domenica 29 giugno 2008
Shimla perde la battaglia contro le scimmie
Su Apcom
Shimla - Uno degli articoli più richiesti a Shimla in questi giorni è un bastone di bambù con cui difendersi dai macachi. Orde di scimmie hanno di nuovo invaso la località himalayana dell’Himachal Pradesh, famosa per essere stata la capitale estiva del Raj britannico durante la dominazione coloniale. In queste settimane di vacanze scolastiche, le vie pedonali di questa “Cortina d’Ámpezzo” indiana, sono piene zeppe di famiglie fuggite alla calura di Nuova Delhi e delle pianure del Punjab. Lanciandosi dai tetti e dagli alberi le scimmie attaccano i vacanzieri rubando macchine fotografiche, borsette e perfino occhiali. Per gli albergatori, ambulanti e i residenti è un vero e proprio. Alcuni per difendersi hanno recintato i balconi e terrazze con reti metalliche.
Da ormai molti anni il governo dell’Himachal Pradesh sta combattendo una dura battaglia per ridurre il numero dei prolifici animali o almeno contenerli fuori dalle mete turistiche, ma finora senza successo. L’ultimo fallimento riguarda la costosa campagna di sterilizzazione, criticata dagli animalisti come Maneka Gandhi , la cognata di Sonia Gandhi, la leader del Congresso, e anche sua rivale politica.
E’ notizia di pochi giorni fa che alcune delle 1300 femmine che l’anno scorso erano state catturate e operate, sono ora di nuovo incinte. ‘Ci sono state delle mancanze nel programma di sterilizzazione.’ ha ammesso ad un’agenzia di stampa indiana Lalit Mohan, uno dei responsabili della campagna che aveva richiesto la presenza di esperti “accalappiascimmie”.
Anche il tentativo di trasferire i macachi nelle foreste non è andato a segno perchè per sfamarsi le povere bestie erano costrette a saccheggiare i frutteti che sono una delle principali risorse dello stato himalayano famoso per le sue mele e pesche. Un paio di anni fa centinaia di scimmie erano state “regalate” al Tajikistan che ne aveva bisogno per i suoi zoo e parchi naturali. Secondo gli esperti nello stato ci sarebbero centinaia di migliaia di scimmie. ‘A causa della deforestazione, le scimmie hanno lasciato il loro habitat naturale - spiega un responsabile dell’ufficio foreste dell’Himachal Pradesh - per riversarsi nelle città turistiche come Shimla e Rampur”’ dove trovano cibo soprattutto in prossimità dei templi di Hanuman, il dio-scimmia degli induisti che rappresenta la saggezza e devozione.
domenica 22 giugno 2008
Ambasciatore Antonio Armellini: "Senza l'India non si può più esistere"
Su Apcom
Negli ultimi quattro anni l’India è entrata prepotentemente sulla scena internazionale grazie a un tasso di crescita dell’8-9% che è tra i più alti al mondo. Rimangono però enormi contraddizioni interne che pesano come macigni sulle prospettive del suo sviluppo. “Parto con la convinzione che non si può più esistere senza l’India. E’ una realtà con cui bisogna fare i conti politicamente ed economicamente. Non è una potenza mondiale, ma un giorno forse lo sarà”. E tempo di bilanci per Antonio Armellini, da oltre 4 anni ambasciatore italiano a Nuova Delhi, che tra circa un mese lascerà il suo incarico dopo essere stato nominato dalla Farnesina come rappresentante permanente presso l’Ocse a Parigi. Il suo successore sarà Roberto Toscano, attualmente a capo della sede diplomatica di Teheran. In questa lunga intervista, Armellini traccia un quadro con molte luci e ombre sul complesso delle relazioni bilaterali, sugli investimenti italiani che sono ancora sottodimensionati, sulla difficoltà di un Paese che “si cerca di capire non capendolo”, sulle virtù dell’etica induista e sul fascino dei suoi monumenti tra cui spiccano i templi erotici di Khajuraho. Dal 2000 al 2005 l’interscambio è raddoppiato e con l’impennata del 43% dell’export registrata nell’ultimo anno fiscale, l’Italia ha quasi raggiunto la Francia nella classifica dei maggiori esportatori europei in India. Dal suo arrivo nell’aprile del 2004, la bilancia commerciale è passata da 2,6 a 6,3 miliardi di dollari. Un trend positivo che fa pensare che l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari entro il 2010 fissato dal ministro del commercio Kamal Nath e dalla sua ex omologa Emma Bonino sia “a portata di mano”. “Ma c’è ancora molto da fare” avverte Armellini soprattutto sul fronte degli investimenti diretti che devono essere indirizzati nei due settori prioritari per il governo di Manmohan Singh, che sono l’agricoltura, l’eterna “cenerentola” indiana e la modernizzazione delle infrastrutture che richiederà una spesa di 350 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. Il fenomeno indiano è scoppiato con il Millennio, quando il mondo ha scoperto l’abilità ma soprattutto la convenienza degli ingegneri informatici di Bangalore. C’è voluta però la visita dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 a collocare l’India nel radar della Farnesina puntato fino allora solo sulla Cina. “L’arrivo di Ciampi segna un rovesciamento del cono dell’indifferenza reciproca” – spiega l’ambasciatore ricordando l’andamento sinusoidale dei rapporti italo-indiani che risalgono alla prima fase dell’industrializzazione indiana dall’Indipendenza fino agli anni Settanta. “Pensiamo alla Lambretta della Piaggio o agli impianti di urea della Snam Progetti che hanno permesso l’autosufficienza agricola”. Nel febbraio del 2007 la missione di Romano Prodi e di tre ministri, accompagnati da una delegazione di 400 imprenditori, aggiunge un altro tassello alla costruzione di un “un quadro riferimento istituzionale che oggi è paragonabile a quello stabilito con i nostri maggiori partner commerciali”. Ma la partnership commerciale deve ancora rafforzarsi soprattutto sul fronte degli investimenti diretti “in cui esiste una debolezza strutturale dell’Italia”. Ci sono tuttavia “segnali di correzione positiva”. L’anno scorso il flusso di FDI (Foreign Direct Investments) ha segnato un balzo del 56% (più 80% nei primi tre mesi del 2008), ma sono ancora la metà di quelli francesi. “In Italia si guarda solo all’accordo Tata, ma non è l’unico. Sono ritornati sulla scena tutti i grandi protagonisti della nostra industria. Ci sono stati investimenti di rilievo da parte di Generali, il raddoppiamento della fabbrica della Piaggio e il triplicamento di quella di Carraro. Poi c’è la Perfetti che vuole fare dell’India un hub per l’Asia sudorientale”. Ma se si guarda l’altra faccia della medaglia, “gli imprenditori italiani dovrebbero concentrarsi maggiormente nel settore agroalimentare e in quello delle infrastrutture dove è possibile accedere solo con una logica di consorzi, che purtroppo manca alle nostre imprese di costruzione”. Oltre il 40% delle esportazioni è composto da macchinari utensili, dove l’Italia gode di un grande vantaggio competitivo grazie ad aziende come Bonfiglioli, Carraro e Graziano Trasmissioni. “Tutti parlano di Armani, ma per quanto riguarda le macchine utensili per lavorazione della pelle, tessile, ferro, marmo e legno qui in India abbiamo smentito il mito della superiorità tedesca”. Tra le carenze delle imprese italiane, secondo Armellini, c’è però quella di avere una “percezione assolutamente falsata dell’India”, che per molti è ancora un “paese di straccioni” e in più c’è un fattore frenante dovuto a una certa “tendenza tutta italiana a lamentarsi delle strutture pubbliche senza però fare nulla per cambiarle”. Armellini respinge senza mezzi termini l’idea abbastanza diffusa che gli uffici commerciali delle ambasciate o gli uffici dell’Ice siano inadeguati e inefficienti. “Mi ricordo quando ero in Polonia – racconta - gli imprenditori si rivolgevano solo a me quando erano disperati ed era ormai troppo tardi. Quando chiedevo perché non erano venuti prima, mi rispondevano che era per sfiducia oppure perche temevano che facessi la spia alla Finanza. Questa diffidenza di fondo è all’origine della difficoltà delle imprese di servirsi delle strutture pubbliche, che hanno mille carenze e su questo non c’è dubbio, ma hanno bisogno di avere un riscontro per migliorare l’offerta del loro servizio”. Da qualche mese tuttavia si sono addensate dense nubi