e ad AlQaeda in corso nel nord ovest del Pakistan. Da Londra dove si trovava ieri, la Rice ha aumentato la pressione su Islamabad chiedendo la piena collaborazione per fermare i terroristi e chiudere i campi di addestramenti della jihad da cui arriverebbero anche gli autori dell’assalto a Mumbai costato la vita a oltre 170 persone, tra cui 5 americani. Gli investigatori avrebbero le prove che gli attentatori appartengono alla Lashkar e Taiba, un noto gruppo estremista che ha base in Pakistan. Il presidente Asif Ali Zardari, vedovo della leader Benazir Bhutto uccisa in un attentato, ha negato ogni coinvolgimento e ha detto che gli autori della strage erano attori-non-statali. Ma il governo di Manmohan Singh, che in primavera deve affrontare le elezioni, vuole fatti concreti e avrebbe presentato a Islamabad una lista di richieste tra cui la consegna di alcuni super ricercati come il capomafia Dawood Ibrahim e il capo della Lashkar e Taiba Hafeez Sayeed.
La possibile escalation della tensione tra India e Pakistan dopo l’attacco terroristico di Mumbai ha fatto scattare un campanello di allarme nelle cancellerie occidentali. Mentre New Delhi ieri ha convocato l’ambasciatore pachistano per una dèmarche ufficiale, il presidente uscente Bush ha deciso di inviare la segretario di stato Condoleezza Rice per cercare di allentare la tensione che rischia di nuovo di infiammare la regione sud asiatica con prevedibili conseguenze sulla caccia ai talebani e ad AlQaeda in corso nel nord ovest del Pakistan. Da Londra dove si trovava ieri, la Rice ha aumentato la pressione su Islamabad chiedendo la piena collaborazione per fermare i terroristi e chiudere i campi di addestramenti della jihad da cui arriverebbero anche gli autori dell’assalto a Mumbai costato la vita a oltre 170 persone, tra cui 5 americani. Gli investigatori avrebbero le prove che gli attentatori appartengono alla Lashkar e Taiba, un noto gruppo estremista che ha base in Pakistan. Il presidente Asif Ali Zardari, vedovo della leader Benazir Bhutto uccisa in un attentato, ha negato ogni coinvolgimento e ha detto che gli autori della strage erano attori-non-statali. Ma il governo di Manmohan Singh, che in primavera deve affrontare le elezioni, vuole fatti concreti e avrebbe presentato a Islamabad una lista di richieste tra cui la consegna di alcuni super ricercati come il capomafia Dawood Ibrahim e il capo della Lashkar e Taiba Hafeez Sayeed.
Strage di Mumbai, India convoca ambasciatore pachistano
In onda su Radio Vaticana
Mentre si infittisce il giallo sul numero dei terroristi che hanno tenuto d’assedio Mumbai per tre giorni, continua a salire la tensione diplomatica tra India e Pakistan. Il governo indiano ha oggi convocato l’’ambasciatore pachistano per consegnargli la protesta ufficiale di New Delhi. Gli investigatori avrebbero le prove di un coinvolgimento del gruppo estremista pachistano Lashkar-e-Taiba, legato ad al Qaeda e già sospettato di precedenti attentati. Finora il governo pachistano ha respinto le accuse e ha promesso piena collaborazione. In un’intervista il presidente Asif Ali Zardari ha detto che i responsabili delle stragi non hanno nessun rapporto con le istituzioni di Islamabad. Ma il governo di Manmohan Singh, che il prossimo anno cerca una conferma nelle elezioni generali, sembra intenzionato a flettere i muscoli e ha minacciato di sospendere il processo di pace avviato 4 anni fa.
La possibile escalation militare preoccupa la Casa Bianca che nei prossimi giorni invierà a New Delhi Condoleezza Rice che si trova in Europa, Il capo della diplomazia statunitense oggi ha esortato il Pakistan a collaborare con l’India per trovare i responsabili dell’attacco del 26 novembre costato la vita a oltre 170 persone, tra cui una ventina di stranieri.
Mentre si infittisce il giallo sul numero dei terroristi che hanno tenuto d’assedio Mumbai per tre giorni, continua a salire la tensione diplomatica tra India e Pakistan. Il governo indiano ha oggi convocato l’’ambasciatore pachistano per consegnargli la protesta ufficiale di New Delhi. Gli investigatori avrebbero le prove di un coinvolgimento del gruppo estremista pachistano Lashkar-e-Taiba, legato ad al Qaeda e già sospettato di precedenti attentati. Finora il governo pachistano ha respinto le accuse e ha promesso piena collaborazione. In un’intervista il presidente Asif Ali Zardari ha detto che i responsabili delle stragi non hanno nessun rapporto con le istituzioni di Islamabad. Ma il governo di Manmohan Singh, che il prossimo anno cerca una conferma nelle elezioni generali, sembra intenzionato a flettere i muscoli e ha minacciato di sospendere il processo di pace avviato 4 anni fa.
La possibile escalation militare preoccupa la Casa Bianca che nei prossimi giorni invierà a New Delhi Condoleezza Rice che si trova in Europa, Il capo della diplomazia statunitense oggi ha esortato il Pakistan a collaborare con l’India per trovare i responsabili dell’attacco del 26 novembre costato la vita a oltre 170 persone, tra cui una ventina di stranieri.
Strage di Mumbai, sale la tensione con il Pakistan
Su Il Giornale
La prima vittima della nuova crisi di nervi tra India e Pakistan è stato come sempre il cricket. Un torneo, previsto a gennaio a Islamabad, è saltato lasciando a bocca asciutta milioni di sportivi. Le partite tra le due squadre nazionali erano riprese solo nel 2004 dopo un intervallo di 15 anni.
La strage di Mumbai, attribuita a elementi della jihad pachistana, sta causando un terremoto politico e diplomatico con scosse ondulatorie che si propagano anche a Washington. Se la tensione dovesse salire oltre la soglia di guardia, il Pakistan è pronto a dislocare le sue truppe dal confine occidentale aghano a quello orientale indiano o meglio kashmiro dove da quattro anni vige il cessate il fuoco. Se si dovesse realizzare questa ipotesi, significherebbe un indebolimento della lotta ai talebani e Al Qaeda condotta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati in Afghanistan e da qualche mese anche a cavallo del confine con l’uso di aerei droni della Cia. Per la nuova amministrazione entrante di Barack Obama sarebbe imperativo avere la coordinazione di India, Pakistan e Afghanistan per stabilizzare la regione e vincere la guerra contro i talebani. Un’escalation militare tra le due potenze nucleari, come quella disinnescata nel giugno del 2002, è uno scenario assolutamente da evitare per la Casa Bianca.
Mentre a Mumbai si contano ancora i morti, che sono scesi a 174 e monta la rabbia della piazza contro l’inefficienza del governo, l’India insiste sulla pista pachistana emersa dall’interrogatorio dell’unico attentatore sopravvissuto al blitz, Azam Amir Kasab e da altri indizi tra cui un telefonino satellitare con numeri di Karachi. Anche l’intelligence americana avrebbe confermato il coinvolgimento del gruppo islamico filo pachistano Lashkar-e-Taiba. Il governo di Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto assassinata dagli integralisti ha respinto le accuse e ha invitato New Delhi, che avrebbe già rafforzato la difesa aerea al confine, a “non reagire in modo eccessivo”. La sensazione è che gli sviluppi dei prossimi giorni “saranno cruciali per le relazioni tra i due Paesi”, come ha ammesso un funzionario pachistano.
Il governo di Manmohan Singh, che il prossimo anno va alle elezioni con la spada di Damocle di una recessione economica, ha più che mai bisogno di mostrare i muscoli sia sul fronte interno che esterno. Sotto pressione per le polemiche dei giornali e anche per l’opposizione del centro destra guidata dal Bjp, il Partito Popolare Indiano, oggi ha silurato il ministro degli interni Shrivaj Patil, la cui poltrona era già traballante dopo gli attentati a catena di settembre a New Delhi in cui era stato accusato di pensare più al suo guardaroba (era stato fotografato in tre cerimonie con tre abiti diversi) che alla sicurezza dei cittadini. E’ stato sostituito con Palaniappan Chidambaram, il brillante ministro delle finanze laureato ad Harvard, che fa parte del “dream team” del miracolo economico indiano. Con le sue dimissioni Patil ha detto di “assumersi la responsabilità morale” di quanto accaduto. Altre teste potranno cadere nei prossimi giorni, tra cui il capo dello stato del Maharashtra, dove sorge Mumbai.
In discussione ad un vertice di maggioranza convocato ieri sera ci sarebbe anche il varo di una nuova legge anti terrorismo e la costituzione di una sorta di Fbi indiano che permetta la coordinazione tra le varie intelligence. La possibilità di un attacco terroristico via mare sarebbe stato previsto dai servizi segreti, ma l’allarme era caduto nel vuoto. A confermare l’indiscrezione è stato lo stesso Ratan Tata, che possiede lo storico hotel Taj Mahal Palace, in un’intervista a una televisione indiana. “Avevamo potenziato la sicurezza all’ingresso principale e impedita la sosta delle auto sotto il porticato – ha detto l’industriale – ma gli attentatori si sono intrufolati da un accesso di servizio secondario”.
La prima vittima della nuova crisi di nervi tra India e Pakistan è stato come sempre il cricket. Un torneo, previsto a gennaio a Islamabad, è saltato lasciando a bocca asciutta milioni di sportivi. Le partite tra le due squadre nazionali erano riprese solo nel 2004 dopo un intervallo di 15 anni.
