Pubblicato su Apcom
In un bizzarro incidente due persone sono morte nello stato indiano del Rajasthan uccise dallo scoppio di un cannone medioevale usato per sparare colpi a salve nella cerimonia di benvenuto a una personalità locale. E’ avvenuto due sere fa in un villaggio nei pressi di Wazirpur dove i rappresentati della comunità Meena avevano preparato per la visita del ministro rajasthano Kirori Lal Meena un’ accoglienza “regale” simile a quella riservata in passato ai maharaja del luogo. Secondo quanto riporta il quotidiano “The Times of India”, gli organizzatori “avevano riempito con polvere da sparo un cannone di circa 200 fa e acceso la miccia”. Ma qualcosa è andato storto o semplicemente il vecchio cannone non era in grado di funzionare. Il rudere bellico è esploso e la deflagrazione ha travolto due persone che si trovavano nelle immediate vicinanze e ferite altri sei. Secondo il quotidiano, l’incidente rischia di sollevare una polemica ai vertici delle autorità dello stato nord settentrionale del Rajasthan, in quanto sarebbe proibito per legge l’uso di colpi di cannone a salve per cerimonie a livello distrettuale.
venerdì 30 novembre 2007
India e Europa verso un accordo di libero scambio nel 2008
Pubblicato su Apcom
Un accordo di libero scambio alla fine del 2008 e una posizione comune sul cambiamento climatico. Sono questi i due principali risultati dell’ottavo vertice tra l’India e l’Unione Europea che si è svolto oggi a Nuova Delhi. Il primo ministro indiano Manmohan Singh, il presidente europeo di turno, il premier portoghese José Socrates e il responsabile della Commissione Europea Josè Manuel Barroso si sono impegnati a rafforzare le relazioni indo-europee soprattutto in ambito commerciale e in quello dell’energia pulita.
Il blocco dei 27 Paesi europei è il principale partner commerciale dell’India con 46 miliardi di euro di interscambio (assorbe un quinto dell’import-export indiano) ed è anche il più importante per il flusso di investimenti esteri. La conclusione di un Free Trade Agreement (Fta), i cui negoziati sono iniziati circa un anno fa, ”avranno l’effetto di dare un ulteriore impulso alle nostre relazioni” ha detto Barroso. Il premier Singh, nella conferenza stampa al termine degli incontri, si è augurato di arrivare all’accordo di libero scambio nel prossimo summit che si terrà in Francia tra un anno.
Tuttavia ci sarebbero ancora molti ostacoli per arrivare ad un’intesa sulla riduzione dei dazi doganali e delle barriere non tariffarie. Numerose divergenze sono emerse anche ieri al Summit Economico Indo-Europeo organizzato dalla CII, la Confindustria indiana. Il commissario europeo Peter Mandelson ha sottolineato che l’India deve liberalizzare i servizi e aprire agli stranieri il sistema degli appalti pubblici, mentre il governo indiano preme perché Bruxelles rimuova le barriere non tariffarie e gli ostacoli tecnici alle importazioni extracomunitarie. Si tratta dello stesso contenzioso che divide i Paesi industrializzati e il G20 dei Paesi emergenti guidati da India e Brasile in seno dei negoziati sul commercio multilaterale di Doha ora in stallo. Barroso ha sottolineato che l’accordo di libero scambio deve “essere ambizioso”, ma secondo le parole di Kamal Nath, il ministro indiano del commercio estero e strenuo negoziatore di Doha, l’India “vuole essere sicura di ottenere di più di quello che è disposta a concedere”.
L’altro punto di novità del summit è stata l’attenzione al cambiamento climatico. Dopo l’ultimo rapporto dell’IPCC (il Comitato Intergovernativo sul cambiamento del Clima, co-vincitore del Premio Nobel per la Pace di quest’anno) e alla vigilia della Conferenza dell’Onu a Bali, la questione ambientale ha assunto un ruolo primario per la diplomazia internazionale. “Uno dei principali risultati dei nostri incontri – ha detto il premier portoghese Socrates – è quella di aver raggiunto una posizione comune sulla necessità di un “buon compromesso” e di una precisa road-map per la riduzione delle emissioni inquinanti dopo il 2020. Questo compromesso deve essere ottenuto tenendo presente responsabilità comuni, ma diverse” tra Paesi Sviluppati e Paesi in via di Sviluppo.
L’India (e anche la Cina), che nei prossimi anni diventeranno i maggior i inquinatori mondiali, si rifiutano di accettare limiti alle emissioni di CO2 della loro nascente industria dopo la scadenza di Kyoto. “India ed Europa si impegnano a stabilizzare la concentrazione dei gas responsabili dell’effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da evitare interferenze umane dannose per il sistema del clima” si legge nella Dichiarazione Comune di 9 pagine resa nota al termine del summit che sottolinea anche la necessità “di un’azione globale da parte di tutte le parti, secondo le comuni ma diverse responsabilità e rispettive capacità, con i Paesi sviluppati che guidano l’iniziativa”. Il “fardello” di ripulire l’aria rimane quindi sui Paesi ricchi e questa posizione è accettata dall’Unione Europea.
Tra gli altri risultati concreti c’è la creazione a Nuova Delhi di un European Business and Technology Center (Ebtc) che sarà finanziato inizialmente con la somma di 7 milioni di euro. E’ stato anche firmato un nuovo accordo di cooperazione triennale che prevede lo stanziamento di 260 milioni di euro nei settori della sanità, scuola, aviazione civile e per la cooperazione accademica e culturale.
Un accordo di libero scambio alla fine del 2008 e una posizione comune sul cambiamento climatico. Sono questi i due principali risultati dell’ottavo vertice tra l’India e l’Unione Europea che si è svolto oggi a Nuova Delhi. Il primo ministro indiano Manmohan Singh, il presidente europeo di turno, il premier portoghese José Socrates e il responsabile della Commissione Europea Josè Manuel Barroso si sono impegnati a rafforzare le relazioni indo-europee soprattutto in ambito commerciale e in quello dell’energia pulita.
Il blocco dei 27 Paesi europei è il principale partner commerciale dell’India con 46 miliardi di euro di interscambio (assorbe un quinto dell’import-export indiano) ed è anche il più importante per il flusso di investimenti esteri. La conclusione di un Free Trade Agreement (Fta), i cui negoziati sono iniziati circa un anno fa, ”avranno l’effetto di dare un ulteriore impulso alle nostre relazioni” ha detto Barroso. Il premier Singh, nella conferenza stampa al termine degli incontri, si è augurato di arrivare all’accordo di libero scambio nel prossimo summit che si terrà in Francia tra un anno.
Tuttavia ci sarebbero ancora molti ostacoli per arrivare ad un’intesa sulla riduzione dei dazi doganali e delle barriere non tariffarie. Numerose divergenze sono emerse anche ieri al Summit Economico Indo-Europeo organizzato dalla CII, la Confindustria indiana. Il commissario europeo Peter Mandelson ha sottolineato che l’India deve liberalizzare i servizi e aprire agli stranieri il sistema degli appalti pubblici, mentre il governo indiano preme perché Bruxelles rimuova le barriere non tariffarie e gli ostacoli tecnici alle importazioni extracomunitarie. Si tratta dello stesso contenzioso che divide i Paesi industrializzati e il G20 dei Paesi emergenti guidati da India e Brasile in seno dei negoziati sul commercio multilaterale di Doha ora in stallo. Barroso ha sottolineato che l’accordo di libero scambio deve “essere ambizioso”, ma secondo le parole di Kamal Nath, il ministro indiano del commercio estero e strenuo negoziatore di Doha, l’India “vuole essere sicura di ottenere di più di quello che è disposta a concedere”.
L’altro punto di novità del summit è stata l’attenzione al cambiamento climatico. Dopo l’ultimo rapporto dell’IPCC (il Comitato Intergovernativo sul cambiamento del Clima, co-vincitore del Premio Nobel per la Pace di quest’anno) e alla vigilia della Conferenza dell’Onu a Bali, la questione ambientale ha assunto un ruolo primario per la diplomazia internazionale. “Uno dei principali risultati dei nostri incontri – ha detto il premier portoghese Socrates – è quella di aver raggiunto una posizione comune sulla necessità di un “buon compromesso” e di una precisa road-map per la riduzione delle emissioni inquinanti dopo il 2020. Questo compromesso deve essere ottenuto tenendo presente responsabilità comuni, ma diverse” tra Paesi Sviluppati e Paesi in via di Sviluppo.
L’India (e anche la Cina), che nei prossimi anni diventeranno i maggior i inquinatori mondiali, si rifiutano di accettare limiti alle emissioni di CO2 della loro nascente industria dopo la scadenza di Kyoto. “India ed Europa si impegnano a stabilizzare la concentrazione dei gas responsabili dell’effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da evitare interferenze umane dannose per il sistema del clima” si legge nella Dichiarazione Comune di 9 pagine resa nota al termine del summit che sottolinea anche la necessità “di un’azione globale da parte di tutte le parti, secondo le comuni ma diverse responsabilità e rispettive capacità, con i Paesi sviluppati che guidano l’iniziativa”. Il “fardello” di ripulire l’aria rimane quindi sui Paesi ricchi e questa posizione è accettata dall’Unione Europea.
Tra gli altri risultati concreti c’è la creazione a Nuova Delhi di un European Business and Technology Center (Ebtc) che sarà finanziato inizialmente con la somma di 7 milioni di euro. E’ stato anche firmato un nuovo accordo di cooperazione triennale che prevede lo stanziamento di 260 milioni di euro nei settori della sanità, scuola, aviazione civile e per la cooperazione accademica e culturale.
Pakistan, Musgharaf revocherà lo stato di emergenza il 16 dicembre
Messo in onda da Radio Vaticana
E’ stata salutata positivamente dagli Stati Uniti la decisione di Pervez Musharraf di revocare lo stato di emergenza e di garantire il regolare svolgimento delle elezioni parlamentari fissate per il prossimo 8 gennaio. Cedendo alle pressioni della Casa Bianca, il presidente pachistano negli ultimi due giorni ha sbloccato lo stallo politico in cui era caduto il Paese dopo la sospensione dei diritti costituzionali decisa lo scorso 3 novembre per contrastare quello che Musharraf nel discorso di ieri sera alla nazione ha definito un “complotto contro la nazione”. La fine dello stato di emergenza, annunciata a partire dal 16 dicembre, non ha però convinto del tutto l’opposizione. L’ex premier Nawaz Sharif, ritornato dall’esilio una settimana fa ha annunciato che il suo partito boicotterà il voto e ha invitato la rivale politica Benazir Bhutto a fare lo stesso. Ma la leader del Partito Popolare per ora esclude il boicottaggio anche perché non sarebbe ancora del tutto tramontato il vecchio accordo di condivisione del potere con Musharraf che ha permesso il suo ritorno in patria lo scorso 18 ottobre.
Il giuramento dell’ex generale per un nuovo mandato presidenziale coincide anche con una dura offensiva dell’esercito pachistano nella valle di Swat al confine afghano dove sono state riconquistate le posizioni occupate dai guerriglieri islamici filotalebani.
E’ stata salutata positivamente dagli Stati Uniti la decisione di Pervez Musharraf di revocare lo stato di emergenza e di garantire il regolare svolgimento delle elezioni parlamentari fissate per il prossimo 8 gennaio. Cedendo alle pressioni della Casa Bianca, il presidente pachistano negli ultimi due giorni ha sbloccato lo stallo politico in cui era caduto il Paese dopo la sospensione dei diritti costituzionali decisa lo scorso 3 novembre per contrastare quello che Musharraf nel discorso di ieri sera alla nazione ha definito un “complotto contro la nazione”. La fine dello stato di emergenza, annunciata a partire dal 16 dicembre, non ha però convinto del tutto l’opposizione. L’ex premier Nawaz Sharif, ritornato dall’esilio una settimana fa ha annunciato che il suo partito boicotterà il voto e ha invitato la rivale politica Benazir Bhutto a fare lo stesso. Ma la leader del Partito Popolare per ora esclude il boicottaggio anche perché non sarebbe ancora del tutto tramontato il vecchio accordo di condivisione del potere con Musharraf che ha permesso il suo ritorno in patria lo scorso 18 ottobre.
Il giuramento dell’ex generale per un nuovo mandato presidenziale coincide anche con una dura offensiva dell’esercito pachistano nella valle di Swat al confine afghano dove sono state riconquistate le posizioni occupate dai guerriglieri islamici filotalebani.
mercoledì 28 novembre 2007
PAKISTAN, OGGI REVOCA STATO DI EMERGENZA?
In onda su Radio Svizzera Italiana
Potrebbe essere revocato presto lo stato di emergenza dichiarato lo scorso 3 novembre da Pervez Musharraf che ieri ha dato l’addio a 46 anni di carriera militare con una commovente cerimonia nel quartiere generale dell’esercito a Rawalpindi. Secondo il procuratore generale Malik Muhammed Qayyum, l’ex generale potrebbe decidere già nelle prossime 48 ore il ritorno alla legalità costituzionale e il rilascio dei prigionieri politici. Dopo aver passato il comando della forze armate al suo più fidato collaboratore, il generale Ashfaq Parvez Kayani, Musharraf ha prestato giuramento stamattina come presidente per un nuovo mandato di 5 anni. In serata quindi terrà un discorso alla nazione in cui potrebbe annunciare nuove misure per il ritorno alla normalità del Paese in vista delle elezioni parlamentari dell’8 gennaio.
A otto anni dal golpe, il Pakistan è entrato da ieri in una nuova era politica secondo un copione scritto con la regia degli Stati Uniti. Con il ritorno dall’esilio dei due ex premier e rivali politici, Benazir Bhutto e Nawaz Sharif, si sono aperti nuovi spazi per alleanze elettorali. Nei prossimi giorni i due leader muoveranno le loro pedine. Dopo aver espresso soddisfazione per Musharraf che ha mantenuto la sua promessa di indossare abiti civili, la signora Bhutto potrebbe riconsiderare l’ipotesi del patto di condivisione del potere. Ma nello stesso tempo, in un’intervista a una tv indiana, ha invitato Sharif a discutere l’ipotesi un fronte unico di opposizione.
Potrebbe essere revocato presto lo stato di emergenza dichiarato lo scorso 3 novembre da Pervez Musharraf che ieri ha dato l’addio a 46 anni di carriera militare con una commovente cerimonia nel quartiere generale dell’esercito a Rawalpindi. Secondo il procuratore generale Malik Muhammed Qayyum, l’ex generale potrebbe decidere già nelle prossime 48 ore il ritorno alla legalità costituzionale e il rilascio dei prigionieri politici. Dopo aver passato il comando della forze armate al suo più fidato collaboratore, il generale Ashfaq Parvez Kayani, Musharraf ha prestato giuramento stamattina come presidente per un nuovo mandato di 5 anni. In serata quindi terrà un discorso alla nazione in cui potrebbe annunciare nuove misure per il ritorno alla normalità del Paese in vista delle elezioni parlamentari dell’8 gennaio.
A otto anni dal golpe, il Pakistan è entrato da ieri in una nuova era politica secondo un copione scritto con la regia degli Stati Uniti. Con il ritorno dall’esilio dei due ex premier e rivali politici, Benazir Bhutto e Nawaz Sharif, si sono aperti nuovi spazi per alleanze elettorali. Nei prossimi giorni i due leader muoveranno le loro pedine. Dopo aver espresso soddisfazione per Musharraf che ha mantenuto la sua promessa di indossare abiti civili, la signora Bhutto potrebbe riconsiderare l’ipotesi del patto di condivisione del potere. Ma nello stesso tempo, in un’intervista a una tv indiana, ha invitato Sharif a discutere l’ipotesi un fronte unico di opposizione.
L'India scende al 128esimo posto nel rapporto Undp su qualità della vita
Pubblicato su Apcom
Nonostante una crescita record di oltre l’8%, l’India è scivolata in basso nella classifica delle nazioni compilata in base all’“Indice di Sviluppo Umano”, un indicatore macroeconomico introdotto dalle Nazioni Unite oltre dieci anni fa e che tiene conto di fattori come la speranza di vita o il tasso di analfabetismo, oltre che il reddito pro capite. Nel rapporto dell’Undp presentato ieri anche a Nuova Delhi, è scesa al 128esimo posto perdendo due posizioni rispetto all’anno precedente. Nel 2006 aveva conquistato una posizione salendo al 126esimo posto sui 177 Paesi presi in considerazione, mentre nei due anni precedenti era rimasta stabile al 127 posto.
Tuttavia, secondo quanto hanno precisato i curatori del rapporto, il valore di HDI (Human Development Index) è leggermente più alto di quello dell’anno scorso grazie all’aumento del reddito pro capite e del tasso di scolarizzazione passato dal 62% al 63,8%. Il declino sarebbe quindi da mettere in relazione con i buoni risultati degli altri Paesi e anche con divergenze di calcolo della speranza media di vita della popolazione.
La qualità della vita in India rimane comunque molto distante dall’altro gigante asiatico, la Cina, che si trova all’81esimo posto. Per quanto riguarda gli altri Paesi del Sud dell’Asia anche Sri Lanka (91) e Maldive (100) godono di una condizione sociale ed economica migliore, mentre il piccolo regno del Bhutan (133), Pakistan (136), Bangladesh (140) e Nepal (142) sono alle spalle.
Tra le novità del rapporto dell’Undp c’è anche un forte richiamo a Cina e India sulla questione del cambiamento climatico. Gli esperti hanno “avvertito” che gli effetti dell’inquinamento atmosferico, se non saranno posti dei limiti, potranno compromettere il trend positivo di sviluppo nel settore della salute, scuola e riduzione della povertà. Il vice presidente della Commissione per la Pianificazione, Montek Singh Ahluwalia, che ha presentato il rapporto nella capitale, ha reagito duramente al suggerimento dell’Undp secondo il quale i Paesi in Via di Sviluppo dovrebbero impegnarsi a ridurre le loro emissioni dal 2020. L’ipotesi, che giunge alla vigilia del cruciale appuntamento con la conferenza mondiale sul clima di Bali, è stata nettamente respinta dall’economista indiano Ahluwalia perché non tiene conto della vasta popolazione. Secondo Ahluwalia il criterio per misurare le emissioni è quello pro capite. L’India è al quarto posto nel mondo per l’emissione di carbone nell’atmosfera con un totale di 1342 tonnellate cubiche di CO2 (dati 2004), ma se si tiene conto della vasta popolazione le emissioni inquinanti pro capite sono appena di 1,2 tonnellate di CO2. Se si fa il raffronto con gli Usa, un indiano inquina 17 volte di meno che un americano. Il criterio delle emissioni pro capite era stato anche indicato dal premier Manmohan Singh al recente vertice del G8 in Germania e avrebbe incontrato il supporto del cancelliere tedesco Angela Merkel.