all’orizzonte della “speranza indiana”, per citare il libro di Federico Rampini (“dove è descritto un posto straordinario che si fa fatica a ritrovare appena si esce dall’aeroporto”). L’inflazione che ha toccato, proprio in questi giorni, il record dell’11 per cento a causa del caro benzina, potrebbe fortemente rallentare la crescita. A poco possono contribuire le previsioni ottimistiche di un buon raccolto dovuto all’arrivo anticipato del monsone. “L’obiettivo del 10 per cento di crescita mi sembra irragionevole – afferma - Penso invece che l’India possa mantenere un 7 per cento grazie alla potenza inespressa del mercato interno e al piano keynesiano di investimenti pubblici. Certo il Paese è ancora molto squilibrato sui servizi che rappresentano il 40 del Pil e che sono quelli più vulnerabili alla recessione mondiale. Penso però che il sistema economico indiano sia in grado di reggere a queste onde d’urto esterne”. C’è inoltre una marcia in più che l’India possiede ed è quella del “karma”, un concetto che impregna ogni classe sociale e che “garantisce una stabilità di fondo frenando l’ambizione personale. Per questo non credo tra i tanti problemi che l’India dovrà affrontare ci sarà quello di disordini o conflitti sociali. Nella classe media l’egoismo capitalistico convive con l’etica induista”. Guardando l’India con i nostri occhi da occidentali, si può inciampare in gravi errori di valutazione. Per esempio la guerra delle caste in Rajasthan non è “una rivendicazione rivoluzionaria”, ma si tratta di una "parte della società che vuole una diversa sistemazione all’interno di un ordine castale che nessuno di loro contesta. L’India si può permettere uno sviluppo squilibrato perché ha un tessuto sociale che garantisce la stabilità anche in presenza di fattori che per noi sono rivoluzionari”. “Temo invece un’instabilità sociale in Cina – aggiunge - se nei prossimi dieci anni non riuscirà a completare il processo di urbanizzazione delle campagne”. Negli ultimi anni a Nuova Delhi e a Bombay sono arrivate in massa i marchi simbolo del Made in Italy attirati dal potere di acquisto della nuova classe borghese che conta 80-100 milioni di consumatori in grado di permettersi una casa di proprietà, l’auto e le vacanze. Sono pronti a comprare anche i generi di lusso? “Assolutamente sì – afferma – perchè esiste una nuova domanda da parte di giovani ingegneri e professionisti che cominciano a vivere in famiglie mononucleari. Sono stato di recente a inaugurare un negozio di Corneliani che espone vestiti da 80 o 90 mila rupie (oltre i 1200 euro). Mi dicevano che c’è una forte richiesta non solo nelle metropoli, ma anche nelle città secondarie come Ludhiana o Chandigar”. Anche se qui in India l’argomento è tabù, la presenza della leader Sonia Gandhi è un elemento che non si può ignorare nelle relazioni indo-italiane. La leader del partito del Congresso e capo della coalizione di governo è una cittadina indiana a tutti gli effetti, ma nell’immaginario collettivo è sempre la ragazza piemontese che nel 1968 ha sposato Rajiv Gandhi. Le sue origini italiane sono costantemente soggette ad attacchi dell’opposizione e ogni suo rapporto con l’Italia è vagliato attentamente dalla stampa indiana affamata di particolari su una leader della cui privacy non si sa nulla. “Ho rapporti con lei come con tutti gli altri membri del governo indiano. Per me Sonia Gandhi è una cittadina indiana e se qualcuno pensa che possa essere una scorciatoia o un canale preferenziale si sbaglia di grosso” taglia corto Armellini che tra l’altro vanta origini britanniche da parte materna. Essendo quindi bilingue, la sua padronanza dell’inglese in un Paese anglofono gli ha dato un vantaggio in più nelle relazioni con la leadership indiana. “Sì è vero – ammette – essere un italiano di madre lingua inglese mi ha permesso di utilizzare un mio strumento che non porta lo stampo del dominio coloniale britannico”. L’India non era del tutto sconosciuta per il diplomatico che ricorda che “da universitario nel 1963 aveva girato l’Asia per sei mesi senza incontrare nessun italiano”. In India, “dove avevo dei legami familiari per via di mio nonno che ci ha abitato molti anni”, non erano ancora arrivati i Beatles, ma “io già conoscevo Ravi Shankar che qui era già popolare… Certo adesso ho corretto quell’immagine antica e ho maturato l’idea di un Paese molto più complesso di quanto la gente non pensi, in rapidissimo movimento e con contraddizioni che uno conosce solo dall’interno e cerca di capirle non capendole”. Nei quattro anni di permanenza numerosi sono stati i viaggi, anche nei due Paesi di competenza della sede diplomatica di Delhi, il Nepal e il piccolo Bhutan, ex regno con il quale non ci sono relazioni diplomatiche e “dove vive un’unica cittadina italiana che è la moglie del ministro degli esteri”. Sulle bellezze dell’India, Armellini scarta la natura che è “deludente, a parte il Ladakh”, mentre esalta il “costruito”. “Sono stato colpito dai monumenti indiani, intriganti e fascinosi, come i templi di Khajuraho “costruiti quando noi eravamo ancora chiusi nei conventi ad aspettare la fine del mondo”. Mentre non è stato sedotto dal fascino degli “ashram”, che invece attira moltissimi italiani. “Penso che la spiritualità indiana affascini più coloro che vengono qui a cercarla che coloro che ci abitano”.
Negli ultimi quattro anni l’India è entrata prepotentemente sulla scena internazionale grazie a un tasso di crescita dell’8-9% che è tra i più alti al mondo. Rimangono però enormi contraddizioni interne che pesano come macigni sulle prospettive del suo sviluppo. “Parto con la convinzione che non si può più esistere senza l’India. E’ una realtà con cui bisogna fare i conti politicamente ed economicamente. Non è una potenza mondiale, ma un giorno forse lo sarà”. E tempo di bilanci per Antonio Armellini, da oltre 4 anni ambasciatore italiano a Nuova Delhi, che tra circa un mese lascerà il suo incarico dopo essere stato nominato dalla Farnesina come rappresentante permanente presso l’Ocse a Parigi. Il suo successore sarà Roberto Toscano, attualmente a capo della sede diplomatica di Teheran. In questa lunga intervista, Armellini traccia un quadro con molte luci e ombre sul complesso delle relazioni bilaterali, sugli investimenti italiani che sono ancora sottodimensionati, sulla difficoltà di un Paese che “si cerca di capire non capendolo”, sulle virtù dell’etica induista e sul fascino dei suoi monumenti tra cui spiccano i templi erotici di Khajuraho. Dal 2000 al 2005 l’interscambio è raddoppiato e con l’impennata del 43% dell’export registrata nell’ultimo anno fiscale, l’Italia ha quasi raggiunto la Francia nella classifica dei maggiori esportatori europei in India. Dal suo arrivo nell’aprile del 2004, la bilancia commerciale è passata da 2,6 a 6,3 miliardi di dollari. Un trend positivo che fa pensare che l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari entro il 2010 fissato dal ministro del commercio Kamal Nath e dalla sua ex omologa Emma Bonino sia “a portata di mano”. “Ma c’è ancora molto da fare” avverte Armellini soprattutto sul fronte degli investimenti diretti che devono essere indirizzati nei due settori prioritari per il governo di Manmohan Singh, che sono l’agricoltura, l’eterna “cenerentola” indiana e la modernizzazione delle infrastrutture che richiederà una spesa di 350 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. Il fenomeno indiano è scoppiato con il Millennio, quando il mondo ha scoperto l’abilità ma soprattutto la convenienza degli ingegneri informatici di Bangalore. C’è voluta però la visita dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 a collocare l’India nel radar della Farnesina puntato fino allora solo sulla Cina. “L’arrivo di Ciampi segna un rovesciamento del cono dell’indifferenza reciproca” – spiega l’ambasciatore ricordando l’andamento sinusoidale dei rapporti italo-indiani che risalgono alla prima fase dell’industrializzazione indiana dall’Indipendenza fino agli anni Settanta. “Pensiamo alla Lambretta della Piaggio o agli impianti di urea della Snam Progetti che hanno permesso l’autosufficienza agricola”. Nel