In onda su Radio Svizzera
Dalla mezzanotte di ieri re Gyanendra è diventato il signor Gyanendra e l’unica monarchia induista al mondo è stata abolita. Ma non è chiaro chi sarà ora a prendere il posto del monarca detronizzato che avrà 15 giorni per lasciare con la sua famiglia il palazzo Narayanhiti, dove nel 2001 è avvenuto il massacro della famiglia reale che ha segnato per sempre il destino della corona. Dopo una convulsa giornata e due rinvii, mentre si faceva festa nelle strade di Kathmandu, la speciale assemblea costituente ha proclamato la repubblica del Nepal. La decisione è stata formalizzata attraverso una semplice risoluzione passata con 560 voti favorevoli e 4 contrari. Una procedura che ha già sollevato qualche perplessità dal punto di vista della conformità costituzionale. Ma a preoccupare è il disaccordo emerso tra i maoisti e l’alleanza dei sette partiti democratici sul ruolo del futuro presidente, un posto che è rivendicato da Prachanda, il leader degli ex ribelli che non ha ancora abbandonato il suo nome di battaglia. La nuova repubblica sarà guidata da un presidente come capo di stato e da un primo ministro che avrà il potere esecutivo. Ma i ruoli sono ancora da definire. Ma per i nepalesi per ora è sufficiente non doversi inginocchiare più davanti a un re impopolare che voleva governare il Nepal come un despota assoluto.
mercoledì 28 maggio 2008
martedì 27 maggio 2008
Prorogata di un anno carcerazione di Aung San Suu Kyi
In onda su Radio Vaticana
Ha sollevato molte critiche la decisione della giunta birmana di prorogare gli arresti domiciliari della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. Il limite di cinque anni per la carcerazione preventiva è scaduto ieri. Sembrava che dopo gli sforzi diplomatici dell’Onu, ci fosse qualche speranza che la giunta cambiasse idea soprattutto considerando la catastrofe del ciclone Nargis che 25 giorni fa ha devastato il sud del Paese. Il segretario generale Ban ki-Moon, che aveva discusso di San Suu Kyi con il leader birmano Than Shwe durante il suo incontro la scorsa settimana, si è detto rammaricato, ma ha aggiunto che il dialogo proseguirà attraverso il suo inviato Ibrahim Gambari. Anche Stati Uniti e Unione Europea hanno deplorato la proroga della detenzione di altri 12 mesi. L’inviato europeo Piero Fassino ha detto che la decisione è inaccettabile tanto più perché viola il limite massimo di 5 anni previsto dalla legge per gli arresti domiciliari.
Intanto non è chiaro se l’Onu potrà finalmente distribuire gli aiuti in modo massiccio come promesso dalle autorità. Finora sono stati soccorsi un milione di superstiti. Secondo un portavoce delle Nazioni Unite devono ancora essere raggiunte un milione e 400 mila persone nel delta dell’Irrawaddy dove sono stati segnalati i primi casi di colera.
Ha sollevato molte critiche la decisione della giunta birmana di prorogare gli arresti domiciliari della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. Il limite di cinque anni per la carcerazione preventiva è scaduto ieri. Sembrava che dopo gli sforzi diplomatici dell’Onu, ci fosse qualche speranza che la giunta cambiasse idea soprattutto considerando la catastrofe del ciclone Nargis che 25 giorni fa ha devastato il sud del Paese. Il segretario generale Ban ki-Moon, che aveva discusso di San Suu Kyi con il leader birmano Than Shwe durante il suo incontro la scorsa settimana, si è detto rammaricato, ma ha aggiunto che il dialogo proseguirà attraverso il suo inviato Ibrahim Gambari. Anche Stati Uniti e Unione Europea hanno deplorato la proroga della detenzione di altri 12 mesi. L’inviato europeo Piero Fassino ha detto che la decisione è inaccettabile tanto più perché viola il limite massimo di 5 anni previsto dalla legge per gli arresti domiciliari.
Intanto non è chiaro se l’Onu potrà finalmente distribuire gli aiuti in modo massiccio come promesso dalle autorità. Finora sono stati soccorsi un milione di superstiti. Secondo un portavoce delle Nazioni Unite devono ancora essere raggiunte un milione e 400 mila persone nel delta dell’Irrawaddy dove sono stati segnalati i primi casi di colera.
La casta dei Gujjar di nuovo sul piede di guerra
Su Apcom
Un anno dopo la prima rivolta, in Rajasthan, una delle mete turistiche più popolari in India, è di nuovo scoppiata la rabbia della casta dei Gujjar, una minoranza tribale che fa parte della miriade di caste e sotto caste di cui è composta la società indiana. Da ormai cinque giorni i rivoltosi bloccano alcune arterie stradali e ferroviare intorno al capoluogo rajasthano di Jaipur e minacciano ora di marciare su Nuova Delhi. Centinaia di rappresentanti della casta hanno organizzato un sit-in sulla strada che collega Jaipur con Agra, la città del Taj Mahal. Hanno anche sabotato alcuni binari causando disagi per i collegamenti ferroviari con Mumbai. Accanto a loro hanno i cadaveri di alcuni manifestanti uccisi nei giorni scorsi quando la polizia ha sparato ad altezza uomo sulla folla uccidendo 38 persone. Chiedono che vengano condotta un’autopsia sui corpi per verificare che sono stati colpiti da proiettili. Le autorità indiane hanno accusato il loro leader Kirori Singh Baisala accusano di aver linciato e ucciso un poliziotto lo scorso venerdì, episodio che avrebbe scatenato la violenza delle forze dell’ordine.
I Gujjar chiedono di essere inclusi in una classificazione castale che è più bassa della loro, ma che gode di più privilegi per ottenere un impiego nella pubblica amministrazione e l’ingresso nelle università. Per favorire la mobilità sociale tra caste l’India ha adottatto negli anni un complesso sistema di quote riservate per i “dalit”, gli ex “intoccabili” e che costituiscono il 30% della popolazione, i gruppi tribali e indigeni e tutte le altre caste “inferiori”. Le caste sono state abolite dalla costituzione del 1947, ma di fatto continuano ad esistere e a costituire invisibili barriere sociali.
Un anno dopo la prima rivolta, in Rajasthan, una delle mete turistiche più popolari in India, è di nuovo scoppiata la rabbia della casta dei Gujjar, una minoranza tribale che fa parte della miriade di caste e sotto caste di cui è composta la società indiana. Da ormai cinque giorni i rivoltosi bloccano alcune arterie stradali e ferroviare intorno al capoluogo rajasthano di Jaipur e minacciano ora di marciare su Nuova Delhi. Centinaia di rappresentanti della casta hanno organizzato un sit-in sulla strada che collega Jaipur con Agra, la città del Taj Mahal. Hanno anche sabotato alcuni binari causando disagi per i collegamenti ferroviari con Mumbai. Accanto a loro hanno i cadaveri di alcuni manifestanti uccisi nei giorni scorsi quando la polizia ha sparato ad altezza uomo sulla folla uccidendo 38 persone. Chiedono che vengano condotta un’autopsia sui corpi per verificare che sono stati colpiti da proiettili. Le autorità indiane hanno accusato il loro leader Kirori Singh Baisala accusano di aver linciato e ucciso un poliziotto lo scorso venerdì, episodio che avrebbe scatenato la violenza delle forze dell’ordine.
I Gujjar chiedono di essere inclusi in una classificazione castale che è più bassa della loro, ma che gode di più privilegi per ottenere un impiego nella pubblica amministrazione e l’ingresso nelle università. Per favorire la mobilità sociale tra caste l’India ha adottatto negli anni un complesso sistema di quote riservate per i “dalit”, gli ex “intoccabili” e che costituiscono il 30% della popolazione, i gruppi tribali e indigeni e tutte le altre caste “inferiori”. Le caste sono state abolite dalla costituzione del 1947, ma di fatto continuano ad esistere e a costituire invisibili barriere sociali.
lunedì 26 maggio 2008
Ciclone Nargis, Nazioni Unite ottimiste sulla possibilità di soccorrrere i supersititi
In onda su radio Vaticana
Aumentano le speranze di soccorrere le vittime del ciclone Nargis dopo la missione del segretario generale dell’Onu Ban ki-moon la scorsa settimana. Se il regime manterrà le promesse, l’Onu potrebbe raggiungere in breve tempo un milione di superstiti che a oltre tre settimane dal disastro sono alla disperata ricerca di cibo e di un riparo. Da Bankgok un portavoce delle Nazioni Unite ha mostrato ottimismo e ha detto che i soccorsi potrebbero arrivare ai bisognosi già entro la fine di questa settimana se la giunta militare concede i permessi agli stranieri di recarsi nelle aree devastate del delta dell’Irrawaddy.
La conferenza internazionale di domenica ha promesso aiuti per 100 milioni di dollari ma alla condizione che il regime apra le porte ai team di soccorritori.
Intanto proprio domani scade l’obbligo quinquennale per gli arresti domiciliari di Aung Saan Suu Kyi, la leader dell’opposizione e premio nobel per la pace che si trova confinata nella sua casa di Rangoon. E’ probabile che le autorità rinnovino la detenzione. Il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia celebra oggi il diciottesimo anniversario del suo trionfo elettorale mai riconosciuto dalla giunta militare.
Aumentano le speranze di soccorrere le vittime del ciclone Nargis dopo la missione del segretario generale dell’Onu Ban ki-moon la scorsa settimana. Se il regime manterrà le promesse, l’Onu potrebbe raggiungere in breve tempo un milione di superstiti che a oltre tre settimane dal disastro sono alla disperata ricerca di cibo e di un riparo. Da Bankgok un portavoce delle Nazioni Unite ha mostrato ottimismo e ha detto che i soccorsi potrebbero arrivare ai bisognosi già entro la fine di questa settimana se la giunta militare concede i permessi agli stranieri di recarsi nelle aree devastate del delta dell’Irrawaddy.
La conferenza internazionale di domenica ha promesso aiuti per 100 milioni di dollari ma alla condizione che il regime apra le porte ai team di soccorritori.
Intanto proprio domani scade l’obbligo quinquennale per gli arresti domiciliari di Aung Saan Suu Kyi, la leader dell’opposizione e premio nobel per la pace che si trova confinata nella sua casa di Rangoon. E’ probabile che le autorità rinnovino la detenzione. Il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia celebra oggi il diciottesimo anniversario del suo trionfo elettorale mai riconosciuto dalla giunta militare.
sabato 24 maggio 2008
Re Gyanendra ha lasciato il palazzo ufficialmente "per vacanza"
Su Apcom
Ha sollevato molta curiosità la partenza del re nepalese Gyanendra, giovedì sera, dal suo palazzo ufficiale di Kathmandu per “un finesettimana di vacanza” nella sua residenza estiva appena fuori la capitale. Potrebbe essere l’ultimo capitolo della moribonda monarchia nepalese dopo 250 anni di potere. Secondo un comunicato, si “tratta di un normale evento che ha ricevuto un’attenzione esagerata da parte dei media”. La partenza del monarca dal palazzo Narayanhity in compagnia della regina Komal, a pochi giorni dall’ultimatum dei maoisti per lasciare il trono, non poteva però passare inosservata. La residenza estiva è situata in una zona collinare a Nagarjun, a 7 chilometri da Kathmandu. Secondo fonti del palazzo, il re dovrebbe tornare la prossima settimana. L’assemblea costituente eletta nel voto del 10 aprile - che ha visto il trionfo degli ex ribelli maoisti - si riunirà per la prima volta mercoledì prossimo. Il primo punto all’agenda dei suoi 610 componenti sarà l’abolizione della monarchia nepalese e la dichiarazione della repubblica. Il leader maoista Prachanda ha avviato delle consultazioni con gli altri partiti pro democratici per trattare una “dipartita dignitosa” dell’ultimo discendente della dinastia Shah. Aveva già chiesto a Gyanendra di lasciare il palazzo prima della convocazione dell’assemblea. Sarebbe però escluso un eventuale esilio nella vicina India come si pensava in un primo momento.