Nonostante una crescita record di oltre l’8%, l’India è scivolata in basso nella classifica delle nazioni compilata in base all’“Indice di Sviluppo Umano”, un indicatore macroeconomico introdotto dalle Nazioni Unite oltre dieci anni fa e che tiene conto di fattori come la speranza di vita o il tasso di analfabetismo, oltre che il reddito pro capite. Nel rapporto dell’Undp presentato ieri anche a Nuova Delhi, è scesa al 128esimo posto perdendo due posizioni rispetto all’anno precedente. Nel 2006 aveva conquistato una posizione salendo al 126esimo posto sui 177 Paesi presi in considerazione, mentre nei due anni precedenti era rimasta stabile al 127 posto.
Tuttavia, secondo quanto hanno precisato i curatori del rapporto, il valore di HDI (Human Development Index) è leggermente più alto di quello dell’anno scorso grazie all’aumento del reddito pro capite e del tasso di scolarizzazione passato dal 62% al 63,8%. Il declino sarebbe quindi da mettere in relazione con i buoni risultati degli altri Paesi e anche con divergenze di calcolo della speranza media di vita della popolazione.
La qualità della vita in India rimane comunque molto distante dall’altro gigante asiatico, la Cina, che si trova all’81esimo posto. Per quanto riguarda gli altri Paesi del Sud dell’Asia anche Sri Lanka (91) e Maldive (100) godono di una condizione sociale ed economica migliore, mentre il piccolo regno del Bhutan (133), Pakistan (136), Bangladesh (140) e Nepal (142) sono alle spalle.
Tra le novità del rapporto dell’Undp c’è anche un forte richiamo a Cina e India sulla questione del cambiamento climatico. Gli esperti hanno “avvertito” che gli effetti dell’inquinamento atmosferico, se non saranno posti dei limiti, potranno compromettere il trend positivo di sviluppo nel settore della salute, scuola e riduzione della povertà. Il vice presidente della Commissione per la Pianificazione, Montek Singh Ahluwalia, che ha presentato il rapporto nella capitale, ha reagito duramente al suggerimento dell’Undp secondo il quale i Paesi in Via di Sviluppo dovrebbero impegnarsi a ridurre le loro emissioni dal 2020. L’ipotesi, che giunge alla vigilia del cruciale appuntamento con la conferenza mondiale sul clima di Bali, è stata nettamente respinta dall’economista indiano Ahluwalia perché non tiene conto della vasta popolazione. Secondo Ahluwalia il criterio per misurare le emissioni è quello pro capite. L’India è al quarto posto nel mondo per l’emissione di carbone nell’atmosfera con un totale di 1342 tonnellate cubiche di CO2 (dati 2004), ma se si tiene conto della vasta popolazione le emissioni inquinanti pro capite sono appena di 1,2 tonnellate di CO2. Se si fa il raffronto con gli Usa, un indiano inquina 17 volte di meno che un americano. Il criterio delle emissioni pro capite era stato anche indicato dal premier Manmohan Singh al recente vertice del G8 in Germania e avrebbe incontrato il supporto del cancelliere tedesco Angela Merkel.
martedì 27 novembre 2007
DALAI LAMA, I TIBETANI SCEGLIERANO IL SUCCESSORE
In onda su Radio Svizzera Italiana
Per la prima volta il Dalai Lama ha affrontato il delicato tema della successione parlando con dei giornalisti al margine di un convegno interreligioso organizzato ad Amritzar, la città sacra per la setta sikh, nel nord dell’India. Il leader religioso ha colto l’occasione per annunciare che sarò il popolo tibetano in esilio a scegliere con un referendum un successore prima della sua morte. Ha anche aggiunto che il nuovo Dalai Lama sarà scelto tra qualcuno fuori dal Tibet. “Se la mia morte giungerà quando saremo ancora tutti degli esuli la mia reincarnazione avverrà fuori dal Tibet” ha detto aggiungendo che il processo di selezione non è ancora iniziato. “Dai controlli medici a cui mi sottopongo regolarmente emerge che posso vivere ancora per qualche decennio” ha scherzato il premio Nobel per la pace che ha 72 anni e che dal 1959 vive in esilio in India nella località himalayana di Dharamsala. L’ipotesi di una consultazione popolare rappresenta una rottura con la tradizione secondo la quale il nuovo Dalai Lama è scelto dal clero buddista di Lhasa secondo un antico rituale dopo la morte del precedente. “E’ una manifesta violazione della pratica religiosa e della prassi storica” ha reagito il ministero degli esteri cinese con un comunicato dove ha duramente condannato la proposta del Dalai Lama che in questo modo vanifica le intenzioni del governo di Pechino di nominare direttamente un successore dopo la sua scomparsa.
Per la prima volta il Dalai Lama ha affrontato il delicato tema della successione parlando con dei giornalisti al margine di un convegno interreligioso organizzato ad Amritzar, la città sacra per la setta sikh, nel nord dell’India. Il leader religioso ha colto l’occasione per annunciare che sarò il popolo tibetano in esilio a scegliere con un referendum un successore prima della sua morte. Ha anche aggiunto che il nuovo Dalai Lama sarà scelto tra qualcuno fuori dal Tibet. “Se la mia morte giungerà quando saremo ancora tutti degli esuli la mia reincarnazione avverrà fuori dal Tibet” ha detto aggiungendo che il processo di selezione non è ancora iniziato. “Dai controlli medici a cui mi sottopongo regolarmente emerge che posso vivere ancora per qualche decennio” ha scherzato il premio Nobel per la pace che ha 72 anni e che dal 1959 vive in esilio in India nella località himalayana di Dharamsala. L’ipotesi di una consultazione popolare rappresenta una rottura con la tradizione secondo la quale il nuovo Dalai Lama è scelto dal clero buddista di Lhasa secondo un antico rituale dopo la morte del precedente. “E’ una manifesta violazione della pratica religiosa e della prassi storica” ha reagito il ministero degli esteri cinese con un comunicato dove ha duramente condannato la proposta del Dalai Lama che in questo modo vanifica le intenzioni del governo di Pechino di nominare direttamente un successore dopo la sua scomparsa.
lunedì 26 novembre 2007
Taslima Nasreen trasferita in località segreta sempre a Nuova Delhi
Pubblicato su Apcom
Continua la saga della scrittrice anti-velo Taslima Nasreen “rifiutata” da alcuni stati indiani per paura delle reazioni dei gruppi mussulmani. L’intellettuale femminista bangladese da oltre dieci anni in esilio forzato dopo una fatwa contro un suo libro, dopo la mezzanotte è stata nuovamente “prelevata” dalla polizia indiana dalla guesthouse di Nuova Delhi e scortata in una località segreta “nel raggio di 20 o 30 minuti in auto”, secondo indiscrezioni della televisione.
La Nasreen aveva lasciato giovedì scorso la sua casa di Calcutta, dove risiedeva dal 2004, scorso in seguito ai violenti disordini sollevati da un gruppo mussulmano che chiedeva la cancellazione del suo visto semestrale in scadenza a febbraio. “Contro la sua volontà”, come ha dichiarato in un’intervista, era stata trasferita in aereo a Jaipur, nello stato nord-occidentale del Rajasthan dove è iniziata la sua odissea. Ufficialmente respinta dalle autorità locali per una questione burocratica, la scrittrice era stata scortata a Nuova Delhi e ospitata in una casa di rappresentanza del Rajasthan, nel sud della capitale, in attesa di nuove decisioni del governo. La sua presenza a Delhi aveva attirato l’attenzione delle televisioni e giornalisti accampati giorno e notte davanti alla guest-house e anche di numerosi curiosi. Probabilmente per evitare l’eccessivo clamore, le autorità indiane avrebbero quindi deciso il nuovo trasferimento che è avvenuto in piena notte.
Il caso della Nasreen sta diventando un dilemma politico per il governo indiano. La situazione è ormai sfuggita di mano. E’ iniziato un imbarazzante scaricabarile tra il governo comunista del Bengala Occidentale che avrebbe “espulso” la scrittrice per non perdere il favore dell’elettorato mussulmano e il governo federale che non si è ancora pronunciato sulla vicenda (che ricorda quella dell’artista mussulmano Husain, costretto a vivere all’estero dopo le condanne degli integralisti indù contro le sue opere giudicate blasfeme). Il silenzio di Sonia Gandhi e del premier Manmohan Singh hanno suscitato le critiche dei principali opinionisti indiani che hanno accusato il governo di piegarsi ai voleri degli estremisti islamici. L’opposizione indu nazionalista del Bjp ha preso la palla al balzo chiedendo a gran voce che sia concesso alla Nasreen lo status di rifugiato politico (ma sarebbe impossibile in quanto la scrittrice ha un passaporto svedese) e si è impegnato a sollevare un dibattito in Parlamento. I gruppi di difesa dei diritti umani vogliono che le sia data la cittadinanza indiana come lei stessa aveva richiesto. Il primo ministro dello stato del Gujarat (dove a dicembre si terranno le elezioni), Narendra Modi, si è offerto di ospitarla. Parlando ai giornalisti, la scrittrice aveva detto che non vuole lasciare l’India e considera Calcutta “la sua seconda patria”. “Se me lo permettono ci tornerei subito” ha aggiunto.
Continua la saga della scrittrice anti-velo Taslima Nasreen “rifiutata” da alcuni stati indiani per paura delle reazioni dei gruppi mussulmani. L’intellettuale femminista bangladese da oltre dieci anni in esilio forzato dopo una fatwa contro un suo libro, dopo la mezzanotte è stata nuovamente “prelevata” dalla polizia indiana dalla guesthouse di Nuova Delhi e scortata in una località segreta “nel raggio di 20 o 30 minuti in auto”, secondo indiscrezioni della televisione.
La Nasreen aveva lasciato giovedì scorso la sua casa di Calcutta, dove risiedeva dal 2004, scorso in seguito ai violenti disordini sollevati da un gruppo mussulmano che chiedeva la cancellazione del suo visto semestrale in scadenza a febbraio. “Contro la sua volontà”, come ha dichiarato in un’intervista, era stata trasferita in aereo a Jaipur, nello stato nord-occidentale del Rajasthan dove è iniziata la sua odissea. Ufficialmente respinta dalle autorità locali per una questione burocratica, la scrittrice era stata scortata a Nuova Delhi e ospitata in una casa di rappresentanza del Rajasthan, nel sud della capitale, in attesa di nuove decisioni del governo. La sua presenza a Delhi aveva attirato l’attenzione delle televisioni e giornalisti accampati giorno e notte davanti alla guest-house e anche di numerosi curiosi. Probabilmente per evitare l’eccessivo clamore, le autorità indiane avrebbero quindi deciso il nuovo trasferimento che è avvenuto in piena notte.
Il caso della Nasreen sta diventando un dilemma politico per il governo indiano. La situazione è ormai sfuggita di mano. E’ iniziato un imbarazzante scaricabarile tra il governo comunista del Bengala Occidentale che avrebbe “espulso” la scrittrice per non perdere il favore dell’elettorato mussulmano e il governo federale che non si è ancora pronunciato sulla vicenda (che ricorda quella dell’artista mussulmano Husain, costretto a vivere all’estero dopo le condanne degli integralisti indù contro le sue opere giudicate blasfeme). Il silenzio di Sonia Gandhi e del premier Manmohan Singh hanno suscitato le critiche dei principali opinionisti indiani che hanno accusato il governo di piegarsi ai voleri degli estremisti islamici. L’opposizione indu nazionalista del Bjp ha preso la palla al balzo chiedendo a gran voce che sia concesso alla Nasreen lo status di rifugiato politico (ma sarebbe impossibile in quanto la scrittrice ha un passaporto svedese) e si è impegnato a sollevare un dibattito in Parlamento. I gruppi di difesa dei diritti umani vogliono che le sia data la cittadinanza indiana come lei stessa aveva richiesto. Il primo ministro dello stato del Gujarat (dove a dicembre si terranno le elezioni), Narendra Modi, si è offerto di ospitarla. Parlando ai giornalisti, la scrittrice aveva detto che non vuole lasciare l’India e considera Calcutta “la sua seconda patria”. “Se me lo permettono ci tornerei subito” ha aggiunto.
Musharraf, domani il congedo dall'esercito
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
Mantenendo fede alle promesse fatte alla comunità internazionale e all’opposizione, Pervez Musharraf si prepara a lasciate la sua carica di capo di stato maggiore dell’esercito che riveste dal suo golpe del 99. Il cambio delle consegne con il suo successore già designato, il generale Ashfaq Pervez Kiyani, dovrebbe avvenire domani con una funzione ufficiale nel quartiere generale di Rawalpindi. Il portavoce del presidente, Rashid Qureshi, ha detto che Musharraf oggi sarà impegnato in diverse cerimonie di congedo presso i comandi delle forze pachistane. Secondo il programma indicato, giovedì dovrebbe quindi prestare giuramento come presidente in abiti civili per un secondo mandato quinquennale. Musharraf era stato rieletto agli inizi di ottobre, ma la sua nomina era stata congelata dai giudici della Corte Suprema rimossi dopo lo stato di emergenza dichiarato il 3 novembre e ancora in vigore. Il presidente pachistano rimane capo supremo delle forze armate come prevede la Costituzione, ma la decisione di lasciare l’uniforme spunta le armi dell’opposizione che aveva minacciato di boicottare le elezioni parlamentari del prossimo 8 gennaio. I due maggior rivali Benazir Bhutto e il neo rimpatriato Nawaz Sharif hanno presentato le candidature entro la scadenza di ieri. Secondo indiscrezioni, ci sarebbero stati dei contatti tra i due ex premier per formare un’alleanza elettorale contro il partito di Musharraf che rischierebbe cosi di finire in minoranza del nuovo parlamento. Ma i giochi sono ancora aperti e non è ancora del tutto escluso un revival del vecchio accordo di condivisione del potere che aveva permesso l’amnistia e il ritorno dall’esilio della signora Bhutto a metà ottobre.
Mantenendo fede alle promesse fatte alla comunità internazionale e all’opposizione, Pervez Musharraf si prepara a lasciate la sua carica di capo di stato maggiore dell’esercito che riveste dal suo golpe del 99. Il cambio delle consegne con il suo successore già designato, il generale Ashfaq Pervez Kiyani, dovrebbe avvenire domani con una funzione ufficiale nel quartiere generale di Rawalpindi. Il portavoce del presidente, Rashid Qureshi, ha detto che Musharraf oggi sarà impegnato in diverse cerimonie di congedo presso i comandi delle forze pachistane. Secondo il programma indicato, giovedì dovrebbe quindi prestare giuramento come presidente in abiti civili per un secondo mandato quinquennale. Musharraf era stato rieletto agli inizi di ottobre, ma la sua nomina era stata congelata dai giudici della Corte Suprema rimossi dopo lo stato di emergenza dichiarato il 3 novembre e ancora in vigore. Il presidente pachistano rimane capo supremo delle forze armate come prevede la Costituzione, ma la decisione di lasciare l’uniforme spunta le armi dell’opposizione che aveva minacciato di boicottare le elezioni parlamentari del prossimo 8 gennaio. I due maggior rivali Benazir Bhutto e il neo rimpatriato Nawaz Sharif hanno presentato le candidature entro la scadenza di ieri. Secondo indiscrezioni, ci sarebbero stati dei contatti tra i due ex premier per formare un’alleanza elettorale contro il partito di Musharraf che rischierebbe cosi di finire in minoranza del nuovo parlamento. Ma i giochi sono ancora aperti e non è ancora del tutto escluso un revival del vecchio accordo di condivisione del potere che aveva permesso l’amnistia e il ritorno dall’esilio della signora Bhutto a metà ottobre.
Anche l'India alla conferenza di Annapolis sulla pace mediorientale
Pubblicato su Apcom
L’India parteciperà alla conferenza diplomatica di Annapolis sponsorizzata dagli Usa. E’ la prima volta che Nuova Delhi è invitata ad un evento internazionale dedicato al Medio Oriente e la sua presenza sarebbe “il riconoscimento della sua abilità di giocare un ruolo nella regione” secondo C.R. Gharekhan, l’inviato speciale del premier Manmohan Singh per il processo di pace arabo-israeliano. Ricordando la presenza “di una vitale democrazia e di una società multietnica, multiculturale e multiconfessionale”, il diplomatico ha detto che “l’India può costituire un modello per le società dell’Asia Occidentale” (come chiamano qui il Medio Oriente).
Il governo indiano invierà alla conferenza in Maryland, a cui partecipano 49 Paesi, una delegazione guidata dal ministro delle scienze e della tecnologia Kapil Sibal. Dopo aver sostenuto negli anni della Guerra Fredda la causa palestinese, Nuova Delhi ha rafforzato negli ultimi tempi i legami economici con Israele e ha assunto quindi un atteggiamento imparziale nei confronti del conflitto mediorientale. Il riavvicinamento con gli Stati Uniti, favorito da un patto sulla cooperazione in materia di energia nucleare, ha elevato lo status diplomatico dell’India nelle assise internazionali.
L’India parteciperà alla conferenza diplomatica di Annapolis sponsorizzata dagli Usa. E’ la prima volta che Nuova Delhi è invitata ad un evento internazionale dedicato al Medio Oriente e la sua presenza sarebbe “il riconoscimento della sua abilità di giocare un ruolo nella regione” secondo C.R. Gharekhan, l’inviato speciale del premier Manmohan Singh per il processo di pace arabo-israeliano. Ricordando la presenza “di una vitale democrazia e di una società multietnica, multiculturale e multiconfessionale”, il diplomatico ha detto che “l’India può costituire un modello per le società dell’Asia Occidentale” (come chiamano qui il Medio Oriente).
Il governo indiano invierà alla conferenza in Maryland, a cui partecipano 49 Paesi, una delegazione guidata dal ministro delle scienze e della tecnologia Kapil Sibal. Dopo aver sostenuto negli anni della Guerra Fredda la causa palestinese, Nuova Delhi ha rafforzato negli ultimi tempi i legami economici con Israele e ha assunto quindi un atteggiamento imparziale nei confronti del conflitto mediorientale. Il riavvicinamento con gli Stati Uniti, favorito da un patto sulla cooperazione in materia di energia nucleare, ha elevato lo status diplomatico dell’India nelle assise internazionali.