La strage di Mumbai, attribuita a elementi della jihad pachistana, sta causando un terremoto politico e diplomatico con scosse ondulatorie che si propagano anche a Washington. Se la tensione dovesse salire oltre la soglia di guardia, il Pakistan è pronto a dislocare le sue truppe dal confine occidentale aghano a quello orientale indiano o meglio kashmiro dove da quattro anni vige il cessate il fuoco. Se si dovesse realizzare questa ipotesi, significherebbe un indebolimento della lotta ai talebani e Al Qaeda condotta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati in Afghanistan e da qualche mese anche a cavallo del confine con l’uso di aerei droni della Cia. Per la nuova amministrazione entrante di Barack Obama sarebbe imperativo avere la coordinazione di India, Pakistan e Afghanistan per stabilizzare la regione e vincere la guerra contro i talebani. Un’escalation militare tra le due potenze nucleari, come quella disinnescata nel giugno del 2002, è uno scenario assolutamente da evitare per la Casa Bianca.
Mentre a Mumbai si contano ancora i morti, che sono scesi a 174 e monta la rabbia della piazza contro l’inefficienza del governo, l’India insiste sulla pista pachistana emersa dall’interrogatorio dell’unico attentatore sopravvissuto al blitz, Azam Amir Kasab e da altri indizi tra cui un telefonino satellitare con numeri di Karachi. Anche l’intelligence americana avrebbe confermato il coinvolgimento del gruppo islamico filo pachistano Lashkar-e-Taiba. Il governo di Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto assassinata dagli integralisti ha respinto le accuse e ha invitato New Delhi, che avrebbe già rafforzato la difesa aerea al confine, a “non reagire in modo eccessivo”. La sensazione è che gli sviluppi dei prossimi giorni “saranno cruciali per le relazioni tra i due Paesi”, come ha ammesso un funzionario pachistano.
Il governo di Manmohan Singh, che il prossimo anno va alle elezioni con la spada di Damocle di una recessione economica, ha più che mai bisogno di mostrare i muscoli sia sul fronte interno che esterno. Sotto pressione per le polemiche dei giornali e anche per l’opposizione del centro destra guidata dal Bjp, il Partito Popolare Indiano, oggi ha silurato il ministro degli interni Shrivaj Patil, la cui poltrona era già traballante dopo gli attentati a catena di settembre a New Delhi in cui era stato accusato di pensare più al suo guardaroba (era stato fotografato in tre cerimonie con tre abiti diversi) che alla sicurezza dei cittadini. E’ stato sostituito con Palaniappan Chidambaram, il brillante ministro delle finanze laureato ad Harvard, che fa parte del “dream team” del miracolo economico indiano. Con le sue dimissioni Patil ha detto di “assumersi la responsabilità morale” di quanto accaduto. Altre teste potranno cadere nei prossimi giorni, tra cui il capo dello stato del Maharashtra, dove sorge Mumbai.
In discussione ad un vertice di maggioranza convocato ieri sera ci sarebbe anche il varo di una nuova legge anti terrorismo e la costituzione di una sorta di Fbi indiano che permetta la coordinazione tra le varie intelligence. La possibilità di un attacco terroristico via mare sarebbe stato previsto dai servizi segreti, ma l’allarme era caduto nel vuoto. A confermare l’indiscrezione è stato lo stesso Ratan Tata, che possiede lo storico hotel Taj Mahal Palace, in un’intervista a una televisione indiana. “Avevamo potenziato la sicurezza all’ingresso principale e impedita la sosta delle auto sotto il porticato – ha detto l’industriale – ma gli attentatori si sono intrufolati da un accesso di servizio secondario”.
Mumbai, termina l'assedio dopo 3 giorni
Su Il Giornale
Dopo tre giorni di guerriglia urbana e quasi 200 morti è terminato ieri mattina l’assedio di Mumbai. Ma non ci sono state scene di giubilo come è avvenuto il giorno prima nel centro ebraico di Nariman House liberato dopo una furiosa battaglia. Forse perché la metropoli “che non dorme mai” era ormai stanca di esplosioni, raffiche di mitra e sirene delle ambulanze. L’ultimo bastione dei terroristi, l’hotel Taj Mahal della punta di Colaba, è caduto poco dopo l’alba quando le teste di cuoio indiane hanno lanciato l’assalto finale uccidendo gli ultimi tre presunti terroristi. Non deve essere stato un compito facile stanarli dalla sala di controllo dell’hotel dove si erano rifugiati con una grande quantità di bombe a mano e munizioni. Nello scontro si sono anche sprigionate delle fiamme che hanno parzialmente devastato il primo piano dello storico edificio fronte mare simbolo della vecchia Bombay. La fine del blitz è stata annunciata poco dopo dal capo dei “Black Cat”, come sono soprannominati i reparti speciali dalla bandana nera, che annunciava la “liberazione” di Mumbai. Ma non ci sono stati applausi anche perché nel lussuoso atrio dell’hotel devastato dalla sparatoria giacevano ancora 20 corpi che l’afa umidiccia di questi giorni aveva già decomposto come quelli ritrovati venerdì nell’hotel Oberoi. Il bilancio delle vittime è quindi salito a 195 morti, di cui 26 sono stranieri. Nella perlustrazione, che ieri sera era ancora in corso, i militari hanno ritrovato una decina di kalashnikov, altrettante pistole e diverse granate inesplose, nonché dei telefonini satellitari e dei palmari. Sembra che alcuni componenti del commando terrorista abbiano soggiornato nell’hotel qualche giorno prima e accumulato un arsenale nelle loro stanze, ma è un’ipotesi ancora da confermare come lo è anche quella del ritrovamento di 8 chili di plastico in strada. “Con questa grande quantità di armi e di esplosivo – ha detto ieri in una conferenza stampa R.R. Patil, vice primo ministro del Maharahstra, lo stato di Mumbai - i terroristi volevano uccidere 5 mila persone, ma per fortuna siamo riusciti a impedirlo”.
Secondo fonti dei militari, in totale sono stati uccisi otto assalitori, mentre solo uno, il “pachistano” Azam Amir Kasav, è stato catturato vivo. E’ lui che avrebbe confessato l’appartenenza al gruppo estremista Lashkar-e-Taiba (l’Armata dei Puri), già sospettato di diverse stragi tra cui l’attacco al parlamento di New Delhi nel dicembre del 2001 e molto probabilmente affiliato all’organizzazione di al Qaeda. Avrebbe anche rivelato che il commando terrorista, in parte sbarcato nel porticciolo dei pescatori con dei gommoni, voleva far saltare in aria il Taj e l’Oberoi sull’esempio di quanto successo con l’hotel Marriott a Islamabad qualche mese fa. Non sarebbe esclusa anche la complicità della mafia di Mumbai e in particolare del clan del super ricercato Dawood Ibrahim, nascosto a Karachi. Sempre secondo il capo dei “Black Cat”, J.K Dutt, i terroristi “erano perfettamente addestrati, molto preparati a livello fisico e hanno usato diverse tattiche” che sono servite per disorientare le teste di cuoio. “Probabilmente avevano anche fatto una ricognizione dell’hotel e conoscevano molto bene la pianta del palazzo” ha aggiunto. E’ stata di sicuro una missione suicida: “erano decisi a resistere fino all’ultimo”. Secondo il capo della polizia di Mumbai, probabilmente erano anche sotto l’effetto di droghe.
Dopo tre giorni di guerriglia urbana e quasi 200 morti è terminato ieri mattina l’assedio di Mumbai. Ma non ci sono state scene di giubilo come è avvenuto il giorno prima nel centro ebraico di Nariman House liberato dopo una furiosa battaglia. Forse perché la metropoli “che non dorme mai” era ormai stanca di esplosioni, raffiche di mitra e sirene delle ambulanze. L’ultimo bastione dei terroristi, l’hotel Taj Mahal della punta di Colaba, è caduto poco dopo l’alba quando le teste di cuoio indiane hanno lanciato l’assalto finale uccidendo gli ultimi tre presunti terroristi. Non deve essere stato un compito facile stanarli dalla sala di controllo dell’hotel dove si erano rifugiati con una grande quantità di bombe a mano e munizioni. Nello scontro si sono anche sprigionate delle fiamme che hanno parzialmente devastato il primo piano dello storico edificio fronte mare simbolo della vecchia Bombay. La fine del blitz è stata annunciata poco dopo dal capo dei “Black Cat”, come sono soprannominati i reparti speciali dalla bandana nera, che annunciava la “liberazione” di Mumbai. Ma non ci sono stati applausi anche perché nel lussuoso atrio dell’hotel devastato dalla sparatoria giacevano ancora 20 corpi che l’afa umidiccia di questi giorni aveva già decomposto come quelli ritrovati venerdì nell’hotel Oberoi. Il bilancio delle vittime è quindi salito a 195 morti, di cui 26 sono stranieri. Nella perlustrazione, che ieri sera era ancora in corso, i militari hanno ritrovato una decina di kalashnikov, altrettante pistole e diverse granate inesplose, nonché dei telefonini satellitari e dei palmari. Sembra che alcuni componenti del commando terrorista abbiano soggiornato nell’hotel qualche giorno prima e accumulato un arsenale nelle loro stanze, ma è un’ipotesi ancora da confermare come lo è anche quella del ritrovamento di 8 chili di plastico in strada. “Con questa grande quantità di armi e di esplosivo – ha detto ieri in una conferenza stampa R.R. Patil, vice primo ministro del Maharahstra, lo stato di Mumbai - i terroristi volevano uccidere 5 mila persone, ma per fortuna siamo riusciti a impedirlo”.
Secondo fonti dei militari, in totale sono stati uccisi otto assalitori, mentre solo uno, il “pachistano” Azam Amir Kasav, è stato catturato vivo. E’ lui che avrebbe confessato l’appartenenza al gruppo estremista Lashkar-e-Taiba (l’Armata dei Puri), già sospettato di diverse stragi tra cui l’attacco al parlamento di New Delhi nel dicembre del 2001 e molto probabilmente affiliato all’organizzazione di al Qaeda. Avrebbe anche rivelato che il commando terrorista, in parte sbarcato nel porticciolo dei pescatori con dei gommoni, voleva far saltare in aria il Taj e l’Oberoi sull’esempio di quanto successo con l’hotel Marriott a Islamabad qualche mese fa. Non sarebbe esclusa anche la complicità della mafia di Mumbai e in particolare del clan del super ricercato Dawood Ibrahim, nascosto a Karachi. Sempre secondo il capo dei “Black Cat”, J.K Dutt, i terroristi “erano perfettamente addestrati, molto preparati a livello fisico e hanno usato diverse tattiche” che sono servite per disorientare le teste di cuoio. “Probabilmente avevano anche fatto una ricognizione dell’hotel e conoscevano molto bene la pianta del palazzo” ha aggiunto. E’ stata di sicuro una missione suicida: “erano decisi a resistere fino all’ultimo”. Secondo il capo della polizia di Mumbai, probabilmente erano anche sotto l’effetto di droghe.