Nel palazzo Narayanhity vive ancora l’anziana regina madre Ratna Rajya Laxmi. Secondo i giornali nepalesi, i maoisti vorrebbero trasformare la residenza, un moderno edificio che sorge fuori dal centro storico, in un museo.
Ha sollevato molta curiosità la partenza del re nepalese Gyanendra, giovedì sera, dal suo palazzo ufficiale di Kathmandu per “un finesettimana di vacanza” nella sua residenza estiva appena fuori la capitale. Potrebbe essere l’ultimo capitolo della moribonda monarchia nepalese dopo 250 anni di potere. Secondo un comunicato, si “tratta di un normale evento che ha ricevuto un’attenzione esagerata da parte dei media”. La partenza del monarca dal palazzo Narayanhity in compagnia della regina Komal, a pochi giorni dall’ultimatum dei maoisti per lasciare il trono, non poteva però passare inosservata. La residenza estiva è situata in una zona collinare a Nagarjun, a 7 chilometri da Kathmandu. Secondo fonti del palazzo, il re dovrebbe tornare la prossima settimana. L’assemblea costituente eletta nel voto del 10 aprile - che ha visto il trionfo degli ex ribelli maoisti - si riunirà per la prima volta mercoledì prossimo. Il primo punto all’agenda dei suoi 610 componenti sarà l’abolizione della monarchia nepalese e la dichiarazione della repubblica. Il leader maoista Prachanda ha avviato delle consultazioni con gli altri partiti pro democratici per trattare una “dipartita dignitosa” dell’ultimo discendente della dinastia Shah. Aveva già chiesto a Gyanendra di lasciare il palazzo prima della convocazione dell’assemblea. Sarebbe però escluso un eventuale esilio nella vicina India come si pensava in un primo momento.
Nel palazzo Narayanhity vive ancora l’anziana regina madre Ratna Rajya Laxmi. Secondo i giornali nepalesi, i maoisti vorrebbero trasformare la residenza, un moderno edificio che sorge fuori dal centro storico, in un museo.
venerdì 23 maggio 2008
Myanmar, sbloccati aiuti. Ban ki-Moon in Cina
in onda su Radio Vaticana
Dopo aver convinto il generale birmano Than Shwe ad accettare gli operatori umanitari nel Paese, il segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon si è spostato oggi in Cina per vedere la devastazione del sisma del 12 maggio che ha colpito 5 milioni di persone nella regione montagnosa del Sichuan. Ban ki-Moon ha visitato la città devastata di Yingxiu e qui ha incontrato il premier cinese Wen Jabao, che si trovava sul posto per ispezionare una diga danneggiata. Massicci aiuti stanno affluendo nelle zone terremotata anche grazie alla riapertura dei collegamenti ferroviari.
Il numero uno dell’Onu domani sarà di nuovo in Myanmar per la conferenza dei donatori organizzata dall’Asean. Dopo la promessa del regime birmano di autorizzare tutti i soccorritori a prescindere dalla loro nazionalità, la comunità internazionale spera ora di poter raggiungere i due milioni di senza tetto colpiti dal ciclone Nargis. Ma non è chiaro se gli operatori avranno veramente libero accesso al delta dell’Irrawaddy.
Dopo aver convinto il generale birmano Than Shwe ad accettare gli operatori umanitari nel Paese, il segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon si è spostato oggi in Cina per vedere la devastazione del sisma del 12 maggio che ha colpito 5 milioni di persone nella regione montagnosa del Sichuan. Ban ki-Moon ha visitato la città devastata di Yingxiu e qui ha incontrato il premier cinese Wen Jabao, che si trovava sul posto per ispezionare una diga danneggiata. Massicci aiuti stanno affluendo nelle zone terremotata anche grazie alla riapertura dei collegamenti ferroviari.
Il numero uno dell’Onu domani sarà di nuovo in Myanmar per la conferenza dei donatori organizzata dall’Asean. Dopo la promessa del regime birmano di autorizzare tutti i soccorritori a prescindere dalla loro nazionalità, la comunità internazionale spera ora di poter raggiungere i due milioni di senza tetto colpiti dal ciclone Nargis. Ma non è chiaro se gli operatori avranno veramente libero accesso al delta dell’Irrawaddy.
giovedì 22 maggio 2008
Birmania, stretta di mano tra Ban Ki-moon e il generale
In onda su Radio Vaticana
Come previsto dal programma, Ban Ki-moon è stato ricevuto stamattina alle sei ora italiana dal generale Than Shwe, il numero uno della giunta birmana, in un moderno palazzo di Naypyidaw, la capitale amministrativa. Il segretario generale dell’Onu, apparentemente soddisfatto, avrebbe stretto la mano del leader birmano davanti ai flash dei fotografi. Non è chiaro se Ban Ki-moon abbia ottenuto il suo scopo che era quello di ottenere l’autorizzazione ad un’operazione umanitaria su larga scala nelle zone devastate dal ciclone Nargis tre settimane fa. L’incontro è comunque un fatto eccezionale nella storia del regime che è al potere da 46 anni. Nei giorni successivi alla catastrofe il leader birmano si era rifiutato di rispondere alle chiamate del Palazzo di Vetro. Ieri Ban Ki-moon ha effettuato una ricognizione aerea del delta meridionale dell’Irrawaddy dove circa 2 milioni e mezzo senza tetto di sopravvivere alla mancanza di cibo e acqua pulita. C’è bisogno di una massiccia operazione umanitaria, ma la giunta militare continua a rifiutare l’accesso di navi della marina militare statunitense con a bordo personale e tonnellate di soccorsi che sono ancora ferme al largo delle coste birmane. Intanto alcune organizzazioni non governative straniere hanno chiesto che si organizzi un incontro tra Ban Ki- moon e la leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi per cercare di ottenere la sua liberazione .
Come previsto dal programma, Ban Ki-moon è stato ricevuto stamattina alle sei ora italiana dal generale Than Shwe, il numero uno della giunta birmana, in un moderno palazzo di Naypyidaw, la capitale amministrativa. Il segretario generale dell’Onu, apparentemente soddisfatto, avrebbe stretto la mano del leader birmano davanti ai flash dei fotografi. Non è chiaro se Ban Ki-moon abbia ottenuto il suo scopo che era quello di ottenere l’autorizzazione ad un’operazione umanitaria su larga scala nelle zone devastate dal ciclone Nargis tre settimane fa. L’incontro è comunque un fatto eccezionale nella storia del regime che è al potere da 46 anni. Nei giorni successivi alla catastrofe il leader birmano si era rifiutato di rispondere alle chiamate del Palazzo di Vetro. Ieri Ban Ki-moon ha effettuato una ricognizione aerea del delta meridionale dell’Irrawaddy dove circa 2 milioni e mezzo senza tetto di sopravvivere alla mancanza di cibo e acqua pulita. C’è bisogno di una massiccia operazione umanitaria, ma la giunta militare continua a rifiutare l’accesso di navi della marina militare statunitense con a bordo personale e tonnellate di soccorsi che sono ancora ferme al largo delle coste birmane. Intanto alcune organizzazioni non governative straniere hanno chiesto che si organizzi un incontro tra Ban Ki- moon e la leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi per cercare di ottenere la sua liberazione .
Il governo Singh festeggia 4 anni tra luci e ombre
Su Apcom
“Dobbiamo stringere la cinghia e gestire in maniera oculata le nostre risorse e le nostre finanze”. Il primo ministro Manmohan Singh oggi ha ammesso che l’India sta “entrando un periodo di incertezza” e ha cercato di fugare i timori di un rallentamento della crescita indiana dovuta all’inflazione galoppante di questi mesi e alle ripercussioni della recessione degli Stati Uniti. “Non dobbiamo accontentarci del fatto che gli ultimi quattro anni siano stati anni di grande successo per l’India” ha detto ad una cerimonia che si è tenuta stasera per festeggiare il quarto anniversario della coalizione guidata dal Congresso di Sonia Gandhi. Il caro petrolio e l’aumento dei prodotti agricoli “ci mettono davanti a sfide difficili”. Secondo Singh la priorità del governo, che da oggi entra nel suo ultimo anno, è quella di tenere sotto controllo l’inflazione che a maggio ha toccato il 7,3%, il livello più alto negli ultimi tre anni. Il carovita ha fatto scattare un campanello di allarme nel Congresso che in questo anno pre elettorale teme un’erosione della sua base composta dai ceti più deboli e più vulnerabili all’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità.
“Il forte rincaro del petrolio, dell’acciaio e dei prodotti agricoli hanno avuto un impatto negativo sull’economia nazionale – ha aggiunto ricordando le misure adottate finora dal governo, come le restrizione all’esportazione di alcuni beni agricoli essenziali, tipo il riso e la stretta fiscale e monetaria. Mentre su Nuova Delhi si abbatteva un acquazzone del tutto anomalo per questa stagione che è la più secca dell’anno, il premier ha detto di sperare ad un ritorno ad una “normale inflazione nelle prossime 8-10 settimane” grazie anche alle previsioni di un “buon monsone”. L’agricoltura indiana, che impiega ancora oltre il 60 per cento della popolazione, è ancora dipendente dall’andamento delle piogge monsoniche da giugno a settembre.
Il settantaseienne Singh, un economista formato a Cambridge e Oxford e “scelto” da Sonia Gandhi come “tecnico” per guidare il Paese dopo il suo trionfo nelle elezioni del 2004, rimane però ottimista sul futuro dell’India nonostante le “acque turbolente” di questo periodo. “L’economia indiana ha imboccato una traiettoria di crescita dell’8-9 per cento. Grazie a questo tasso di crescita potremo sollevare la nostra nazione dalla povertà, ignoranza e malattia che sono state parte del destino di milioni di cittadini per secoli”.
“Il forte rincaro del petrolio, dell’acciaio e dei prodotti agricoli hanno avuto un impatto negativo sull’economia nazionale – ha aggiunto ricordando le misure adottate finora dal governo, come le restrizione all’esportazione di alcuni beni agricoli essenziali, tipo il riso e la stretta fiscale e monetaria. Mentre su Nuova Delhi si abbatteva un acquazzone del tutto anomalo per questa stagione che è la più secca dell’anno, il premier ha detto di sperare ad un ritorno ad una “normale inflazione nelle prossime 8-10 settimane” grazie anche alle previsioni di un “buon monsone”. L’agricoltura indiana, che impiega ancora oltre il 60 per cento della popolazione, è ancora dipendente dall’andamento delle piogge monsoniche da giugno a settembre.
Il settantaseienne Singh, un economista formato a Cambridge e Oxford e “scelto” da Sonia Gandhi come “tecnico” per guidare il Paese dopo il suo trionfo nelle elezioni del 2004, rimane però ottimista sul futuro dell’India nonostante le “acque turbolente” di questo periodo. “L’economia indiana ha imboccato una traiettoria di crescita dell’8-9 per cento. Grazie a questo tasso di crescita potremo sollevare la nostra nazione dalla povertà, ignoranza e malattia che sono state parte del destino di milioni di cittadini per secoli”.
mercoledì 21 maggio 2008
Ban Ki Moon inizia missione in Myanmar
In onda su Radio Vaticana
Ban Ki Moon è arrivato oggi a Rangoon con la missione di convincere i generali ad aprire completamente le porte agli aiuti internazionali che sono essenziali per la sopravvivenza di 2 milioni e mezzo di persone colpite dal ciclone Nargis. Il segretario generale dell’Onu farà una ricognizione in elicottero del delta dell’Irrawaddy, la zona più devastata e poi domenica presiederà una conferenza dei donatori promossa dalle dieci nazioni dell’Associazione dei Paesi del Sud Est asiatico. E’ previsto anche un incontro nella capitale di Naypyidaw con il generale Than Shwe, il leader birmano che aveva rifiutato una telefonata di Ban Ki Moon dopo il disastro del 2 e 3 maggio. E’ la prima visita di segretario generale dell’Onu dal 1964.