India-Ue, un summit dedicato a clima e energie pulite
Pubblicato su Apcom
L’Unione Europea intende coinvolgere l’India nella ricerca e utilizzo di nuove fonti alternative di energia pulita come il biofuel e l’energia solare. La questione del cambiamento climatico sarà uno dei punti centrali del summit indo-europeo che si terrà venerdi a Nuova Delhi soprattutto in vista dell’appuntamento con la Conferenza di Bali agli inizi di dicembre.
Il presidente della commissione Manuele Barroso e il premier portoghese Jose Socrates incontreranno nella capitale il primo ministro Manmohan Singh per il loro ottavo vertice annuale finalizzato a rafforzare la loro cooperazione politica ed economica.
Nel 2004 Bruxelles e Nuova Delhi avevano elevato la loro relazione a “partnership strategica”, mentre due anni fa avevano adottato un “Piano di azione comune” che sarà ora rinnovato. In agenda c’è anche la discussione sul futuro accordo di libero scambio che “darà un nuovo impulso ai rapporti tra Ue e India” ha detto oggi ad una conferenza stampa Daniéle Smadja, la rappresentante della Commissione Europea a Delhi, senza però indicare delle previsioni per la conclusione del patto di “free trade” .
L’Unione Europea è il primo partner commerciale dell’India ed è anche una delle principali fonti di investimenti esteri. Un quinto dell’interscambio indiano è con i Paesi europei. Nel 2005-2006 il commercio bilaterale ha toccato i 46 miliardi di euro per le merci e di 10 miliardi di euro per i servizi. “Il flusso totale è di un miliardo di euro alla settimana – ha aggiunto – ma non penso abbia raggiunto il massimo potenziale”. Sulla strada di una liberalizzazione degli scambi tra le due aree ci sono ancora molti ostacoli, tra cui una disputa sui dazi indiani su vino e alcolici (parzialmente ridotti a luglio) e sugli standard europei per la sicurezza alimentare che costituiscono una forte barriera per i prodotti indiani. Ci sono poi le consuete divergenze di vedute nell’ambito del Doha round dove l’India, insieme al Brasile e Sudafrica, guida il fronte dei Paesi emergenti che si battono contro i sussidi agricoli. Il commissario europeo al commercio Peter Mandelson, che sarà presente al vertice, cercherà di limare le differenze e chiederà all’India di rimuovere le barriere protezionistiche alla libera circolazione dei servizi e alla partecipazione di industrie straniere agli appalti pubblici.
Alla vigilia dell’apertura della Conferenza sul cambiamento climatico di Bali, dal 3 al 14 dicembre, sarà però l’ambiente a dominare le discussioni di Delhi. L’Unione Europea cercherà di convincere l’India ad arrivare ad una “posizione costruttiva” sul protocollo di Kyoto. Finora India (e Cina) hanno sempre rifiutato l’adozione di limiti alle emissioni atmosferiche inquinanti in quanto penalizzerebbero il loro sviluppo industriale.
L’Unione Europea intende coinvolgere l’India nella ricerca e utilizzo di nuove fonti alternative di energia pulita come il biofuel e l’energia solare. La questione del cambiamento climatico sarà uno dei punti centrali del summit indo-europeo che si terrà venerdi a Nuova Delhi soprattutto in vista dell’appuntamento con la Conferenza di Bali agli inizi di dicembre.
Il presidente della commissione Manuele Barroso e il premier portoghese Jose Socrates incontreranno nella capitale il primo ministro Manmohan Singh per il loro ottavo vertice annuale finalizzato a rafforzare la loro cooperazione politica ed economica.
Nel 2004 Bruxelles e Nuova Delhi avevano elevato la loro relazione a “partnership strategica”, mentre due anni fa avevano adottato un “Piano di azione comune” che sarà ora rinnovato. In agenda c’è anche la discussione sul futuro accordo di libero scambio che “darà un nuovo impulso ai rapporti tra Ue e India” ha detto oggi ad una conferenza stampa Daniéle Smadja, la rappresentante della Commissione Europea a Delhi, senza però indicare delle previsioni per la conclusione del patto di “free trade” .
L’Unione Europea è il primo partner commerciale dell’India ed è anche una delle principali fonti di investimenti esteri. Un quinto dell’interscambio indiano è con i Paesi europei. Nel 2005-2006 il commercio bilaterale ha toccato i 46 miliardi di euro per le merci e di 10 miliardi di euro per i servizi. “Il flusso totale è di un miliardo di euro alla settimana – ha aggiunto – ma non penso abbia raggiunto il massimo potenziale”. Sulla strada di una liberalizzazione degli scambi tra le due aree ci sono ancora molti ostacoli, tra cui una disputa sui dazi indiani su vino e alcolici (parzialmente ridotti a luglio) e sugli standard europei per la sicurezza alimentare che costituiscono una forte barriera per i prodotti indiani. Ci sono poi le consuete divergenze di vedute nell’ambito del Doha round dove l’India, insieme al Brasile e Sudafrica, guida il fronte dei Paesi emergenti che si battono contro i sussidi agricoli. Il commissario europeo al commercio Peter Mandelson, che sarà presente al vertice, cercherà di limare le differenze e chiederà all’India di rimuovere le barriere protezionistiche alla libera circolazione dei servizi e alla partecipazione di industrie straniere agli appalti pubblici.
Alla vigilia dell’apertura della Conferenza sul cambiamento climatico di Bali, dal 3 al 14 dicembre, sarà però l’ambiente a dominare le discussioni di Delhi. L’Unione Europea cercherà di convincere l’India ad arrivare ad una “posizione costruttiva” sul protocollo di Kyoto. Finora India (e Cina) hanno sempre rifiutato l’adozione di limiti alle emissioni atmosferiche inquinanti in quanto penalizzerebbero il loro sviluppo industriale.
domenica 25 novembre 2007
Pakistan, ritorno trionfante per Nawaz Sharif
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
“Sono tornato per giocare il mio ruolo e anche per mettere fine alla dittatura”. E’ quanto ha dichiarato l’ex premier Nawaz Sharif in un’intervista sull’aereo che da Jeddah lo riportava in patria nella sua roccaforte di Lahore dove è atterrato nel tardo pomeriggio accolto da migliaia di simpatizzanti. Sono le stesse parole pronunciate lo scorso 10 settembre quando era ritornato dall’esilio la prima volta, in un’atmosfera cupa e carica di tensione, per essere espulso poche ore dopo. Sono in molti a chiedersi che cosa è cambiato da allora per Sharif, che dopo sette anni di confino, è ritornato oggi con tutti gli onori di un leader politico con il fratello e diversi famigliari. Accantonate le accuse di corruzione e di tradimento, Pervez Musharraf non solo non ha ostacolato il suo rimpatrio, ma lo ha fatto scortare dall’aeroporto al centro di Lahore ricoperto di bandiere e striscioni in suo onore. Il suo ritorno ricorda quello di Benazir Bhutto lo scorso 18 ottobre, che è stato però macchiato dall’attentato terroristico che ha ucciso 140 attivisti di partito. Questa volta la polizia ha impedito alla folla di organizzare un corteo di benvenuto. Sharif è arrivato appena in tempo per presentare la sua candidatura alle elezioni parlamentari dell’8 gennaio dove dovrà fronteggiare il Partito Popolare Pachistano guidato dalla rivale Bhutto che avrebbe deciso di non boicottare il voto. Intanto per Musharraf si avvicina la scadenza di fine mese indicata come data per abbandonare l’uniforme. Un portavoce del governo ha detto che il generale di Islamabad dovrebbe dimettersi da capo della forze armate gia martedì prima di prestare giuramento come presidente per un secondo mandato di 5 anni.
“Sono tornato per giocare il mio ruolo e anche per mettere fine alla dittatura”. E’ quanto ha dichiarato l’ex premier Nawaz Sharif in un’intervista sull’aereo che da Jeddah lo riportava in patria nella sua roccaforte di Lahore dove è atterrato nel tardo pomeriggio accolto da migliaia di simpatizzanti. Sono le stesse parole pronunciate lo scorso 10 settembre quando era ritornato dall’esilio la prima volta, in un’atmosfera cupa e carica di tensione, per essere espulso poche ore dopo. Sono in molti a chiedersi che cosa è cambiato da allora per Sharif, che dopo sette anni di confino, è ritornato oggi con tutti gli onori di un leader politico con il fratello e diversi famigliari. Accantonate le accuse di corruzione e di tradimento, Pervez Musharraf non solo non ha ostacolato il suo rimpatrio, ma lo ha fatto scortare dall’aeroporto al centro di Lahore ricoperto di bandiere e striscioni in suo onore. Il suo ritorno ricorda quello di Benazir Bhutto lo scorso 18 ottobre, che è stato però macchiato dall’attentato terroristico che ha ucciso 140 attivisti di partito. Questa volta la polizia ha impedito alla folla di organizzare un corteo di benvenuto. Sharif è arrivato appena in tempo per presentare la sua candidatura alle elezioni parlamentari dell’8 gennaio dove dovrà fronteggiare il Partito Popolare Pachistano guidato dalla rivale Bhutto che avrebbe deciso di non boicottare il voto. Intanto per Musharraf si avvicina la scadenza di fine mese indicata come data per abbandonare l’uniforme. Un portavoce del governo ha detto che il generale di Islamabad dovrebbe dimettersi da capo della forze armate gia martedì prima di prestare giuramento come presidente per un secondo mandato di 5 anni.
venerdì 23 novembre 2007
India, 13 morti nel triplice attacco in Uttar Pradesh
Messo in onda su Radio Vaticana
E’ salito a tredici morti il bilancio delle vittime del triplice attentato che nel primo pomeriggio di ieri ha colpito le tre città di Varanasi, Lucknoew e Faizabad nel popoloso stato settentrionale dell’Uttar Pradersh. Quasi simultaneamente sei ordigni azionati a distanza e nascosti in biciclette parcheggiate nei cortili interreni dei palazzi di giustizia sono esplose seminando il terrore tra avvocati e magistrati in pausa pranzo. A Varanasi, la città sacra sul Gange in passata già colpita da attacchi di matrice islamica, si è registrata la più potente delle esplosioni che ha ucciso nove avvocati e ferito gravemente altri 45. Gli investigatori puntano il dito contro i gruppi di militanti estremisti filo pachistani che cercano di alimentare la tensione tra gli induisti e la minoranza mussulmana. L’attentato sarebbe stato organizzato con precisione e avrebbe delle similarità con altri avvenuti in diverse città indiane negli ultimi anni. Potrebbe essere anche una vendetta nei confronti degli avvocati dell’Uttar Pradesh che una settimana fa avevano aggredito alcuni sospetti militanti mentre si recavano in tribunale. Tre estremisti della nota organizzazione Jaish-e-Mohammed erano stati arrestati. Avrebbero confessato di avere un piano per sequestrare Rahul Gandhi, il figlio dell’italiana Sonia che guida il partito del Congresso. Intanto la triplice strage di ieri è stata rivendicata da un gruppo abbastanza sconosciuto, Al Hind Mujahiddin.
E’ salito a tredici morti il bilancio delle vittime del triplice attentato che nel primo pomeriggio di ieri ha colpito le tre città di Varanasi, Lucknoew e Faizabad nel popoloso stato settentrionale dell’Uttar Pradersh. Quasi simultaneamente sei ordigni azionati a distanza e nascosti in biciclette parcheggiate nei cortili interreni dei palazzi di giustizia sono esplose seminando il terrore tra avvocati e magistrati in pausa pranzo. A Varanasi, la città sacra sul Gange in passata già colpita da attacchi di matrice islamica, si è registrata la più potente delle esplosioni che ha ucciso nove avvocati e ferito gravemente altri 45. Gli investigatori puntano il dito contro i gruppi di militanti estremisti filo pachistani che cercano di alimentare la tensione tra gli induisti e la minoranza mussulmana. L’attentato sarebbe stato organizzato con precisione e avrebbe delle similarità con altri avvenuti in diverse città indiane negli ultimi anni. Potrebbe essere anche una vendetta nei confronti degli avvocati dell’Uttar Pradesh che una settimana fa avevano aggredito alcuni sospetti militanti mentre si recavano in tribunale. Tre estremisti della nota organizzazione Jaish-e-Mohammed erano stati arrestati. Avrebbero confessato di avere un piano per sequestrare Rahul Gandhi, il figlio dell’italiana Sonia che guida il partito del Congresso. Intanto la triplice strage di ieri è stata rivendicata da un gruppo abbastanza sconosciuto, Al Hind Mujahiddin.
Rawalpindi, nuovo attacco kamikaze contro militari
Messo in onda da Radio Svizzera
E’ il terzo attentato in poco tempo a Rawalpindi, città gemella di Islamabad, dove ha sorge il quartiere generale dell’esercito pachistano e anche la residenza di Pervez Musharraf. Due kamikaze, di cui uno con un’autobomba, hanno attaccato quasi simultaneamente un posto di blocco e un autobus diretto alla sede dei servizi segreti pachistani. C’è ancora confusione sul numero delle vittime che sarebbero almeno 15 secondo un portavoce militare, mente altre fonti indicano 35 morti. Ci sarebbero molti feriti gravi soprattutto tra il personale del ministero della difesa che si trovava a bordo del bus andato completamente distrutto secondo alcune testimonianze. La zona è stata chiusa ai giornalisti ed è quindi per ora difficile conoscere i dettagli di questo nuovo attentato che è l’ultimo di una lunga serie di sanguinosi attacchi contro l’esercito pachistano iniziata dall’assedio della Moschea Rossa di Islamabad lo scorso luglio.
Non sono giunte rivendicazioni, ma i sospetti ricadono ancora una volta sui gruppi estremismi filotalebani impegnati in un duro confronto con l’esercito pachistano nelle province autonome nord occidentali al confine afgano.
Questa ennesima strage coincide con un momento delicato per la politica pachistana in stallo dopo lo stato di emergenza dichiarato dal presidente Musharraf. Dall’Arabia Saudita l’ex premier Nawaz Sharif ha annunciato per domani il suo rientro dall’esilio per partecipare alle elezioni parlamentari di gennaio.
E’ il terzo attentato in poco tempo a Rawalpindi, città gemella di Islamabad, dove ha sorge il quartiere generale dell’esercito pachistano e anche la residenza di Pervez Musharraf. Due kamikaze, di cui uno con un’autobomba, hanno attaccato quasi simultaneamente un posto di blocco e un autobus diretto alla sede dei servizi segreti pachistani. C’è ancora confusione sul numero delle vittime che sarebbero almeno 15 secondo un portavoce militare, mente altre fonti indicano 35 morti. Ci sarebbero molti feriti gravi soprattutto tra il personale del ministero della difesa che si trovava a bordo del bus andato completamente distrutto secondo alcune testimonianze. La zona è stata chiusa ai giornalisti ed è quindi per ora difficile conoscere i dettagli di questo nuovo attentato che è l’ultimo di una lunga serie di sanguinosi attacchi contro l’esercito pachistano iniziata dall’assedio della Moschea Rossa di Islamabad lo scorso luglio.
Non sono giunte rivendicazioni, ma i sospetti ricadono ancora una volta sui gruppi estremismi filotalebani impegnati in un duro confronto con l’esercito pachistano nelle province autonome nord occidentali al confine afgano.
Questa ennesima strage coincide con un momento delicato per la politica pachistana in stallo dopo lo stato di emergenza dichiarato dal presidente Musharraf. Dall’Arabia Saudita l’ex premier Nawaz Sharif ha annunciato per domani il suo rientro dall’esilio per partecipare alle elezioni parlamentari di gennaio.
Taslima Nasreen scortata in una guesthouse di Delhi
Pubblicato su Apcom
Si è risolto il giallo sul nascondiglio della scrittrice bangladese Taslima Nasreen che giovedì pomeriggio era stata prelevata dalla sua casa di Calcutta dopo le violente proteste di un gruppo mussulmano contro la sua permanenza in India. L’intellettuale femminista si troverebbe a Nuova Delhi in una guesthouse nel sud della capitale. La Nasreen era stata trasferita in un primo tempo a Jaipur, la “città rosa” nello stato del Rajasthan, ma i suoi movimenti erano stati tenuti segreti evidentemente per ragioni di sicurezza. Una fonte dell’intelligence indiana citata dall’agenzia Ians ha affermato che “deve ancora essere deciso dove ospitarla. Stiamo valutando la situazione a Calcutta e c’è la possibilità che possa ritornare a casa una volta sia stata ristabilita la calma”.
La scrittrice, costretta a lasciare il suo Paese dopo una fatwa contro un suo libro all’inizio degli Anni Novanta, è stata scortata dalla polizia nel viaggio tra Jaipur e Delhi. Da ieri sera si troverebbe nella guesthouse della Rajasthan House, la casa di rappresentanza dello stato settentrionale, che sorge nei pressi dell’area diplomatica di Delhi dove esiste un alto livello di protezione.
Secondo l’agenzia di stampa indiana, la Nasreen era stata “rifiutata” da alcuni hotel di Jaipur con la scusa che non c’erano stanze disponibili. Inoltre alcuni gruppi islamici rajasthani avevano minacciato di inscenare proteste contro l’autrice diventata una paladina della battaglia per i diritti delle donne nei paesi islamici.
Si è risolto il giallo sul nascondiglio della scrittrice bangladese Taslima Nasreen che giovedì pomeriggio era stata prelevata dalla sua casa di Calcutta dopo le violente proteste di un gruppo mussulmano contro la sua permanenza in India. L’intellettuale femminista si troverebbe a Nuova Delhi in una guesthouse nel sud della capitale. La Nasreen era stata trasferita in un primo tempo a Jaipur, la “città rosa” nello stato del Rajasthan, ma i suoi movimenti erano stati tenuti segreti evidentemente per ragioni di sicurezza. Una fonte dell’intelligence indiana citata dall’agenzia Ians ha affermato che “deve ancora essere deciso dove ospitarla. Stiamo valutando la situazione a Calcutta e c’è la possibilità che possa ritornare a casa una volta sia stata ristabilita la calma”.