febbraio del 2007 la missione di Romano Prodi e di tre ministri, accompagnati da una delegazione di 400 imprenditori, aggiunge un altro tassello alla costruzione di un “un quadro riferimento istituzionale che oggi è paragonabile a quello stabilito con i nostri maggiori partner commerciali”. Ma la partnership commerciale deve ancora rafforzarsi soprattutto sul fronte degli investimenti diretti “in cui esiste una debolezza strutturale dell’Italia”. Ci sono tuttavia “segnali di correzione positiva”. L’anno scorso il flusso di FDI (Foreign Direct Investments) ha segnato un balzo del 56% (più 80% nei primi tre mesi del 2008), ma sono ancora la metà di quelli francesi. “In Italia si guarda solo all’accordo Tata, ma non è l’unico. Sono ritornati sulla scena tutti i grandi protagonisti della nostra industria. Ci sono stati investimenti di rilievo da parte di Generali, il raddoppiamento della fabbrica della Piaggio e il triplicamento di quella di Carraro. Poi c’è la Perfetti che vuole fare dell’India un hub per l’Asia sudorientale”. Ma se si guarda l’altra faccia della medaglia, “gli imprenditori italiani dovrebbero concentrarsi maggiormente nel settore agroalimentare e in quello delle infrastrutture dove è possibile accedere solo con una logica di consorzi, che purtroppo manca alle nostre imprese di costruzione”. Oltre il 40% delle esportazioni è composto da macchinari utensili, dove l’Italia gode di un grande vantaggio competitivo grazie ad aziende come Bonfiglioli, Carraro e Graziano Trasmissioni. “Tutti parlano di Armani, ma per quanto riguarda le macchine utensili per lavorazione della pelle, tessile, ferro, marmo e legno qui in India abbiamo smentito il mito della superiorità tedesca”. Tra le carenze delle imprese italiane, secondo Armellini, c’è però quella di avere una “percezione assolutamente falsata dell’India”, che per molti è ancora un “paese di straccioni” e in più c’è un fattore frenante dovuto a una certa “tendenza tutta italiana a lamentarsi delle strutture pubbliche senza però fare nulla per cambiarle”. Armellini respinge senza mezzi termini l’idea abbastanza diffusa che gli uffici commerciali delle ambasciate o gli uffici dell’Ice siano inadeguati e inefficienti. “Mi ricordo quando ero in Polonia – racconta - gli imprenditori si rivolgevano solo a me quando erano disperati ed era ormai troppo tardi. Quando chiedevo perché non erano venuti prima, mi rispondevano che era per sfiducia oppure perche temevano che facessi la spia alla Finanza. Questa diffidenza di fondo è all’origine della difficoltà delle imprese di servirsi delle strutture pubbliche, che hanno mille carenze e su questo non c’è dubbio, ma hanno bisogno di avere un riscontro per migliorare l’offerta del loro servizio”. Da qualche mese tuttavia si sono addensate dense nubi all’orizzonte della “speranza indiana”, per citare il libro di Federico Rampini (“dove è descritto un posto straordinario che si fa fatica a ritrovare appena si esce dall’aeroporto”). L’inflazione che ha toccato, proprio in questi giorni, il record dell’11 per cento a causa del caro benzina, potrebbe fortemente rallentare la crescita. A poco possono contribuire le previsioni ottimistiche di un buon raccolto dovuto all’arrivo anticipato del monsone. “L’obiettivo del 10 per cento di crescita mi sembra irragionevole – afferma - Penso invece che l’India possa mantenere un 7 per cento grazie alla potenza inespressa del mercato interno e al piano keynesiano di investimenti pubblici. Certo il Paese è ancora molto squilibrato sui servizi che rappresentano il 40 del Pil e che sono quelli più vulnerabili alla recessione mondiale. Penso però che il sistema economico indiano sia in grado di reggere a queste onde d’urto esterne”. C’è inoltre una marcia in più che l’India possiede ed è quella del “karma”, un concetto che impregna ogni classe sociale e che “garantisce una stabilità di fondo frenando l’ambizione personale. Per questo non credo tra i tanti problemi che l’India dovrà affrontare ci sarà quello di disordini o conflitti sociali. Nella classe media l’egoismo capitalistico convive con l’etica induista”. Guardando l’India con i nostri occhi da occidentali, si può inciampare in gravi errori di valutazione. Per esempio la guerra delle caste in Rajasthan non è “una rivendicazione rivoluzionaria”, ma si tratta di una "parte della società che vuole una diversa sistemazione all’interno di un ordine castale che nessuno di loro contesta. L’India si può permettere uno sviluppo squilibrato perché ha un tessuto sociale che garantisce la stabilità anche in presenza di fattori che per noi sono rivoluzionari”. “Temo invece un’instabilità sociale in Cina – aggiunge - se nei prossimi dieci anni non riuscirà a completare il processo di urbanizzazione delle campagne”. Negli ultimi anni a Nuova Delhi e a Bombay sono arrivate in massa i marchi simbolo del Made in Italy attirati dal potere di acquisto della nuova classe borghese che conta 80-100 milioni di consumatori in grado di permettersi una casa di proprietà, l’auto e le vacanze. Sono pronti a comprare anche i generi di lusso? “Assolutamente sì – afferma – perchè esiste una nuova domanda da parte di giovani ingegneri e professionisti che cominciano a vivere in famiglie mononucleari. Sono stato di recente a inaugurare un negozio di Corneliani che espone vestiti da 80 o 90 mila rupie (oltre i 1200 euro). Mi dicevano che c’è una forte richiesta non solo nelle metropoli, ma anche nelle città secondarie come Ludhiana o Chandigar”. Anche se qui in India l’argomento è tabù, la presenza della leader Sonia Gandhi è un elemento che non si può ignorare nelle relazioni indo-italiane. La leader del partito del Congresso e capo della coalizione di governo è una cittadina indiana a tutti gli effetti, ma nell’immaginario collettivo è sempre la ragazza piemontese che nel 1968 ha sposato Rajiv Gandhi. Le sue origini italiane sono costantemente soggette ad attacchi dell’opposizione e ogni suo rapporto con l’Italia è vagliato attentamente dalla stampa indiana affamata di particolari su una leader della cui privacy non si sa nulla. “Ho rapporti con lei come con tutti gli altri membri del governo indiano. Per me Sonia Gandhi è una cittadina indiana e se qualcuno pensa che possa essere una scorciatoia o un canale preferenziale si sbaglia di grosso” taglia corto Armellini che tra l’altro vanta origini britanniche da parte materna. Essendo quindi bilingue, la sua padronanza dell’inglese in un Paese anglofono gli ha dato un vantaggio in più nelle relazioni con la leadership indiana. “Sì è vero – ammette – essere un italiano di madre lingua inglese mi ha permesso di utilizzare un mio strumento che non porta lo stampo del dominio coloniale britannico”. L’India non era del tutto sconosciuta per il diplomatico che ricorda che “da universitario nel 1963 aveva girato l’Asia per sei mesi senza incontrare nessun italiano”. In India, “dove avevo dei legami familiari per via di mio nonno che ci ha abitato molti anni”, non erano ancora arrivati i Beatles, ma “io già conoscevo Ravi Shankar che qui era già popolare… Certo adesso ho corretto quell’immagine antica e ho maturato l’idea di un Paese molto più complesso di quanto la gente non pensi, in rapidissimo movimento e con contraddizioni che uno conosce solo dall’interno e cerca di capirle non capendole”. Nei quattro anni di permanenza numerosi sono stati i viaggi, anche nei due Paesi di competenza della sede diplomatica di Delhi, il Nepal e il piccolo Bhutan, ex regno con il quale non ci sono relazioni diplomatiche e “dove vive un’unica cittadina italiana che è la moglie del ministro degli esteri”. Sulle bellezze dell’India, Armellini scarta la natura che è “deludente, a parte il Ladakh”, mentre esalta il “costruito”. “Sono stato colpito dai monumenti indiani, intriganti e fascinosi, come i templi di Khajuraho “costruiti quando noi eravamo ancora chiusi nei conventi ad aspettare la fine del mondo”. Mentre non è stato sedotto dal fascino degli “ashram”, che invece attira moltissimi italiani. “Penso che la spiritualità indiana affascini più coloro che vengono qui a cercarla che coloro che ci abitano”.