In questi giorni la giunta militare ha allentato alcune restrizioni autorizzando nove elicotteri del Pam ad operare nella regione del delta. Ma le navi militari francesi e statunitensi stanno ancora aspettando i permessi per scaricare i soccorsi. Intanto nonostante l’emergenza il governo intende proseguire la sua agenda politica, sabato si terrà il controverso referendum costituzionale nei distretti devastati dell’Irrawaddy, dove il voto era stato rinviato.
Ban Ki Moon è arrivato oggi a Rangoon con la missione di convincere i generali ad aprire completamente le porte agli aiuti internazionali che sono essenziali per la sopravvivenza di 2 milioni e mezzo di persone colpite dal ciclone Nargis. Il segretario generale dell’Onu farà una ricognizione in elicottero del delta dell’Irrawaddy, la zona più devastata e poi domenica presiederà una conferenza dei donatori promossa dalle dieci nazioni dell’Associazione dei Paesi del Sud Est asiatico. E’ previsto anche un incontro nella capitale di Naypyidaw con il generale Than Shwe, il leader birmano che aveva rifiutato una telefonata di Ban Ki Moon dopo il disastro del 2 e 3 maggio. E’ la prima visita di segretario generale dell’Onu dal 1964.
In questi giorni la giunta militare ha allentato alcune restrizioni autorizzando nove elicotteri del Pam ad operare nella regione del delta. Ma le navi militari francesi e statunitensi stanno ancora aspettando i permessi per scaricare i soccorsi. Intanto nonostante l’emergenza il governo intende proseguire la sua agenda politica, sabato si terrà il controverso referendum costituzionale nei distretti devastati dell’Irrawaddy, dove il voto era stato rinviato.
Allarme OMS: sovrappeso il 47% degli informatici indiani
Su Apcom
Il boom dell’informatica è stato la chiave del successo economico dell’India, ma ora sta mettendo a rischio la salute della sua popolazione. Troppe ore passate davanti al computer, i turni massacranti dei call centers, lo stress da ufficio stanno causando un aumento di casi di obesità, ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari. Secondo uno studio dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 47% dei colletti bianchi indiani è sovrappeso, soprattutto nelle metropoli dove stanno velocemente cambiando le abitudini alimentari grazie all’arrivo delle grandi catene di fast food. Un altro 27% soffre di ipertensione e il 10% sarebbe diabetico. I risultati sono basati su un sondaggio effettuato tra 35 mila addetti di dieci industrie indiane e altri 22 mila individui scelti a caso. Si tratta di malattie croniche fino a 20 anni fa sconosciute in India dove esiste una popolazione giovane composta dal 40% di minori di 18 18 anni.
Gli effetti di una vita sedentaria, della mancanza di esposizione di luce solare, di una dieta sbilanciata potrebbero portare anche ad un forte aumento della spesa sanitaria. Nel suo studio, l’agenzia dell’Onu calcola una perdita economica di 236 miliardi di dollari nel 2015 causata da uno stile di vita sbagliato, senza contare il probabile aumento di decessi per disturbi cardiaci e altre “malattie del benessere” tra la classe urbana medio-bassa quando inizierà a invecchiare. L’India ha oggi dai 25 ai 30 milioni di diabetici, che è il numero più alto nel mondo.
Tra le cause principali ci sono le condizioni di lavoro che costringono ingegneri e manager impiegati nel settore dell’outsourcing a passare quasi 12 ore al giorno seduti davanti al computer con un solo giorno di riposo settimanale.
L’ambiente altamente competitivo delle multinazionali americane - che attirati dai bassi salari hanno spostato in India i loro call centers e centri di ricerca - e la pressoché mancanza di organizzazioni sindacali hanno trasformato le nuove generazioni di indiani in “cyber-coolies”, un termine non lusinghiero che equipara gli informatici ai facchini e manovali che erano sfruttati dai britannici durante il periodo coloniale.
I medici indiani hanno inoltre lanciato l’allarme sulla carenza di vitamina D riscontrata in molti manager di Mumbai che passano lunghe giornate in ufficio o dietro i finestrini oscurati delle loro auto e che è dovuta alla scarsa esposizione al sole.
E’ curioso che qualche settimana fa il presidente americano George W. Bush, e prima di lui Condoleezza Rice, aveva messo in relazione il rincaro dei prodotti alimentari con il miglioramento della dieta di 350 milioni indiani appartenenti alla nuova classe media. Una dichiarazione che aveva suscitato molte polemiche e accuse di ipocrisia verso gli Stati Uniti, che come ha ricordato il ministro del commercio indiano Kamal Nath “consumano e sprecano molto più cibo che qualsiasi altro Paese al mondo”.
Il boom dell’informatica è stato la chiave del successo economico dell’India, ma ora sta mettendo a rischio la salute della sua popolazione. Troppe ore passate davanti al computer, i turni massacranti dei call centers, lo stress da ufficio stanno causando un aumento di casi di obesità, ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari. Secondo uno studio dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 47% dei colletti bianchi indiani è sovrappeso, soprattutto nelle metropoli dove stanno velocemente cambiando le abitudini alimentari grazie all’arrivo delle grandi catene di fast food. Un altro 27% soffre di ipertensione e il 10% sarebbe diabetico. I risultati sono basati su un sondaggio effettuato tra 35 mila addetti di dieci industrie indiane e altri 22 mila individui scelti a caso. Si tratta di malattie croniche fino a 20 anni fa sconosciute in India dove esiste una popolazione giovane composta dal 40% di minori di 18 18 anni.
Gli effetti di una vita sedentaria, della mancanza di esposizione di luce solare, di una dieta sbilanciata potrebbero portare anche ad un forte aumento della spesa sanitaria. Nel suo studio, l’agenzia dell’Onu calcola una perdita economica di 236 miliardi di dollari nel 2015 causata da uno stile di vita sbagliato, senza contare il probabile aumento di decessi per disturbi cardiaci e altre “malattie del benessere” tra la classe urbana medio-bassa quando inizierà a invecchiare. L’India ha oggi dai 25 ai 30 milioni di diabetici, che è il numero più alto nel mondo.
Tra le cause principali ci sono le condizioni di lavoro che costringono ingegneri e manager impiegati nel settore dell’outsourcing a passare quasi 12 ore al giorno seduti davanti al computer con un solo giorno di riposo settimanale.
L’ambiente altamente competitivo delle multinazionali americane - che attirati dai bassi salari hanno spostato in India i loro call centers e centri di ricerca - e la pressoché mancanza di organizzazioni sindacali hanno trasformato le nuove generazioni di indiani in “cyber-coolies”, un termine non lusinghiero che equipara gli informatici ai facchini e manovali che erano sfruttati dai britannici durante il periodo coloniale.
I medici indiani hanno inoltre lanciato l’allarme sulla carenza di vitamina D riscontrata in molti manager di Mumbai che passano lunghe giornate in ufficio o dietro i finestrini oscurati delle loro auto e che è dovuta alla scarsa esposizione al sole.
E’ curioso che qualche settimana fa il presidente americano George W. Bush, e prima di lui Condoleezza Rice, aveva messo in relazione il rincaro dei prodotti alimentari con il miglioramento della dieta di 350 milioni indiani appartenenti alla nuova classe media. Una dichiarazione che aveva suscitato molte polemiche e accuse di ipocrisia verso gli Stati Uniti, che come ha ricordato il ministro del commercio indiano Kamal Nath “consumano e sprecano molto più cibo che qualsiasi altro Paese al mondo”.
Cina sospende pellegrinaggio al monte sacro del Kailash in Tibet
Su Apcom
La Cina ha sospeso un importante pellegrinaggio religioso sul Kailash, la montagna sacra agli induisti e ai buddisti che si trova in Tibet. Un primo gruppo di fedeli sarebbe dovuto partire da Nuova Delhi il primo giugno per un impegnativo trekking di 24 giorni. Le autorità di Pechino hanno motivato la sospensione per “ragioni di politica interna” e hanno detto “di non essere in grado di accogliere pellegrini fino al 21 giugno”. La data coincide con il passaggio della fiaccola olimpica a Lhasa, il capoluogo del Tibet, che è ancora chiuso ai turisti stranieri dopo i sanguinosi disordini di due mesi fa. La staffetta era transitata sul monte Everest agli inizi di maggio e per l’occasione erano state vietate le spedizioni sia dal versante tibetano che da quello meridionale in territorio nepalese.
Non ci sono state per ora delle reazioni ufficiali dal ministero degli esteri indiano che si è limitato a cancellare le prime due partenze previste per gli inizi di giugno che interessavano 120 pellegrini indiani già “sorteggiati”.
Al pellegrinaggio che si svolge ogni anno da giugno a settembre, partecipano in totale 900 fedeli suddivisi in 16 gruppi. Si tratta di un faticoso trekking di 800 chilometri ad un’altitudine elevata, che attraversa alcuni dei più spettacolari paesaggi himalayani. Sospeso dopo l’invasione cinese del Tibet, il pellegrinaggio al Kailash e al lago sacro di Mansarovar è ripreso nel 1981 grazie ad un trattato bilaterale tra India e Cina. Dal monte Kailash (“cristallo” in sanscrito) scendono quattro grandi fiumi asiatici, tra cui il Brahmaputra e l’Indus. Secondo la mitologia è il centro del mondo e per gli induisti anche il trono del dio Shiva e della moglie Parvati. E’ significativo che la sua vetta che sorge a 6638 metri non sia mai stato scalata.
Il divieto cinese è stato una doccia fredda per il governo tibetano in esilio. “I tibetani hanno sempre rispettato il viaggio sacro al Kailash – ha detto un portavoce da Dharamsala – e i recenti disordini non hanno toccato quella parte del Tibet occidentale”.
La Cina ha sospeso un importante pellegrinaggio religioso sul Kailash, la montagna sacra agli induisti e ai buddisti che si trova in Tibet. Un primo gruppo di fedeli sarebbe dovuto partire da Nuova Delhi il primo giugno per un impegnativo trekking di 24 giorni. Le autorità di Pechino hanno motivato la sospensione per “ragioni di politica interna” e hanno detto “di non essere in grado di accogliere pellegrini fino al 21 giugno”. La data coincide con il passaggio della fiaccola olimpica a Lhasa, il capoluogo del Tibet, che è ancora chiuso ai turisti stranieri dopo i sanguinosi disordini di due mesi fa. La staffetta era transitata sul monte Everest agli inizi di maggio e per l’occasione erano state vietate le spedizioni sia dal versante tibetano che da quello meridionale in territorio nepalese.
Non ci sono state per ora delle reazioni ufficiali dal ministero degli esteri indiano che si è limitato a cancellare le prime due partenze previste per gli inizi di giugno che interessavano 120 pellegrini indiani già “sorteggiati”.