La scrittrice, costretta a lasciare il suo Paese dopo una fatwa contro un suo libro all’inizio degli Anni Novanta, è stata scortata dalla polizia nel viaggio tra Jaipur e Delhi. Da ieri sera si troverebbe nella guesthouse della Rajasthan House, la casa di rappresentanza dello stato settentrionale, che sorge nei pressi dell’area diplomatica di Delhi dove esiste un alto livello di protezione.
Secondo l’agenzia di stampa indiana, la Nasreen era stata “rifiutata” da alcuni hotel di Jaipur con la scusa che non c’erano stanze disponibili. Inoltre alcuni gruppi islamici rajasthani avevano minacciato di inscenare proteste contro l’autrice diventata una paladina della battaglia per i diritti delle donne nei paesi islamici.
UTTAR PRADESH, USATE BICICLETTE PER TRIPLICE ATTENTATO
Pubblicato su Apcom
Avrebbero usato delle biciclette cariche di esplosivo i presunti attentatori che hanno colpito oggi quasi simultaneamente tre città dello stato indiano dell’Uttar Pradesh, Varanasi, Lucknow e Faizabad. Non è ancora chiaro il bilancio delle vittime che potrebbero essere oltre una decina. Secondo le prime informazioni si tratterebbe di un attacco ben organizzato che fa pensare alla strategia usata dai gruppi estremisti islamici. Nel mirino in particolare c’erano i palazzi di giustizia. La polizia avrebbe trovato e rimosso altro esplosivo. Attualmente la situazione è tesa. Giudici e avvocati hanno inscenato una protesta contro le forze dell’ordine.
La triplice esplosione segue di una settimana l’arresto nell’Uttar Pradesh di tre militanti del gruppo estremista fuorilegge pachistano Jaish-e-Mohammed (JeM) che stavano per organizzare il sequestro di Rahul Gandhi, figlio di Sonia e neo segretario del partito del Congresso. Secondo l’interrogatorio, i tre sospettati arrestati a Lucknow volevano prendere il giovane politico in ostaggio per chiedere al governo indiano il rilascio di alcuni presunti terroristi che si trovano in carcere , tra cui Mohammed Afzal, accusato di aver organizzato l’attentato al Parlamento di Nuova Delhi nel 2001.
Avrebbero usato delle biciclette cariche di esplosivo i presunti attentatori che hanno colpito oggi quasi simultaneamente tre città dello stato indiano dell’Uttar Pradesh, Varanasi, Lucknow e Faizabad. Non è ancora chiaro il bilancio delle vittime che potrebbero essere oltre una decina. Secondo le prime informazioni si tratterebbe di un attacco ben organizzato che fa pensare alla strategia usata dai gruppi estremisti islamici. Nel mirino in particolare c’erano i palazzi di giustizia. La polizia avrebbe trovato e rimosso altro esplosivo. Attualmente la situazione è tesa. Giudici e avvocati hanno inscenato una protesta contro le forze dell’ordine.
La triplice esplosione segue di una settimana l’arresto nell’Uttar Pradesh di tre militanti del gruppo estremista fuorilegge pachistano Jaish-e-Mohammed (JeM) che stavano per organizzare il sequestro di Rahul Gandhi, figlio di Sonia e neo segretario del partito del Congresso. Secondo l’interrogatorio, i tre sospettati arrestati a Lucknow volevano prendere il giovane politico in ostaggio per chiedere al governo indiano il rilascio di alcuni presunti terroristi che si trovano in carcere , tra cui Mohammed Afzal, accusato di aver organizzato l’attentato al Parlamento di Nuova Delhi nel 2001.
giovedì 22 novembre 2007
Taslima Nasreen trasferita in segreto da Calcutta
Pubblicato da Apcom
Per ragioni di sicurezza la scrittrice bangladese Taslima Nasreen è stata trasferita da Calcutta dove si trovava in esilio dal 2004. L’intellettuale femminista, minacciata di morte dai fondamentalisti islamici, era stata al centro di violenti disordini scoppiati mercoledì nella metropoli dello stato indiano del Bengala Occidentale. Un gruppo di dimostranti mussulmani aveva indetto un’agitazione sfociata nella violenza per protestare contro gli espropri agricoli dell’area industriale di Nandigram e per chiedere la cancellazione del visto indiano della Nasreen che scade a marzo. Biman Bose, un leader del CMP, il partito comunista indiano che guida lo stato bengalese, aveva detto ieri che “la sua presenza creava dei problemi e che la città sarebbe stata più sicura se lei se ne fosse andata”. Una dichiarazione che ha “scioccato” l’attivista bangladese che per ora ha scelto il silenzio ma che “si riserva di dire quello che pensa e chiarire la confusione quando sarà opportuno” secondo quanto riporta oggi il quotidiano “The Hindustan Times”.
Protetta dalla guardie del corpo messe a disposizione dal governo indiano e coperta dal burqa, la scrittrice “anti-velo” ha lasciato la sua casa ieri pomeriggio in segreto ed è stata trasportata con un aereo della compagnie di bandiera Indian Airlines a Jaipur, capoluogo dello stato nord occidentale Rajiasthan. Ha passato la notte in un hotel circondato da un massiccio cordone di sicurezza e ora si troverebbe in viaggio verso una nuova località. Non è chiaro perché sia stata nuovamente trasferita. Secondo quanto riporta un canale privato, Nasreen sta per arrivare a Nuova Delhi, probabilmente a causa di nuove minacce ricevute dai fondamentalisti. Lo scorso agosto era stata attaccata da una folla di manifestanti all’uscita del club della stampa di Bangalore dopo il lancio di uno dei suoi famosi libri Shodh (Vendetta) nella lingua locale, il telugo. Dopo un editoriale su un settimanale a favore dei diritti delle donne, un gruppo mussulmano indiano aveva messo sulla sua testa una taglia di 500 mila rupie. Nasreen, che ha 46 anni e una laurea in medicina, ha abbandonato il suo Paese negli anni Novanta dopo la fatwa contro il libro “Vergogna” (in bengalese “Lajja”) e si è rifugiata in Europa. Le sue opere sono bandite in Bangladesh. Da tre anni ha ottenuto l’ospitalità e la protezione dell’India e si è stabilita a Calcutta che considera come “la sua seconda casa”. Ha anche chiesto la cittadinanza indiana.
Per ragioni di sicurezza la scrittrice bangladese Taslima Nasreen è stata trasferita da Calcutta dove si trovava in esilio dal 2004. L’intellettuale femminista, minacciata di morte dai fondamentalisti islamici, era stata al centro di violenti disordini scoppiati mercoledì nella metropoli dello stato indiano del Bengala Occidentale. Un gruppo di dimostranti mussulmani aveva indetto un’agitazione sfociata nella violenza per protestare contro gli espropri agricoli dell’area industriale di Nandigram e per chiedere la cancellazione del visto indiano della Nasreen che scade a marzo. Biman Bose, un leader del CMP, il partito comunista indiano che guida lo stato bengalese, aveva detto ieri che “la sua presenza creava dei problemi e che la città sarebbe stata più sicura se lei se ne fosse andata”. Una dichiarazione che ha “scioccato” l’attivista bangladese che per ora ha scelto il silenzio ma che “si riserva di dire quello che pensa e chiarire la confusione quando sarà opportuno” secondo quanto riporta oggi il quotidiano “The Hindustan Times”.
Protetta dalla guardie del corpo messe a disposizione dal governo indiano e coperta dal burqa, la scrittrice “anti-velo” ha lasciato la sua casa ieri pomeriggio in segreto ed è stata trasportata con un aereo della compagnie di bandiera Indian Airlines a Jaipur, capoluogo dello stato nord occidentale Rajiasthan. Ha passato la notte in un hotel circondato da un massiccio cordone di sicurezza e ora si troverebbe in viaggio verso una nuova località. Non è chiaro perché sia stata nuovamente trasferita. Secondo quanto riporta un canale privato, Nasreen sta per arrivare a Nuova Delhi, probabilmente a causa di nuove minacce ricevute dai fondamentalisti. Lo scorso agosto era stata attaccata da una folla di manifestanti all’uscita del club della stampa di Bangalore dopo il lancio di uno dei suoi famosi libri Shodh (Vendetta) nella lingua locale, il telugo. Dopo un editoriale su un settimanale a favore dei diritti delle donne, un gruppo mussulmano indiano aveva messo sulla sua testa una taglia di 500 mila rupie. Nasreen, che ha 46 anni e una laurea in medicina, ha abbandonato il suo Paese negli anni Novanta dopo la fatwa contro il libro “Vergogna” (in bengalese “Lajja”) e si è rifugiata in Europa. Le sue opere sono bandite in Bangladesh. Da tre anni ha ottenuto l’ospitalità e la protezione dell’India e si è stabilita a Calcutta che considera come “la sua seconda casa”. Ha anche chiesto la cittadinanza indiana.
Bangladesh, continua la mobilitazione internazionale per vittime del ciclone Sidr
Messo in onda su Radio Vaticana
Nonostante gli sforzi dei soccorritori di consegnare cibo e viveri di emergenza ai senzatetto colpiti dal ciclone Sidr, molte aree della fascia costiera sarebbero ancora isolate. Le condizioni dei sopravvissuti e soprattutto dei bambini, che in molti casi hanno perso uno e entrambi genitori, sono sempre più drammatiche. La mancanza di acqua potabile e la scarsità di cibo rischiano di causare nuove vittime se gli aiuti non arriveranno al più presto. Secondo l’ultimo bilancio, diffuso ieri dal governo di Dacca, sono oltre 2.900 le persone morte, 1.724 quelle ufficialmente disperse e quasi 29.000 quelle ferite. Il numero di famiglie "colpite" dal passaggio del potente ciclone è salito a un milione e mezzo. Più di un milione sarebbero le case danneggiate, di cui metà completamente distrutte e quasi 650mila gli ettari di coltivazioni devastati dalla furia delle onde e dall’acqua salata. Secondo la stampa locale però il numero delle vittime potrebbe essere fino a tre o quattro volte di più. Le speranze per accelerare le operazioni di soccorse sono legate alla mobilitazione internazionale. Le Nazioni Unite hanno annunciato lo stanziamento di altri 4 milioni di dollari portando il totale degli aiuti a 15 milioni. Nei prossimi giorni arriveranno sulle coste della Baia del Bengala anche le due unità della marina statunitense dotate in totale di 40 elicotteri che saranno messi a disposizione delle autorità per trasportare aiuti e feriti e anche per la ricognizione delle aree sinistrate .
Nonostante gli sforzi dei soccorritori di consegnare cibo e viveri di emergenza ai senzatetto colpiti dal ciclone Sidr, molte aree della fascia costiera sarebbero ancora isolate. Le condizioni dei sopravvissuti e soprattutto dei bambini, che in molti casi hanno perso uno e entrambi genitori, sono sempre più drammatiche. La mancanza di acqua potabile e la scarsità di cibo rischiano di causare nuove vittime se gli aiuti non arriveranno al più presto. Secondo l’ultimo bilancio, diffuso ieri dal governo di Dacca, sono oltre 2.900 le persone morte, 1.724 quelle ufficialmente disperse e quasi 29.000 quelle ferite. Il numero di famiglie "colpite" dal passaggio del potente ciclone è salito a un milione e mezzo. Più di un milione sarebbero le case danneggiate, di cui metà completamente distrutte e quasi 650mila gli ettari di coltivazioni devastati dalla furia delle onde e dall’acqua salata. Secondo la stampa locale però il numero delle vittime potrebbe essere fino a tre o quattro volte di più. Le speranze per accelerare le operazioni di soccorse sono legate alla mobilitazione internazionale. Le Nazioni Unite hanno annunciato lo stanziamento di altri 4 milioni di dollari portando il totale degli aiuti a 15 milioni. Nei prossimi giorni arriveranno sulle coste della Baia del Bengala anche le due unità della marina statunitense dotate in totale di 40 elicotteri che saranno messi a disposizione delle autorità per trasportare aiuti e feriti e anche per la ricognizione delle aree sinistrate .
Pakistan, espulsione dal Commonwealth
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
Il rilascio di 3400 oppositori politici e la promessa di Musharraf di abbandonare l’uniforme tra pochi giorni quando presterà giuramento come presidente, non sono bastati a convincere il Commonwealth. Nella riunione in Uganda, le ex colonie britanniche hanno deciso per consenso di sospendere il Pakistan fino a quando non sarà ripristinata la democrazia e la legalità sospese con la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre. Anche se non ha nessun effetto concreto, la sospensione - la seconda in 8 anni - è un brutto colpo per il generale di Islamabad che, dopo le pressioni degli Stati Uniti, sta cercando di allentare il suo pugno di ferro e di trovare una via di uscita allo stallo con l’opposizione che minaccia di boicottare il voto di gennaio. Il Partito Popolare pachistano di Benazir Bhutto per adesso ha deciso di partecipare alle elezioni parlamentari e di presentare le candidature. Potrebbe rientrare in gioco anche l’altro ex premier, Nawaz Sharif, ora in esilio che avrebbe raggiunto un accordo con il governo saudita per il suo ritorno, forse già la prossima settimana. In sua visita a sorpresa a Ryad, Musharraf aveva tentato di riallacciare i rapporti con il suo maggiore rivale che aveva esautorato dopo il golpe del 99.
Il complesso risiko della politica pachistana è quindi ancora tutto da giocare. Gli occhi sono puntati ora su Musharraf che dopo aver ottenuto l’ultimo via libera dalla Corte Suprema per il rinnovo del suo mandato presidenziale, dovrebbe lasciare l’incarico di capo delle forze armate al generale Ashfaq Parvez Kayani, già designato come suo successore.
Il rilascio di 3400 oppositori politici e la promessa di Musharraf di abbandonare l’uniforme tra pochi giorni quando presterà giuramento come presidente, non sono bastati a convincere il Commonwealth. Nella riunione in Uganda, le ex colonie britanniche hanno deciso per consenso di sospendere il Pakistan fino a quando non sarà ripristinata la democrazia e la legalità sospese con la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre. Anche se non ha nessun effetto concreto, la sospensione - la seconda in 8 anni - è un brutto colpo per il generale di Islamabad che, dopo le pressioni degli Stati Uniti, sta cercando di allentare il suo pugno di ferro e di trovare una via di uscita allo stallo con l’opposizione che minaccia di boicottare il voto di gennaio. Il Partito Popolare pachistano di Benazir Bhutto per adesso ha deciso di partecipare alle elezioni parlamentari e di presentare le candidature. Potrebbe rientrare in gioco anche l’altro ex premier, Nawaz Sharif, ora in esilio che avrebbe raggiunto un accordo con il governo saudita per il suo ritorno, forse già la prossima settimana. In sua visita a sorpresa a Ryad, Musharraf aveva tentato di riallacciare i rapporti con il suo maggiore rivale che aveva esautorato dopo il golpe del 99.
Il complesso risiko della politica pachistana è quindi ancora tutto da giocare. Gli occhi sono puntati ora su Musharraf che dopo aver ottenuto l’ultimo via libera dalla Corte Suprema per il rinnovo del suo mandato presidenziale, dovrebbe lasciare l’incarico di capo delle forze armate al generale Ashfaq Parvez Kayani, già designato come suo successore.
mercoledì 21 novembre 2007
Bangladesh, corsa contro il tempo per soccorrere i senzatetto
Messo in onda su Radio Svizzera
Ad una settimana dal passaggio del devastante ciclone Sidr le squadre di soccorso sono impegnate in una corsa contro il tempo per raggiungere centinaia di migliaia di sopravissuti disseminati nel vastissimo delta dei fiumi Bramaputra e Gange. La maggior parte delle strade di accesso ai villaggi sono state sgomberate dal fango e dagli alberi sradicati, ma la distribuzione di viveri e medicine va molto a rilento. Si teme l’insorgere di malattie tra i senzatetto ormai stremati per la fame e la mancanza di acqua pulita. Sono già stati denunciati i primi casi di dissenteria. Preoccupa soprattutto la salute di bambini e degli anziani che sono i più vulnerabili e che sono anche quelli che non sono riusciti a scappare in tempo nei rifugi di cemento anti uragano. Il bilancio delle vittime accertate rimane stabile a 3500 morti, ma i dispersi sono alcune migliaia. Molti di loro sarebbero pescatori travolti dal ciclone mentre si trovavano in mare o nella fitta rete di canali dove ci sono gli allevamenti di gamberetti. Difficile immaginare che saranno recuperati i corpi.
Di fronte alla gravità della catastrofe che ha colpito 3 milioni di persone in una zona di estrema povertà, la comunità internazionale ha allentato i cordoni della borsa. Gli stanziamenti totali sono 140 milioni di dollari, di cui solo 100 milioni offerti dall’Arabia Saudita. Ieri sono arrivate altre offerte di aiuto. La Spagna ha inviato otto tonnellate di generi di prima necessità, mentre la Banca Mondiale ha assicurato fino a 250 milioni per costituire un fondo per la ricostruzione post emergenza.
Ad una settimana dal passaggio del devastante ciclone Sidr le squadre di soccorso sono impegnate in una corsa contro il tempo per raggiungere centinaia di migliaia di sopravissuti disseminati nel vastissimo delta dei fiumi Bramaputra e Gange. La maggior parte delle strade di accesso ai villaggi sono state sgomberate dal fango e dagli alberi sradicati, ma la distribuzione di viveri e medicine va molto a rilento. Si teme l’insorgere di malattie tra i senzatetto ormai stremati per la fame e la mancanza di acqua pulita. Sono già stati denunciati i primi casi di dissenteria. Preoccupa soprattutto la salute di bambini e degli anziani che sono i più vulnerabili e che sono anche quelli che non sono riusciti a scappare in tempo nei rifugi di cemento anti uragano. Il bilancio delle vittime accertate rimane stabile a 3500 morti, ma i dispersi sono alcune migliaia. Molti di loro sarebbero pescatori travolti dal ciclone mentre si trovavano in mare o nella fitta rete di canali dove ci sono gli allevamenti di gamberetti. Difficile immaginare che saranno recuperati i corpi.
Di fronte alla gravità della catastrofe che ha colpito 3 milioni di persone in una zona di estrema povertà, la comunità internazionale ha allentato i cordoni della borsa. Gli stanziamenti totali sono 140 milioni di dollari, di cui solo 100 milioni offerti dall’Arabia Saudita. Ieri sono arrivate altre offerte di aiuto. La Spagna ha inviato otto tonnellate di generi di prima necessità, mentre la Banca Mondiale ha assicurato fino a 250 milioni per costituire un fondo per la ricostruzione post emergenza.