Emanuele Lattanzi, fine dell'incubo
Su Il Giornale
“E`stato come se mia figlia fosse rinata”. Emanuele Lattanzi parla al telefonino con la voce rotta dall’emozione e dalla fatica. Dopo l’alba di ieri ha riabbracciato la piccola Clarici, di sei mesi, ignara di tutto il bordello che si è scatenato intorno a lei negli ultimi due giorni. Le immagini di lui che stringe la bambina tra le braccia e che dribbla i fotografi davanti all’Oberoi hanno fatto il giro del mondo. Persino tra gli indiani lo chef italiano è diventato un idolo. La vicenda di sua moglie e della bambina intrappolate in una camera dell’albergo preso d’assalto dai terroristi, ha commosso anche le televisioni indiane che hanno dato ampio rilievo della liberazione. “Sí, mi sono visto in televisione – spiega il cuoco romano prima di scusarsi per la scortesia e chiudere il telefonino per il resto della serata. Ieri è stato braccato dai giornalisti di mezza Italia che ne hanno fatto un eroe nazionale. In effetti c’e voluta una buona dose di coraggio a entrare nell’hotel mentre il blitz era in corso con un biberon, un barattolo di latte in polvere e dei pannolini. Emanuele, con ancora indosso la giacca bianca da chef, dove c’è scritto il suo nome ma senza “E”, non ha più voluto sentire ragioni. Era esasperato. Non ne poteva più. La sera prima avevano riferito alla moglie Lea che tutto era finito e che l’avrebbero liberata presto. Poi più nulla. Anzi dalla strada e dai piani dell’edificio sono ricominciate le esplosioni e le sventagliate di mitraglia. Quindi ha deciso di forzare la situazione e convincere il cordone di sicurezza a lasciarlo passare. Gli è stato d’aiuto anche un manager dell’Oberoi che è il suo datore di lavoro e che lo teneva in costante aggiornamento della situazione all’interno dell’hotel. Poco tempo dopo è uscito da solo con la bimba in braccio e la moglie Lea che lo seguiva a distanza forse sbigottita da una folla così enorme e soffocante di fotografi e cameramen. Un sua amica che l’ha sentita al telefono poco dopo ha detto di averla sentita “abbastanza serena”, anche se distrutta dalla stanchezza. Lea si trovava in camera al primo piano insieme ad altre quattro stranieri, sembra indonesiani. Forse avrebbe potuto anche uscire da sola, ma le avevano consigliato di rimanere al sicuro perché le operazioni delle squadre antiterrorismo erano ancora in corso e c’era il rischio di pallottole vaganti. Prima di uscire anche lei avrà visto l’orrore dei corpi senza vita abbandonati tra i tavoli e nella hall. Molte ore dopo la liberazione degli italiani, quando i militari avevano lanciato l’assalto finale, è stata confermata dalla polizia la notizia del ritrovamento di 24 cadaveri. Erano le vittime della sparatoria iniziale del commando terrorista quando ha fatto irruzione nella hall e tra i tavoli della caffetteria dell’Oberoi. Nel pomeriggio alcuni corpi erano stati allineati in un garage del vicino edificio dell’Indian Airlines, ma si è creata una grande confusione tra i parenti delle vittime convocate per il riconoscimento. “Una coppia di miei amici sono morti, sono lì dentro, per favore mi aiuti a entrare” singhiozza Rishta, aggrappandosi disperata alla mano della giornalista de Il Giornale.. “Tu sei italiana, magari ti fanno entrare, per favore portami con te…” supplica. Ma gli agenti che fanno muro davanti a una sbarra abbassata sono inflessibili e permettono solo il passaggio ai diplomatici stranieri. Parenti e amici delle vittime indiane, tra cui ci sono molti portantini, dovranno aspettare ancora un po’.
“E`stato come se mia figlia fosse rinata”. Emanuele Lattanzi parla al telefonino con la voce rotta dall’emozione e dalla fatica. Dopo l’alba di ieri ha riabbracciato la piccola Clarici, di sei mesi, ignara di tutto il bordello che si è scatenato intorno a lei negli ultimi due giorni. Le immagini di lui che stringe la bambina tra le braccia e che dribbla i fotografi davanti all’Oberoi hanno fatto il giro del mondo. Persino tra gli indiani lo chef italiano è diventato un idolo. La vicenda di sua moglie e della bambina intrappolate in una camera dell’albergo preso d’assalto dai terroristi, ha commosso anche le televisioni indiane che hanno dato ampio rilievo della liberazione. “Sí, mi sono visto in televisione – spiega il cuoco romano prima di scusarsi per la scortesia e chiudere il telefonino per il resto della serata. Ieri è stato braccato dai giornalisti di mezza Italia che ne hanno fatto un eroe nazionale. In effetti c’e voluta una buona dose di coraggio a entrare nell’hotel mentre il blitz era in corso con un biberon, un barattolo di latte in polvere e dei pannolini. Emanuele, con ancora indosso la giacca bianca da chef, dove c’è scritto il suo nome ma senza “E”, non ha più voluto sentire ragioni. Era esasperato. Non ne poteva più. La sera prima avevano riferito alla moglie Lea che tutto era finito e che l’avrebbero liberata presto. Poi più nulla. Anzi dalla strada e dai piani dell’edificio sono ricominciate le esplosioni e le sventagliate di mitraglia. Quindi ha deciso di forzare la situazione e convincere il cordone di sicurezza a lasciarlo passare. Gli è stato d’aiuto anche un manager dell’Oberoi che è il suo datore di lavoro e che lo teneva in costante aggiornamento della situazione all’interno dell’hotel. Poco tempo dopo è uscito da solo con la bimba in braccio e la moglie Lea che lo seguiva a distanza forse sbigottita da una folla così enorme e soffocante di fotografi e cameramen. Un sua amica che l’ha sentita al telefono poco dopo ha detto di averla sentita “abbastanza serena”, anche se distrutta dalla stanchezza. Lea si trovava in camera al primo piano insieme ad altre quattro stranieri, sembra indonesiani. Forse avrebbe potuto anche uscire da sola, ma le avevano consigliato di rimanere al sicuro perché le operazioni delle squadre antiterrorismo erano ancora in corso e c’era il rischio di pallottole vaganti. Prima di uscire anche lei avrà visto l’orrore dei corpi senza vita abbandonati tra i tavoli e nella hall. Molte ore dopo la liberazione degli italiani, quando i militari avevano lanciato l’assalto finale, è stata confermata dalla polizia la notizia del ritrovamento di 24 cadaveri. Erano le vittime della sparatoria iniziale del commando terrorista quando ha fatto irruzione nella hall e tra i tavoli della caffetteria dell’Oberoi. Nel pomeriggio alcuni corpi erano stati allineati in un garage del vicino edificio dell’Indian Airlines, ma si è creata una grande confusione tra i parenti delle vittime convocate per il riconoscimento. “Una coppia di miei amici sono morti, sono lì dentro, per favore mi aiuti a entrare” singhiozza Rishta, aggrappandosi disperata alla mano della giornalista de Il Giornale.. “Tu sei italiana, magari ti fanno entrare, per favore portami con te…” supplica. Ma gli agenti che fanno muro davanti a una sbarra abbassata sono inflessibili e permettono solo il passaggio ai diplomatici stranieri. Parenti e amici delle vittime indiane, tra cui ci sono molti portantini, dovranno aspettare ancora un po’.
Mumbai, le testimonianze dei sette italiani sopravissuti
Su Il Giornale
A vederli così seduti sul comodo sofà del salotto di casa del console italiano Fabio Rugge sembrano una combriccola di amici che si sono ritrovati per una serata in compagnia. Invece sono appena scampati ad attacco terroristico che passerà alla storia come l’11 settembre dell’india. I sette italiani intrappolati per circa 40 ore nelle stanze dell’hotel Trident e nell’adiacente Oberoi sono tutti sani e salvi e ieri pomeriggio si trovavano nell’appartamento del diplomatico lontano dal pandemonio di Colaba. In serata sono poi stati imbarcati insieme ad altri sopravissuti su un aereo di stato francese.
Il loro incubo è finito ieri mattina quando gli ostaggi del grande complesso alberghiero che sorge sul lungo mare di Narimar Point sono stati liberati dal blitz delle teste di cuoio indiane. Sono usciti alla spicciolata scortati dai militari con il fucile spianato verso un centro di raccolta dove hanno trovato un funzionario, Francesco Venti, con in mano la bandiera italiana per farsi riconoscere. Sono stati gli ultimi passi verso la salvezza. Arrivati al consolato italiano sono stati visitati da un medico di fiducia e poi da qui sono stati portati direttamente a casa del console Rugge dove sono stati rifocillati e hanno potuto riposare.