Al pellegrinaggio che si svolge ogni anno da giugno a settembre, partecipano in totale 900 fedeli suddivisi in 16 gruppi. Si tratta di un faticoso trekking di 800 chilometri ad un’altitudine elevata, che attraversa alcuni dei più spettacolari paesaggi himalayani. Sospeso dopo l’invasione cinese del Tibet, il pellegrinaggio al Kailash e al lago sacro di Mansarovar è ripreso nel 1981 grazie ad un trattato bilaterale tra India e Cina. Dal monte Kailash (“cristallo” in sanscrito) scendono quattro grandi fiumi asiatici, tra cui il Brahmaputra e l’Indus. Secondo la mitologia è il centro del mondo e per gli induisti anche il trono del dio Shiva e della moglie Parvati. E’ significativo che la sua vetta che sorge a 6638 metri non sia mai stato scalata.
Il divieto cinese è stato una doccia fredda per il governo tibetano in esilio. “I tibetani hanno sempre rispettato il viaggio sacro al Kailash – ha detto un portavoce da Dharamsala – e i recenti disordini non hanno toccato quella parte del Tibet occidentale”.
martedì 20 maggio 2008
Birmania, in arrivo Ban ki Moon e elicotteri del Pam
In onda su Radio Vaticana
Bandiere a mezz’asta in tutto il Myamar da ieri per commemorare i 134 mila morti e dispersi del ciclone Nargis. Il regime militare, che ha proclamato tre giorni di lutto, sembra solo ora rendersi conto delle proporzioni del disastro che ha colpito due milioni e mezzo di persone nel delta dell’Irrawaddy. Le autorità accetteranno la supervisione degli esperti provenienti dai paesi dell’Asean, l’associazione del sud est asiatico che domenica organizza a Rangoon una conferenza dei donatori. Ma non intendono autorizzare l’arrivo di elicotteri e navi da guerra statunitensi.
Secondo le associazioni umanitarie per sfamare e curare i sopravissuti è necessario un massiccio intervento della comunità internazionale simile a quello che si è visto per la tragedia dello tsumani nel 2004. L’arrivo delle piogge monsoniche rischia di aggravare ulteriormente le precarie condizioni degli abitanti della vasta zona del delta dove il raccolto di riso è andato completamente perduto.
Intanto continua l’altra gravissima emergenza in Cina dove l’autorità hanno aggiornato il bilancio del terremoto nel Sichuan ad oltre 70 mila morti. A otto giorni dal sisma i soccorritori hanno trovato vivo un uomo di 31 anni nella contea del Wenchuan e una donna di 60 anni sopravissuta grazie all’acqua piovana. Le autorità cinesi hanno inoltre smentito l’allarme per una scossa di grande potenza.
Bandiere a mezz’asta in tutto il Myamar da ieri per commemorare i 134 mila morti e dispersi del ciclone Nargis. Il regime militare, che ha proclamato tre giorni di lutto, sembra solo ora rendersi conto delle proporzioni del disastro che ha colpito due milioni e mezzo di persone nel delta dell’Irrawaddy. Le autorità accetteranno la supervisione degli esperti provenienti dai paesi dell’Asean, l’associazione del sud est asiatico che domenica organizza a Rangoon una conferenza dei donatori. Ma non intendono autorizzare l’arrivo di elicotteri e navi da guerra statunitensi.
Secondo le associazioni umanitarie per sfamare e curare i sopravissuti è necessario un massiccio intervento della comunità internazionale simile a quello che si è visto per la tragedia dello tsumani nel 2004. L’arrivo delle piogge monsoniche rischia di aggravare ulteriormente le precarie condizioni degli abitanti della vasta zona del delta dove il raccolto di riso è andato completamente perduto.
Intanto continua l’altra gravissima emergenza in Cina dove l’autorità hanno aggiornato il bilancio del terremoto nel Sichuan ad oltre 70 mila morti. A otto giorni dal sisma i soccorritori hanno trovato vivo un uomo di 31 anni nella contea del Wenchuan e una donna di 60 anni sopravissuta grazie all’acqua piovana. Le autorità cinesi hanno inoltre smentito l’allarme per una scossa di grande potenza.
lunedì 19 maggio 2008
Birmania, nuove pressioni da Asean e Onu per i aiuti a superstiti del ciclone Nargis
In onda su Radio Vaticana
La comunità internazionale sta raddoppiando gli sforzi per convincere la giunta militare birmana ad aprire le porte agli aiuti. Le autorità hanno cominciato a concedere i visti d’ingresso ad alcuni medici provenienti da altri Paesi asiatici. Le dieci nazioni dell’Asean stanno mettendo a punto una task force e nel fine settimana organizzeranno a Rangoon insieme all’Onu una conferenza dei Paesi donatori. Domani parte da New York anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon intenzionato a incontrare i generali che oggi hanno proclamato tre giorni di lutto per i 134 mila morti e dispersi del ciclone Nargis.
E’ lutto anche in Cina dove ieri pomeriggio alle 2,28 ora locale l’intera nazione, da piazza Tiennamen ai casinò di Macao, si è fermata per tre minuti di silenzio per commemorare le 71 mila vittime del sisma che 8 giorni fa ha devastato il Sichuan. Era dalla morte di Mao che la Cina non osservava un lutto nazionale. Intanto continuano le scosse di assestamento. Una notizia di un nuovo terremoto data da una tv locale ieri sera ha scatenato il panico a Chengdu dove migliaia di persone hanno lasciato le case e hanno passato la notte in strada.
La comunità internazionale sta raddoppiando gli sforzi per convincere la giunta militare birmana ad aprire le porte agli aiuti. Le autorità hanno cominciato a concedere i visti d’ingresso ad alcuni medici provenienti da altri Paesi asiatici. Le dieci nazioni dell’Asean stanno mettendo a punto una task force e nel fine settimana organizzeranno a Rangoon insieme all’Onu una conferenza dei Paesi donatori. Domani parte da New York anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon intenzionato a incontrare i generali che oggi hanno proclamato tre giorni di lutto per i 134 mila morti e dispersi del ciclone Nargis.
E’ lutto anche in Cina dove ieri pomeriggio alle 2,28 ora locale l’intera nazione, da piazza Tiennamen ai casinò di Macao, si è fermata per tre minuti di silenzio per commemorare le 71 mila vittime del sisma che 8 giorni fa ha devastato il Sichuan. Era dalla morte di Mao che la Cina non osservava un lutto nazionale. Intanto continuano le scosse di assestamento. Una notizia di un nuovo terremoto data da una tv locale ieri sera ha scatenato il panico a Chengdu dove migliaia di persone hanno lasciato le case e hanno passato la notte in strada.
India-Pakistan riprendono dialogo tra tensione in Kashmir e strage di Jaipur
Su Apcom
Tra nuove tensioni sul confine del Kashmir e il sospetto della presenza di gruppi integralisti pachistani dietro la strage di Jaipur, riprendono domani i colloqui tra India e Pakistan. Il dialogo era stato interrotto dalla crisi interna innescata dal presidente Pervez Musharraf lo scorso novembre con la dichiarazione dello stato di emergenza. E’ la prima volta che Nuova Delhi incontra i rappresentanti del nuovo governo democratico che si è insediato a Islamabad dopo le elezioni legislative di febbraio vinte dal Partito Popolare Pachistano di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto e dal suo ex rivale Nawaz Sharif.
Si tratta di un momento di tensione nelle relazioni tra i due rivali asiatici che dal 2004 hanno avviato un processo di pace che ha portato a notevoli passi in avanti per quanto riguarda i collegamenti stradali e ferroviari, la distensione nucleare e gli scambi commerciali, senza mai arrivare però alla soluzione del nodo cruciale della disputa sul Kashmir. Proprio lungo la “linea di controllo”, come è chiamato il fronte dove sono schierati i due eserciti, l’artiglieria pesante è di nuovo entrata in azione lo scorso 14 maggio rompendo un silenzio di oltre 4 anni. Il governo indiano ha accusato il Pakistan di aver violato l’accordo di cessate il fuoco del novembre 2003. Inoltre oggi, mentre il sottosegretario alla difesa Shiv Shankar Menon volava a Islamabad per preparare i colloqui, un soldato indiano è stato ucciso in uno scontro a fuoco nel settore di Poonch, a 500 chilometri a sud di Srinagar. Non sarebbe chiaro se a sparare sono stati i soldati pachistani dalle postazioni lungo la linea di controllo oppure alcuni militanti islamici che cercavano di infiltrarsi nel territorio controllato dagli indiani.
Secondo i vertici militari indiani ci sarebbe stata nelle ultime settimane un’impennata nei tentativi di infiltrazione di sospetti militanti islamici in coincidenza con lo scioglimento della neve sui picchi himalayani. Gli investigatori indiani hanno reso noto oggi l’identikit di sette sospetti attentatori che il 13 maggio hanno piazzato le bombe nei mercati di Jaipur uccidendo 63 persone. La pista sarebbe quella islamica e porterebbe a gruppi di fondamentalisti operanti in Bangladesh o in Pakistan. A differenza del passato, però il governo indiano non ha lanciato direttamente accuse a Islamabad con cui ha avviato due anni fa una collaborazione in materia di anti terrorismo.
Dopo i colloqui preparatori tra le due delegazioni ministeriali domani, mercoledì si terrà il vertice bilaterale tra il ministro indiano degli esteri Pranab Mukherjee e il suo omologo Shah Mahmood Qureshi.
Tra nuove tensioni sul confine del Kashmir e il sospetto della presenza di gruppi integralisti pachistani dietro la strage di Jaipur, riprendono domani i colloqui tra India e Pakistan. Il dialogo era stato interrotto dalla crisi interna innescata dal presidente Pervez Musharraf lo scorso novembre con la dichiarazione dello stato di emergenza. E’ la prima volta che Nuova Delhi incontra i rappresentanti del nuovo governo democratico che si è insediato a Islamabad dopo le elezioni legislative di febbraio vinte dal Partito Popolare Pachistano di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto e dal suo ex rivale Nawaz Sharif.
Si tratta di un momento di tensione nelle relazioni tra i due rivali asiatici che dal 2004 hanno avviato un processo di pace che ha portato a notevoli passi in avanti per quanto riguarda i collegamenti stradali e ferroviari, la distensione nucleare e gli scambi commerciali, senza mai arrivare però alla soluzione del nodo cruciale della disputa sul Kashmir. Proprio lungo la “linea di controllo”, come è chiamato il fronte dove sono schierati i due eserciti, l’artiglieria pesante è di nuovo entrata in azione lo scorso 14 maggio rompendo un silenzio di oltre 4 anni. Il governo indiano ha accusato il Pakistan di aver violato l’accordo di cessate il fuoco del novembre 2003. Inoltre oggi, mentre il sottosegretario alla difesa Shiv Shankar Menon volava a Islamabad per preparare i colloqui, un soldato indiano è stato ucciso in uno scontro a fuoco nel settore di Poonch, a 500 chilometri a sud di Srinagar. Non sarebbe chiaro se a sparare sono stati i soldati pachistani dalle postazioni lungo la linea di controllo oppure alcuni militanti islamici che cercavano di infiltrarsi nel territorio controllato dagli indiani.
Secondo i vertici militari indiani ci sarebbe stata nelle ultime settimane un’impennata nei tentativi di infiltrazione di sospetti militanti islamici in coincidenza con lo scioglimento della neve sui picchi himalayani. Gli investigatori indiani hanno reso noto oggi l’identikit di sette sospetti attentatori che il 13 maggio hanno piazzato le bombe nei mercati di Jaipur uccidendo 63 persone. La pista sarebbe quella islamica e porterebbe a gruppi di fondamentalisti operanti in Bangladesh o in Pakistan. A differenza del passato, però il governo indiano non ha lanciato direttamente accuse a Islamabad con cui ha avviato due anni fa una collaborazione in materia di anti terrorismo.