Calcutta, riesplode la battaglia anti espropri di Nandigram
Pubblicato da Apcom
E’ stato imposto il coprifuoco e dispiegato l’esercito nelle strade a Calcutta dopo i violenti disordini di oggi tra la polizia e dimostranti mussulmani. Per la moderna Kolkata, come si chiama oggi la metropoli del Bengala Occidentale dove gli scioperi e le rivendicazioni sindacali sono all’ordine del giorno, è stata una delle giornate più violente degli ultimi venti anni. Gli scontri hanno interessato larga parte del centro urbano, paralizzato i trasporti urbani e bloccato migliaia di pendolari e studenti. Il capo del governo locale, il leader comunista Buddhadeb Bhattacharjee, ha deciso stasera di schierare sei colonne di soldati, ma la situazione rimane tesa. Tutto sarebbe iniziato in mattinata quando un’associazione che rappresenta la minoranza mussulmana, Il Muslim All India Minority Front, ha indetto un’agitazione per protestare contro la brutale repressione nell’area industriale di Nandigram e anche contro la scrittrice femminista bangladese Taslima Nasreen, in esilio in India dopo una fatwa degli integralisti per sue dichiarazioni antiislamiche. Apparentemente si tratta di due argomenti separati, ma che oggi hanno catalizzato la rabbia dei musulmani sollevando antiche paure di scontri interreligiosi come quelli avvenuti in Gujarat nella primavera 2002. Secondo le autorità, i dimostranti avrebbero iniziato a prendere a sassate i poliziotti che hanno risposto con manganellate e gas lacrimogeni. E’ nata una guerriglia urbana con strade bloccate e auto e bus incendiati che si è estesa dal nord della megalopoli fino a Park Circus e Moulali. Sono stati arrestati un centinaio di attivisti, mente si contano 50 feriti.
E’ da qualche settimane che le vicende di Nandigram occupano le prime pagine dei quotidiani con storie di orrore e anche di stupri collettivi. Si tratta di una cittadina a 170 chilometri a sud est di Calcutta, in origine destinata a diventare un polo chimico. Il governo locale del Bengala Occidentale, una delle due storiche roccaforti comuniste indiane (l’altra è il Kerala) da tempo promuove una politica di industrializzazione e di liberalizzazione degli investimenti stranieri “alla cinese”. Vicino a Nandigram sorge anche un altro punto caldo, Singur, dove il colosso automobilistico Tata Motors sta costruendo la nuova fabbrica per la mini car da 2200 dollari. Entrambe queste località sono diventate le “ground zero” simbolo dello scontro tra contadini espropriati delle terre e grande industria appoggiata dalle autorità locali. Dopo la rivolta anti espropri degli agricoltori, la Zona Economica Speciale (Sez) di Nandigram è stata cancellata, ma il luogo è rimasto il terreno di scontro delle principali forze politiche bengalesi, in particolare tra i comunisti e il partito locale Trinamul appoggiato dal Congresso. Circa 11 mesi fa i contadini, sembrerebbe con l’aiuto armato dei maoisti indiani, hanno occupato l’intera zona sfidando il “Bhudda” rosso, il quale agli inizi di novembre ha lanciato un’operazione di “ricattura” conclusasi nel sangue. In pratica ha permesso alle squadre armate del suo partito, il CPI (M), il Partito comunista indiano marxista, di stanare casa per casa gli occupanti e di riprendere il controllo di Nandigram. L’assalto finale, tra l’indifferenza della polizia, è stato lanciato lo scorso 11 novembre. Le “Red Brigates” non hanno però usato i guanti di velluto. Alcuni degli attivisti sono stati accusato di stupro e diverse atrocità. In sei giorni di “pogrom” circa 1500 persone sono state costrette a lasciare le case bruciate e saccheggiate e a trasferirsi in tendopoli dove si trovano tuttora. Il governo locale si è giustificato che tra i contadini si erano infiltrati i guerriglieri maoisti. Per completare il quadro va aggiunto che la maggior parte delle vittime del “terrore rosso” sono musulmani. Dall’inizio dell’anno la violenza di Nandigram ha già causato 34 morti, ma solo ieri il primo ministro Manmohan Singh ha rotto il silenzio e ha criticato il governo bengalese (i partiti comunisti appoggiano dall’estero la coalizione di governo guidata dal Congresso). Il premier ha chiesto al governo di Battarcharjee di “ripristinare la legalità con un efficace dispiego delle forze dell’ordine”. Ma nessuno aveva previsto la violenta reazione dei mussulmani oggi nella “laica” Calcutta che potrebbe mettere a rischio la convivenza pacifica con la maggioranza dominante induista.
E’ stato imposto il coprifuoco e dispiegato l’esercito nelle strade a Calcutta dopo i violenti disordini di oggi tra la polizia e dimostranti mussulmani. Per la moderna Kolkata, come si chiama oggi la metropoli del Bengala Occidentale dove gli scioperi e le rivendicazioni sindacali sono all’ordine del giorno, è stata una delle giornate più violente degli ultimi venti anni. Gli scontri hanno interessato larga parte del centro urbano, paralizzato i trasporti urbani e bloccato migliaia di pendolari e studenti. Il capo del governo locale, il leader comunista Buddhadeb Bhattacharjee, ha deciso stasera di schierare sei colonne di soldati, ma la situazione rimane tesa. Tutto sarebbe iniziato in mattinata quando un’associazione che rappresenta la minoranza mussulmana, Il Muslim All India Minority Front, ha indetto un’agitazione per protestare contro la brutale repressione nell’area industriale di Nandigram e anche contro la scrittrice femminista bangladese Taslima Nasreen, in esilio in India dopo una fatwa degli integralisti per sue dichiarazioni antiislamiche. Apparentemente si tratta di due argomenti separati, ma che oggi hanno catalizzato la rabbia dei musulmani sollevando antiche paure di scontri interreligiosi come quelli avvenuti in Gujarat nella primavera 2002. Secondo le autorità, i dimostranti avrebbero iniziato a prendere a sassate i poliziotti che hanno risposto con manganellate e gas lacrimogeni. E’ nata una guerriglia urbana con strade bloccate e auto e bus incendiati che si è estesa dal nord della megalopoli fino a Park Circus e Moulali. Sono stati arrestati un centinaio di attivisti, mente si contano 50 feriti.
E’ da qualche settimane che le vicende di Nandigram occupano le prime pagine dei quotidiani con storie di orrore e anche di stupri collettivi. Si tratta di una cittadina a 170 chilometri a sud est di Calcutta, in origine destinata a diventare un polo chimico. Il governo locale del Bengala Occidentale, una delle due storiche roccaforti comuniste indiane (l’altra è il Kerala) da tempo promuove una politica di industrializzazione e di liberalizzazione degli investimenti stranieri “alla cinese”. Vicino a Nandigram sorge anche un altro punto caldo, Singur, dove il colosso automobilistico Tata Motors sta costruendo la nuova fabbrica per la mini car da 2200 dollari. Entrambe queste località sono diventate le “ground zero” simbolo dello scontro tra contadini espropriati delle terre e grande industria appoggiata dalle autorità locali. Dopo la rivolta anti espropri degli agricoltori, la Zona Economica Speciale (Sez) di Nandigram è stata cancellata, ma il luogo è rimasto il terreno di scontro delle principali forze politiche bengalesi, in particolare tra i comunisti e il partito locale Trinamul appoggiato dal Congresso. Circa 11 mesi fa i contadini, sembrerebbe con l’aiuto armato dei maoisti indiani, hanno occupato l’intera zona sfidando il “Bhudda” rosso, il quale agli inizi di novembre ha lanciato un’operazione di “ricattura” conclusasi nel sangue. In pratica ha permesso alle squadre armate del suo partito, il CPI (M), il Partito comunista indiano marxista, di stanare casa per casa gli occupanti e di riprendere il controllo di Nandigram. L’assalto finale, tra l’indifferenza della polizia, è stato lanciato lo scorso 11 novembre. Le “Red Brigates” non hanno però usato i guanti di velluto. Alcuni degli attivisti sono stati accusato di stupro e diverse atrocità. In sei giorni di “pogrom” circa 1500 persone sono state costrette a lasciare le case bruciate e saccheggiate e a trasferirsi in tendopoli dove si trovano tuttora. Il governo locale si è giustificato che tra i contadini si erano infiltrati i guerriglieri maoisti. Per completare il quadro va aggiunto che la maggior parte delle vittime del “terrore rosso” sono musulmani. Dall’inizio dell’anno la violenza di Nandigram ha già causato 34 morti, ma solo ieri il primo ministro Manmohan Singh ha rotto il silenzio e ha criticato il governo bengalese (i partiti comunisti appoggiano dall’estero la coalizione di governo guidata dal Congresso). Il premier ha chiesto al governo di Battarcharjee di “ripristinare la legalità con un efficace dispiego delle forze dell’ordine”. Ma nessuno aveva previsto la violenta reazione dei mussulmani oggi nella “laica” Calcutta che potrebbe mettere a rischio la convivenza pacifica con la maggioranza dominante induista.
martedì 20 novembre 2007
Bangladesh, prime vittime tra i senzatetto del ciclone Sidr
Messo in onda su Radio Vaticana
Secondo un quotidiano di Dacca si sarebbero già registrate le prime vittime tra i sopravissuti del ciclone Sidr che dopo sei giorni senza cibo e acqua si trovano in condizioni disperate. Il giornale ha riferito della morte di due bambini a causa della dissenteria nel distretto di Pathuakali, uno dei più colpiti dalla calamità che potrebbe aver causato 10 mila vittime, anche se per ora i morti accertati sono circa 3500. L’esercito bangladese ha detto che un terzo dei villaggi sulla fascia costiera meridionale devono ancora essere raggiunti dai convogli degli aiuti di emergenza. Monta quindi il malcontento tra i senza tetto. Per molti di loro e soprattutto per i bambini che sono i più vulnerabili l’unica speranza sono i biscotti energetici lanciati dagli elicotteri, che sono pero insufficienti per far fronte alla tragedia. Il ciclone ha colpito un milione di famiglie in una vasta area del delta del Gange composta da una fitta rete di canali, fasce costiere e piccole isole. Il compito dei soccorsi è quindi particolarmente difficile. La comunità internazionale ha risposto con generosità finora stanziando la somma totale di 140 milioni di dollari, di cui 100 milioni sono arrivati dall’Arabia Saudita. Di fronte alla gravità della devastazioni il governo di Dacca ha però rivolto un nuovo appello umanitario. Le Nazioni Unite hanno nel frattempo ha approvato la somma di oltre 8 milioni di dollari destinati a soccorrere 3 milioni di persone con generi di prima necessità.
Secondo un quotidiano di Dacca si sarebbero già registrate le prime vittime tra i sopravissuti del ciclone Sidr che dopo sei giorni senza cibo e acqua si trovano in condizioni disperate. Il giornale ha riferito della morte di due bambini a causa della dissenteria nel distretto di Pathuakali, uno dei più colpiti dalla calamità che potrebbe aver causato 10 mila vittime, anche se per ora i morti accertati sono circa 3500. L’esercito bangladese ha detto che un terzo dei villaggi sulla fascia costiera meridionale devono ancora essere raggiunti dai convogli degli aiuti di emergenza. Monta quindi il malcontento tra i senza tetto. Per molti di loro e soprattutto per i bambini che sono i più vulnerabili l’unica speranza sono i biscotti energetici lanciati dagli elicotteri, che sono pero insufficienti per far fronte alla tragedia. Il ciclone ha colpito un milione di famiglie in una vasta area del delta del Gange composta da una fitta rete di canali, fasce costiere e piccole isole. Il compito dei soccorsi è quindi particolarmente difficile. La comunità internazionale ha risposto con generosità finora stanziando la somma totale di 140 milioni di dollari, di cui 100 milioni sono arrivati dall’Arabia Saudita. Di fronte alla gravità della devastazioni il governo di Dacca ha però rivolto un nuovo appello umanitario. Le Nazioni Unite hanno nel frattempo ha approvato la somma di oltre 8 milioni di dollari destinati a soccorrere 3 milioni di persone con generi di prima necessità.
INDIA, VIA AI NEGOZIATI CON L'AIEA SUL NUCLEARE
Pubblicato da Apcom
La telenovela dell’approvazione dell’accordo indo-americano in materia di cooperazione nucleare civile si arricchisce domani di un’altra puntata quando l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica discuterà delle misure “eccezionali” per salvaguardare le centrali nucleari indiane. Il capo del dipartimento per l’energia atomica Anil kakodkar sarà a Vienna per mettere a punto le speciali clausole da applicare ad un Paese come l’India che non fa parte del Trattato di Non Proliferazione, ma che presto grazie al patto con Washington potrebbe importare tecnologia nucleare e a “doppio uso”.
Dopo la visita di Mohammed ElBaradei il mese scorso le ambizioni di Nuova Delhi per diventare una potenza atomica ufficiale erano state messe nel cassetto a causa della forte opposizione degli alleati comunisti contrari ad ingerenze esterne nel programma nucleare indiano e pronti a far cadere il governo guidato dal Congresso di Sonia Gandhi. Il ricatto aveva funzionato tanto che uno sconsolato Manmohan Singh a un certo punto aveva allargato le braccia ed accettato anche di fare una brutta figura con la Casa Bianca che vuole a tutti i costi approvare l’accordo prima della fine della legislatura. “Se l’accordo non si farà, non sarà la fine della vita” aveva detto il premier con una frase che passerà sicuramente agli annali delle cronache politiche.
Ora però le carte si sono mescolate. A far cambiare idea ai partiti comunisti sono stati gli eventi drammatici di Nandigram, la nuova area industriale vicino a Calcutta destinata a polo chimico, dove il governo locale, una roccaforte “rossa”, vorrebbe espropriare le terre agricole. La protesta dei contadini appoggiati da alcune forze politiche va avanti ormai da un anno, ma solo di recente ha preso una piega violenta ed è diventata guerriglia urbana con la partecipazione di gruppi armati, tra cui i maoisti. Un paio di settimane fa i quadri “armati” del Partito Comunista hanno terrorizzato la popolazione, incendiato le case e addirittura commesso stupri tra l’indifferenza della polizia. Il governo di Nuova Delhi non ha però sollevato troppo polverone, e secondo alcuni commentatori, il silenzio sarebbe stato ripagato dai comunisti con il via libera ai negoziati con l’AIEA.
Le clausole di salvaguardia in discussione a Vienna riguarderebbero i controlli da applicare su 14 siti nucleari “dichiarati” e sulla promessa di forniture perpetue di combustibile atomico. Prossimo passo sarà poi avere l’approvazione del Nuclear Suppliers Group, il club dei 45 Paesi fornitori di tecnologia nucleare che dovrà decidere per consenso se aprire le porte all’India. Molti dei Paesi industrializzati, ovviamente interessati ad esportare centrali nucleari, hanno già espresso parere favorevole.
La telenovela dell’approvazione dell’accordo indo-americano in materia di cooperazione nucleare civile si arricchisce domani di un’altra puntata quando l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica discuterà delle misure “eccezionali” per salvaguardare le centrali nucleari indiane. Il capo del dipartimento per l’energia atomica Anil kakodkar sarà a Vienna per mettere a punto le speciali clausole da applicare ad un Paese come l’India che non fa parte del Trattato di Non Proliferazione, ma che presto grazie al patto con Washington potrebbe importare tecnologia nucleare e a “doppio uso”.
Dopo la visita di Mohammed ElBaradei il mese scorso le ambizioni di Nuova Delhi per diventare una potenza atomica ufficiale erano state messe nel cassetto a causa della forte opposizione degli alleati comunisti contrari ad ingerenze esterne nel programma nucleare indiano e pronti a far cadere il governo guidato dal Congresso di Sonia Gandhi. Il ricatto aveva funzionato tanto che uno sconsolato Manmohan Singh a un certo punto aveva allargato le braccia ed accettato anche di fare una brutta figura con la Casa Bianca che vuole a tutti i costi approvare l’accordo prima della fine della legislatura. “Se l’accordo non si farà, non sarà la fine della vita” aveva detto il premier con una frase che passerà sicuramente agli annali delle cronache politiche.
Ora però le carte si sono mescolate. A far cambiare idea ai partiti comunisti sono stati gli eventi drammatici di Nandigram, la nuova area industriale vicino a Calcutta destinata a polo chimico, dove il governo locale, una roccaforte “rossa”, vorrebbe espropriare le terre agricole. La protesta dei contadini appoggiati da alcune forze politiche va avanti ormai da un anno, ma solo di recente ha preso una piega violenta ed è diventata guerriglia urbana con la partecipazione di gruppi armati, tra cui i maoisti. Un paio di settimane fa i quadri “armati” del Partito Comunista hanno terrorizzato la popolazione, incendiato le case e addirittura commesso stupri tra l’indifferenza della polizia. Il governo di Nuova Delhi non ha però sollevato troppo polverone, e secondo alcuni commentatori, il silenzio sarebbe stato ripagato dai comunisti con il via libera ai negoziati con l’AIEA.
Le clausole di salvaguardia in discussione a Vienna riguarderebbero i controlli da applicare su 14 siti nucleari “dichiarati” e sulla promessa di forniture perpetue di combustibile atomico. Prossimo passo sarà poi avere l’approvazione del Nuclear Suppliers Group, il club dei 45 Paesi fornitori di tecnologia nucleare che dovrà decidere per consenso se aprire le porte all’India. Molti dei Paesi industrializzati, ovviamente interessati ad esportare centrali nucleari, hanno già espresso parere favorevole.
BANGLADESH, "SOLO" UN MILIONE DI DOLLARI DALL'INDIA PER VITTIME CICLONE
Pubblicato da Apcom
L’India ha promesso “solo” un milione di dollari per aiutare le vittime del potente ciclone Sidr che si è abbattuto nel delta fluviale del Bangladesh cinque giorni fa. Un cifra con cui “si comprano un paio di appartamenti a Nuova Delhi” ha commentato con ironia il quotidiano “The Times of India” con un pezzo in prima pagina in cui denuncia la scarsa generosità da parte “della più grande e potente nazione del Sud dell’Asia che vorrebbe migliorare le relazioni con il suo povero vicino”. Il Bangladesh fa parte (anzi è stato il fondatore) dell’Associazione Economica dei Paesi del Sud Asiatico, la Saarc, un’organizzazione regionale che non è mai riuscita a diventare operativa a causa del conflitto indo-pachistano. I rapporti con l’India negli ultimi anni hanno toccato un minimo storico. Il governo di Nuova Delhi accusa Dacca di alimentare l’integralismo islamico che sarebbe sponsorizzato dai servizi segreti pachistani. L’India sta anche costruendo una “cortina” di ferro lungo il mega confine di oltre 4 mila chilometri per fermare le infiltrazioni dei militanti islamici e l’immigrazione clandestina.