giovedì 19 giugno 2008
Bashar al-Assad: "L'india può contribuire al dialogo e alla pace in Medio Oriente"
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“L’India gode di credibilità internazionale grazie al suo tradizionale supporto alla causa araba e alle sue buone relazioni con Israele” e può “giocare diversi ruoli” in favore della pace in Medio Oriente. Parlando davanti ai giornalisti, nel secondo giorno della sua visita a Nuova Delhi, il presidente siriano Bashar al-Assad ha di nuovo rivolto all’India un invito a contribuire alla stabilità e alla pace di una regione che è cruciale per la sua sicurezza energetica e anche per la presenza di una diaspora di 5 milioni di indiani. La diplomazia indiana può incoraggiare gli Stati Uniti a “prendere sul serio” il processo di pace e anche a svolgere un “ruolo diretto” nei negoziati come sta facendo ora la Turchia che un mese fa avviato il disgelo tra Siria e Israele. Il leader siriano ha rivolto il suo appello al premier indiano Manmohan Singh durante l’incontro di un’ora avvenuto ieri in cui è stata discussa anche la situazione in Iraq che continua a preoccupare Damasco. “La disintegrazione dell’Iraq potrebbe avere un effetto domino in tutta l’Asia” ha ricordato al-Assad aggiungendo che tutto dipenderà dalla futura amministrazione americana. Si è detto però molto ottimista sui recenti sviluppi per quanto riguarda il dialogo tra palestinesi e Israele e la crisi in Libano. “Un mese fa sarei stato molto più pessimista” ha dichiarato durante l’incontro con la stampa indiana che si è tenuto in un hotel della capitale.
In qualità di presidente di turno della Lega Araba ha poi assicurato l’appoggio all’aspirazione dell’India di entrare come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu quando sarà riformato.
Era dal 1978 che un presidente siriano - allora era il padre Hafez al-Assad - non si recava a Delhi per una visita ufficiale. Durante gli incontri di ieri sono stati siglati anche tre accordi bilaterali. Al-Assad è accompagnato dalla moglie Asma, che è a capo dell’organizzazione non governativa Firdos (Fund for Integrated Rural Development of Syria) e che ha visitato una della numerose baraccopoli alla periferia della metropoli indiana.
La missione, che vede anche una tappa nel polo tecnologico di Bangalore, è dedicata anche a rafforzare le relazioni economiche che sono sottodimensionate con un interscambio di “appena” 500 milioni di dollari. Parlando davanti ieri alla CII, la Confindustria indiana, il presidente siriano ha invitato gli indiani a formare joint venture nel settore agricolo, minerario, energetico, informatico e della formazione professionale. Il tasso di crescita dell’economia siriana è passato da meno dell’1 per cento nel 2000 al 6,6 per cento registrato nel 2007 grazie al processo di riforme e liberalizzazione degli investimenti.
In qualità di presidente di turno della Lega Araba ha poi assicurato l’appoggio all’aspirazione dell’India di entrare come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu quando sarà riformato.
Era dal 1978 che un presidente siriano - allora era il padre Hafez al-Assad - non si recava a Delhi per una visita ufficiale. Durante gli incontri di ieri sono stati siglati anche tre accordi bilaterali. Al-Assad è accompagnato dalla moglie Asma, che è a capo dell’organizzazione non governativa Firdos (Fund for Integrated Rural Development of Syria) e che ha visitato una della numerose baraccopoli alla periferia della metropoli indiana.
La missione, che vede anche una tappa nel polo tecnologico di Bangalore, è dedicata anche a rafforzare le relazioni economiche che sono sottodimensionate con un interscambio di “appena” 500 milioni di dollari. Parlando davanti ieri alla CII, la Confindustria indiana, il presidente siriano ha invitato gli indiani a formare joint venture nel settore agricolo, minerario, energetico, informatico e della formazione professionale. Il tasso di crescita dell’economia siriana è passato da meno dell’1 per cento nel 2000 al 6,6 per cento registrato nel 2007 grazie al processo di riforme e liberalizzazione degli investimenti.
domenica 15 giugno 2008
Il presidente siriano Bashar al-Assad arriva a New Delhi martedì
Su Apcom
Il presidente siriano Bashar al-Assad arriverà martedì a Nuova Delhi per la sua prima visita ufficiale in India che sarà dedicata a rafforzare le relazioni politiche e anche economiche, soprattutto nel settore dell’energia e dell’informatica. Erano oltre 20 anni che un leader di Damasco non si recava in India, un Paese tradizionalmente legato al mondo arabo, ma che negli ultimi ha notevolmente rafforzato i legami con Stati Uniti e Israele. Al-Assad, che sarà accompagnato dalla moglie e da tre ministri, incontrerà la leadership indiana al completo e poi visiterà il polo tecnologico di Bangalore, in particolare la sede dell’Isro (l’India Space and Research Organization), l’agenzia spaziale indiana che agli inizi di quest’anno ha lanciato in orbita per conto di Israele un sofisticato satellite spia che ha segnato il culmine dell’intesa militare tra i due Paesi.
Il presidente siriano, che ha un interesse speciale nell’IT, visiterà anche alcuni centri di eccellenza tra cui il National Informatics Center.
La visita coincide in un momento delicato per la Siria dove nei prossimi giorni si recheranno gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per verificare il sospetto reattore nucleare di al Kibar.
In un’intervista al quotidiano “The Hindu”, Bashar al- Assad si è augurato che la nuova “potenza emergente indiana” possa contribuire a ristabilire un “equilibrio” nel processo di pace in Medio Oriente. Nuova Delhi potrebbe giocare un ruolo di mediatrice tra Siria e Israele e anche tra Israele e i palestinesi. Dal 1978, data della visita del padre, Hafez al-Assad scomparso otto anni fa, c’è stato un radicale cambiamento dell’assetto geopolitico in Asia. I due giganti di India e Cina sono chiamati oggi a svolgere un diverso ruolo nella riappacificazione e stabilizzazione dell’area mediorientale che è cruciale per il loro fabbisogno energetico. Nel dicembre del 2005 India e Cina, per la prima volta unirono le forze per sfruttare i giacimenti petroliferi siriani acquistando dalla compagnia Petro-Canada il 37 per cento delle quote di estrazione dei pozzi di al Furat.
Il presidente siriano Bashar al-Assad arriverà martedì a Nuova Delhi per la sua prima visita ufficiale in India che sarà dedicata a rafforzare le relazioni politiche e anche economiche, soprattutto nel settore dell’energia e dell’informatica. Erano oltre 20 anni che un leader di Damasco non si recava in India, un Paese tradizionalmente legato al mondo arabo, ma che negli ultimi ha notevolmente rafforzato i legami con Stati Uniti e Israele. Al-Assad, che sarà accompagnato dalla moglie e da tre ministri, incontrerà la leadership indiana al completo e poi visiterà il polo tecnologico di Bangalore, in particolare la sede dell’Isro (l’India Space and Research Organization), l’agenzia spaziale indiana che agli inizi di quest’anno ha lanciato in orbita per conto di Israele un sofisticato satellite spia che ha segnato il culmine dell’intesa militare tra i due Paesi.
Il presidente siriano, che ha un interesse speciale nell’IT, visiterà anche alcuni centri di eccellenza tra cui il National Informatics Center.
La visita coincide in un momento delicato per la Siria dove nei prossimi giorni si recheranno gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per verificare il sospetto reattore nucleare di al Kibar.
In un’intervista al quotidiano “The Hindu”, Bashar al- Assad si è augurato che la nuova “potenza emergente indiana” possa contribuire a ristabilire un “equilibrio” nel processo di pace in Medio Oriente. Nuova Delhi potrebbe giocare un ruolo di mediatrice tra Siria e Israele e anche tra Israele e i palestinesi. Dal 1978, data della visita del padre, Hafez al-Assad scomparso otto anni fa, c’è stato un radicale cambiamento dell’assetto geopolitico in Asia. I due giganti di India e Cina sono chiamati oggi a svolgere un diverso ruolo nella riappacificazione e stabilizzazione dell’area mediorientale che è cruciale per il loro fabbisogno energetico. Nel dicembre del 2005 India e Cina, per la prima volta unirono le forze per sfruttare i giacimenti petroliferi siriani acquistando dalla compagnia Petro-Canada il 37 per cento delle quote di estrazione dei pozzi di al Furat.
giovedì 12 giugno 2008
Darjeeling paralizzata da rivolta dei gorkha
Su Apcom
Per il secondo giorno consecutivo la località himalayana di Darjeeling, paradiso delle piantagioni di tè e meta turistica fin dall’epoca del dominio britannico, è paralizzata da uno sciopero generale che ha costretto all’esodo migliaia di turisti indiani e anche stranieri.