Dopo i colloqui preparatori tra le due delegazioni ministeriali domani, mercoledì si terrà il vertice bilaterale tra il ministro indiano degli esteri Pranab Mukherjee e il suo omologo Shah Mahmood Qureshi.
venerdì 16 maggio 2008
Motobomba a Colombo contro un bus della polizia. Nove morti e decine di feriti
In onda su Radio Svizzera Italiana
E’ un’area ad alta sicurezza di Colombo quella colpita dall’attacco suicida avvenuto a mezzogiorno ora locale. Secondo quanto ha riferito un portavoce militare, un presunto attentatore a bordo di una motocicletta imbottita di esplosivo si sarebbe lanciato contro un bus della polizia che era diretto negli uffici presidenziali dove oggi era prevista la cerimonia di giuramento del nuovo governo locale della provincia orientale di Trincomalee dove sabato si sono svolte le prime elezioni dopo 20 anni. La deflagrazione è stata potente e ha mandato in frantumi le finestre dell’hotel Hilton e delle due torri del World Trade Center, obiettivo in passato di sanguinosi attacchi delle Tigri Tamil. Anche questa volta il governo punta il dito contro i ribelli tamil che starebbero perdendo terreno negli scontri in atto nel nord dell’isola. Il primo ministro Ratnasiri Wikremanayake aveva detto qualche giorno fa che le forze governative erano vicine alla vittoria e che il leder delle Tigri, Velupillai Prabakaran aveva i giorni contati. Lo scorso gennaio il governo di Colombo aveva ufficialmente dichiarato la rottura la tregua di 6 anni fa che dopo la ripresa dei combattimenti nel 2006 era solo più sulla carta. Dopo aver riconquistato la parte nord orientale dell’isola, il governo cingalese sabato aveva indetto le elezioni vinte da un controverso partito tamil pro governativo composto da ex guerriglieri che si erano staccati dal movimento delle Tigri Tamil.
E’ un’area ad alta sicurezza di Colombo quella colpita dall’attacco suicida avvenuto a mezzogiorno ora locale. Secondo quanto ha riferito un portavoce militare, un presunto attentatore a bordo di una motocicletta imbottita di esplosivo si sarebbe lanciato contro un bus della polizia che era diretto negli uffici presidenziali dove oggi era prevista la cerimonia di giuramento del nuovo governo locale della provincia orientale di Trincomalee dove sabato si sono svolte le prime elezioni dopo 20 anni. La deflagrazione è stata potente e ha mandato in frantumi le finestre dell’hotel Hilton e delle due torri del World Trade Center, obiettivo in passato di sanguinosi attacchi delle Tigri Tamil. Anche questa volta il governo punta il dito contro i ribelli tamil che starebbero perdendo terreno negli scontri in atto nel nord dell’isola. Il primo ministro Ratnasiri Wikremanayake aveva detto qualche giorno fa che le forze governative erano vicine alla vittoria e che il leder delle Tigri, Velupillai Prabakaran aveva i giorni contati. Lo scorso gennaio il governo di Colombo aveva ufficialmente dichiarato la rottura la tregua di 6 anni fa che dopo la ripresa dei combattimenti nel 2006 era solo più sulla carta. Dopo aver riconquistato la parte nord orientale dell’isola, il governo cingalese sabato aveva indetto le elezioni vinte da un controverso partito tamil pro governativo composto da ex guerriglieri che si erano staccati dal movimento delle Tigri Tamil.
giovedì 15 maggio 2008
Primo vertice in Russia per i Bric
Su Apcom
I ministri degli esteri delle maggiori quattro economie emergenti si incontrano domani in Russia per il primo vertice dei Bric, una sigla coniata nel 2001 da Goldman Sachs per indicare Brasile, Russia, India e Cina. Si tratta della prima riunione fuori dall’ambito dell’assemblea generale delle Nazioni Unite dove finora si sono tenuti due incontri informali nel 2006 e 2007. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee è già arrivato a Yekaterinburg per partecipare alla trilaterale India-Russia-Cina a cui si aggiungerà domani il ministro degli esteri brasiliano Celso Amorin.
Al centro delle discussioni ci saranno la crisi alimentare ed energetica, ma anche il terrorismo islamico e i rischi di proliferazione nucleare. Sia l’India che la Cina stanno soffrendo le conseguenze di un’inflazione importata a causa del caro petrolio e dell’aumento dei prezzi agricoli. C’è anche il timore che la recessione in corso negli Stati Uniti possa rallentare la loro crescita economica. A marzo la produzione industriale indiana è precipitata al 3% dal 14,8% registrata lo scorso anno nello stesso mese. Gli Stati Uniti hanno accusato i due giganti asiatici della scarsità mondiale dei prodotti alimentari.
Nel 2007 i paesi Bric hanno prodotto il 12% della ricchezza mondiale. Secondo un rapporto di Goldman Sachs nel 2035 le loro economie potrebbero superare quelle dei sette Paesi più industrializzati.
I ministri degli esteri delle maggiori quattro economie emergenti si incontrano domani in Russia per il primo vertice dei Bric, una sigla coniata nel 2001 da Goldman Sachs per indicare Brasile, Russia, India e Cina. Si tratta della prima riunione fuori dall’ambito dell’assemblea generale delle Nazioni Unite dove finora si sono tenuti due incontri informali nel 2006 e 2007. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee è già arrivato a Yekaterinburg per partecipare alla trilaterale India-Russia-Cina a cui si aggiungerà domani il ministro degli esteri brasiliano Celso Amorin.
Al centro delle discussioni ci saranno la crisi alimentare ed energetica, ma anche il terrorismo islamico e i rischi di proliferazione nucleare. Sia l’India che la Cina stanno soffrendo le conseguenze di un’inflazione importata a causa del caro petrolio e dell’aumento dei prezzi agricoli. C’è anche il timore che la recessione in corso negli Stati Uniti possa rallentare la loro crescita economica. A marzo la produzione industriale indiana è precipitata al 3% dal 14,8% registrata lo scorso anno nello stesso mese. Gli Stati Uniti hanno accusato i due giganti asiatici della scarsità mondiale dei prodotti alimentari.
Nel 2007 i paesi Bric hanno prodotto il 12% della ricchezza mondiale. Secondo un rapporto di Goldman Sachs nel 2035 le loro economie potrebbero superare quelle dei sette Paesi più industrializzati.
mercoledì 14 maggio 2008
Ciclone Nargis, i morti potrebbero essere 128 mila secondo CRI
In onda su Radio Vaticana
Secondo le stime della Croce Rossa Internazionale potrebbe toccare i 128 mila morti il bilancio delle vittime del ciclone che il 3 maggio ha devastato il Myanmar meridionale. Una cifra che è molto superiore a quella dichiarata dal governo che continua a rifiutare l’assistenza degli operatori umanitari stranieri. Sulla base di informazioni ricevute dalla rete locale della Croce Rossa, si pensa che le persone colpite siano 2 milioni e mezzo in urgente bisogno di cibo, acqua e medicine. Ma l’ufficio umanitario dell’Onu da Ginevra ha dichiarato che finora gli aiuti hanno raggiunto solo 270 mila persone nella vasta regione del delta dell’Irrawaddy.
Intanto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, dopo una riunione di emergenza, ha annunciato che invierà nei prossimi giorni il suo vice John Holmes a Rangoon per convincere la giunta militare ad accettare in larga scala l’aiuto offerto dalla comunità internazionale. Le autorità birmane avrebbero però deciso di autorizzare un team di soccorritori inviato dall’Asean, l’associazione dei paesi del sud est asiatico di cui fa parte anche il Myamnar.
Secondo le stime della Croce Rossa Internazionale potrebbe toccare i 128 mila morti il bilancio delle vittime del ciclone che il 3 maggio ha devastato il Myanmar meridionale. Una cifra che è molto superiore a quella dichiarata dal governo che continua a rifiutare l’assistenza degli operatori umanitari stranieri. Sulla base di informazioni ricevute dalla rete locale della Croce Rossa, si pensa che le persone colpite siano 2 milioni e mezzo in urgente bisogno di cibo, acqua e medicine. Ma l’ufficio umanitario dell’Onu da Ginevra ha dichiarato che finora gli aiuti hanno raggiunto solo 270 mila persone nella vasta regione del delta dell’Irrawaddy.
Intanto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, dopo una riunione di emergenza, ha annunciato che invierà nei prossimi giorni il suo vice John Holmes a Rangoon per convincere la giunta militare ad accettare in larga scala l’aiuto offerto dalla comunità internazionale. Le autorità birmane avrebbero però deciso di autorizzare un team di soccorritori inviato dall’Asean, l’associazione dei paesi del sud est asiatico di cui fa parte anche il Myamnar.
Attentato Jaipur, imposto il coprifuoco e identificato chi ha trovato nove biciclette
Su Apcom
E’ deserta oggi Jaipur dopo il sanguinoso attentato esplosivo che ha causato 80 morti e un centinaio di feriti. Per precauzione le autorità rajasthane hanno imposto il coprifuoco dalle 9 alle 18. I negozi del grande bazar che sorge interno delle mura di pietra arenaria rosa hanno tenuto le saracinesche chiuse. Gli ordigni, riempiti di sfere di acciaio, sarebbero stati otto azionati da sveglie elettroniche e nascosti in borse e zaini posate nei portapacchi di biciclette. Con una precisa tempistica, le deflagrazioni sono avvenute nell’arco di 20 minuti dopo le sette ora locale, un’ora di massimo affollamento del centro storico. Una nona bomba è stata disinnescata in seguito. Hanno colpito il rione di Chandpol, Manik Chowk, Badi Chopad, Johari Bazar, Sangneri Gate e fuori la cinta muraria il popolare tempio del dio Hanuman, uno dei più antichi e venerati di Jaipur. Molte delle vittime erano fedeli radunati per l’offerta religiosa della sera. Ci sarebbe anche una coppia di sposi. Il martedì è il giorno dedicato a questa divinità che ha le sembianze di una scimmia.
Il circuito televisivo privato Cnn-Ibn ha detto che gli investigatori sono risaliti al negozio in cui nove biciclette di diverse marche sarebbero state comprate in uno stesso giorno e hanno identificato l’acquirente. L’identikit sarà diffuso oggi.
L’uso delle biciclette ricorda l’attentato a catena di Malegaon durante una festività mussulmana nel settembre 2009 in Maharastra (38 morti) e quello ai palazzi di giustizia dell’Uttar Pradesh di sei mesi fa (13 mortu), che è stata anche l’ultima strage di matrice terroristica.
Il governo indiano sospetta la partecipazione di gruppi estremisti “stranieri”. Il primo accusato è “Lashkar-e-Taiba” (l’Esercito dei Puri), un gruppo di Lahore attivo in Kashmir che avrebbe dei legami con il Simi, il Movimento Studentesco Islamico, un’organizzazione fuorilegge in India ritenuta responsabile di alcuni attacchi in passato. A Jaipur, una città dove non ci sono mai state tensioni con la minoranza mussulmana, il Simi avrebbe una considerevole presenza, secondo i servizi segreti indiani. Un altro sospettato è l’Harkat-ul-Jehad-e-Islami, un gruppo che ha le sue basi in Bangladesh e che sarebbe legato ad Al Qaeda.
Ci sarebbe stato nelle ultime settimane anche un aumento dell’infiltrazione di presunti militanti islamici attraverso la linea di controllo in Kashmir. Il nuovo governo pachistano guidato dal partito di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, aveva mostrato alcune aperture sulla questione kashmira. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee sarà a Islamabad il 21 maggio. Alcuni quotidiani stamattina inoltre mettono in relazione la strage con il decimo anniversario dei test atomici di Pokhram, località del Rajasthan, che ricorre proprio in questi giorni.