Di fronte alla gravità della catastrofe, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee aveva espresso la sua solidarietà con il governo provvisorio di Dacca, che è retto dai militari dopo la sospensione delle elezioni lo scorso gennaio, e aveva anche detto di “essere pronto a inviare squadre di soccorso e aiuti di emergenza” nelle zone sinistrate che confinano con lo stato del Bengala Occidentale” (dove era scattata anche l’evacuazione). Secondo quanto scrive il quotidiano, “l’India può fare molto” per raggiungere le aree colpite che sono ancora isolate dal resto del Paese”. Per esempio “può usare il suo network di comunicazioni, oppure può inviare elicotteri o navi militari”. Nel 2002 la marina corse in aiuto dell’Indonesia devastata dallo tsunami, una catastrofe che aveva colpito in larga misura anche le coste indiane del Tamil Nadu e l’arcipelago delle Andamane. Nel 2005 aveva inviato alcuni elicotteri militari per assistere i pachistani nelle operazioni di soccorso dei terremotati del sisma dell’8 ottobre che colpì il Kashmir e le province nord occidentali. Perfino per l’uragano Katrina gli indiani si mobilitarono inviando due aerei da trasporto con un valore di 5 milioni di dollari in beni di prima necessità. “Gli Stati Uniti – scrive ancora il Times of India – stanno inviando due unità navali che ci metteranno una settimana ad arrivare, mentre la marina indiana è già presente nel golfo del Bengala”. Il pacchetto di aiuti del governo consiste in viveri, medicine, latte in polvere, tende e coperte. “Questo non è il modo migliore per migliorare l’amicizia con un Paese confinante povero e colpito da una simile calamità naturale. In contrasto l’India ha invece puntato sulla diplomazia degli aiuti umanitari in Africa quando il primo ministro si è recato in Uganda portando aiuti per le vittime dell’alluvione di quest’anno”.
L’India ha promesso “solo” un milione di dollari per aiutare le vittime del potente ciclone Sidr che si è abbattuto nel delta fluviale del Bangladesh cinque giorni fa. Un cifra con cui “si comprano un paio di appartamenti a Nuova Delhi” ha commentato con ironia il quotidiano “The Times of India” con un pezzo in prima pagina in cui denuncia la scarsa generosità da parte “della più grande e potente nazione del Sud dell’Asia che vorrebbe migliorare le relazioni con il suo povero vicino”. Il Bangladesh fa parte (anzi è stato il fondatore) dell’Associazione Economica dei Paesi del Sud Asiatico, la Saarc, un’organizzazione regionale che non è mai riuscita a diventare operativa a causa del conflitto indo-pachistano. I rapporti con l’India negli ultimi anni hanno toccato un minimo storico. Il governo di Nuova Delhi accusa Dacca di alimentare l’integralismo islamico che sarebbe sponsorizzato dai servizi segreti pachistani. L’India sta anche costruendo una “cortina” di ferro lungo il mega confine di oltre 4 mila chilometri per fermare le infiltrazioni dei militanti islamici e l’immigrazione clandestina.
Di fronte alla gravità della catastrofe, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee aveva espresso la sua solidarietà con il governo provvisorio di Dacca, che è retto dai militari dopo la sospensione delle elezioni lo scorso gennaio, e aveva anche detto di “essere pronto a inviare squadre di soccorso e aiuti di emergenza” nelle zone sinistrate che confinano con lo stato del Bengala Occidentale” (dove era scattata anche l’evacuazione). Secondo quanto scrive il quotidiano, “l’India può fare molto” per raggiungere le aree colpite che sono ancora isolate dal resto del Paese”. Per esempio “può usare il suo network di comunicazioni, oppure può inviare elicotteri o navi militari”. Nel 2002 la marina corse in aiuto dell’Indonesia devastata dallo tsunami, una catastrofe che aveva colpito in larga misura anche le coste indiane del Tamil Nadu e l’arcipelago delle Andamane. Nel 2005 aveva inviato alcuni elicotteri militari per assistere i pachistani nelle operazioni di soccorso dei terremotati del sisma dell’8 ottobre che colpì il Kashmir e le province nord occidentali. Perfino per l’uragano Katrina gli indiani si mobilitarono inviando due aerei da trasporto con un valore di 5 milioni di dollari in beni di prima necessità. “Gli Stati Uniti – scrive ancora il Times of India – stanno inviando due unità navali che ci metteranno una settimana ad arrivare, mentre la marina indiana è già presente nel golfo del Bengala”. Il pacchetto di aiuti del governo consiste in viveri, medicine, latte in polvere, tende e coperte. “Questo non è il modo migliore per migliorare l’amicizia con un Paese confinante povero e colpito da una simile calamità naturale. In contrasto l’India ha invece puntato sulla diplomazia degli aiuti umanitari in Africa quando il primo ministro si è recato in Uganda portando aiuti per le vittime dell’alluvione di quest’anno”.
Bangladesh, primi aiuti per senzatetto colpiti da ciclone Sidr
Messo in onda da Radio Vaticana
Anche se a fatica, i primi camion di aiuti di emergenza stanno raggiungendo le aree colpite dal potente ciclone Sidr. A cinque giorni dalla catastrofe che ha messo in ginocchio una delle zone più povere del Bangladesh, molte delle strade di accesso ai villaggi colpiti sono state sgomberate dal fango, detriti e alberi sradicati dalle furia del vento e dalle alte ondate. Rimane ancora incerto il bilancio delle vittime che sono oltre 3100 quelle accertate, ma si tratta di un numero che non tiene conto dei dispersi, alcune migliaia, soprattutto pescatori che si trovavano in mare o nei canali interni al momento del passaggio del ciclone. La Mezzaluna Rossa e anche l’ong Save the Children ritiene che il bilancio della vittime possa situarsi tra i 5 e i 10 mila.
Ma a preoccupare ora è la sorte dei milioni di abitanti del delta che sono rimasti senza casa e senza mezzi di sussistenza come bestiame e i raccolti di riso andati in larga parte distrutti. La distribuzione degli aiuti nei prossimi giorni sarà essenziale per salvare la vita dei senza tetto. E’ confortante la risposta della comunità internazionale e in particolare dell’Arabia Saudita che ha promesso la maxi cifra di 100 milioni di dollari per venire in aiuto alle popolazioni sinistrate. Di fronte alla gravità della crisi, l’Unione Europa ha anche deciso di aumentare a oltre 7 milioni di dollari l’impegno per l’aiuto umanitario.
Anche se a fatica, i primi camion di aiuti di emergenza stanno raggiungendo le aree colpite dal potente ciclone Sidr. A cinque giorni dalla catastrofe che ha messo in ginocchio una delle zone più povere del Bangladesh, molte delle strade di accesso ai villaggi colpiti sono state sgomberate dal fango, detriti e alberi sradicati dalle furia del vento e dalle alte ondate. Rimane ancora incerto il bilancio delle vittime che sono oltre 3100 quelle accertate, ma si tratta di un numero che non tiene conto dei dispersi, alcune migliaia, soprattutto pescatori che si trovavano in mare o nei canali interni al momento del passaggio del ciclone. La Mezzaluna Rossa e anche l’ong Save the Children ritiene che il bilancio della vittime possa situarsi tra i 5 e i 10 mila.
Ma a preoccupare ora è la sorte dei milioni di abitanti del delta che sono rimasti senza casa e senza mezzi di sussistenza come bestiame e i raccolti di riso andati in larga parte distrutti. La distribuzione degli aiuti nei prossimi giorni sarà essenziale per salvare la vita dei senza tetto. E’ confortante la risposta della comunità internazionale e in particolare dell’Arabia Saudita che ha promesso la maxi cifra di 100 milioni di dollari per venire in aiuto alle popolazioni sinistrate. Di fronte alla gravità della crisi, l’Unione Europa ha anche deciso di aumentare a oltre 7 milioni di dollari l’impegno per l’aiuto umanitario.
Pakistan, Sharif rifiuta incontro con Musharraf a Riyadh
Messo in onda da radio Svizzera Italiana
Come prevedibile, l’ex primo ministro Nawaz Sharif avrebbe rigettato l’ipotesi di un incontro con il presidente pachistano Pervez Musharraf che si trova oggi a Riyadh ufficialmente per colloqui con il re saudita Abdullah. In base a indiscrezioni, il generale di Islamabad avrebbe intenzione di avviare un dialogo con Sharif, suo rivale politico da lui stesso esiliato sette anni fa, probabilmente per cercare un supporto in vista delle elezioni che dovrebbero tenersi il prossimo 8 gennaio. Tramontato, sembra definitivamente l’accordo di condivisione del potere con l’altro ex primo ministro, Benazir Bhutto, Musharraf sta cercando ora di trovare uno sbocco allo stallo in cui si trova il Paese dopo la dichiarazione dello stato di emergenza il 3 novembre.
In un’intervista ad un agenzia di stampa Sharif ha affermato che non è disposto a venire a patti “con chi ha arrestato i giudici, imbavagliato la stampa e sospeso la costituzione”. Ha invece proposto di ritessere una vecchia intesa con la signora Bhutto saltata dopo che quest’ultima aveva iniziato i negoziati con il governo di Islamabad. Ha poi aggiunto che Musharraf lo aveva contattato ben tre volte negli ultimi mesi.
Grazie ad una sentenza favorevole dei giudici, lo scorso 10 settembre Sharif aveva tentato di ritornare dall’esilio, ma di fronte al rischio di essere incarcerato per accuse di corruzione, era ritornato a Dubai poche ore dopo il suo atterraggio.
Come prevedibile, l’ex primo ministro Nawaz Sharif avrebbe rigettato l’ipotesi di un incontro con il presidente pachistano Pervez Musharraf che si trova oggi a Riyadh ufficialmente per colloqui con il re saudita Abdullah. In base a indiscrezioni, il generale di Islamabad avrebbe intenzione di avviare un dialogo con Sharif, suo rivale politico da lui stesso esiliato sette anni fa, probabilmente per cercare un supporto in vista delle elezioni che dovrebbero tenersi il prossimo 8 gennaio. Tramontato, sembra definitivamente l’accordo di condivisione del potere con l’altro ex primo ministro, Benazir Bhutto, Musharraf sta cercando ora di trovare uno sbocco allo stallo in cui si trova il Paese dopo la dichiarazione dello stato di emergenza il 3 novembre.
In un’intervista ad un agenzia di stampa Sharif ha affermato che non è disposto a venire a patti “con chi ha arrestato i giudici, imbavagliato la stampa e sospeso la costituzione”. Ha invece proposto di ritessere una vecchia intesa con la signora Bhutto saltata dopo che quest’ultima aveva iniziato i negoziati con il governo di Islamabad. Ha poi aggiunto che Musharraf lo aveva contattato ben tre volte negli ultimi mesi.
Grazie ad una sentenza favorevole dei giudici, lo scorso 10 settembre Sharif aveva tentato di ritornare dall’esilio, ma di fronte al rischio di essere incarcerato per accuse di corruzione, era ritornato a Dubai poche ore dopo il suo atterraggio.
lunedì 19 novembre 2007
Pakistan, giudici confermano la nomina di Musharraf a presidente
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
La Corte Suprema pachistana ha spianato la strada per la riconferma di Pervez Musharraf alla carica di presidente del Pakistan. Il massimo organo giudiziario ha respinto cinque dei sei ricorsi presentati contro la sua candidatura alle elezioni dello scorso 6 ottobre in quanto incompatibile con la carica di capo delle forze armate che Musharraf riveste fin dal suo golpe del 1999. L’ultima petizione sarà discussa nei prossimi giorni, ma è probabile che seguirà la stessa sorte. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre i giudici della Corte Suprema erano stati rimossi in quanto si erano rifiutati di prestare giuramento sotto le nuove leggi speciali. Erano stati sostituiti con giudici filo governativi. Era stato esautorato per la seconda volta anche il giudice Iftikar Mohammed Chaudry, protagonista delle dimostrazioni prodemocratiche di qualche mese fa e ora agli arresti domiciliari. Il via libera dei giudici ad un nuovo mandato quinquennale era stato indicato da Musharraf come la condizione per abbandonare l’uniforme. Un passo che avrebbe promesso di fare entro la fine del mese e che soddisferebbe una delle richieste più pressanti degli Stati Uniti, del Commonwealth e anche della rivale politica Benazr Bhutto. E’ significativo che la sentenza della Corte Suprema sia arrivata un giorno dopo la partenza di Jonh Negroponte, il vicesegretario di stato americano, che ha esortato Musharraf a revocare lo stato di emergenza per le elezioni parlamentari che il generale vorrebbe indire per l’8 gennaio.
La Corte Suprema pachistana ha spianato la strada per la riconferma di Pervez Musharraf alla carica di presidente del Pakistan. Il massimo organo giudiziario ha respinto cinque dei sei ricorsi presentati contro la sua candidatura alle elezioni dello scorso 6 ottobre in quanto incompatibile con la carica di capo delle forze armate che Musharraf riveste fin dal suo golpe del 1999. L’ultima petizione sarà discussa nei prossimi giorni, ma è probabile che seguirà la stessa sorte. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre i giudici della Corte Suprema erano stati rimossi in quanto si erano rifiutati di prestare giuramento sotto le nuove leggi speciali. Erano stati sostituiti con giudici filo governativi. Era stato esautorato per la seconda volta anche il giudice Iftikar Mohammed Chaudry, protagonista delle dimostrazioni prodemocratiche di qualche mese fa e ora agli arresti domiciliari. Il via libera dei giudici ad un nuovo mandato quinquennale era stato indicato da Musharraf come la condizione per abbandonare l’uniforme. Un passo che avrebbe promesso di fare entro la fine del mese e che soddisferebbe una delle richieste più pressanti degli Stati Uniti, del Commonwealth e anche della rivale politica Benazr Bhutto. E’ significativo che la sentenza della Corte Suprema sia arrivata un giorno dopo la partenza di Jonh Negroponte, il vicesegretario di stato americano, che ha esortato Musharraf a revocare lo stato di emergenza per le elezioni parlamentari che il generale vorrebbe indire per l’8 gennaio.
domenica 18 novembre 2007
Ciclone Sidr, forse 10 mila vittime
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
Avanzando a fatica tra la spessa coltre di fango, detriti e alberi sradicati, le squadre di soccorso sono riuscite a raggiungere quasi tutti i villaggi colpiti dal passaggio del potente ciclone Sidr. E’ emerso un quadro agghiacciante dei danni. Quasi tutte le capanne di bambù e latta sono crollate o scoperchiate. Le onde provocate dal forte vento hanno spazzate strade, ponti e pali della luce. La fascia costiera è raggiungibile solo con traghetti e imbarcazioni private. Circondati dalle carcasse in putrefazione del bestiame e dai campi di riso devastati, rimangono i sopravvissuti, coloro che, quando è scattata l’allerta anti-uragano, non hanno abbandonare i villaggi e che ora rischiano di morire di fame o di malattie. La distribuzione degli aiuti, soprattutto cibo, acqua e tende, sta andando a rilento a causa dell’inagibilità delle strade, Gli elicotteri impiegati sono insufficienti per far fronte ai bisogni dei senza tetto sparpagliati in un’area vastissima e impraticabile .
Secondo le stime, un milione di famiglie sono toccate in diversa misura dalla catastrofe, il che significa sei o sette milioni di persone. Tuttavia, nessuno è in grado ancora di fornire dei dati precisi. Le autorità di Dacca continuano a ricevere informazioni dai distretti della provincia di Barguna, l’epicentro del disastro. Le vittime accertate sono 2300 secondo l’ultimo bilancio, ma come si temeva sarebbero molte di più. Un rappresentante della Mezzaluna Rossa locale parlava di 10 mila morti. Di fronte alla gravità dell’emergenza gli Stati Uniti hanno deciso di inviare due navi portaelicotteri, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha promesso di stanziare alcune somme dello speciale Fondo di emergenza Onu per le operazioni di soccorso e la ricostruzione.
Avanzando a fatica tra la spessa coltre di fango, detriti e alberi sradicati, le squadre di soccorso sono riuscite a raggiungere quasi tutti i villaggi colpiti dal passaggio del potente ciclone Sidr. E’ emerso un quadro agghiacciante dei danni. Quasi tutte le capanne di bambù e latta sono crollate o scoperchiate. Le onde provocate dal forte vento hanno spazzate strade, ponti e pali della luce. La fascia costiera è raggiungibile solo con traghetti e imbarcazioni private. Circondati dalle carcasse in putrefazione del bestiame e dai campi di riso devastati, rimangono i sopravvissuti, coloro che, quando è scattata l’allerta anti-uragano, non hanno abbandonare i villaggi e che ora rischiano di morire di fame o di malattie. La distribuzione degli aiuti, soprattutto cibo, acqua e tende, sta andando a rilento a causa dell’inagibilità delle strade, Gli elicotteri impiegati sono insufficienti per far fronte ai bisogni dei senza tetto sparpagliati in un’area vastissima e impraticabile .
Secondo le stime, un milione di famiglie sono toccate in diversa misura dalla catastrofe, il che significa sei o sette milioni di persone. Tuttavia, nessuno è in grado ancora di fornire dei dati precisi. Le autorità di Dacca continuano a ricevere informazioni dai distretti della provincia di Barguna, l’epicentro del disastro. Le vittime accertate sono 2300 secondo l’ultimo bilancio, ma come si temeva sarebbero molte di più. Un rappresentante della Mezzaluna Rossa locale parlava di 10 mila morti. Di fronte alla gravità dell’emergenza gli Stati Uniti hanno deciso di inviare due navi portaelicotteri, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha promesso di stanziare alcune somme dello speciale Fondo di emergenza Onu per le operazioni di soccorso e la ricostruzione.