Ma l’adrenalina accumulata nell’incubo durato due notte e un giorno non è facile a smaltire e poi c’e anche l’euforia di essere sopravissuti ad un inferno che poteva inghiottirli come è successo ad Antonio Di Lorenzo, l’unica vittima italiana ucciso dallo scoppio di una granata. Cinque di loro alloggiavano al Trident, mentre altri due erano nel più sciccoso Oberoi. I loro ricordi sono drammatici, ma c’e chi trova ancora la forza di scherzare. Fulvio Tesoro, che faceva parte della delegazione dell’Enit, l’Ente Nazionale Italiano del Turismo, a caccia di affari in India, mostra una scatola di fiammiferi dell’hotel dove c’e scritto “At Trident, you are sure” (al Trident siete protetti), che suona davvero beffardo, ma è servito per sdrammatizzare nei momenti più brutti. La sua compagna Angela Bucalossi però non sembra troppo divertita. “Non si puó nemmeno descrivere che cosa abbiamo passato, la paura che entrassero nelle stanze e ci ammazzassero tutti e la disperazione che ci bloccava perfino il respiro. Io credevo sinceramente di non uscire piú”. Poi si alza, va ad abbracciare Carmela Zappalà, che con il marito si è salvata nascondendosi in uno sgabuzzino al 15esimo piano dell’Oberoi, e scoppia in singhiozzi. I coniugi sono stati li dentro al buio, senza da mangiare e bere, mentre fuori sparavano all’impazzata e piovevano bombe a mano.
Durante l’attacco è stata determinante l’assistenza del consolato che insieme all’ambasciata a New Delhi e all’unità di crisi della Farnesina sono stati in contatto con gli ostaggi italiani ogni mezzora. “Abbiano detto di stare nelle loro stanze, spegnere la luce e non fare rumore. Poi abbiamo cercato di rassicurarli quando le forze indiane hanno iniziato il blitz” spiega un diplomatico che ha seguito passo dopo passo l’intera emergenza che ha coinvolto una quarantina di italiani presenti nei due hotel al momento del raid terroristico . “E stato importante conoscere l’esatta posizione di ciascuno e riferirla alla polizia quando è iniziata la liberazione degli ostaggi. Gli agenti sono andati direttamente a prelevarli nelle loro stanze o dove si erano nascosti”.
A vederli così seduti sul comodo sofà del salotto di casa del console italiano Fabio Rugge sembrano una combriccola di amici che si sono ritrovati per una serata in compagnia. Invece sono appena scampati ad attacco terroristico che passerà alla storia come l’11 settembre dell’india. I sette italiani intrappolati per circa 40 ore nelle stanze dell’hotel Trident e nell’adiacente Oberoi sono tutti sani e salvi e ieri pomeriggio si trovavano nell’appartamento del diplomatico lontano dal pandemonio di Colaba. In serata sono poi stati imbarcati insieme ad altri sopravissuti su un aereo di stato francese.
Il loro incubo è finito ieri mattina quando gli ostaggi del grande complesso alberghiero che sorge sul lungo mare di Narimar Point sono stati liberati dal blitz delle teste di cuoio indiane. Sono usciti alla spicciolata scortati dai militari con il fucile spianato verso un centro di raccolta dove hanno trovato un funzionario, Francesco Venti, con in mano la bandiera italiana per farsi riconoscere. Sono stati gli ultimi passi verso la salvezza. Arrivati al consolato italiano sono stati visitati da un medico di fiducia e poi da qui sono stati portati direttamente a casa del console Rugge dove sono stati rifocillati e hanno potuto riposare.
Ma l’adrenalina accumulata nell’incubo durato due notte e un giorno non è facile a smaltire e poi c’e anche l’euforia di essere sopravissuti ad un inferno che poteva inghiottirli come è successo ad Antonio Di Lorenzo, l’unica vittima italiana ucciso dallo scoppio di una granata. Cinque di loro alloggiavano al Trident, mentre altri due erano nel più sciccoso Oberoi. I loro ricordi sono drammatici, ma c’e chi trova ancora la forza di scherzare. Fulvio Tesoro, che faceva parte della delegazione dell’Enit, l’Ente Nazionale Italiano del Turismo, a caccia di affari in India, mostra una scatola di fiammiferi dell’hotel dove c’e scritto “At Trident, you are sure” (al Trident siete protetti), che suona davvero beffardo, ma è servito per sdrammatizzare nei momenti più brutti. La sua compagna Angela Bucalossi però non sembra troppo divertita. “Non si puó nemmeno descrivere che cosa abbiamo passato, la paura che entrassero nelle stanze e ci ammazzassero tutti e la disperazione che ci bloccava perfino il respiro. Io credevo sinceramente di non uscire piú”. Poi si alza, va ad abbracciare Carmela Zappalà, che con il marito si è salvata nascondendosi in uno sgabuzzino al 15esimo piano dell’Oberoi, e scoppia in singhiozzi. I coniugi sono stati li dentro al buio, senza da mangiare e bere, mentre fuori sparavano all’impazzata e piovevano bombe a mano.
Durante l’attacco è stata determinante l’assistenza del consolato che insieme all’ambasciata a New Delhi e all’unità di crisi della Farnesina sono stati in contatto con gli ostaggi italiani ogni mezzora. “Abbiano detto di stare nelle loro stanze, spegnere la luce e non fare rumore. Poi abbiamo cercato di rassicurarli quando le forze indiane hanno iniziato il blitz” spiega un diplomatico che ha seguito passo dopo passo l’intera emergenza che ha coinvolto una quarantina di italiani presenti nei due hotel al momento del raid terroristico . “E stato importante conoscere l’esatta posizione di ciascuno e riferirla alla polizia quando è iniziata la liberazione degli ostaggi. Gli agenti sono andati direttamente a prelevarli nelle loro stanze o dove si erano nascosti”.
Mumbai, testimonianza di Arnaldo Sbarretti
Su Il Giornale
“Non torneró mai più in India”. Arnaldo Sbarretti, uno degli ostaggi italiani, è categorico. La sua esperienza è stata traumatica anche se sul suo viso non trapela nemmeno un ombra di stanchezza. Quelle 40 ore ‘trascorse al buio tra la vasca da bagno e la tazza del gabinetto” gli hanno cambiato la vita e da oggi quando ritornerà a Milano “non sará più come prima”. Questo è uno dei drammi “che ti fanno pensare alla precarietà dell’esistenza. Poteva finire in tragedia e invece sono qui a raccontarlo”. Arnaldo è da 20 anni direttore dell’hotel Galles e per il suo lavoro ha viaggiato il mondo. Mercoledì aveva appena partecipato a un incontro di affari organizzato dall’Enit all’Oberoi dove c’erano tanti colleghi di altri hotel italiani. L’India, e soprattutto la nuova classe emergente, fa gola anche all’industria turistica. “Stavo facendo il check-out per poi andare all’aeroporto – racconta al Giornale – quando ho sentito un baccano verso la porta di ingresso e ho visto i due attentatori entrare e sparare all’impazzata. Li ho visti con la coda dell’occhio, erano vestiti di scuro e mi sembravano giovani, ma non saprei riconoscere il loro volto”. Lo staff dell’hotel ha quindi spinto l’italiano verso l’ascensore e gli hanno urlato di scappare. “Mi hanno salvato”. Poi è scappato in camera, al 32esimo piano, si è barricato in bagno e non si è piú mosso. “Ero terrorizzato dagli spari e dalle enorme esplosioni che sentivo da fuori. Penso che i terroristi avessero delle bombe al plastico oltre che i mitragliatori. Ne hanno fatto esplodere parecchie perché quando sono uscito stamane l’intero piano era devastato”. In effetti sembra che i presunti attentatori si fossero rifugiati nei piani superiori quando è scattato il blitz dei reparti speciali. “Sono sempre stato in bagno a parte alcuni momenti in cui mi sono alzato a guardare dalla finestra. Per fortuna avevo anche una presa del telefonino e la corrente non è stata interrotta. Il telefonino in questi casi è veramente l’8unica ancora di salvezza”. Con il cellulare Arnaldo ha potuto parlare con il responsabile dell’Enit, Salvatore Jannello, con il consolato e soprattutto con la moglie. “é stato con lei che a un certo punto è crollato “in un pianto liberatorio” che peró lo ha sollevato dalla tensione accumulata. E’ stato liberato verso le cinque di ieri mattina da agenti che hanno bussato alla sua porta. “ma avevo già ricevuto alcuni sms dove si diceva che l’hotel era stato liberato dagli attentatori”. Nel caos totale ha perfino recuperato le valigie rimaste nella hall. “Ci tenevo perché avevo un regalo per mia figlia di cinque anni che faceva il compleanno…”. La riabbraccerà oggi a Milano dopo aver fatto scalo a Parigi. E qui una nota critica: “il personale dell’ambasciata è stato meraviglioso, ma perché l’Ita.lia non ha inviato un aereo anche per noi?”.
“Non torneró mai più in India”. Arnaldo Sbarretti, uno degli ostaggi italiani, è categorico. La sua esperienza è stata traumatica anche se sul suo viso non trapela nemmeno un ombra di stanchezza. Quelle 40 ore ‘trascorse al buio tra la vasca da bagno e la tazza del gabinetto” gli hanno cambiato la vita e da oggi quando ritornerà a Milano “non sará più come prima”. Questo è uno dei drammi “che ti fanno pensare alla precarietà dell’esistenza. Poteva finire in tragedia e invece sono qui a raccontarlo”. Arnaldo è da 20 anni direttore dell’hotel Galles e per il suo lavoro ha viaggiato il mondo. Mercoledì aveva appena partecipato a un incontro di affari organizzato dall’Enit all’Oberoi dove c’erano tanti colleghi di altri hotel italiani. L’India, e soprattutto la nuova classe emergente, fa gola anche all’industria turistica. “Stavo facendo il check-out per poi andare all’aeroporto – racconta al Giornale – quando ho sentito un baccano verso la porta di ingresso e ho visto i due attentatori entrare e sparare all’impazzata. Li ho visti con la coda dell’occhio, erano vestiti di scuro e mi sembravano giovani, ma non saprei riconoscere il loro volto”. Lo staff dell’hotel ha quindi spinto l’italiano verso l’ascensore e gli hanno urlato di scappare. “Mi hanno salvato”. Poi è scappato in camera, al 32esimo piano, si è barricato in bagno e non si è piú mosso. “Ero terrorizzato dagli spari e dalle enorme esplosioni che sentivo da fuori. Penso che i terroristi avessero delle bombe al plastico oltre che i mitragliatori. Ne hanno fatto esplodere parecchie perché quando sono uscito stamane l’intero piano era devastato”. In effetti sembra che i presunti attentatori si fossero rifugiati nei piani superiori quando è scattato il blitz dei reparti speciali. “Sono sempre stato in bagno a parte alcuni momenti in cui mi sono alzato a guardare dalla finestra. Per fortuna avevo anche una presa del telefonino e la corrente non è stata interrotta. Il telefonino in questi casi è veramente l’8unica ancora di salvezza”. Con il cellulare Arnaldo ha potuto parlare con il responsabile dell’Enit, Salvatore Jannello, con il consolato e soprattutto con la moglie. “é stato con lei che a un certo punto è crollato “in un pianto liberatorio” che peró lo ha sollevato dalla tensione accumulata. E’ stato liberato verso le cinque di ieri mattina da agenti che hanno bussato alla sua porta. “ma avevo già ricevuto alcuni sms dove si diceva che l’hotel era stato liberato dagli attentatori”. Nel caos totale ha perfino recuperato le valigie rimaste nella hall. “Ci tenevo perché avevo un regalo per mia figlia di cinque anni che faceva il compleanno…”. La riabbraccerà oggi a Milano dopo aver fatto scalo a Parigi. E qui una nota critica: “il personale dell’ambasciata è stato meraviglioso, ma perché l’Ita.lia non ha inviato un aereo anche per noi?”.