E’ deserta oggi Jaipur dopo il sanguinoso attentato esplosivo che ha causato 80 morti e un centinaio di feriti. Per precauzione le autorità rajasthane hanno imposto il coprifuoco dalle 9 alle 18. I negozi del grande bazar che sorge interno delle mura di pietra arenaria rosa hanno tenuto le saracinesche chiuse. Gli ordigni, riempiti di sfere di acciaio, sarebbero stati otto azionati da sveglie elettroniche e nascosti in borse e zaini posate nei portapacchi di biciclette. Con una precisa tempistica, le deflagrazioni sono avvenute nell’arco di 20 minuti dopo le sette ora locale, un’ora di massimo affollamento del centro storico. Una nona bomba è stata disinnescata in seguito. Hanno colpito il rione di Chandpol, Manik Chowk, Badi Chopad, Johari Bazar, Sangneri Gate e fuori la cinta muraria il popolare tempio del dio Hanuman, uno dei più antichi e venerati di Jaipur. Molte delle vittime erano fedeli radunati per l’offerta religiosa della sera. Ci sarebbe anche una coppia di sposi. Il martedì è il giorno dedicato a questa divinità che ha le sembianze di una scimmia.
Il circuito televisivo privato Cnn-Ibn ha detto che gli investigatori sono risaliti al negozio in cui nove biciclette di diverse marche sarebbero state comprate in uno stesso giorno e hanno identificato l’acquirente. L’identikit sarà diffuso oggi.
L’uso delle biciclette ricorda l’attentato a catena di Malegaon durante una festività mussulmana nel settembre 2009 in Maharastra (38 morti) e quello ai palazzi di giustizia dell’Uttar Pradesh di sei mesi fa (13 mortu), che è stata anche l’ultima strage di matrice terroristica.
Il governo indiano sospetta la partecipazione di gruppi estremisti “stranieri”. Il primo accusato è “Lashkar-e-Taiba” (l’Esercito dei Puri), un gruppo di Lahore attivo in Kashmir che avrebbe dei legami con il Simi, il Movimento Studentesco Islamico, un’organizzazione fuorilegge in India ritenuta responsabile di alcuni attacchi in passato. A Jaipur, una città dove non ci sono mai state tensioni con la minoranza mussulmana, il Simi avrebbe una considerevole presenza, secondo i servizi segreti indiani. Un altro sospettato è l’Harkat-ul-Jehad-e-Islami, un gruppo che ha le sue basi in Bangladesh e che sarebbe legato ad Al Qaeda.
Ci sarebbe stato nelle ultime settimane anche un aumento dell’infiltrazione di presunti militanti islamici attraverso la linea di controllo in Kashmir. Il nuovo governo pachistano guidato dal partito di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, aveva mostrato alcune aperture sulla questione kashmira. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee sarà a Islamabad il 21 maggio. Alcuni quotidiani stamattina inoltre mettono in relazione la strage con il decimo anniversario dei test atomici di Pokhram, località del Rajasthan, che ricorre proprio in questi giorni.
martedì 13 maggio 2008
Jaipur, bilancio sale a 80 morti. Sospettati i gruppi etremisti islamici
On onda su Radio Svizzera
Dopo una tregua di sei mesi, il terrorismo rialza la testa in India con una serie di esplosioni a catena che hanno colpito il cuore di Jaipur, la città di arenaria rosa che è il capoluogo del Rajasthan. Le bombe, otto più una inesplosa, erano state nascoste su biciclette e risciò in alcuni dei bazar più affollati del centro storico vicino al famoso Palazzo dei Venti e davanti al tempio del dio Hanuman durante l’ora della preghiera serale. Secondo la polizia, si è trattato di un attentato organizzato con cura e mirato a causare il massimo numero di vittime.
E’ la prima volta che un attacco terroristico colpisce la turistica Jaipur che è anche il polo indiano delle pietre preziose. Sulla base di similarità con altre stragi degli scorsi tre anni a Varanasi, Mumbai, Malegaon e l’ultima ai palazzi di giustizia in Uttar Pradesh, gli investigatori puntano il dito contro alcune organizzazioni estremistiche islamiche attive in Pakistan e in Bangladesh legate ad Al Qaeda. Ci sarebbe stato nelle ultime settimane anche un aumento dell’infiltrazione di presunti militanti islamici attraverso la linea di controllo in Kashmir. Il nuovo governo pachistano guidato dal partito di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, aveva mostrato alcune aperture sulla questione kashmira. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee sarà a Islamabad il 21 maggio. Alcuni quotidiani stamattina inoltre mettono in relazione la strage con il decimo anniversario dei test atomici di Pokhram, località del Rajasthan, che ricorre proprio in questi giorni.
Dopo una tregua di sei mesi, il terrorismo rialza la testa in India con una serie di esplosioni a catena che hanno colpito il cuore di Jaipur, la città di arenaria rosa che è il capoluogo del Rajasthan. Le bombe, otto più una inesplosa, erano state nascoste su biciclette e risciò in alcuni dei bazar più affollati del centro storico vicino al famoso Palazzo dei Venti e davanti al tempio del dio Hanuman durante l’ora della preghiera serale. Secondo la polizia, si è trattato di un attentato organizzato con cura e mirato a causare il massimo numero di vittime.
E’ la prima volta che un attacco terroristico colpisce la turistica Jaipur che è anche il polo indiano delle pietre preziose. Sulla base di similarità con altre stragi degli scorsi tre anni a Varanasi, Mumbai, Malegaon e l’ultima ai palazzi di giustizia in Uttar Pradesh, gli investigatori puntano il dito contro alcune organizzazioni estremistiche islamiche attive in Pakistan e in Bangladesh legate ad Al Qaeda. Ci sarebbe stato nelle ultime settimane anche un aumento dell’infiltrazione di presunti militanti islamici attraverso la linea di controllo in Kashmir. Il nuovo governo pachistano guidato dal partito di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, aveva mostrato alcune aperture sulla questione kashmira. Il ministro degli esteri indiano Pranab Mukerjee sarà a Islamabad il 21 maggio. Alcuni quotidiani stamattina inoltre mettono in relazione la strage con il decimo anniversario dei test atomici di Pokhram, località del Rajasthan, che ricorre proprio in questi giorni.
Esplosioni a catena a Jaipur, la città "rosa" si tinge di rosso
Su Apcom
Sono state sette esplosioni di “media intensità” secondo la polizia indiana quelle che alle 7.30 ora locale (4 ora italiana) hanno scatenato il panico nel centro storico di Jaipur, la “città rosa”, popolare metà turistica del Rajasthan. La televisione privata Cnn-Ibn parla di un bilancio di 50 morti, mentre i feriti sarebbero circa 150.
Secondo gli investigatori gli ordigni esplosi a pochi minuti l’uno dall’altro erano stati piazzati su alcune biciclette. Un’ottava bomba sarebbe stata trovata e disinnescata. Sarebbe stato usato dell’esplosivo al plastico Rdx già utilizzato in precedenti attentati in India attribuiti a gruppi estremisti islamici pachistani legati ad Al Qaeda. Anche le esplosioni a catena, la scelta dei mercati come bersaglio e di un orario di massimo affollamento fanno pensare ad un attentato organizzato con precisione e con l’intenzione di creare il massimo numero di vittime. Una delle bombe è esplosa nei pressi del famoso tempio di Hanuman, nel mercato di Tripolia, all’interno delle mura, dove ogni martedì centinaia di fedeli vanno a pregare il dio-scimmia. Gli altri attacchi sono avvenuti in popolari mercatini, zeppi di negozi di souvenir e ristoranti. Sono frequentati anche da turisti (che sono pochi però in questa stagione che è la più torrida).
Intanto a Nuova Delhi, che sorge a cinque ore di auto, è scattato lo stato di allerta. L’intelligence indiana non aveva avuto nessun avvertimento, ma la scorsa settimana un gruppo di 15 militanti estremisti erano stati sorpresi dall’esercito indiano mentre si infiltravano attraverso la linea di controllo nel settore di Samba, nel Kashmir indiano. Ne era seguito uno scambio di artiglieria che, il primo dopo cinque anni di cessate il fuoco tra India e Pakistan.
Sono state sette esplosioni di “media intensità” secondo la polizia indiana quelle che alle 7.30 ora locale (4 ora italiana) hanno scatenato il panico nel centro storico di Jaipur, la “città rosa”, popolare metà turistica del Rajasthan. La televisione privata Cnn-Ibn parla di un bilancio di 50 morti, mentre i feriti sarebbero circa 150.
Secondo gli investigatori gli ordigni esplosi a pochi minuti l’uno dall’altro erano stati piazzati su alcune biciclette. Un’ottava bomba sarebbe stata trovata e disinnescata. Sarebbe stato usato dell’esplosivo al plastico Rdx già utilizzato in precedenti attentati in India attribuiti a gruppi estremisti islamici pachistani legati ad Al Qaeda. Anche le esplosioni a catena, la scelta dei mercati come bersaglio e di un orario di massimo affollamento fanno pensare ad un attentato organizzato con precisione e con l’intenzione di creare il massimo numero di vittime. Una delle bombe è esplosa nei pressi del famoso tempio di Hanuman, nel mercato di Tripolia, all’interno delle mura, dove ogni martedì centinaia di fedeli vanno a pregare il dio-scimmia. Gli altri attacchi sono avvenuti in popolari mercatini, zeppi di negozi di souvenir e ristoranti. Sono frequentati anche da turisti (che sono pochi però in questa stagione che è la più torrida).
Intanto a Nuova Delhi, che sorge a cinque ore di auto, è scattato lo stato di allerta. L’intelligence indiana non aveva avuto nessun avvertimento, ma la scorsa settimana un gruppo di 15 militanti estremisti erano stati sorpresi dall’esercito indiano mentre si infiltravano attraverso la linea di controllo nel settore di Samba, nel Kashmir indiano. Ne era seguito uno scambio di artiglieria che, il primo dopo cinque anni di cessate il fuoco tra India e Pakistan.
Agusta Westland, contratto per fornitura elicotteri per VIP
Su Apcom
Agusta Westland starebbe per chiudere un contratto con il governo indiano per la fornitura di 12 elicotteri EH 101 da destinare al trasporto di personalità. Si tratta dello stesso modello di velivoli acquistati due anni fa dalla marina americana per il presidente americano George Bush. Il contratto ha un valore di 400 milioni di euro, ma l’aggiunta di componenti opzionali potrebbe portare la cifra finale a 600 milioni di euro.
L’anglo- italiana Agusta Westland, che appartiene al gruppo Finmeccanica, avrebbe battuto i rivali americani Sikorsky S-92 Superhawk scartati perché poco spaziosi e meno potenti. Gli elicotteri EH 101, conosciuti anche come AW-101, sono stati selezionati sulla base di una “field evaluation” effettuata dall’IAF, l’Indian Air Force che intende usarli per i viaggi del presidente, del primo ministro e di altre personalità indiane.
Nel gennaio 2005 gli Stati Uniti avevano firmato un ordine per la fornitura di 23 elicotteri AW-101 da introdurre nella nuova flotta di “Marine one” della Casa Bianca.
Agusta Westland starebbe per chiudere un contratto con il governo indiano per la fornitura di 12 elicotteri EH 101 da destinare al trasporto di personalità. Si tratta dello stesso modello di velivoli acquistati due anni fa dalla marina americana per il presidente americano George Bush. Il contratto ha un valore di 400 milioni di euro, ma l’aggiunta di componenti opzionali potrebbe portare la cifra finale a 600 milioni di euro.