Pakistan, braccio di ferro con Usa sullo stato di emergenza
Messo in onda dalla Radio Svizzera Italiana
“Lo stato di emergenza non è compatibile con elezioni libere, corrette e credibili”. Sono le parole di John Negroponte che a conclusione della sua missione di due giorni a Islamabad ha richiamato all’ordine Pervez Musharraf chiedendogli di ritornate alla legalità costituzionale e liberare gli oppositori politici. Difficile dire se il generale di Islamabad che ha promesso di lasciare l’uniforme a fine mese si piegherà alle pressioni americane e farà marcia indietro. In un discorso pubblico aveva detto che lo stato di emergenza sarà revocato solo quando non sarà più necessario per salvaguardare l’ordine e la sicurezza del Paese. Ha reiterato questa sua posizione anche al numero due della diplomazia di Washington che non ha mancato di elogiare gli sforzi del governo pachistano nella lotta contro il terrorismo islamico. La Casa Bianca continuerebbe quindi per ora a considerare Musharraf un alleato credibile. Negroponte ha anche parlato per telefono con Benazir Bhutto, la leader del partito Popolare pachistano, per convincerla a riprendere i negoziati per un patto politico pre elettorale con Musharraf. Dopo gli arresti domiciliari e il rilascio dell’ex premier le possibilità di un accordo sarebbero tramontate.
La visita di Negroponte quindi non avrebbe sbloccato lo stallo in cui si trova il Pakistan. Tutto dipenderà a questo punto dalle reazioni di Washington che mostra sempre più insofferenza. Il “New York Times” ha rivelato che da sei anni gli americani aiutano Islamabad a proteggere il suo arsenale atomico con un piano costato finora 100 milioni di dollari, ma alcuni segreti non sarebbero mai stati svelati da Musharraf.
“Lo stato di emergenza non è compatibile con elezioni libere, corrette e credibili”. Sono le parole di John Negroponte che a conclusione della sua missione di due giorni a Islamabad ha richiamato all’ordine Pervez Musharraf chiedendogli di ritornate alla legalità costituzionale e liberare gli oppositori politici. Difficile dire se il generale di Islamabad che ha promesso di lasciare l’uniforme a fine mese si piegherà alle pressioni americane e farà marcia indietro. In un discorso pubblico aveva detto che lo stato di emergenza sarà revocato solo quando non sarà più necessario per salvaguardare l’ordine e la sicurezza del Paese. Ha reiterato questa sua posizione anche al numero due della diplomazia di Washington che non ha mancato di elogiare gli sforzi del governo pachistano nella lotta contro il terrorismo islamico. La Casa Bianca continuerebbe quindi per ora a considerare Musharraf un alleato credibile. Negroponte ha anche parlato per telefono con Benazir Bhutto, la leader del partito Popolare pachistano, per convincerla a riprendere i negoziati per un patto politico pre elettorale con Musharraf. Dopo gli arresti domiciliari e il rilascio dell’ex premier le possibilità di un accordo sarebbero tramontate.
La visita di Negroponte quindi non avrebbe sbloccato lo stallo in cui si trova il Pakistan. Tutto dipenderà a questo punto dalle reazioni di Washington che mostra sempre più insofferenza. Il “New York Times” ha rivelato che da sei anni gli americani aiutano Islamabad a proteggere il suo arsenale atomico con un piano costato finora 100 milioni di dollari, ma alcuni segreti non sarebbero mai stati svelati da Musharraf.
Bangladesh, soccorsi a rilento per sopravissuti del ciclone
Messo in onda dalla Radio Vaticana
Secondo quanto ha confermato il governo, le vittime causate dal passaggio del ciclone Sidr sono salite a 2000, ma il bilancio potrebbe diventare più pesante con il passare delle ore. Il direttore locale della Protezione civile ha detto che deve ancora ricever notizie da alcune aree colpite isolata a causa dell’inagibilità di strade e canali. Le squadre di soccorso temono di ritrovare sotto il fango e detriti migliaia i cadaveri quando potranno raggiungere le zone sinistrate che si trovano a circa 200 chilometri a sud della capitale Dhaka, nella fitta rete di canali del delta che è anche una delle zone più povere del pianeta. Interi villaggi, abitati da pescatori, sarebbero stati spazzati via dal vento, piogge e alte ondate. Dalle prime testimonianze giunte dal distretto di Barguna è emersa la disperazione dei sopravvissuti che da giorni si trovano senza cibo e acqua. In mancanza di teli, i cadaveri recuperati sono avvolti nelle foglie per la sepoltura.
La catastrofe ha colpito circa un milione di persone che si sono ritrovare senza casa, senza animali e senza raccolto. La macchina dei soccorsi si è messa subito in moto. Sono impiegati elicotteri e imbarcazioni militari, ma lo sforzo è insufficiente. Secondo un funzionario locale, gli aiuti finora hanno raggiunto solo l’1 per cento della popolazione colpita. Sia gli Stati Uniti che molti Paesi europei hanno espresso la loro solidarietà al governo e promesso aiuti di emergenza.
Per la Radio Vaticana Maria Grazia Coggiola
Secondo quanto ha confermato il governo, le vittime causate dal passaggio del ciclone Sidr sono salite a 2000, ma il bilancio potrebbe diventare più pesante con il passare delle ore. Il direttore locale della Protezione civile ha detto che deve ancora ricever notizie da alcune aree colpite isolata a causa dell’inagibilità di strade e canali. Le squadre di soccorso temono di ritrovare sotto il fango e detriti migliaia i cadaveri quando potranno raggiungere le zone sinistrate che si trovano a circa 200 chilometri a sud della capitale Dhaka, nella fitta rete di canali del delta che è anche una delle zone più povere del pianeta. Interi villaggi, abitati da pescatori, sarebbero stati spazzati via dal vento, piogge e alte ondate. Dalle prime testimonianze giunte dal distretto di Barguna è emersa la disperazione dei sopravvissuti che da giorni si trovano senza cibo e acqua. In mancanza di teli, i cadaveri recuperati sono avvolti nelle foglie per la sepoltura.
La catastrofe ha colpito circa un milione di persone che si sono ritrovare senza casa, senza animali e senza raccolto. La macchina dei soccorsi si è messa subito in moto. Sono impiegati elicotteri e imbarcazioni militari, ma lo sforzo è insufficiente. Secondo un funzionario locale, gli aiuti finora hanno raggiunto solo l’1 per cento della popolazione colpita. Sia gli Stati Uniti che molti Paesi europei hanno espresso la loro solidarietà al governo e promesso aiuti di emergenza.
Per la Radio Vaticana Maria Grazia Coggiola
sabato 17 novembre 2007
Bangladesh, "alcune migliaia" le vittime del ciclone Sidr
Messo in onda dalla Radio Svizzera Italiana
A due giorni dal passaggio del ciclone Sidr, continua a salire il numero delle vittime. Secondo fonti governative sarebbero oltre 1700 i morti accertati. Come si temeva quando i soccorritori hanno raggiunto oggi le province confinati di Barguna e Pathuakali, epicentro della catastrofe nell’immenso delta fluviale, hanno trovato centinaia di corpi senza vita nel fango e tra le rovine delle case. Un responsabile dell’unita di crisi di Dacca ha detto che nei prossimi giorni il bilancio delle vittime potrebbe salire ulteriormente e che si teme di trovare migliaia di cadaveri. Ma è ancora difficile tracciare una stima del numero dei dispersi nella fascia costiera e nella fitta rete di canali interni ancora isolati a causa dell’inagibilità delle strade e dell’affondamento dei traghetti, in alcuni casi unico mezzo di trasporto. Il governo ha inviato 3000 soldati di rinforzo per accelerare le operazioni di soccorso e la distribuzione degli aiuti di emergenza. Sono impiegati anche elicotteri e navi militari per raggiungere i villaggi dei pescatori sulla costa e su diverse isole. La comunità internazionale si sta mobilitando con la promessa di sostegno economico alle agenzie umanitarie impegnate sul posto come il Programma Alimentare Mondiale e l’Unicef. Preoccupa anche la situazione degli oltre mezzo milione di sfollati che dopo l’allarme di evacuazione erano stati trasferiti negli speciali rifugi anti uragano. Intanto il governo di Dacca, che attualmente è guidato dai militari, ha deciso di stanziare oltre 5 milioni di dollari per l’emergenza e per la ricostruzione.
Per la Radio Svizzera MGC
A due giorni dal passaggio del ciclone Sidr, continua a salire il numero delle vittime. Secondo fonti governative sarebbero oltre 1700 i morti accertati. Come si temeva quando i soccorritori hanno raggiunto oggi le province confinati di Barguna e Pathuakali, epicentro della catastrofe nell’immenso delta fluviale, hanno trovato centinaia di corpi senza vita nel fango e tra le rovine delle case. Un responsabile dell’unita di crisi di Dacca ha detto che nei prossimi giorni il bilancio delle vittime potrebbe salire ulteriormente e che si teme di trovare migliaia di cadaveri. Ma è ancora difficile tracciare una stima del numero dei dispersi nella fascia costiera e nella fitta rete di canali interni ancora isolati a causa dell’inagibilità delle strade e dell’affondamento dei traghetti, in alcuni casi unico mezzo di trasporto. Il governo ha inviato 3000 soldati di rinforzo per accelerare le operazioni di soccorso e la distribuzione degli aiuti di emergenza. Sono impiegati anche elicotteri e navi militari per raggiungere i villaggi dei pescatori sulla costa e su diverse isole. La comunità internazionale si sta mobilitando con la promessa di sostegno economico alle agenzie umanitarie impegnate sul posto come il Programma Alimentare Mondiale e l’Unicef. Preoccupa anche la situazione degli oltre mezzo milione di sfollati che dopo l’allarme di evacuazione erano stati trasferiti negli speciali rifugi anti uragano. Intanto il governo di Dacca, che attualmente è guidato dai militari, ha deciso di stanziare oltre 5 milioni di dollari per l’emergenza e per la ricostruzione.
Per la Radio Svizzera MGC
venerdì 16 novembre 2007
Bangladesh, aumenta il bilancio delle vittime del ciclone
Andato in onda su Radio Svizzera Italiana
Alcune centinaia di persone, tra cui molti pescatori, risultano ancora disperse nella fascia costiera del Bangladesh colpita dal potente ciclone di giovedì notte. Navi militari ed elicotteri sono impegnati nelle operazioni di soccorso e nella distribuzione di razioni alimentari ai sopravvissuti. I distretti più colpiti, Barghuna e Jhalakati nell’immenso e poverissimo delta, sono ancora isolati. E’ difficile quindi stilare un bilancio ufficiale delle vittime che potrebbero essere oltre mille secondo quanto riportato da un‘agenzia di stampa. La maggior parte della popolazione della costa era stata allertata in tempo dalle autorità con megafoni, e si era trasferita nei rifugi anti uragano, ma molti sarebbero rimasti indietro. Almeno tre villaggi sono stati completamente spazzati via dalla furia del vento, dalle forti piogge e dalle alte ondate. Secondo alcune testimonianze, dove è passato il tifone sono andate distrutte l’80 per cento delle case, costruite con bambù e altri materiali di fortuna. Ancora stamattina nella maggior parte delle aree colpite, tra cui in interi quartieri della capitale Dacca, mancava la corrente elettrica. Secondo gli esperti, il ciclone Sidr, che si è originato al largo della Baia del Bengala, è stato simile per la potenza di devastazione a quello che si era abbattuto sul paese asiatico nel 1991 uccidendo 138 mila persone. Ma questa volta il sistema di allerta scattato con un giorno in anticipo avrebbe salvato la vita di migliaia di persone.
Alcune centinaia di persone, tra cui molti pescatori, risultano ancora disperse nella fascia costiera del Bangladesh colpita dal potente ciclone di giovedì notte. Navi militari ed elicotteri sono impegnati nelle operazioni di soccorso e nella distribuzione di razioni alimentari ai sopravvissuti. I distretti più colpiti, Barghuna e Jhalakati nell’immenso e poverissimo delta, sono ancora isolati. E’ difficile quindi stilare un bilancio ufficiale delle vittime che potrebbero essere oltre mille secondo quanto riportato da un‘agenzia di stampa. La maggior parte della popolazione della costa era stata allertata in tempo dalle autorità con megafoni, e si era trasferita nei rifugi anti uragano, ma molti sarebbero rimasti indietro. Almeno tre villaggi sono stati completamente spazzati via dalla furia del vento, dalle forti piogge e dalle alte ondate. Secondo alcune testimonianze, dove è passato il tifone sono andate distrutte l’80 per cento delle case, costruite con bambù e altri materiali di fortuna. Ancora stamattina nella maggior parte delle aree colpite, tra cui in interi quartieri della capitale Dacca, mancava la corrente elettrica. Secondo gli esperti, il ciclone Sidr, che si è originato al largo della Baia del Bengala, è stato simile per la potenza di devastazione a quello che si era abbattuto sul paese asiatico nel 1991 uccidendo 138 mila persone. Ma questa volta il sistema di allerta scattato con un giorno in anticipo avrebbe salvato la vita di migliaia di persone.
Bangladesh, si abbatte la furia del ciclone Sidr
Messo in onda da Radio Svizzera Italiana
Ha rasato al suolo interi villaggi e costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone dalla fascia costiera, il potente ciclone tropicale Sidr che si è abbattuto nella notte in Bangladesh. Nelle ultime ore ha rallentato la sua corsa riducendosi a semplice tempesta tropicale risparmiando quindi la capitale Dakka dove è transitato. Ma prima ha spazzato l’intera fascia sud occidentale del paese con venti fino a 240 chilometri orari, forti piogge e alte ondate. Non è ancora chiara l’entità dei danni, mentre il bilancio delle vittime sale di ora in ora. Sono migliaia le case distrutte e 640 mila gli sfollati rimasti senza tetto. Come misura preventiva la popolazione costiera era stata costretta ad abbandonare in anticipo le abitazioni ma molti sarebbero rimasti indietro. Sono stati sospesi anche i voli in partenza e in arrivo dall’aeroporto di Dakka e bloccati i collegamenti fluviali. Alcuni dei distretti colpiti sarebbero ancora isolati, secondo quanto riferito dal ministero degli interni. Molte strade sono impraticabili per il crollo di alberi e linee elettriche. Intanto la macchina degli aiuti internazionale si è già messo in moto con la distribuzione di razioni alimentari di emergenza. Il ciclone Sidr,che si è formato sulla baia del Bengala, è uno dei più violenti ad avere colpito il Bangladesh e anche parte dell’India orientale. I meteorologi lo avevano annunciato 24 ore in anticipo e fatto scattare il piano di evacuazione dalle coste. La popolazione è stata allertata da megafoni e trasferita nei rifugi anti uragano esistenti fin dal 1970 quando un terribile ciclone uccise mezzo milione di persone.
Ha rasato al suolo interi villaggi e costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone dalla fascia costiera, il potente ciclone tropicale Sidr che si è abbattuto nella notte in Bangladesh. Nelle ultime ore ha rallentato la sua corsa riducendosi a semplice tempesta tropicale risparmiando quindi la capitale Dakka dove è transitato. Ma prima ha spazzato l’intera fascia sud occidentale del paese con venti fino a 240 chilometri orari, forti piogge e alte ondate. Non è ancora chiara l’entità dei danni, mentre il bilancio delle vittime sale di ora in ora. Sono migliaia le case distrutte e 640 mila gli sfollati rimasti senza tetto. Come misura preventiva la popolazione costiera era stata costretta ad abbandonare in anticipo le abitazioni ma molti sarebbero rimasti indietro. Sono stati sospesi anche i voli in partenza e in arrivo dall’aeroporto di Dakka e bloccati i collegamenti fluviali. Alcuni dei distretti colpiti sarebbero ancora isolati, secondo quanto riferito dal ministero degli interni. Molte strade sono impraticabili per il crollo di alberi e linee elettriche. Intanto la macchina degli aiuti internazionale si è già messo in moto con la distribuzione di razioni alimentari di emergenza. Il ciclone Sidr,che si è formato sulla baia del Bengala, è uno dei più violenti ad avere colpito il Bangladesh e anche parte dell’India orientale. I meteorologi lo avevano annunciato 24 ore in anticipo e fatto scattare il piano di evacuazione dalle coste. La popolazione è stata allertata da megafoni e trasferita nei rifugi anti uragano esistenti fin dal 1970 quando un terribile ciclone uccise mezzo milione di persone.
Pakistan, Benazir Bhutto di nuovo libera
Messo in onda dalla Radio Svizzera Italiana
Sono stati revocati prima del previsto gli arresti domiciliari di Benazir Bhutto. L’ex primo ministro era stata isolata martedì in una casa a Lahore per impedire lo svolgimento della marcia di protesta contro Musharraf. La Bhutto dovrebbe recarsi oggi a Islamabad per incontrare il vicesegretario di stato americano John Negroponte inviato dalla Casa Bianca per trovare una via di uscita allo stallo politico in cui si trova il Pakistan dopo la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre. Il diplomatico dovrà convincere il presidente pachistano a ripristinare la legalità costituzionale e ad abbandonare l’uniforme come promesso. E’ probabile che gli Stati Uniti cerchino anche di ricucire il patto di condivisione del potere tra Musharraf e la Bhutto che negli ultimi giorni sembrava definitivamente tramontato. Dopo aver chiesto le dimissioni del presidente, la leader del partito popolare pachistano starebbe ora cercando di creare un fronte comune di opposizione coinvolgendo l’ex rivale ed ex premier Nawaz Sharif che si trova in esilio a Dubai. La forte pressione di Washington sembra aver avuto qualche effetto e dopo un’escalation della tensione a Karachi dove ieri sono morti due dimostranti adolescenti, Musharraf ha nominato un governo ad interim che entrerà in funzione oggi. Sarà guidato dal presidente del Senato, Mohammnedmian Soomro, un suo sostenitore, che prende il posto del primo ministro Shaukat Aziz.