La protesta, che è sfociata anche in scontri con la polizia, è stata organizzata da un gruppo separatista che si batte per la creazione di una nuova entità autonoma, chiamata Gorkhaland, nell’estremità settentrionale del Bengala Occidentale dove vive una maggioranza di etnia nepalese. Alla serrata, indetta lunedì dal Gorkha People Liberation Front (Gorkha Janamukti Morcha) per protestare contro lo “stato di terrore” imposto dal governo locale a guida comunista, hanno aderito negozi, ristoranti, hotel che si trovano nel picco delal stagione estiva e anche la rete di trasporti stradali rimasta completamente paralizzata. Gli attivisti Gorkha avrebbero anche costretto alla chiusura le rinomate piantagioni di tè che negli anni scorsi avevano sofferto una gravissima crisi. A causa del blocco dell’unica strada di collegamento con il centro ferroviario di Siluguri, anche il piccolo stato del Sikkim, che si estende a nord verso il confine con il Tibet, sarebbe isolato. Le autorità locali hanno deciso di evacuare un migliaio di turisti.
Nei prossimi giorni la situazione potrebbe peggiorare. Già oggi ci sono state notizie di violenze tra i manifestanti gorkha e alcuni quadri comunisti che hanno indetto un analogo sciopero a Siliguri, città in pianura, a maggioranza etnica bengalese e punto di passaggio obbligato per Darjeeling, che dista a tre ore di auto.
I leader della protesta hanno dato 60 ore di tempo ai visitatori per lasciare la vallata, mentre hanno consigliato alla popolazione di rifornirsi di viveri. “Siamo pronti per la battaglia finale” ha detto uno dei leader dei Gorka annunciando una serrata ad oltranza a partire da sabato quando scadrà la “tregua”.
Il governo comunista del Bengala Occidentale, guidato da Buddhadeb Bhattacharjee, il “Buddha rosso” come è chiamato dalla stampa indiana, ha respinto le rivendicazione degli attivisti Gorkha e ha convocato una riunione di emergenza di tutti i partiti a Calcutta. C’è il rischio che la protesta si trasformi in un'altra “Nandigram”, dove lo scorso anno è avvenuta una sanguinosa repressione dei contadini che per mesi si erano opposti contro l’esproprio delle proprie terre per far posto a un polo chimico.
Il movimento di liberazione dei Gorkha risale al secolo scorso, ma è culminato nel 1979 quando le comunità montane, the “hill people”, lanciarono una rivolta armata contro il governo locale bengalese. Il risultato fu di ottenere una sorta di comitato locale autonomo in materia di economia, istruzione e cultura. Ma non sufficiente per i Gorkha che vorrebbero uno status speciale simile a quello che godono alcuni stati “ribelli” del nord est indiano, Assam, Meghalaya, Mizoran e Tripura.
L’esodo dei turisti e la paralisi delle piantagioni di te è comunque un brutto colpo per Darjeeling che vive esclusivamente di queste due risorse. Ma lo è anche per l’industria turistica nazionale già messa in ginocchio dall’attentato terroristico del 13 maggio nel cuore di Jaipur e dalla rivolta della casta dei Gujjar che per giorni ha paralizzato lo stato del Rajasthan, la meta più popolare in India.
Per il secondo giorno consecutivo la località himalayana di Darjeeling, paradiso delle piantagioni di tè e meta turistica fin dall’epoca del dominio britannico, è paralizzata da uno sciopero generale che ha costretto all’esodo migliaia di turisti indiani e anche stranieri.
La protesta, che è sfociata anche in scontri con la polizia, è stata organizzata da un gruppo separatista che si batte per la creazione di una nuova entità autonoma, chiamata Gorkhaland, nell’estremità settentrionale del Bengala Occidentale dove vive una maggioranza di etnia nepalese. Alla serrata, indetta lunedì dal Gorkha People Liberation Front (Gorkha Janamukti Morcha) per protestare contro lo “stato di terrore” imposto dal governo locale a guida comunista, hanno aderito negozi, ristoranti, hotel che si trovano nel picco delal stagione estiva e anche la rete di trasporti stradali rimasta completamente paralizzata. Gli attivisti Gorkha avrebbero anche costretto alla chiusura le rinomate piantagioni di tè che negli anni scorsi avevano sofferto una gravissima crisi. A causa del blocco dell’unica strada di collegamento con il centro ferroviario di Siluguri, anche il piccolo stato del Sikkim, che si estende a nord verso il confine con il Tibet, sarebbe isolato. Le autorità locali hanno deciso di evacuare un migliaio di turisti.
Nei prossimi giorni la situazione potrebbe peggiorare. Già oggi ci sono state notizie di violenze tra i manifestanti gorkha e alcuni quadri comunisti che hanno indetto un analogo sciopero a Siliguri, città in pianura, a maggioranza etnica bengalese e punto di passaggio obbligato per Darjeeling, che dista a tre ore di auto.
I leader della protesta hanno dato 60 ore di tempo ai visitatori per lasciare la vallata, mentre hanno consigliato alla popolazione di rifornirsi di viveri. “Siamo pronti per la battaglia finale” ha detto uno dei leader dei Gorka annunciando una serrata ad oltranza a partire da sabato quando scadrà la “tregua”.
Il governo comunista del Bengala Occidentale, guidato da Buddhadeb Bhattacharjee, il “Buddha rosso” come è chiamato dalla stampa indiana, ha respinto le rivendicazione degli attivisti Gorkha e ha convocato una riunione di emergenza di tutti i partiti a Calcutta. C’è il rischio che la protesta si trasformi in un'altra “Nandigram”, dove lo scorso anno è avvenuta una sanguinosa repressione dei contadini che per mesi si erano opposti contro l’esproprio delle proprie terre per far posto a un polo chimico.
Il movimento di liberazione dei Gorkha risale al secolo scorso, ma è culminato nel 1979 quando le comunità montane, the “hill people”, lanciarono una rivolta armata contro il governo locale bengalese. Il risultato fu di ottenere una sorta di comitato locale autonomo in materia di economia, istruzione e cultura. Ma non sufficiente per i Gorkha che vorrebbero uno status speciale simile a quello che godono alcuni stati “ribelli” del nord est indiano, Assam, Meghalaya, Mizoran e Tripura.
L’esodo dei turisti e la paralisi delle piantagioni di te è comunque un brutto colpo per Darjeeling che vive esclusivamente di queste due risorse. Ma lo è anche per l’industria turistica nazionale già messa in ginocchio dall’attentato terroristico del 13 maggio nel cuore di Jaipur e dalla rivolta della casta dei Gujjar che per giorni ha paralizzato lo stato del Rajasthan, la meta più popolare in India.
mercoledì 11 giugno 2008
Pakistan condanna uccisione di 11 guardie di frontiera in raid americano al confine afghano
In onda su Radio Svizzera Italiana
Secondo un comunicato dei militari americani in Afghanistan, l’attacco aereo sferrato la scorsa notte era diretto contro sospetti militanti talebani che avevano attaccato una postazione di frontiera. Le forze della coalizione internazionale avrebbero anche avvertito i comandi di Islamabad dell’operazione che ha colpito, sembra per sbaglio 11 soldati pachistani, mentre avrebbe ucciso 8 talebani, secondo fonti militari. Non è chiara la dinamica dell’incidente, avvenuto nel distretto orientale di Kunar, ma la reazione dell’esercito pachistano è stata durissima e rischia di aprire una nuova crepa nell’alleanza con Washington. Un portavoce ha condannato l’attacco degli Stati Uniti come “vile e immotivato” e ha deplorato la perdita della vita preziosa delle guardie di frontiera, tra cui un ufficiale. Ha aggiunto che si tratta di “un atto di aggressione che non ha nessuna relazione con la comune causa della lotta al terrorismo”. L’incidente è stato condannato anche dal neo premier Yusuf Raza Gilani che in Parlamento ha difeso il diritto alla sovranità e integrità territoriale.