Mumbai, con il cuoco Emanuele davanti all'Oberoi
Su Il Giornale A forza di andare su e giù avrà consumato qualche centimetro di cemento del lungomare,Emanuele Lattanzi, lo chef italiano dell’Oberoi che ieri ha trascorso la peggiore giornata della sua vita. La moglie Lea e la loro neonata di sei mesi sono rimaste intrappolate dentro l’albergo preso d’assalto dai terroristi. Verso l’una di notte ora indiana, si trovavano ancora in una camera al primo piano insieme ad altri quattro stranieri. “”Alcuni degli ostaggi sono stati liberati e sono usciti, ma tra questi non c’e mia moglie” si dispera Emanuele, romano di 32 anni e da un paio di anni ai fornelli del ristorante italiano “Il vetro”, uno dei più rinomati e chic della metropoli. Ha appena sentito la moglie al telefonino. Sta bene, ma è la piccola che è stremata dopo 24 ore senza latte. “Va avanti a biscotti e acqua – aggiunge con gli occhi arrossati dal dolore e dalla fatica. Il tempo non sembra passare mai su quel marciapiede e ogni nuova esplosione lo fa trasalire. Per tutto il giorno ha ciondolato in pochi metri quadrati, dietro il cordone della sicurezza, dove poteva scorgere l’edificio marroncino dell’Oberoi, il suo posto di lavoro trasformatosi in incubo. Vicino a lui c’e sempre Francesco Venti, funzionario del consolato di Mumbai, diventato il suo angelo custode. “Mi ha sposato” scherza a un certo punto probabilmente cercando di non cedere alla tensione. Ogni tanto riceve qualche telefonata dall’estero, per esempio dalla Spagna e poi da Londra, dove abitava prima e da cui è “partito prima delle bombe alla metropolitana e adesso me le ritrovo qui”. Per fortuna la moglie Lea, sua coetanea, di Faenza, che sente ogni dieci minuti ha un carattere forte. La figlia, Clarici (“l’abbiamo chiamata come la bisnonna”) è nata in Italia. Ma da poco la famiglia lo aveva raggiunto e per ora soggiornava nell’hotel gemello del Trident, sempre della catena Oberoi. Al momento dell’assalto madre e neonata si trovavano in piscina. Poi si sono rifugiate in una camera e da lí hanno seguito le istruzioni del personale dell’hotel di chiudersi dentro e rimanere calmi. Ma per Emanuele, da fuori, è stato difficile rimanere calmo soprattutto quando è iniziato il blitz delle teste di cuoio all’alba. “Lo si sa che questi sono pronti a tutto, non hanno nessun scrupolo, guarda come hanno sparato a raffica nei ristoranti ieri sera”. Dopo alcune voci - che si sono rivelate poi false - di una trattativa in corso con i sequestratori, è ritornata la speranza. Poi verso le 18 è arrivata la prima buona notizia sottoforma di un messaggino di Lea che scriveva tutto in maiuscolo: “Ci hanno detto che i militari sono arrivati sul nostro piano” . Ma fuori si continuava a sparare e le esplosioni si facevano più frequenti. La battaglia piano per piano contro i terroristi superstiti era ancora in corso. A un certo punto si era diffusa la notizia che i reparti speciali stavano “scendendo” dai piani alti verso quelli bassi. Come tutti i grandi hotel a cinque stelle anche l’Oberoi è un reticolo di camere, corridoi e scale di servizio. E’ probabile che i terroristi abbiano giocato a nascondino riuscendo a impegnare per così tante ore centinaia di commando d’elite dell’esercito. Ma per Emanuele ora conta solamente riabbracciare al più presto moglie e figlioletta. A un certo punto telefona perfino alla baby sitter. “Ricordati di portare dei pannolini, ne avrà bisogno, e poi del latte in polvere…”. Poi guarda di nuovo il massiccio hotel che si specchia nel mare di fronte. “Non so se rimarrò in India dopo quello che è successo, forse non avrò mai più il coraggio di entrare là dentro”.
Attacco a Mumbai, testimonianza di Erica Micheletti
Su Il Giornale
“Sono salva grazie all’intervento delle guardie del corpo di una squadra di cricket sudafricana che si trovava nello stesso hotel”. Così dice Erica Micheletti, imprenditrice di Arezzo, che dopo cinque ore di terrore è riuscita a scappare all’assedio del Taj Mahal Hotel. Seduta a un tavolo del ristorante libanese all’ultimo piano della torre adiacente allo storico hotel, non si era neppure accorta di cosa stava succedendo nella lobby. “Mi ha avvertito la telefonata di un’amica che aveva sentito dell’attacco in TV e voleva sapere dove mi trovavo” spiega. Poco dopo nel ristorante è scoppiato il panico ed è cominciato il fuggi fuggi. “Abbiamo sentito le esplosioni e poi i colpi di mitragliatore. Siamo scesi con l’ascensore e lí ci siamo resi conto che i terroristi avevano bloccato le porte di accesso”. Sono stati momenti da incubo anche perché nel frattempo si erano sprigionate le fiamme da alcuni piani superiori e c’era paura che il fumo invadesse il resto dell’edificio.
Secondo Erica, che è responsabile di una ditta di gioielleria all’ingrosso e che si è trasferita da un anno a Mumbai, non c’è stato nessun aiuto da parte del personale dell’hotel o dei militari indiani giunti in soccorso. “Siamo stati fortunati che con noi c’erano dei sudafricani incaricati della sicurezza di una squadra di cricket che alloggiava nell’hotel e che hanno preso in mano la situazione. La prima cosa che hanno fatto è stata di capire se c’erano vie di fuga alternative”. Le hanno trovate nel reticolo di corridoi di servizio che portano alle cucine. Insieme ad Erica c’erano circa cento persone che sono uscite alla spicciolata dall’albergo scappando da vie secondarie. “E’ stato un vero miracolo uscire prima che saltasse la corrente elettrica - dice –. Sono state le cinque ore più lunghe della mia vita”.
“Sono salva grazie all’intervento delle guardie del corpo di una squadra di cricket sudafricana che si trovava nello stesso hotel”. Così dice Erica Micheletti, imprenditrice di Arezzo, che dopo cinque ore di terrore è riuscita a scappare all’assedio del Taj Mahal Hotel. Seduta a un tavolo del ristorante libanese all’ultimo piano della torre adiacente allo storico hotel, non si era neppure accorta di cosa stava succedendo nella lobby. “Mi ha avvertito la telefonata di un’amica che aveva sentito dell’attacco in TV e voleva sapere dove mi trovavo” spiega. Poco dopo nel ristorante è scoppiato il panico ed è cominciato il fuggi fuggi. “Abbiamo sentito le esplosioni e poi i colpi di mitragliatore. Siamo scesi con l’ascensore e lí ci siamo resi conto che i terroristi avevano bloccato le porte di accesso”. Sono stati momenti da incubo anche perché nel frattempo si erano sprigionate le fiamme da alcuni piani superiori e c’era paura che il fumo invadesse il resto dell’edificio.
Secondo Erica, che è responsabile di una ditta di gioielleria all’ingrosso e che si è trasferita da un anno a Mumbai, non c’è stato nessun aiuto da parte del personale dell’hotel o dei militari indiani giunti in soccorso. “Siamo stati fortunati che con noi c’erano dei sudafricani incaricati della sicurezza di una squadra di cricket che alloggiava nell’hotel e che hanno preso in mano la situazione. La prima cosa che hanno fatto è stata di capire se c’erano vie di fuga alternative”. Le hanno trovate nel reticolo di corridoi di servizio che portano alle cucine. Insieme ad Erica c’erano circa cento persone che sono uscite alla spicciolata dall’albergo scappando da vie secondarie. “E’ stato un vero miracolo uscire prima che saltasse la corrente elettrica - dice –. Sono state le cinque ore più lunghe della mia vita”.
Mumbai, secondo giorno di terrore
In onda su Radio Svizzera Italiana
Dopo un’altra notte di scontri, sarebbe in via di conclusione il blitz delle teste di cuoio indiane nei due hotel di lusso e nel vicino centro residenziale ebraico di Colaba, nel sud di Mumbai. Dopo 37 di assedio, verso le dieci ora indiana, è iniziata l,evacuazione dell’albergo frontemare Trident dove erano intrappolate cento persone. La precedenza sarebbe stata data agli stranieri, che sono usciti a grappoli dopo essere raggiunti nelle loro stanze dalle forze di sicurezza. La battaglia continua peró nell’adiacente Oberoi dove sarebbero barricati ancora due attentatori del commando di 20 o 30 presunti terroristi che mercoledì sera ha scatenato morte e terrore nella metropoli. I reparti speciali continuano a sparare anche nel quartiere di Narimar House, dove sorge un centro ebraico e dove sono stati presi in ostaggio alcuni israeliani. Poco dopo l’alba alcuni militari erano stati calati con degli elicotteri sui tetti delle case e da allora si sono udite forti esplosioni e colpi di pistola.