L’anglo- italiana Agusta Westland, che appartiene al gruppo Finmeccanica, avrebbe battuto i rivali americani Sikorsky S-92 Superhawk scartati perché poco spaziosi e meno potenti. Gli elicotteri EH 101, conosciuti anche come AW-101, sono stati selezionati sulla base di una “field evaluation” effettuata dall’IAF, l’Indian Air Force che intende usarli per i viaggi del presidente, del primo ministro e di altre personalità indiane.
Nel gennaio 2005 gli Stati Uniti avevano firmato un ordine per la fornitura di 23 elicotteri AW-101 da introdurre nella nuova flotta di “Marine one” della Casa Bianca.
lunedì 12 maggio 2008
Ciclone Nargis, arrivano altri aerei di soccorso americani
In onda su Radio Vaticana
Altri due aerei statunitensi con a bordo acqua, zanzariere e tende dovrebbero arrivare oggi a Rangoon dove ad oltre dieci giorni dal disastro del ciclone Nargis stanno affluendo con regolarità gli aiuti internazionali. La giunta birmana ha allentato le restrizioni sui voli di soccorso, ma non sull’ingresso di operatori umanitari stranieri. Ci sarebbero ancora molti ostacoli sulla distribuzione dei soccorsi nelle zone del delta dell’Irrawaddy come ha denunciato l’organizzazione Medici senza Frontiere che ieri ha inviato il suo primo aereo. Il Pam ha detto che solo una piccola parte del materiale inviato a Rangoon ha finora raggiunto le popolazioni sinistrate. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ieri ha severamente criticato le autorità birmane per i ritardi e le inefficienze nell’affrontare la gravissima crisi umanitaria che sta affliggendo oltre un milione e mezzo di persone.
Intanto oggi la presidenza slovena dell’Unione Europea ha convocato una riunione di urgenza dei ministri responsabili degli aiuti per discutere di eventuali pressioni sulla giunta militare.
Altri due aerei statunitensi con a bordo acqua, zanzariere e tende dovrebbero arrivare oggi a Rangoon dove ad oltre dieci giorni dal disastro del ciclone Nargis stanno affluendo con regolarità gli aiuti internazionali. La giunta birmana ha allentato le restrizioni sui voli di soccorso, ma non sull’ingresso di operatori umanitari stranieri. Ci sarebbero ancora molti ostacoli sulla distribuzione dei soccorsi nelle zone del delta dell’Irrawaddy come ha denunciato l’organizzazione Medici senza Frontiere che ieri ha inviato il suo primo aereo. Il Pam ha detto che solo una piccola parte del materiale inviato a Rangoon ha finora raggiunto le popolazioni sinistrate. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ieri ha severamente criticato le autorità birmane per i ritardi e le inefficienze nell’affrontare la gravissima crisi umanitaria che sta affliggendo oltre un milione e mezzo di persone.
Intanto oggi la presidenza slovena dell’Unione Europea ha convocato una riunione di urgenza dei ministri responsabili degli aiuti per discutere di eventuali pressioni sulla giunta militare.
Tour eno gastronomico di 15 consorzi del Made in Italy
Su Apcom
Dal Parmigiano Reggiano alla mortadella di Bologna, dal kiwi giallo al Brunello di Montalcino. I marchi più conosciuti della cucina italiana sono i protagonisti di un tour eno-gastronomico organizzato dal consorzio Opera, che raggruppa 15 cooperative italiane nei settori della pasta, formaggi, salumi, frutta e verdura, vino e olio d’oliva, ovvero gli ingredienti base della cucina mediterranea.
Il programma è iniziato ieri a Nuova Delhi con la presentazione alla stampa indiana in un ristorante italiano della capitale e proseguirà fino al 16 maggio con una serie di degustazioni, seminari e incontri con importatori e buyers. La promozione toccherà nei prossimi giorni anche le città di Mumbai, Bangalore e Hyderabad.
“Si tratta di far conoscere i nostri prodotti non solo nei ristoranti e nelle catene alberghiere, ma anche nella grande distribuzione che inizia a nascere in India” ha detto Antonello Ciambriello, uno dei responsabili di Fedagri/Confcooperative. Un incontro importante per esempio sarà quello con i responsabili di Reliance Fresh che intende lanciare nei prossimi anni centinaia di supermercati di quartiere con prodotti dell’ortofrutta acquistati direttamente dai contadini. La struttura distributiva presenta ancora dei grossi ritardi e carenze soprattutto per quanto riguarda il settore del vino, su cui gravano ancora pesanti dazi doganali. All’orizzonte c’è però l’apertura di numerosi centri commerciali. Se nei prossimi anni continuerà l’espansione economica indiana si affaccerà sul mercato una nuova classe di consumatori medio-alti oggi stimati in circa 50 milioni.
Il consorzio Opera è stato promosso nel 2007 da Fedagri/Confcooperative e rappresenta un fatturato di 3 miliardi di euro. Il tour indiano fa parte di un programma finanziato dall’Unione europea e dallo Stato italiano per far conoscere i sapori e i benefici della dieta mediterranea. Tra i prodotti che hanno attirato l’attenzione c’è stato il Jingold kiwi, un kiwi a polpa gialla coltivato in esclusiva mondiale da un consorzio italiano e distribuito da Naturitalia. Ha il vantaggio di avere un elevato contenuto zuccherino e un contenuto vitaminico maggiore della varietà tradizionale a polpa verde.
Dal Parmigiano Reggiano alla mortadella di Bologna, dal kiwi giallo al Brunello di Montalcino. I marchi più conosciuti della cucina italiana sono i protagonisti di un tour eno-gastronomico organizzato dal consorzio Opera, che raggruppa 15 cooperative italiane nei settori della pasta, formaggi, salumi, frutta e verdura, vino e olio d’oliva, ovvero gli ingredienti base della cucina mediterranea.
Il programma è iniziato ieri a Nuova Delhi con la presentazione alla stampa indiana in un ristorante italiano della capitale e proseguirà fino al 16 maggio con una serie di degustazioni, seminari e incontri con importatori e buyers. La promozione toccherà nei prossimi giorni anche le città di Mumbai, Bangalore e Hyderabad.
“Si tratta di far conoscere i nostri prodotti non solo nei ristoranti e nelle catene alberghiere, ma anche nella grande distribuzione che inizia a nascere in India” ha detto Antonello Ciambriello, uno dei responsabili di Fedagri/Confcooperative. Un incontro importante per esempio sarà quello con i responsabili di Reliance Fresh che intende lanciare nei prossimi anni centinaia di supermercati di quartiere con prodotti dell’ortofrutta acquistati direttamente dai contadini. La struttura distributiva presenta ancora dei grossi ritardi e carenze soprattutto per quanto riguarda il settore del vino, su cui gravano ancora pesanti dazi doganali. All’orizzonte c’è però l’apertura di numerosi centri commerciali. Se nei prossimi anni continuerà l’espansione economica indiana si affaccerà sul mercato una nuova classe di consumatori medio-alti oggi stimati in circa 50 milioni.
Il consorzio Opera è stato promosso nel 2007 da Fedagri/Confcooperative e rappresenta un fatturato di 3 miliardi di euro. Il tour indiano fa parte di un programma finanziato dall’Unione europea e dallo Stato italiano per far conoscere i sapori e i benefici della dieta mediterranea. Tra i prodotti che hanno attirato l’attenzione c’è stato il Jingold kiwi, un kiwi a polpa gialla coltivato in esclusiva mondiale da un consorzio italiano e distribuito da Naturitalia. Ha il vantaggio di avere un elevato contenuto zuccherino e un contenuto vitaminico maggiore della varietà tradizionale a polpa verde.
Ciclone Nargis, affondato un batello della Croce Rossa
In onda su Radio Vaticana
Mentre è salito il bilancio ufficiale delle vittime del ciclone Nargis, un battello della Croce Rossa Internazionale è affondato ieri nel fiume Irrawaddy. A bordo c’erano generi alimentari sufficienti a sfamare mille persone, 5 mila litri di acqua potabile e 10 mila tavolette di cloro più altro materiale destinato ai sopravvissuti. Secondo i responsabili qualcosa sarebbe stato recuperato, ma ovviamente non il cibo. Nel delta, ancora in parte sommerso, due milioni di superstiti si trovano in condizioni disperate. Dopo i ritardi della scorsa settimana le autorità hanno sbloccato gli aiuti internazionali, compreso un C130 americano che dovrebbe partire oggi. Ieri è arrivato a Rangoon un aereo del Pam con 30 tonnellate di materiale di soccorso.
Il bilancio delle vittime è salito a oltre 28 mila morti, mentre i dispersi sarebbero 33 mila secondo quanto riferito dalla televisione di stato. Il ministro degli esteri britannico David Miliband ieri ha accusato la giunta di trasformare un “disastro naturale in una catastrofe umanitaria di proporzioni epiche”.
Intanto il commissario europeo all’aiuto umanitario Louis Michel ha convocato per domani una riunione d’urgenza dei ministri per l’aiuto allo sviluppo per discutere dell’emergenza birmana.
Mentre è salito il bilancio ufficiale delle vittime del ciclone Nargis, un battello della Croce Rossa Internazionale è affondato ieri nel fiume Irrawaddy. A bordo c’erano generi alimentari sufficienti a sfamare mille persone, 5 mila litri di acqua potabile e 10 mila tavolette di cloro più altro materiale destinato ai sopravvissuti. Secondo i responsabili qualcosa sarebbe stato recuperato, ma ovviamente non il cibo. Nel delta, ancora in parte sommerso, due milioni di superstiti si trovano in condizioni disperate. Dopo i ritardi della scorsa settimana le autorità hanno sbloccato gli aiuti internazionali, compreso un C130 americano che dovrebbe partire oggi. Ieri è arrivato a Rangoon un aereo del Pam con 30 tonnellate di materiale di soccorso.
Il bilancio delle vittime è salito a oltre 28 mila morti, mentre i dispersi sarebbero 33 mila secondo quanto riferito dalla televisione di stato. Il ministro degli esteri britannico David Miliband ieri ha accusato la giunta di trasformare un “disastro naturale in una catastrofe umanitaria di proporzioni epiche”.
Intanto il commissario europeo all’aiuto umanitario Louis Michel ha convocato per domani una riunione d’urgenza dei ministri per l’aiuto allo sviluppo per discutere dell’emergenza birmana.
domenica 11 maggio 2008
Oggi il decimo anniversario di Pokhran II
Su Apcom
In un caldissimo pomeriggio dell’11 maggio 1998 l’allora premier Atal Behari Vajpayee convocò i giornalisti nella sua residenza di Race Court a Nuova Delhi per comunicare che l’India aveva appena compiuto con successo il suo secondo test atomico nel poligono del deserto di Pokhram, in Rajastastan. Gli scienziati indiani in gran segreto avevano fatto esplodere tre bombe nucleari nello stesso sottosuolo del primo test condotto nel 1974 in codice “Smiling Buddha”.
Per l’India fu una giornata di festa e di esaltazione patriottica, mentre per resto del mondo fu una paurosa doccia fredda. Le superpotenze Stati Uniti e Cina furono prese di sorpresa dalla nuova sfida dell’India che dopo il fallito test atomico del 1995 aveva promesso a Washington di abbandonare il programma. L’operazione “Shakti” (in sanscrito signica Forza) dell’11 e 13 maggio fu preparata in due mesi da un quartetto di fisici indiani che per non destare sospetti si erano vestiti come soldati e usavano nomi in codice. I laboratori erano stati camuffati per sfuggire alle immagini satellitari Usa e l’area dell’esplosione trasformato in un campo da cricket, come racconta “The Times of India” in un articolo dedicato ai dieci anni del test. Lo stesso governo di Vajpayee, anziano leader del Bjp, il partito indu nazionalista oggi all’opposizione, fu avvertito solo 48 ore prima.