Non è la prima volta che le forze americane sconfinano oltre la frontiera con attacchi di artiglieria o con l’uso di droni per colpire sospetti militanti islamici. Ma la situazione politica a Islamabad ora è cambiata dopo la sconfitta elettorale di Pervez Musharraf, il più importante partner di Bush nella campagna antiterrorismo lanciata dopo l’11 settembre. Di recente il governo aveva stretto nuovi accordi di pace con i gruppi estremisti nel nord-ovest, una manovra contestata sia dalle forze occidentali che dagli afghani che temono un aumento delle infiltrazioni oltre frontiera.
Secondo un comunicato dei militari americani in Afghanistan, l’attacco aereo sferrato la scorsa notte era diretto contro sospetti militanti talebani che avevano attaccato una postazione di frontiera. Le forze della coalizione internazionale avrebbero anche avvertito i comandi di Islamabad dell’operazione che ha colpito, sembra per sbaglio 11 soldati pachistani, mentre avrebbe ucciso 8 talebani, secondo fonti militari. Non è chiara la dinamica dell’incidente, avvenuto nel distretto orientale di Kunar, ma la reazione dell’esercito pachistano è stata durissima e rischia di aprire una nuova crepa nell’alleanza con Washington. Un portavoce ha condannato l’attacco degli Stati Uniti come “vile e immotivato” e ha deplorato la perdita della vita preziosa delle guardie di frontiera, tra cui un ufficiale. Ha aggiunto che si tratta di “un atto di aggressione che non ha nessuna relazione con la comune causa della lotta al terrorismo”. L’incidente è stato condannato anche dal neo premier Yusuf Raza Gilani che in Parlamento ha difeso il diritto alla sovranità e integrità territoriale.
Non è la prima volta che le forze americane sconfinano oltre la frontiera con attacchi di artiglieria o con l’uso di droni per colpire sospetti militanti islamici. Ma la situazione politica a Islamabad ora è cambiata dopo la sconfitta elettorale di Pervez Musharraf, il più importante partner di Bush nella campagna antiterrorismo lanciata dopo l’11 settembre. Di recente il governo aveva stretto nuovi accordi di pace con i gruppi estremisti nel nord-ovest, una manovra contestata sia dalle forze occidentali che dagli afghani che temono un aumento delle infiltrazioni oltre frontiera.
lunedì 9 giugno 2008
Gli avvocati di nuovo in marcia su Islamabad per chiedere reintegro Corte Suprema
In onda su Radio Svizzera
Di fronte ai tentennamenti dei partiti al governo sulla questione della giustizia, gli avvocati pachistani sono di nuovo in marcia su Islamabad per chiedere la riabilitazione della Corte Suprema. Migliaia di rappresentanti della giustizia e di oppositori del presidente Pervez Musharraf si stanno raggruppando per raggiungere la capitale dove per giovedì è previsto un grande raduno che nelle intenzioni dovrebbe essere pacifico. Alla marcia si unirà anche il giudice Iftikar Mohammed Chaudry, diventato l’icona dei movimenti pro democratici. Ma l’attuale situazione è diversa da quella che lo scorso anno ha sollevato una rivolta popolare contro l’autoritarismo di Musharraf. Il partito popolare pachistano di Asif Ali Zardari e la Lega Mussulmana di Nawaz Sharif, che guidano la coalizione, avrebbero dovuto reintegrare entro lo scorso 12 maggio la sessantina di giudici esautorati dopo lo stato di emergenza di novembre. Ma non sono riusciti a trovare un accordo sulle modalità e soprattutto sulle azioni da prendere contro Musharraf per i suoi comportamenti anti costituzionali e la sua controversa ri-elezione a presidente. L’ex primo ministro Sharif chiede a gran voce l’impeachment e un processo per alto tradimento per l’ex generale, che nonostante le pressioni, ha dichiarato di non avere nessuna intenzione di dimettersi.
Di fronte ai tentennamenti dei partiti al governo sulla questione della giustizia, gli avvocati pachistani sono di nuovo in marcia su Islamabad per chiedere la riabilitazione della Corte Suprema. Migliaia di rappresentanti della giustizia e di oppositori del presidente Pervez Musharraf si stanno raggruppando per raggiungere la capitale dove per giovedì è previsto un grande raduno che nelle intenzioni dovrebbe essere pacifico. Alla marcia si unirà anche il giudice Iftikar Mohammed Chaudry, diventato l’icona dei movimenti pro democratici. Ma l’attuale situazione è diversa da quella che lo scorso anno ha sollevato una rivolta popolare contro l’autoritarismo di Musharraf. Il partito popolare pachistano di Asif Ali Zardari e la Lega Mussulmana di Nawaz Sharif, che guidano la coalizione, avrebbero dovuto reintegrare entro lo scorso 12 maggio la sessantina di giudici esautorati dopo lo stato di emergenza di novembre. Ma non sono riusciti a trovare un accordo sulle modalità e soprattutto sulle azioni da prendere contro Musharraf per i suoi comportamenti anti costituzionali e la sua controversa ri-elezione a presidente. L’ex primo ministro Sharif chiede a gran voce l’impeachment e un processo per alto tradimento per l’ex generale, che nonostante le pressioni, ha dichiarato di non avere nessuna intenzione di dimettersi.
sabato 7 giugno 2008
Manmohan Singh impone l'austerity ai ministri: basta viaggi all'estero
Su Apcom
Preoccupato dall’inflazione galoppante e dall’erosione di consenso popolare, Manmohan Singh ha deciso di imporre la scure dell’austerity al proprio governo. Il giorno dopo il rincaro del carburante, che ha sollevato un’ondata di proteste, il premier-economista ha inviato una lettera ai suoi ministri chiedendo di “tagliare drasticamente le spese di viaggi aerei, soprattutto all’estero, eccetto che nei casi in cui non sia strettamente necessario”. I titolari dei dicasteri e i funzionari sono stati chiamati a dare l’esempio. “Poiché chiediamo alla gente di sopportare gli aumenti delle importazioni petrolifere – si legge - non è solo necessario dal punto di vista della conservazione delle risorse, ma anche un dovere morale tagliare tutti gli sprechi dei propri uffici”.
Il primo a essere colpito dall’austerity è stato il ministro Mani Shankar Ayar a cui è stata negata l’autorizzazione a una trasferta di 13 giorni in Norvegia e poi negli Stati Uniti. Altri colleghi invece hanno volontariamente annullato alcune missioni. Il ministro del turismo, Ambika Soni, che è anche un braccio destro di Sonia Gandhi, ha rinunciato a un tour tra San Francisco e Los Angeles dove era ospite di un festival di danza internazionale. Il ministro dei trasporti e navigazione T.R. Baalu non andrà in Finlandia dove era atteso lunedì per una visita bilaterale e la firma di un accordo economico. Il collega del dicastero dell’informazione P.R. Dasmundi, invece, ha deciso di andare oltre dichiarando che d’ora in avanti viaggerà solo in classe economica. Secondo indiscrezioni di stampa, anche il ministro delle finanze P.Chidambaram e quello del petrolio Murli Deora avrebbero rinunciato a delle importanti missioni all’estero, ma la decisione sarebbe stata presa prima della direttiva anti sprechi. Deora sarebbe dovuto andare in Giappone il mese prossimo per una conferenza ministeriale del G8.
In occasione del quarto anniversario della coalizione di centro-sinistra guidata dal partito del Congresso lo scorso 23 maggio, il primo ministro aveva già fatto appello a “stringere la cinghia” di fronte ai pericoli di un’inflazione che ha toccato il record di 8,24%, secondo l’ultima rilevazione, e anche ai timori di un rallentamento della crescita economica indiana. L’aumento della benzina di 5 rupie e del diesel di 3 rupie, ha sollevato un’ondata di malcontento popolare e scatenato l’attacco dell’opposizione indu-nazionalista del Bjp (Bharatya Janata Party o Partito Popolare Indiano) rinvigorita dalla recente vittoria elettorale nello stato del Karnataka (che rappresenta la dodicesima sconfitta elettorale negli ultimi 4 anni per il Congresso di Sonia Gandhi). L’aumento dei prezzi alimentari, la ripresa del terrorismo con l’attentato di Jaipur e l’incertezza sull’eventuale candidatura a premier di Rahul Gandhi, figlio della leader italo-indiana, sono le pesanti incognite sul futuro della coalizione di Singh a meno di un anno dalle elezioni generali.