Intanto emergono nuovi indizi che sembrano confermare la pista che porta a gruppi estremisti pachistani, nonostante l’attentato sia stato rivendicato dai Deccan Mujahiddin, una sigla sconosciuta agli investigatori che potrebbe essere connessa con altri attacchi terroristici degli ultimi mesi a Delhi e in Gujarath.
Dopo un’altra notte di scontri, sarebbe in via di conclusione il blitz delle teste di cuoio indiane nei due hotel di lusso e nel vicino centro residenziale ebraico di Colaba, nel sud di Mumbai. Dopo 37 di assedio, verso le dieci ora indiana, è iniziata l,evacuazione dell’albergo frontemare Trident dove erano intrappolate cento persone. La precedenza sarebbe stata data agli stranieri, che sono usciti a grappoli dopo essere raggiunti nelle loro stanze dalle forze di sicurezza. La battaglia continua peró nell’adiacente Oberoi dove sarebbero barricati ancora due attentatori del commando di 20 o 30 presunti terroristi che mercoledì sera ha scatenato morte e terrore nella metropoli. I reparti speciali continuano a sparare anche nel quartiere di Narimar House, dove sorge un centro ebraico e dove sono stati presi in ostaggio alcuni israeliani. Poco dopo l’alba alcuni militari erano stati calati con degli elicotteri sui tetti delle case e da allora si sono udite forti esplosioni e colpi di pistola.
Intanto emergono nuovi indizi che sembrano confermare la pista che porta a gruppi estremisti pachistani, nonostante l’attentato sia stato rivendicato dai Deccan Mujahiddin, una sigla sconosciuta agli investigatori che potrebbe essere connessa con altri attacchi terroristici degli ultimi mesi a Delhi e in Gujarath.
Mumbai, reportage nella città assediata
Su Il Giornale
Mumbai – Non era mai successo di impiegare solo 20 minuti per andare dall’ aeroporto alla punta di Colaba, la parte più autentica di Mumbai dove batte il suo cuore turistico e commerciale. Per tutto il giorno di ieri le strade della megalopoli indiana sono state deserte, i negozi chiusi, nessun bus e pochissimi taxi. La catena di attentati di mercoledí sera ha messo in ginocchio l’intera città dopo averla colpita al cuore nel suo simbolo più noto, l’hotel Taj Mahal che sorge sull’estremità davanti al monumento del Gateway of India. Ed è proprio l’India a soffrirne di più da questo attacco che giunge in un momento critico per il miracolo indiano costretti a cedere il passo sotto la pressione della crisi finanziaria. Nelle strade deserte di Colaba, popolata dai mille personaggi descritti in Shantaram, il libro di David Roberts, si avverte la paura della gente quando ti consiglia di non andare nelle zone colpite dai terroristi. Davanti all’hotel Oberoi e al suo gemello più povero, il Trident, appartenente alla stessa catena alberghiera, c’è una piccola folla di curiosi e giornalisti circondati da camion dei vigili del fuoco e dai blindati della Rapid Action Force, uno dei reparti di “teste di cuoio” impiegati nel blitz per liberare gli ostaggi. I due hotel, che fanno parte dello “sky-line” di Mumbai, sorgono di fronte al mare e sono tra i piú costosi della città. Per tenere alla larga la folla la polizia ha chiuso la strada con un paio di camion e poi con una cordicella rossa che a mala pena regge l’urto dei cameraman e fotografi. Alcuni poliziotti bivaccano lungo il marciapiede e sulle panche si cemento del lungomare di Narimar Point. Da qui si gode una vista superba dei grattacieli, ma il fetore di fogna che arriva su dalla riva del mare ricorda che Mumbai non è ancora Shangai, come ambisce a diventare in un prossimo futuro. Nell’hotel Trident, che svetta con i suoi 32 piani, ci sarebbero ancora decine di turisti intrappolati oltre a un numero imprecisato di personale di servizio, forse un centinaio. Ma come è avvenuto per tutta la giornata le notizie sono frammentarie e contraddittorie anche a 24 ore dall’attacco. L’unica cosa certa sono state le esplosioni di varia intensità e i colpi di arma da fuoco che per tutto il pomeriggio sono risuonati dai vicini palazzi e anche fuori dall’hotel nel vialetto di palme, tanto che si è pensato a un certo punto che i reparti speciali braccassero uno degli attentatori nelle viuzze dietro l’edificio. La stessa scena ieri pomeriggio si ripeteva nella punta di Colaba, a qualche chilometro, dove sorge l’hotel Taj Mahal, monumentale edificio in stile coloniale, che durante la notte è stato gravemente danneggiato da un incendio scoppiato nei piani superiori, sotto il suo “cupolone” che è uno dei simboli della città.
Per tutto il pomeriggio di ieri l’intera città ha tenuto il fiato sospeso. Era perfino difficile trovare uno di quei chioschi dove si vendono sigarette e involtini da masticare di “pan”, che fanno parte del paesaggio urbano indiano. Gli unici posti movimentati erano gli ospedali. Nella sala mortuaria del J.J. Hospital, un vecchio e decadente ospedale, hanno anche portato il corpo di Antonio De Lorenzo, l’unico italiano tra le oltre 120 vittime, ucciso da una granata mentre si trovava con il figlio a cena all’Oberoi. Il suo corpo giace per terra insieme ad altri stranieri. La procedura di riconoscimento è già stata effettuata con l’intervento del consolato ed è in attesa di essere portato via. C’e un via vai pazzesco di poliziotti, medici e anche due diplomatici americani che sembrano abbastanza spazientiti dalla tipica confusione indiana. Sulle loro teste passano lastre dei raggi X e spessi plichi di fotocopie che sanno di disinfettante. Non c’è nessuno che piange, ma alcuni indiani hanno gli occhi rossi. Uno di loro ha perso un fratello che lavoravo come inserviente al Taj Mahal. Dentro nei reparti sono ricoverate 169 persone per ferite di arma da fuoco e per ustione. Alcuni sono in gravi condizioni. In questo ospedale c’è stata anche una italiana lievemente ferite, ma era già stata dimessa in mattinata.
La presenza di così tanti stranieri coinvolti è di sicuro un brutto colpo per l’industria turistica di Mumbai. “C’erano già stato un calo di turisti – afferma un taxista, uno dei pochi che ieri non aveva paura di viaggiare a Colaba – per via della crisi finanziaria mondiale, adesso chi verrà di nuovo a Mumbai sapendo che non si è sicuri neppure negli hotel più famosi e più cari?”’. Ma è anche l’orgoglio di una nazione che si è infranto con le bombe dell’altra sera. L’India, patria del Mahatma, l’apostolo della non violenza, è sconquassata da questo ennesimo attentato che per la gravità è simile alla scia di bombe che devastarono la borsa e alcuni hotel a cinque stelle nel 1993 e che portavano la firma della criminalità organizzata in diabolica connessione con i gruppi della jihad pachistana. Allora si trattò di una “rappresaglia” per la distruzione della moschea Babri nella città di Ayodhya, sacra agli induisti,ordinata dal partito indu nazionalista del Bjp, il Partito Popolare Indiano. Anche ora ci sono delle coincidenze, come il minitest elettorale in corso in alcuni stati del nord tra cui quello di Delhi. Gli indizi portano di nuovo alla pista islamica, in particolare alla Lashkar-e-Taiba, un gruppo che ha base a Karachi, da cui sarebbero arrivati via mare i terroristi con il loro carico di morte.
Mumbai – Non era mai successo di impiegare solo 20 minuti per andare dall’ aeroporto alla punta di Colaba, la parte più autentica di Mumbai dove batte il suo cuore turistico e commerciale. Per tutto il giorno di ieri le strade della megalopoli indiana sono state deserte, i negozi chiusi, nessun bus e pochissimi taxi. La catena di attentati di mercoledí sera ha messo in ginocchio l’intera città dopo averla colpita al cuore nel suo simbolo più noto, l’hotel Taj Mahal che sorge sull’estremità davanti al monumento del Gateway of India. Ed è proprio l’India a soffrirne di più da questo attacco che giunge in un momento critico per il miracolo indiano costretti a cedere il passo sotto la pressione della crisi finanziaria. Nelle strade deserte di Colaba, popolata dai mille personaggi descritti in Shantaram, il libro di David Roberts, si avverte la paura della gente quando ti consiglia di non andare nelle zone colpite dai terroristi. Davanti all’hotel Oberoi e al suo gemello più povero, il Trident, appartenente alla stessa catena alberghiera, c’è una piccola folla di curiosi e giornalisti circondati da camion dei vigili del fuoco e dai blindati della Rapid Action Force, uno dei reparti di “teste di cuoio” impiegati nel blitz per liberare gli ostaggi. I due hotel, che fanno parte dello “sky-line” di Mumbai, sorgono di fronte al mare e sono tra i piú costosi della città. Per tenere alla larga la folla la polizia ha chiuso la strada con un paio di camion e poi con una cordicella rossa che a mala pena regge l’urto dei cameraman e fotografi. Alcuni poliziotti bivaccano lungo il marciapiede e sulle panche si cemento del lungomare di Narimar Point. Da qui si gode una vista superba dei grattacieli, ma il fetore di fogna che arriva su dalla riva del mare ricorda che Mumbai non è ancora Shangai, come ambisce a diventare in un prossimo futuro. Nell’hotel Trident, che svetta con i suoi 32 piani, ci sarebbero ancora decine di turisti intrappolati oltre a un numero imprecisato di personale di servizio, forse un centinaio. Ma come è avvenuto per tutta la giornata le notizie sono frammentarie e contraddittorie anche a 24 ore dall’attacco. L’unica cosa certa sono state le esplosioni di varia intensità e i colpi di arma da fuoco che per tutto il pomeriggio sono risuonati dai vicini palazzi e anche fuori dall’hotel nel vialetto di palme, tanto che si è pensato a un certo punto che i reparti speciali braccassero uno degli attentatori nelle viuzze dietro l’edificio. La stessa scena ieri pomeriggio si ripeteva nella punta di Colaba, a qualche chilometro, dove sorge l’hotel Taj Mahal, monumentale edificio in stile coloniale, che durante la notte è stato gravemente danneggiato da un incendio scoppiato nei piani superiori, sotto il suo “cupolone” che è uno dei simboli della città.