Sono stati revocati prima del previsto gli arresti domiciliari di Benazir Bhutto. L’ex primo ministro era stata isolata martedì in una casa a Lahore per impedire lo svolgimento della marcia di protesta contro Musharraf. La Bhutto dovrebbe recarsi oggi a Islamabad per incontrare il vicesegretario di stato americano John Negroponte inviato dalla Casa Bianca per trovare una via di uscita allo stallo politico in cui si trova il Pakistan dopo la dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre. Il diplomatico dovrà convincere il presidente pachistano a ripristinare la legalità costituzionale e ad abbandonare l’uniforme come promesso. E’ probabile che gli Stati Uniti cerchino anche di ricucire il patto di condivisione del potere tra Musharraf e la Bhutto che negli ultimi giorni sembrava definitivamente tramontato. Dopo aver chiesto le dimissioni del presidente, la leader del partito popolare pachistano starebbe ora cercando di creare un fronte comune di opposizione coinvolgendo l’ex rivale ed ex premier Nawaz Sharif che si trova in esilio a Dubai. La forte pressione di Washington sembra aver avuto qualche effetto e dopo un’escalation della tensione a Karachi dove ieri sono morti due dimostranti adolescenti, Musharraf ha nominato un governo ad interim che entrerà in funzione oggi. Sarà guidato dal presidente del Senato, Mohammnedmian Soomro, un suo sostenitore, che prende il posto del primo ministro Shaukat Aziz.
mercoledì 14 novembre 2007
India, niet di Sonia Gandhi per "Girl day" il 9 dicembre
Pubblicato su Apcom
Il ministero per le politiche femminili pensava di aver avuto un’idea brillante nel proclamare una “Giornata dedicata alle bambine” il 9 dicembre in coincidenza con il compleanno di Sonia Gandhi. Ma non aveva fatto i conti con la nota avversità della presidente del Congresso ad alimentare il culto della sua personalità. Pur essendo la donna più potente dell’India, l’italiana Sonia continua a tenere un basso profilo politico fin da quando, seguendo una “voce interiore”, aveva rifiutato la carica di primo ministro nel maggio 2004.
Chiusa nella sua torre di avorio al numero 10 di Janpath è però lei che tiene le redini del Paese e ha l’ultima parola su ogni decisione di politica interna e internazionale. Non è quindi una sorpresa che il “National Girl Child Day” già approvato da dieci ministeri e pronto per il varo sia stato rimesso in fretta e furia in un cassetto dopo il “niet” della leader. Il ministero competente si è giustificato adducendo il fatto che la data del 9 dicembre, quando la vedova di Rajiv Gandhi compirà 51 anni, era l’unica disponibile perché non coincideva con altri eventi. Anche se non è stato comunicato ufficialmente, “in un partito in cui la prima famiglia ha assunto uno status iconografico, il genuflettersi davanti a Janpath 10 è diventata la regola” scrive un quotidiano aggiungendo “che in questo caso la presidente del Congresso è stata insensibile al tentativo di adulazione. Inoltre i suoi collaboratori sanno bene che può anche generare una pubblicità negativa agli occhi dell’opposizione sempre pronta ad attaccare il congresso”. Il partito della dinastia Nehru Gandhi si trova in un momento delicato alla vigilia di una cruciale elezione nel ricco stato del Gujarat dove il rivale partito indo nazionalista del Bjp (guidato dall’influente e controverso Narendra Modi) potrebbe riconquistare il potere. Oggi si apre la sessione invernale del Parlamento di Nuova Delhi e il partito di Sonia sta ancora cercando un compromesso con gli alleati comunisti per sbloccare lo stallo sull’accordo nucleare indo-americano che Washington vorrebbe vedere approvato il più presto possibile.
A farne le spese però è l’iniziativa dedicata a promuovere politiche a favore delle bambine che sono largamente discriminate dalla tradizionale e conservatrice società indiana dove i matrimoni sono basati sulla dote femminile. L’India è uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di aborti di feti femmine. Sta registrando un progressivo declino il numero di bambine sotto i 6 anni soprattutto nel Nord dell’India dove lo squilibrio demografico tra i due sessi in futuro potrebbe creare tensioni sociali.
Il ministero per le politiche femminili pensava di aver avuto un’idea brillante nel proclamare una “Giornata dedicata alle bambine” il 9 dicembre in coincidenza con il compleanno di Sonia Gandhi. Ma non aveva fatto i conti con la nota avversità della presidente del Congresso ad alimentare il culto della sua personalità. Pur essendo la donna più potente dell’India, l’italiana Sonia continua a tenere un basso profilo politico fin da quando, seguendo una “voce interiore”, aveva rifiutato la carica di primo ministro nel maggio 2004.
Chiusa nella sua torre di avorio al numero 10 di Janpath è però lei che tiene le redini del Paese e ha l’ultima parola su ogni decisione di politica interna e internazionale. Non è quindi una sorpresa che il “National Girl Child Day” già approvato da dieci ministeri e pronto per il varo sia stato rimesso in fretta e furia in un cassetto dopo il “niet” della leader. Il ministero competente si è giustificato adducendo il fatto che la data del 9 dicembre, quando la vedova di Rajiv Gandhi compirà 51 anni, era l’unica disponibile perché non coincideva con altri eventi. Anche se non è stato comunicato ufficialmente, “in un partito in cui la prima famiglia ha assunto uno status iconografico, il genuflettersi davanti a Janpath 10 è diventata la regola” scrive un quotidiano aggiungendo “che in questo caso la presidente del Congresso è stata insensibile al tentativo di adulazione. Inoltre i suoi collaboratori sanno bene che può anche generare una pubblicità negativa agli occhi dell’opposizione sempre pronta ad attaccare il congresso”. Il partito della dinastia Nehru Gandhi si trova in un momento delicato alla vigilia di una cruciale elezione nel ricco stato del Gujarat dove il rivale partito indo nazionalista del Bjp (guidato dall’influente e controverso Narendra Modi) potrebbe riconquistare il potere. Oggi si apre la sessione invernale del Parlamento di Nuova Delhi e il partito di Sonia sta ancora cercando un compromesso con gli alleati comunisti per sbloccare lo stallo sull’accordo nucleare indo-americano che Washington vorrebbe vedere approvato il più presto possibile.
A farne le spese però è l’iniziativa dedicata a promuovere politiche a favore delle bambine che sono largamente discriminate dalla tradizionale e conservatrice società indiana dove i matrimoni sono basati sulla dote femminile. L’India è uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di aborti di feti femmine. Sta registrando un progressivo declino il numero di bambine sotto i 6 anni soprattutto nel Nord dell’India dove lo squilibrio demografico tra i due sessi in futuro potrebbe creare tensioni sociali.
Musharraf: "Lascio l'uniforme a fine mese"
Messo in onda dalla Radio Svizzera Italiana
Secondo quanto promesso prima delle elezioni presidenziali del 6 ottobre, il generale Pervez Musharraf avrebbe dovuto lasciare l’uniforme oggi, 15 novembre, giorno in cui il parlamento nazionale giunge alla scadenza naturale del suo mandato. Adesso la nuova data per lasciare l’incarico di capo delle forze armate che riveste dal ’99, è slittata a fine mese in base a quanto ha detto in un’intervista ad una agenzia di stampa. A oltre dieci giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il Pakistan rimane sospeso in un limbo politico da cui è difficile intravedere una via d’uscita. Musharraf starebbe aspettando anche il giudizio della Corte Suprema, dove ora siedono giudici filogovernativi, sulla legittimità della sua nomina a presidente. La sentenza dovrebbe giungere alla fine di questa settimana, ma non è certo un elemento determinante per il ritorno alla legalità costituzionale. Lo stato di emergenza potrebbe rimanere in vigore anche durante le elezioni parlamentari previste all’inizio di gennaio. Nonostante l’insistenza degli Stati Uniti che hanno deciso di inviare forse già domani il vicesegretario di stato americano John Negroponte, Musharraf continua con il suo pugno di ferro. L’ex campione di cricket e oppositore politico Imran Khan, arrestato mentre fomentava una protesta studentesca a Lahore, sarà giudicato in base alle leggi speciali sull’antiterrorismo. Potrebbe rischiare l’ergastolo. Si acuisce anche la crisi con la ex alleata Benazir Bhutto agli arresti domiciliari e che sta cercando di creare un unico fronte di opposizione contro il presidente coinvolgendo anche i partiti islamici e l’ex premier e rivale politico Nawaz Sharif, che si trova in esilio a Dubai.
Secondo quanto promesso prima delle elezioni presidenziali del 6 ottobre, il generale Pervez Musharraf avrebbe dovuto lasciare l’uniforme oggi, 15 novembre, giorno in cui il parlamento nazionale giunge alla scadenza naturale del suo mandato. Adesso la nuova data per lasciare l’incarico di capo delle forze armate che riveste dal ’99, è slittata a fine mese in base a quanto ha detto in un’intervista ad una agenzia di stampa. A oltre dieci giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il Pakistan rimane sospeso in un limbo politico da cui è difficile intravedere una via d’uscita. Musharraf starebbe aspettando anche il giudizio della Corte Suprema, dove ora siedono giudici filogovernativi, sulla legittimità della sua nomina a presidente. La sentenza dovrebbe giungere alla fine di questa settimana, ma non è certo un elemento determinante per il ritorno alla legalità costituzionale. Lo stato di emergenza potrebbe rimanere in vigore anche durante le elezioni parlamentari previste all’inizio di gennaio. Nonostante l’insistenza degli Stati Uniti che hanno deciso di inviare forse già domani il vicesegretario di stato americano John Negroponte, Musharraf continua con il suo pugno di ferro. L’ex campione di cricket e oppositore politico Imran Khan, arrestato mentre fomentava una protesta studentesca a Lahore, sarà giudicato in base alle leggi speciali sull’antiterrorismo. Potrebbe rischiare l’ergastolo. Si acuisce anche la crisi con la ex alleata Benazir Bhutto agli arresti domiciliari e che sta cercando di creare un unico fronte di opposizione contro il presidente coinvolgendo anche i partiti islamici e l’ex premier e rivale politico Nawaz Sharif, che si trova in esilio a Dubai.
Pakistan, le paure dell'India
Pubblicato da Apcom
L’India ha messo le sue truppe in stato di allerta in Kashmir per il timore che il presidente Pervez Musharraf perda il controllo del Paese e il Pakistan precipiti nel caos politico. Il governo di Nuova Delhi è preoccupato in particolare dal pericolo di un aumento dell’infiltrazione di militanti islamici attraverso la cosiddetta “linea di controllo” che separa le due regioni himalayane contese e che si troverebbe sguarnita sul lato pachistano a causa del dispiegamento di alcuni battaglioni e reparti speciali sul confine occidentale per prevenire il raggruppamento dall’Afghanistan dei talebani e militanti di Al Qaeda. Secondo fonti indiane di intelligence circa 38 mila soldati sono stati spostati in Waziristan e nelle aree tribali nel Nord-Ovest.
Il rischio di una ripresa degli attentati Kashmir e anche il pericolo che parte dell’arsenale nucleare può finire nelle mani degli integralisti stanno agitando i sonni dei vertici militari indiani. “Siamo molto preoccupati dal fatto che se ci sarà una dura repressione dei gruppi della jihad in Pakistan, questi ultimi possano ripiegare sull’India” ha detto il generale Deepak Kapoor, capo di stato maggiore, in un’intervista su un quotidiano. Ecco perché è stata rafforzata la sicurezza lungo gli oltre 700 chilometri della linea che separa i due Kashmir dove dal 2003 vige una tregua tra i due eserciti. In questi anni il processo di pace tra India e Pakistan ha prodotto una serie di significative misure di distensione nel settore diplomatico, del trasporto di persone e merci e, da pochi mesi, anche sul fronte della cooperazione nella lotta all’antiterrorismo. Poche settimane fa un portavoce del governo di Islamabad aveva detto che non era mai successo in 60 anni di indipendenza che le relazioni tra i due paesi fossero cosi buone. Nella loro storia India e Pakistan hanno combattuto tre guerre a causa della disputa sul Kashmir.
E’ quindi evidente che Nuova Delhi segue con una certa apprensione la svolta autoritaria impressa da Musharraf con la dichiarazione dello stato di emergenza e la sospensione della costituzione lo scorso 3 novembre. Finora non ci sono state prese di posizione da parte di Nuova Delhi se non il vago auspicio di “un ritorno alla normalità”. Il silenzio è motivato da una linea di condotta “non-interventista” negli affari interni di un altro Paese che ha quasi sempre ispirato la politica estera indiana con qualche eccezione, come nel caso dello Sri Lanka quando l’ex statista Rajiv Gandhi decise di inviare una forza di pace che poi si rivelò un boomerang e che gli costò anche la vita. E’ una linea che l’India ha anche tenuto con la confinante Birmania quando i monaci buddisti venivano brutalmente picchiati dalle forze del regime e anche in Nepal durante la rivolta popolare dell’aprile 2005.
Ora però la situazione è diversa. “Per la prima volta il Pakistan deve affrontare una minaccia alla sua sicurezza che proviene dal suo confine occidentale e non dalle frontiere con l’India - ha scritto l’analista politico Raja Mohan in un editoriale qualche giorno fa su “The Indian Express”. Si tratta di una svolta importante e non può essere senza conseguenze per l’India”.
Il problema è che avendo puntato sul “cavallo” Musharraf in questi tre anni di negoziati di pace, Nuova Delhi non ha altre alternative. La stabilità interna del Pakistan è troppo importante per rischiare di perdere il “generale”, come lo chiamano gli indiani per sottolineare l’origine golpista del suo governo. “Se i pachistani non riescono a riprendere il controllo sulle regioni di frontiera occidentali, l’effetto sarà di avere un’escalation dell’estremismo religioso e del terrorismo nell’intero subcontinente - aggiunge Mohan che auspica un aiuto “discreto” da parte dell’India per salvaguardare l’integrità pachistana. “Di fronte alla disgregazione della Linea Durand, l’India dovrebbe contribuire a mantenere il fronte contro gli integralisti sul confine Nord occidentale del subcontinente. Un Pakistan democratico potrebbe sicuramente vincere meglio questa guerra – conclude - Ma l’India non ha il lusso di poter scegliere il sistema politico in Pakistan”.
Il rischio di una ripresa degli attentati Kashmir e anche il pericolo che parte dell’arsenale nucleare può finire nelle mani degli integralisti stanno agitando i sonni dei vertici militari indiani. “Siamo molto preoccupati dal fatto che se ci sarà una dura repressione dei gruppi della jihad in Pakistan, questi ultimi possano ripiegare sull’India” ha detto il generale Deepak Kapoor, capo di stato maggiore, in un’intervista su un quotidiano. Ecco perché è stata rafforzata la sicurezza lungo gli oltre 700 chilometri della linea che separa i due Kashmir dove dal 2003 vige una tregua tra i due eserciti. In questi anni il processo di pace tra India e Pakistan ha prodotto una serie di significative misure di distensione nel settore diplomatico, del trasporto di persone e merci e, da pochi mesi, anche sul fronte della cooperazione nella lotta all’antiterrorismo. Poche settimane fa un portavoce del governo di Islamabad aveva detto che non era mai successo in 60 anni di indipendenza che le relazioni tra i due paesi fossero cosi buone. Nella loro storia India e Pakistan hanno combattuto tre guerre a causa della disputa sul Kashmir.
E’ quindi evidente che Nuova Delhi segue con una certa apprensione la svolta autoritaria impressa da Musharraf con la dichiarazione dello stato di emergenza e la sospensione della costituzione lo scorso 3 novembre. Finora non ci sono state prese di posizione da parte di Nuova Delhi se non il vago auspicio di “un ritorno alla normalità”. Il silenzio è motivato da una linea di condotta “non-interventista” negli affari interni di un altro Paese che ha quasi sempre ispirato la politica estera indiana con qualche eccezione, come nel caso dello Sri Lanka quando l’ex statista Rajiv Gandhi decise di inviare una forza di pace che poi si rivelò un boomerang e che gli costò anche la vita. E’ una linea che l’India ha anche tenuto con la confinante Birmania quando i monaci buddisti venivano brutalmente picchiati dalle forze del regime e anche in Nepal durante la rivolta popolare dell’aprile 2005.
Ora però la situazione è diversa. “Per la prima volta il Pakistan deve affrontare una minaccia alla sua sicurezza che proviene dal suo confine occidentale e non dalle frontiere con l’India - ha scritto l’analista politico Raja Mohan in un editoriale qualche giorno fa su “The Indian Express”. Si tratta di una svolta importante e non può essere senza conseguenze per l’India”.
Il problema è che avendo puntato sul “cavallo” Musharraf in questi tre anni di negoziati di pace, Nuova Delhi non ha altre alternative. La stabilità interna del Pakistan è troppo importante per rischiare di perdere il “generale”, come lo chiamano gli indiani per sottolineare l’origine golpista del suo governo. “Se i pachistani non riescono a riprendere il controllo sulle regioni di frontiera occidentali, l’effetto sarà di avere un’escalation dell’estremismo religioso e del terrorismo nell’intero subcontinente - aggiunge Mohan che auspica un aiuto “discreto” da parte dell’India per salvaguardare l’integrità pachistana. “Di fronte alla disgregazione della Linea Durand, l’India dovrebbe contribuire a mantenere il fronte contro gli integralisti sul confine Nord occidentale del subcontinente. Un Pakistan democratico potrebbe sicuramente vincere meglio questa guerra – conclude - Ma l’India non ha il lusso di poter scegliere il sistema politico in Pakistan”.
martedì 13 novembre 2007
Birmania, carcere aperto per Pinheiro
Ha trascorso circa due ore nella prigione di Insein, l’inviato dell’Onu per i diritti umani Paulo Sergio Pinheiro che si trova in Birmania per una missione ufficiale dopo 4 anni di assenza a causa del divieto della giunta miliare di entrare nel Paese. Pinheiro ha ispezionato il famigerato carcere di Rangoon dove nel corso degli anni sono stati detenuti e torturati i principali dissidenti. Prima del termine della sua visita, giovedì, dovrebbe poter parlare anche con alcuni oppositori politici arrestati nei giorni delle manifestazioni pro democratiche e raccogliere informazioni sui metodi usati per gli interrogatori. Secondo le testimonianze di ex prigionieri, gli attivisti politici sarebbero stati sottoposti ad abusi e trattamenti disumani. L’inviato delle Nazioni Unite ha anche visitato due monasteri che erano stati saccheggiati e danneggiati durante i raid dei militari contro i monaci buddisti. Non ci sono dettagli precisi, ma Pinheiro dovrebbe oggi recarsi nella nuova e remota capitale di Naypyidaw per incontrare tre ministri del regime. La missione del diplomatico norvegese ha anche l’obiettivo di investigare sul numero di persone morte durante la brutale repressione dei cortei pacifici lo scorso settembre. Secondo fonti dell’Onu sarebbero stati uccisi dalla polizia dai 30 ai 40 monaci e dai 50 ai 70 civili.
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