Già due anni fa, il premier aveva bacchettato i suoi 78 ministri per le eccessive spese di viaggio all’estero, soprattutto durante la stagione estiva. Il settimanale “Outlook”, lo scorso febbraio aveva dedicato la copertina ad una dettagliata inchiesta sulle trasferte d’oro. Primo della lista risultava il ministro del commercio Kamal Nath, che è anche colui che guida i negoziati in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, che ha trascorso in totale 14 mesi all’estero su tre anni e mezzo di governo .
Preoccupato dall’inflazione galoppante e dall’erosione di consenso popolare, Manmohan Singh ha deciso di imporre la scure dell’austerity al proprio governo. Il giorno dopo il rincaro del carburante, che ha sollevato un’ondata di proteste, il premier-economista ha inviato una lettera ai suoi ministri chiedendo di “tagliare drasticamente le spese di viaggi aerei, soprattutto all’estero, eccetto che nei casi in cui non sia strettamente necessario”. I titolari dei dicasteri e i funzionari sono stati chiamati a dare l’esempio. “Poiché chiediamo alla gente di sopportare gli aumenti delle importazioni petrolifere – si legge - non è solo necessario dal punto di vista della conservazione delle risorse, ma anche un dovere morale tagliare tutti gli sprechi dei propri uffici”.
Il primo a essere colpito dall’austerity è stato il ministro Mani Shankar Ayar a cui è stata negata l’autorizzazione a una trasferta di 13 giorni in Norvegia e poi negli Stati Uniti. Altri colleghi invece hanno volontariamente annullato alcune missioni. Il ministro del turismo, Ambika Soni, che è anche un braccio destro di Sonia Gandhi, ha rinunciato a un tour tra San Francisco e Los Angeles dove era ospite di un festival di danza internazionale. Il ministro dei trasporti e navigazione T.R. Baalu non andrà in Finlandia dove era atteso lunedì per una visita bilaterale e la firma di un accordo economico. Il collega del dicastero dell’informazione P.R. Dasmundi, invece, ha deciso di andare oltre dichiarando che d’ora in avanti viaggerà solo in classe economica. Secondo indiscrezioni di stampa, anche il ministro delle finanze P.Chidambaram e quello del petrolio Murli Deora avrebbero rinunciato a delle importanti missioni all’estero, ma la decisione sarebbe stata presa prima della direttiva anti sprechi. Deora sarebbe dovuto andare in Giappone il mese prossimo per una conferenza ministeriale del G8.
In occasione del quarto anniversario della coalizione di centro-sinistra guidata dal partito del Congresso lo scorso 23 maggio, il primo ministro aveva già fatto appello a “stringere la cinghia” di fronte ai pericoli di un’inflazione che ha toccato il record di 8,24%, secondo l’ultima rilevazione, e anche ai timori di un rallentamento della crescita economica indiana. L’aumento della benzina di 5 rupie e del diesel di 3 rupie, ha sollevato un’ondata di malcontento popolare e scatenato l’attacco dell’opposizione indu-nazionalista del Bjp (Bharatya Janata Party o Partito Popolare Indiano) rinvigorita dalla recente vittoria elettorale nello stato del Karnataka (che rappresenta la dodicesima sconfitta elettorale negli ultimi 4 anni per il Congresso di Sonia Gandhi). L’aumento dei prezzi alimentari, la ripresa del terrorismo con l’attentato di Jaipur e l’incertezza sull’eventuale candidatura a premier di Rahul Gandhi, figlio della leader italo-indiana, sono le pesanti incognite sul futuro della coalizione di Singh a meno di un anno dalle elezioni generali.
Già due anni fa, il premier aveva bacchettato i suoi 78 ministri per le eccessive spese di viaggio all’estero, soprattutto durante la stagione estiva. Il settimanale “Outlook”, lo scorso febbraio aveva dedicato la copertina ad una dettagliata inchiesta sulle trasferte d’oro. Primo della lista risultava il ministro del commercio Kamal Nath, che è anche colui che guida i negoziati in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, che ha trascorso in totale 14 mesi all’estero su tre anni e mezzo di governo .
venerdì 6 giugno 2008
Taj Mahal, 15 quintali di argilla per maschera di bellezza
Su Apcom
Nel suo ufficio, all’interno dello storico forte di Agra, N.K. Samadhiya mostra orgoglioso le foto del Taj Mahal “prima” e “dopo” il trattamento all’argilla. I marmi ingialliti e opachi dalla polvere e inquinamento sono diventati candidi e splendenti come nuovi. “Non è incredibile? E’ un trattamento magico” scherza mentre mostra un barattolo di “fuller earth”, un composto di silicato di alluminio e magnesio. Mischiandolo a dell’acqua distillata si ottiene una sorta di “argilla” che assorbe in modo naturale le impurità delle superfici marmoree senza rischi di corrosione o abrasione. “E’ lo stesso principio di una maschera di bellezza per purificare la pelle. In India questa argilla si chiama “multani mitti” ed è fin dall’antichità comunemente usata dalle donne indiane”.
N.K Samadhya è un chimico e da 5 anni è il responsabile dell’ufficio della Soprintendenza Archeologica Indiana (Archaeological Survey of India) di Agra che ha “in cura” il mausoleo del Taj Mahal, il monumento simbolo dell’India e orgoglio nazionale tanto da coprirlo con dei teli mimetici durante l’ultima crisi militare con il Pakistan. I marmi della tomba costruita dall’imperatore mughal Shah Jahan per la moglie favorita morta di parto, avevano assunto negli ultimi anni una patina gialla che ha fatto scattare l’allarme tra i restauratori della Soprintendenza. Le cause sono l’inquinamento delle polveri sottili e soprattutto l’impatto con il flusso di visitatori che in certi giorni supera anche le 10 mila presenze. Dopo una serie di studi e di test, nel 2000 l’Asi aveva deciso di applicare la “maschera al fango” su una porzione dei marmi. Visto i mirabolanti risultati, l’operazione di pulizia è stata replicata quest’anno sulle 4 grandi volte a botte e sui 24 archi del mausoleo, ovvero sulle parti non esposte alla pioggia.
Dal mese di gennaio sono stati usati oltre 17 quintali di fango per trattare una superficie di circa 5 mila metri quadri. Niyaz Hussain, è il giovane chimico che sta seguendo il gigantesco “facelift” che interesserà nelle prossime tre settimane la facciata meridionale dove sorge l’ingresso ai cenotafi di Shah Jahan e Muntaz Mahal. L’arco centrale è occupato da un’enorme impalcatura in ferro dove 40 operai sono al lavoro per spalmare il composto. “Dopo aver ricoperto la superficie con uno strato di qualche centimetro – spiega – applichiamo un telo di plastica per conservare l’umidità dell’argilla che comincia la sua azione assorbente. Dopo 48 ore è completamente secca e si stacca da sola. I residui vengono rimossi con dei panni morbidi e acqua distillata”.
Il procedimento, che l’Asi pensa di estendere ad altri monumenti marmorei dell’epoca mughal, sta riscuotendo un interesse anche oltre frontiera. “La prossima settimana sono stato invitato ad Hampi, in Karnataka, ad un seminario internazionale dell’Unesco sulla conservazione del patrimonio dove farò un intervento sul trattamento al fango” aggiunge Samadhiya che in passato ha lavorato al restauro di alcuni templi nel sito di Ankor Wat in Cambogia e per tre anni nei monasteri buddisti in Bhutan.
Nel suo ufficio, all’interno dello storico forte di Agra, N.K. Samadhiya mostra orgoglioso le foto del Taj Mahal “prima” e “dopo” il trattamento all’argilla. I marmi ingialliti e opachi dalla polvere e inquinamento sono diventati candidi e splendenti come nuovi. “Non è incredibile? E’ un trattamento magico” scherza mentre mostra un barattolo di “fuller earth”, un composto di silicato di alluminio e magnesio. Mischiandolo a dell’acqua distillata si ottiene una sorta di “argilla” che assorbe in modo naturale le impurità delle superfici marmoree senza rischi di corrosione o abrasione. “E’ lo stesso principio di una maschera di bellezza per purificare la pelle. In India questa argilla si chiama “multani mitti” ed è fin dall’antichità comunemente usata dalle donne indiane”.