Per tutto il pomeriggio di ieri l’intera città ha tenuto il fiato sospeso. Era perfino difficile trovare uno di quei chioschi dove si vendono sigarette e involtini da masticare di “pan”, che fanno parte del paesaggio urbano indiano. Gli unici posti movimentati erano gli ospedali. Nella sala mortuaria del J.J. Hospital, un vecchio e decadente ospedale, hanno anche portato il corpo di Antonio De Lorenzo, l’unico italiano tra le oltre 120 vittime, ucciso da una granata mentre si trovava con il figlio a cena all’Oberoi. Il suo corpo giace per terra insieme ad altri stranieri. La procedura di riconoscimento è già stata effettuata con l’intervento del consolato ed è in attesa di essere portato via. C’e un via vai pazzesco di poliziotti, medici e anche due diplomatici americani che sembrano abbastanza spazientiti dalla tipica confusione indiana. Sulle loro teste passano lastre dei raggi X e spessi plichi di fotocopie che sanno di disinfettante. Non c’è nessuno che piange, ma alcuni indiani hanno gli occhi rossi. Uno di loro ha perso un fratello che lavoravo come inserviente al Taj Mahal. Dentro nei reparti sono ricoverate 169 persone per ferite di arma da fuoco e per ustione. Alcuni sono in gravi condizioni. In questo ospedale c’è stata anche una italiana lievemente ferite, ma era già stata dimessa in mattinata.
La presenza di così tanti stranieri coinvolti è di sicuro un brutto colpo per l’industria turistica di Mumbai. “C’erano già stato un calo di turisti – afferma un taxista, uno dei pochi che ieri non aveva paura di viaggiare a Colaba – per via della crisi finanziaria mondiale, adesso chi verrà di nuovo a Mumbai sapendo che non si è sicuri neppure negli hotel più famosi e più cari?”’. Ma è anche l’orgoglio di una nazione che si è infranto con le bombe dell’altra sera. L’India, patria del Mahatma, l’apostolo della non violenza, è sconquassata da questo ennesimo attentato che per la gravità è simile alla scia di bombe che devastarono la borsa e alcuni hotel a cinque stelle nel 1993 e che portavano la firma della criminalità organizzata in diabolica connessione con i gruppi della jihad pachistana. Allora si trattò di una “rappresaglia” per la distruzione della moschea Babri nella città di Ayodhya, sacra agli induisti,ordinata dal partito indu nazionalista del Bjp, il Partito Popolare Indiano. Anche ora ci sono delle coincidenze, come il minitest elettorale in corso in alcuni stati del nord tra cui quello di Delhi. Gli indizi portano di nuovo alla pista islamica, in particolare alla Lashkar-e-Taiba, un gruppo che ha base a Karachi, da cui sarebbero arrivati via mare i terroristi con il loro carico di morte.
lunedì 24 novembre 2008
Mayawati lancia la sfida a Sonia Gandhi
La battaglia tra Sonia Gandhi e Mayawati, le due “dame di ferro” della politica indiana, è iniziato ieri con un duello a distanza a Nuova Delhi dove tra quattro giorni si tengono le elezioni per il rinnovo del parlamento locale. La leader del Congresso è atterrata con un elicottero per un comizio elettorale in un quartiere nella parte occidentale della capitale abitato dalla classe operaia tra un coro di “Sonia Gandhi Zinzabad” (Viva Sonia Gandhi). La sua rivale, Kumari Mayawati, leader dei “dalit”, gli ex intoccabili, e primo ministro dell’Uttar Pradesh (lo stato indiano più popoloso con 160 milioni di abitanti) è invece scesa in campo agli antipodi della metropoli a Trilokpuri, un rione popolare, dove erano radunati 20 mila sostenitori secondo il suo partito, il Bahujan Samaj Party (BSP), che ha come simbolo l’elefante e che per la prima volta ha presentato candidati in quasi tutti i collegi elettorali di Delhi. Mayawati è apparsa nel suo salwar kamise di chiffon rosa come al solito e ha ricevuto in regalo una corona d’oro. Molti dei suoi sostenitori erano arrivati in bus dal vicino Uttar Pradesh per acclamare la “Behenji”, “sorella”, come è chiamata questa cinquantunenne “single”, ex insegnante, figlia di genitori “intoccabili”, ma che è anche la più grande contribuente indiana. Il patrimonio personale di Mayawati è simile a quello degli attori di Bollywood. Ha una grande passione per i gioielli, ma anche una grande capacità di raccogliere fondi per il partito. La sua immagine è controversa per via di una serie di scandali finanziari che l’hanno travolta in passato, tra cui quello riguardante la costruzione di un centro commerciale vicino al famoso mausoleo del Taj Mahal, nella cittadina di Agra. L’hanno accusata anche di condurre una vita fastosa nel suo palazzo di Lucknow dove è protetta da 350 poliziotti. Ma la leader del BSP ogni volta è riuscita a risorgere dalle ceneri e ha rimontato la china con una vittoria a sorpresa nell’aprile del 2007 quando il suo partito conquisto la maggioranza in Uttar Pradesh grazie all’appoggio “trasversale” delle caste alte dei brahmini e del ceto sociale medio dei commercianti e degli artigiani. Da allora Mayawati ha lanciato il guanto di sfida niente meno che alla leader Sonia Gandhi e al figlio Rahul, suo erede politico e forse anche prossimo candidato alla carica di primo ministro. Con le elezioni generale previste per aprile-maggio 2009 e un mini test elettorale in corso in queste settimane in sei stati del nord dell’India, la sfida si fa rovente. Alcuni hanno perfino paragonato Mayawati al presidente americano eletto Barack Obama, l’afroamericano diventato il beniamino delle comunità emarginate e che ha promesso una svolta radicale con il passato.
venerdì 21 novembre 2008
Esuli tibetani di Dharamsala confermano linea del Dalai Lama
La comunità dei tibetani è in crisi di identità, ma per ora non ci sarebbero alternative all’approccio moderato della Via di Mezzo seguito con la Cina in questi anni. Il conclave di 500 rappresentanti degli esuli tibetani a Dharamsala che si conclude oggi avrebbe riconfermato l’appoggio alla linea politica del Dalai Lama, anche se ammissione dello stesso leader spirituale, non ha portato a nessun passo. Sembrerebbe quindi che la fazione radicale e indipendentista, costituita dalle nuove generazioni di tibetani che hanno animato le proteste contro le Olimpiadi di Pechino, sia stata messa in minoranza con il rischio ora di probabili spaccature. Ma il comunicato finale, atteso per oggi e seguito da una conferenza stampa del Dalai Lama domani, potrebbe anche dettare delle condizioni ai cinesi sulla liberazione dei prigionieri tibetani incluso il Panchem Lama e il coinvolgimento di un osservatore indipendente durante i prossimi round di negoziati.
Intanto da Pechino giunge l’ennesimo attacco contro ogni possibilità di autonomia per il Tibet e contro qualsiasi compromesso con i tibetani. In un editoriale il Tibet Daily ha definito l’approccio della Via di mezzo un inganno perché come scrive “cerca di ottenere l’indipendenza di una regione che da 700 anni è parte del territorio cinese”. Tutto come prima quindi per gli esuli di Dharamsala.
Da ND MGC
Intanto da Pechino giunge l’ennesimo attacco contro ogni possibilità di autonomia per il Tibet e contro qualsiasi compromesso con i tibetani. In un editoriale il Tibet Daily ha definito l’approccio della Via di mezzo un inganno perché come scrive “cerca di ottenere l’indipendenza di una regione che da 700 anni è parte del territorio cinese”. Tutto come prima quindi per gli esuli di Dharamsala.
Da ND MGC
Fiat inuagura produzione della Linea a Ranjangaon
Su Apcom
“Questo è un buon momento per entrare sul mercato con un’auto come la Linea ”. Parola di Rajeev Kapur, il manager indiano a capo della joint venture tra Fiat e Tata Motors, siglata ufficialmente un anno fa e battezzata Fiat India Automobiles Limited. Kapur è seduto ad un tavolo con i giornalisti nella mensa del grande stabilimento di Ranjangaon, distretto industriale vicino a Pune, fiore all’occhiello dello stato del Maharashtra. Ha ancora sulla fronte il segno vermiglio che un bramino gli ha impresso dopo aver “benedetto” con noci di cocco, incenso e fiori il cofano della prima auto uscita dalla catena di montaggio nuova di zecca.
Oggi la Fiat ha inaugurato la produzione della Linea, la berlina di lusso già presente in Turchia e nel resto d’Europa e a cui sono affidati le sorti del rilancio del Lingotto sul ricco mercato indiano.
A partire dal prossimo 16 dicembre, dopo il lancio ufficiale a Mumbai, la Linea sarà in vendita in circa 60 concessionari Fiat-Tata. L’obiettivo dichiarato da Kapur è di vendere 2500 auto al mese, un traguardo che la stampa indiana ha definito ambizioso soprattutto dopo il crollo della domanda di vetture degli ultimi mesi. La crisi mondiale si fa sentire anche sull’India. Anche se le stime di crescita rimangono superiori al 6 per cento, si sta già verificando una frenata dei consumi di beni durevoli da parte della classe media emergente. “Siamo convinti – aggiunge Kapur – che il segmento B e C continuerà a crescere”. La Linea , che sarà prodotta in tre gamme (“Il prezzo sarà deciso due ore prima del lancio”) era stata presentata già all’inizio dell’anno al Salone dell’Auto di Nuova Delhi, monopolizzato dalla Tata Nano, la mini car che è stata bloccata dalle proteste dei contadini in Bengala Occidentale. “Abbiamo mantenuto la nostra promessa” ha aggiunto il manager minimizzando il ritardo di alcuni mesi che sarebbe dovuto a problemi tecnici.
La nuova linea di produzione (in tre capannoni dedicati alla lastratura, verniciatura e montaggio) “è all’avanguardia ed è stata realizzata in sei mesi” spiega Giorgio Bollato, responsabile della produzione che ha messo in piedi la fabbrica in Turchia. “Questo è il più grande investimento di Fiat dopo Turchia e Polonia” - aggiunge. La catena di montaggio sarà in grado di produrre un auto ogni 112 secondi. La capacità dello stabilimento è di 200 mila unità all’anno, ma potrà essere raggiunta solo quando saranno prodotti altri modelli come la Grande Punto , l’altra vettura su cui la Fiat punta la sua riscossa in India e che entrerà in produzione nella seconda metà del 2009. La stessa struttura potrà poi essere usata in futuro anche per la nuova Indica X1 di Tata.
Intanto continuerà la produzione della Palio Stile, una nuova versione della world car sbarcata sul mercato indiano nel 2001 sulla scorta del grande successo in Brasile, ma che non è mai riuscita a sfondare per la cattiva gestione della rete di post vendita. “ A partire da quest’anno abbiamo iniziato a esportare 800 Palio in Sudafrica – ha aggiunto Kapur – e cercheremo di aumentare questo numero il prossimo anno. L’esportazione nei Paesi con guida a destra permetterebbe di sfruttare le potenzialità della fabbrica di Ranjangaon (in totale 200 mila veicoli all’anno e 300 mila tra motori e trasmissioni), rimasta inutilizzata per dieci anni e riaperta nell’aprile del 2006 grazie all’accordo da un miliardo di dollari circa tra Fiat e Tata.
“Questo è un buon momento per entrare sul mercato con un’auto come la Linea ”. Parola di Rajeev Kapur, il manager indiano a capo della joint venture tra Fiat e Tata Motors, siglata ufficialmente un anno fa e battezzata Fiat India Automobiles Limited. Kapur è seduto ad un tavolo con i giornalisti nella mensa del grande stabilimento di Ranjangaon, distretto industriale vicino a Pune, fiore all’occhiello dello stato del Maharashtra. Ha ancora sulla fronte il segno vermiglio che un bramino gli ha impresso dopo aver “benedetto” con noci di cocco, incenso e fiori il cofano della prima auto uscita dalla catena di montaggio nuova di zecca.
Oggi la Fiat ha inaugurato la produzione della Linea, la berlina di lusso già presente in Turchia e nel resto d’Europa e a cui sono affidati le sorti del rilancio del Lingotto sul ricco mercato indiano.
A partire dal prossimo 16 dicembre, dopo il lancio ufficiale a Mumbai, la Linea sarà in vendita in circa 60 concessionari Fiat-Tata. L’obiettivo dichiarato da Kapur è di vendere 2500 auto al mese, un traguardo che la stampa indiana ha definito ambizioso soprattutto dopo il crollo della domanda di vetture degli ultimi mesi. La crisi mondiale si fa sentire anche sull’India. Anche se le stime di crescita rimangono superiori al 6 per cento, si sta già verificando una frenata dei consumi di beni durevoli da parte della classe media emergente. “Siamo convinti – aggiunge Kapur – che il segmento B e C continuerà a crescere”. La Linea , che sarà prodotta in tre gamme (“Il prezzo sarà deciso due ore prima del lancio”) era stata presentata già all’inizio dell’anno al Salone dell’Auto di Nuova Delhi, monopolizzato dalla Tata Nano, la mini car che è stata bloccata dalle proteste dei contadini in Bengala Occidentale. “Abbiamo mantenuto la nostra promessa” ha aggiunto il manager minimizzando il ritardo di alcuni mesi che sarebbe dovuto a problemi tecnici.
La nuova linea di produzione (in tre capannoni dedicati alla lastratura, verniciatura e montaggio) “è all’avanguardia ed è stata realizzata in sei mesi” spiega Giorgio Bollato, responsabile della produzione che ha messo in piedi la fabbrica in Turchia. “Questo è il più grande investimento di Fiat dopo Turchia e Polonia” - aggiunge. La catena di montaggio sarà in grado di produrre un auto ogni 112 secondi. La capacità dello stabilimento è di 200 mila unità all’anno, ma potrà essere raggiunta solo quando saranno prodotti altri modelli come la Grande Punto , l’altra vettura su cui la Fiat punta la sua riscossa in India e che entrerà in produzione nella seconda metà del 2009. La stessa struttura potrà poi essere usata in futuro anche per la nuova Indica X1 di Tata.
Intanto continuerà la produzione della Palio Stile, una nuova versione della world car sbarcata sul mercato indiano nel 2001 sulla scorta del grande successo in Brasile, ma che non è mai riuscita a sfondare per la cattiva gestione della rete di post vendita. “ A partire da quest’anno abbiamo iniziato a esportare 800 Palio in Sudafrica – ha aggiunto Kapur – e cercheremo di aumentare questo numero il prossimo anno. L’esportazione nei Paesi con guida a destra permetterebbe di sfruttare le potenzialità della fabbrica di Ranjangaon (in totale 200 mila veicoli all’anno e 300 mila tra motori e trasmissioni), rimasta inutilizzata per dieci anni e riaperta nell’aprile del 2006 grazie all’accordo da un miliardo di dollari circa tra Fiat e Tata.
lunedì 17 novembre 2008
Tibetani in conclave a Dharamsala decidono il loro destino
Sarà una settimana cruciale questa per la comunità tibetana in esilio che alla vigilia del 50esimo anniversario della fuga del Dalai Lama in India si ritrova a dover ripensare radicalmente la strategia nei confronti della Cina. Circa 500 delegati sono riuniti da ieri in un conclave a Dharamsala per quella che il primo ministro in esilio Samdhong Rinpoche ha definito una “libera e sincera discussione” da cui potranno emergere nuove idee alternative” alla politica di mediazione con la Cina. Secondo l’ammissione dello stesso Dalai Lama, l’approccio moderato conosciuto come “la via di mezzo , è fallito. L’ultimo round di negoziati a Pechino, l’ottavo dal 2002, non ha portato a nessun frutto, anzi la posizione cinese sembra essersi irrigidita. Nella comunità tibetana, soprattutto tra le nuove generazioni, stanno emergendo posizioni più radicali e indipendentiste. E’ un segnale nuovo che arriva direttamente dal Tibet come si è visto dalla violenta insurrezione di marzo. Ma c’è anche un elemento in più. La salute del 73enne e attivissimo Dalai Lama, ricoverato ad agosto per un’operazione chirurgica, è sempre più fragile. Il dibattito sulla successione rimane ancora aperto. Anche di questo dovrà discutete il conclave dei tibetani che si conclude sabato prossimo.
Ritornano in 200 convertiti della tribù perduta d'Israele
Circa 200 persone appartenenti alla comunità indiana Bnei Menashe, ritenuti discendenti di una delle tribù perdute d’Israele, hanno ricevuto il permesso di immigrare in Israele. Dopo aver ottenuto il via libera dal governo potranno volare a gennaio a Tel Aviv dove saranno ricevuti con tutti gli onori dal primo ministro Ehud Olmert, secondo una fonte ufficiale.
La decisione è frutto di un controverso processo di “riconoscimento” dei Bnei Menashe, letteralmente i figli di Manasse (uno dei figli del patriarca Giuseppe), che vivono nei piccoli e isolati stati indiani nord orientali del Manipur e Mizoram e che praticano una sorta di antico ebraismo rispettando alcune tradizioni come la celebrazione del sabato e la circoncisione. Sulla base di ricerche e anche della prova del DNA, le autorità israeliane erano giunte alla conclusione che si tratta dei discendenti di una delle 10 tribù perdute del regno di Israele esiliate dai conquistatori assiro-babilonesi circa 2700 anni fa. La comunità conta circa 9 mila persone, di cui 1500 sono già immigrati in Israele dove si sono convertiti e hanno acquisito un nuovo passaporto. Altri 7000 Bnei Menashe sono ancora in attesa del riconoscimento del diritto di “alihah” (diritto di ritorno) che consentirebbe loro di lasciare i poveri villaggi dove vivono ed essere integrati nella più benestante società israeliana.
Nel 2005 una speciale commissione di rabbini inviata dalle autorità israeliane era giunta in India per convertire all’ebraismo ortodosso la comunità dei Bnei Menasce (che avrebbe anche ramificazioni nel vicino Myanmar) dopo aver riconosciuto l’autenticità delle loro antiche origini ebraiche.
La decisione è frutto di un controverso processo di “riconoscimento” dei Bnei Menashe, letteralmente i figli di Manasse (uno dei figli del patriarca Giuseppe), che vivono nei piccoli e isolati stati indiani nord orientali del Manipur e Mizoram e che praticano una sorta di antico ebraismo rispettando alcune tradizioni come la celebrazione del sabato e la circoncisione. Sulla base di ricerche e anche della prova del DNA, le autorità israeliane erano giunte alla conclusione che si tratta dei discendenti di una delle 10 tribù perdute del regno di Israele esiliate dai conquistatori assiro-babilonesi circa 2700 anni fa. La comunità conta circa 9 mila persone, di cui 1500 sono già immigrati in Israele dove si sono convertiti e hanno acquisito un nuovo passaporto. Altri 7000 Bnei Menashe sono ancora in attesa del riconoscimento del diritto di “alihah” (diritto di ritorno) che consentirebbe loro di lasciare i poveri villaggi dove vivono ed essere integrati nella più benestante società israeliana.
Nel 2005 una speciale commissione di rabbini inviata dalle autorità israeliane era giunta in India per convertire all’ebraismo ortodosso la comunità dei Bnei Menasce (che avrebbe anche ramificazioni nel vicino Myanmar) dopo aver riconosciuto l’autenticità delle loro antiche origini ebraiche.
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