N.K Samadhya è un chimico e da 5 anni è il responsabile dell’ufficio della Soprintendenza Archeologica Indiana (Archaeological Survey of India) di Agra che ha “in cura” il mausoleo del Taj Mahal, il monumento simbolo dell’India e orgoglio nazionale tanto da coprirlo con dei teli mimetici durante l’ultima crisi militare con il Pakistan. I marmi della tomba costruita dall’imperatore mughal Shah Jahan per la moglie favorita morta di parto, avevano assunto negli ultimi anni una patina gialla che ha fatto scattare l’allarme tra i restauratori della Soprintendenza. Le cause sono l’inquinamento delle polveri sottili e soprattutto l’impatto con il flusso di visitatori che in certi giorni supera anche le 10 mila presenze. Dopo una serie di studi e di test, nel 2000 l’Asi aveva deciso di applicare la “maschera al fango” su una porzione dei marmi. Visto i mirabolanti risultati, l’operazione di pulizia è stata replicata quest’anno sulle 4 grandi volte a botte e sui 24 archi del mausoleo, ovvero sulle parti non esposte alla pioggia.
Dal mese di gennaio sono stati usati oltre 17 quintali di fango per trattare una superficie di circa 5 mila metri quadri. Niyaz Hussain, è il giovane chimico che sta seguendo il gigantesco “facelift” che interesserà nelle prossime tre settimane la facciata meridionale dove sorge l’ingresso ai cenotafi di Shah Jahan e Muntaz Mahal. L’arco centrale è occupato da un’enorme impalcatura in ferro dove 40 operai sono al lavoro per spalmare il composto. “Dopo aver ricoperto la superficie con uno strato di qualche centimetro – spiega – applichiamo un telo di plastica per conservare l’umidità dell’argilla che comincia la sua azione assorbente. Dopo 48 ore è completamente secca e si stacca da sola. I residui vengono rimossi con dei panni morbidi e acqua distillata”.
Il procedimento, che l’Asi pensa di estendere ad altri monumenti marmorei dell’epoca mughal, sta riscuotendo un interesse anche oltre frontiera. “La prossima settimana sono stato invitato ad Hampi, in Karnataka, ad un seminario internazionale dell’Unesco sulla conservazione del patrimonio dove farò un intervento sul trattamento al fango” aggiunge Samadhiya che in passato ha lavorato al restauro di alcuni templi nel sito di Ankor Wat in Cambogia e per tre anni nei monasteri buddisti in Bhutan.
giovedì 5 giugno 2008
Sri Lanka, nuovo attentato contro bus alla periferia di Colombo, 21 morti
In onda su Radio Vaticana
Due giorni dopo l’esplosione di una bomba sui binari di treno locale, un nuovo sanguinoso attentato ha colpito dei pendolari alla periferia di Colombo. Un autobus, affollato di gente diretta al lavoro, è saltato su una potente mina a frammentazione nelle prime ore del mattino nella località di Muratuwa, nei pressi della capitale. Secondo alcuni dei passeggeri sopravissuti, l’esplosione è stata fortissima e ha causato il completo ribaltamento del mezzo. Un portavoce dell’esercito ha accusato i ribelli delle Tigri Tamil della strage, che fa parte di una lunga scia di attentanti che da mesi stanno seminando il terrore a Colombo e nelle zone a maggioranza cingalese. Da quando è ufficialmente saltata la tregua con i ribelli tamil all’inizio dell’anno, lo scontro etnico in Sri Lanka è precipitato in conflitto armato. L’esercito sta cercando di riconquistare con una massiccia offensiva le roccaforti delle Tigri Tamil ancora presenti nel nord dell’isola. I separatisti accusano però il governo di effettuare dei raid con l’uso di mine contro i civili nelle zone sotto il loro controllo.
Due giorni dopo l’esplosione di una bomba sui binari di treno locale, un nuovo sanguinoso attentato ha colpito dei pendolari alla periferia di Colombo. Un autobus, affollato di gente diretta al lavoro, è saltato su una potente mina a frammentazione nelle prime ore del mattino nella località di Muratuwa, nei pressi della capitale. Secondo alcuni dei passeggeri sopravissuti, l’esplosione è stata fortissima e ha causato il completo ribaltamento del mezzo. Un portavoce dell’esercito ha accusato i ribelli delle Tigri Tamil della strage, che fa parte di una lunga scia di attentanti che da mesi stanno seminando il terrore a Colombo e nelle zone a maggioranza cingalese. Da quando è ufficialmente saltata la tregua con i ribelli tamil all’inizio dell’anno, lo scontro etnico in Sri Lanka è precipitato in conflitto armato. L’esercito sta cercando di riconquistare con una massiccia offensiva le roccaforti delle Tigri Tamil ancora presenti nel nord dell’isola. I separatisti accusano però il governo di effettuare dei raid con l’uso di mine contro i civili nelle zone sotto il loro controllo.
mercoledì 4 giugno 2008
Replay arriva in India con due negozi a Delhi e Gurgaon
Su Apcom
Con due negozi monomarca, uno a Nuova Delhi e un altro nella città satellite di Gurgaon, il marchio italiano Replay ha ufficialmente fatto il suo debutto in India. “Il nostro obiettivo è di aprire 15 o 20 punti vendita in tutta l’India nei prossimi 3 o 4 anni” ha detto Brian Kreel, direttore del gruppo Fashion Box che possiede il marchio Replay, oggi all’inaugurazione di un negozio di 120 metri quadrati in uno dei nuovi centri commerciali nel quartiere di Saket, alla periferia meridionale della capitale. Altri punti vendita sono in previsione nella metropoli di Mumbai. A portare in India il marchio italiano, famoso per i jeans, è il gruppo indiano Pantaloon Retail India, uno delle più grandi società di vendita al dettaglio che possiede già una catena di grandi magazzini di abbigliamento e di supermercati alimentari.
Il gruppo Fashion Box, fondato da Claudio Buziol, è presente in 50 Paesi nel mondo con 200 negozi monomarca, ma non era ancora in India. “Abbiamo cominciato ad esplorare il mercato tre anni fa – spiega Kreel – ma i tempi non erano ancora maturi. Ora con l’aumento del potere di acquisto e soprattutto con la maggiore disponibilità di spazi commerciali abbiamo deciso di stabilire una presenza anche in India, ma non ci aspettiamo di vedere i risultati presto. Si tratta di un investimento con un’ottica di lungo termine”.
In futuro c’è anche l’apertura di un “flagship store” nel centro di Mumbai o Nuova Delhi, “ma stiamo riscontrando molte difficoltà a causa degli alti costi di affitto e della scarsità di spazi commerciali”.
Con due negozi monomarca, uno a Nuova Delhi e un altro nella città satellite di Gurgaon, il marchio italiano Replay ha ufficialmente fatto il suo debutto in India. “Il nostro obiettivo è di aprire 15 o 20 punti vendita in tutta l’India nei prossimi 3 o 4 anni” ha detto Brian Kreel, direttore del gruppo Fashion Box che possiede il marchio Replay, oggi all’inaugurazione di un negozio di 120 metri quadrati in uno dei nuovi centri commerciali nel quartiere di Saket, alla periferia meridionale della capitale. Altri punti vendita sono in previsione nella metropoli di Mumbai. A portare in India il marchio italiano, famoso per i jeans, è il gruppo indiano Pantaloon Retail India, uno delle più grandi società di vendita al dettaglio che possiede già una catena di grandi magazzini di abbigliamento e di supermercati alimentari.
Il gruppo Fashion Box, fondato da Claudio Buziol, è presente in 50 Paesi nel mondo con 200 negozi monomarca, ma non era ancora in India. “Abbiamo cominciato ad esplorare il mercato tre anni fa – spiega Kreel – ma i tempi non erano ancora maturi. Ora con l’aumento del potere di acquisto e soprattutto con la maggiore disponibilità di spazi commerciali abbiamo deciso di stabilire una presenza anche in India, ma non ci aspettiamo di vedere i risultati presto. Si tratta di un investimento con un’ottica di lungo termine”.
In futuro c’è anche l’apertura di un “flagship store” nel centro di Mumbai o Nuova Delhi, “ma stiamo riscontrando molte difficoltà a causa degli alti costi di affitto e della scarsità di spazi commerciali”.
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