Le conseguenze furono severe: una risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e pesanti sanzioni sull’importazione di tecnologia nucleare e a “uso duale”. Oltre che dalla Cina la reazione più dura arrivò dal Pakistan che dopo due settimane sperimentò cinque ordigni nucleari tra le montagne del Baluchistan che fecero di nuovo tremare il mondo. Paradossalmente il confronto portò l’anno successivo alla firma di un trattato di pace tra i due rivali asiatici.
Non ci sono celebrazioni particolari in India per il decimo anniversario di Pokhram II. Il luogo del test, un’area di circa 3,5 chilometri quadrati, è oggi chiuso e protetto dall’esercito. Nel villaggio di Khetolai, che sorge ad una manciata di chilometri dal “cratere”, vivono circa 300 famiglie che non hanno ricevuto alcun beneficio da cosa è avvenuto sotto i loro piedi. Subito dopo l’esplosione era sorta la preoccupazione di una possibile contaminazione radioattiva in superficie, ma secondo il Bhabha Atomic Research Centre che ha monitorato la regione per due anni, i valori sarebbero regolari. Nei pressi del villaggio, sulla strada da Jodhpur a Jeisalmer è stato aperto anche un museo e un ristorante con l’idea di creare un’attrazione turistica. Ma pochi ne sono a conoscenza perché non c’è stata una sufficiente promozione.
Nei giorni scorsi l’ex presidente indiano, il mussulmano Abdul Kalam, che è stato uno dei quattro scienziati a organizzare l’esperimento, ha detto in un discorso che l’India “non ha bisogno di un terzo Pokhram “perché non c’è bisogno di metterci alla prova di nuovo a meno che non ci siano delle innovazioni tecnologiche da sperimentare”. Secondo Kalam, che è anche il padre del programma missilistico, i test hanno contribuito al progresso dell’India perché hanno spinto i suoi scienziati a lavorare in “autosufficienza” in un regime di isolamento internazionale.
E’ stato il presidente americano George W. Bush due anni fa ad offrire a Nuova Delhi una collaborazione in materia di energia nucleare in deroga allo status quo internazionale. Il controverso patto, criticato dai partiti comunisti indiani e anche dalla comunità scientifica che teme interferenze americane, deve ancora avere l’ok definitivo. Permetterebbe all’India di sviluppare le sue centrali nucleari e quindi diminuire la sua dipendenza dagli idrocarburi limitando quindi anche l’impatto sul cambiamento del clima.
In un caldissimo pomeriggio dell’11 maggio 1998 l’allora premier Atal Behari Vajpayee convocò i giornalisti nella sua residenza di Race Court a Nuova Delhi per comunicare che l’India aveva appena compiuto con successo il suo secondo test atomico nel poligono del deserto di Pokhram, in Rajastastan. Gli scienziati indiani in gran segreto avevano fatto esplodere tre bombe nucleari nello stesso sottosuolo del primo test condotto nel 1974 in codice “Smiling Buddha”.
Per l’India fu una giornata di festa e di esaltazione patriottica, mentre per resto del mondo fu una paurosa doccia fredda. Le superpotenze Stati Uniti e Cina furono prese di sorpresa dalla nuova sfida dell’India che dopo il fallito test atomico del 1995 aveva promesso a Washington di abbandonare il programma. L’operazione “Shakti” (in sanscrito signica Forza) dell’11 e 13 maggio fu preparata in due mesi da un quartetto di fisici indiani che per non destare sospetti si erano vestiti come soldati e usavano nomi in codice. I laboratori erano stati camuffati per sfuggire alle immagini satellitari Usa e l’area dell’esplosione trasformato in un campo da cricket, come racconta “The Times of India” in un articolo dedicato ai dieci anni del test. Lo stesso governo di Vajpayee, anziano leader del Bjp, il partito indu nazionalista oggi all’opposizione, fu avvertito solo 48 ore prima.
Le conseguenze furono severe: una risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e pesanti sanzioni sull’importazione di tecnologia nucleare e a “uso duale”. Oltre che dalla Cina la reazione più dura arrivò dal Pakistan che dopo due settimane sperimentò cinque ordigni nucleari tra le montagne del Baluchistan che fecero di nuovo tremare il mondo. Paradossalmente il confronto portò l’anno successivo alla firma di un trattato di pace tra i due rivali asiatici.
Non ci sono celebrazioni particolari in India per il decimo anniversario di Pokhram II. Il luogo del test, un’area di circa 3,5 chilometri quadrati, è oggi chiuso e protetto dall’esercito. Nel villaggio di Khetolai, che sorge ad una manciata di chilometri dal “cratere”, vivono circa 300 famiglie che non hanno ricevuto alcun beneficio da cosa è avvenuto sotto i loro piedi. Subito dopo l’esplosione era sorta la preoccupazione di una possibile contaminazione radioattiva in superficie, ma secondo il Bhabha Atomic Research Centre che ha monitorato la regione per due anni, i valori sarebbero regolari. Nei pressi del villaggio, sulla strada da Jodhpur a Jeisalmer è stato aperto anche un museo e un ristorante con l’idea di creare un’attrazione turistica. Ma pochi ne sono a conoscenza perché non c’è stata una sufficiente promozione.
Nei giorni scorsi l’ex presidente indiano, il mussulmano Abdul Kalam, che è stato uno dei quattro scienziati a organizzare l’esperimento, ha detto in un discorso che l’India “non ha bisogno di un terzo Pokhram “perché non c’è bisogno di metterci alla prova di nuovo a meno che non ci siano delle innovazioni tecnologiche da sperimentare”. Secondo Kalam, che è anche il padre del programma missilistico, i test hanno contribuito al progresso dell’India perché hanno spinto i suoi scienziati a lavorare in “autosufficienza” in un regime di isolamento internazionale.
E’ stato il presidente americano George W. Bush due anni fa ad offrire a Nuova Delhi una collaborazione in materia di energia nucleare in deroga allo status quo internazionale. Il controverso patto, criticato dai partiti comunisti indiani e anche dalla comunità scientifica che teme interferenze americane, deve ancora avere l’ok definitivo. Permetterebbe all’India di sviluppare le sue centrali nucleari e quindi diminuire la sua dipendenza dagli idrocarburi limitando quindi anche l’impatto sul cambiamento del clima.
Ciclone Nargis, la vita di un milione e mezzo di senza tetto è in pericolo per rischio di malattie
In onda su Apcom
Secondo l’organizzazione non governativa britannica Oxfam la vita di almeno un milione e mezzo di persone colpite dal ciclone Nargis del 3 maggio sarebbe in pericolo se non arrivano urgentemente i soccorsi. Il rischio è lo scoppiare di epidemie a causa della mancanza di acqua pulita. Secondo la responsabile regionale di Oxfam, Sarah Ireland, ci sono tutti gli elementi per una catastrofe sanitaria di vastissime dimensioni che moltiplicherebbe di diverse volte il bilancio stimato di 100 mila vittime. Sono già emersi casi di dissenteria, colera e malaria tra i superstiti che hanno abbandonato le aree semi sommerse del delta dell’Irrawaddy.
Intanto oggi è partito dalla base di pronto intervento di Brindisi un nuovo volo umanitario dell’Onu , oltre ad aun altro della cooperazione irlandese, diretti a Rangoon. A bordo ci sono 30 tonnellate di aiuti, tra cui sistemi per la purificazione dell’acqua. Altri tre aerei sono già atterrati nell’ex capitale birmana. Sembra che la giunta militare, dopo le continue pressioni della comunità internazionale, abbia allentato le restrizioni che avevano causato molti ritardi nei giorni scorsi. Non ci sono però possibilità, almeno per ora, che il governo permetta l’ingresso di operatori umanitari stranieri.
Per quanto riguarda il referendum costituzionale che si è tenuto ieri in parte del paese, ci sarebbe stata una larghissima partecipazione secondo i giornali di stato. Alcuni seggi elettorali temporanei erano stati montati vicino alle tendopoli degli sfollati per permettere le operazioni di voto che secondo molti sarebbero solo un’operazione di immagine per la giunta birmana al potere da 46 anni.
Secondo l’organizzazione non governativa britannica Oxfam la vita di almeno un milione e mezzo di persone colpite dal ciclone Nargis del 3 maggio sarebbe in pericolo se non arrivano urgentemente i soccorsi. Il rischio è lo scoppiare di epidemie a causa della mancanza di acqua pulita. Secondo la responsabile regionale di Oxfam, Sarah Ireland, ci sono tutti gli elementi per una catastrofe sanitaria di vastissime dimensioni che moltiplicherebbe di diverse volte il bilancio stimato di 100 mila vittime. Sono già emersi casi di dissenteria, colera e malaria tra i superstiti che hanno abbandonato le aree semi sommerse del delta dell’Irrawaddy.
Intanto oggi è partito dalla base di pronto intervento di Brindisi un nuovo volo umanitario dell’Onu , oltre ad aun altro della cooperazione irlandese, diretti a Rangoon. A bordo ci sono 30 tonnellate di aiuti, tra cui sistemi per la purificazione dell’acqua. Altri tre aerei sono già atterrati nell’ex capitale birmana. Sembra che la giunta militare, dopo le continue pressioni della comunità internazionale, abbia allentato le restrizioni che avevano causato molti ritardi nei giorni scorsi. Non ci sono però possibilità, almeno per ora, che il governo permetta l’ingresso di operatori umanitari stranieri.
Per quanto riguarda il referendum costituzionale che si è tenuto ieri in parte del paese, ci sarebbe stata una larghissima partecipazione secondo i giornali di stato. Alcuni seggi elettorali temporanei erano stati montati vicino alle tendopoli degli sfollati per permettere le operazioni di voto che secondo molti sarebbero solo un’operazione di immagine per la giunta birmana al potere da 46 anni.
sabato 10 maggio 2008
Ciclone Nargis, confiscati di nuovo carichi umanitari dalla giunta birmana
In onda su Radio Vaticana
Come è già successo anche oggi i funzionari del governo hanno confiscato due carichi di aiuti inviati dalle Nazioni Unite secondo quanto denunciato dal Pam. Nonostante le pressioni internazionali la giunta militare continua a imporre restrizioni sulla presenza di operatori umanitari stranieri. I soccorsi ai superstiti del ciclone, che sarebbero un milione e mezzo, sarebbero insufficienti. Secondo alcuni esperti, gli aiuti distribuiti sono solo un decimo rispetto ai bisogni che sarebbero enormi. La giornata di oggi è stata dedicata al referendum sulla nuova costituzione che si è tenuto nelle aree del paese che non sono state devastate. Secondo alcuni osservatori che hanno assistito allo spoglio circa l’80 o 90 per cento dei suffragi sarebbe a favore del nuovo testo costituzionale che secondo i generali birmani dovrebbe portare la democrazia nel paese entro i prossimi due annui.
I risultati definitivi saranno resi noti solo dopo il 24 maggio quando andranno al voto anche i distretti del delta dell’Irrawaddy. La nuova costituzione assegna il 25 per cento dei posti ai militari ed esclude da incarichi istituzionali la leader dell’opposizione Aung San Su Kyi.
Come è già successo anche oggi i funzionari del governo hanno confiscato due carichi di aiuti inviati dalle Nazioni Unite secondo quanto denunciato dal Pam. Nonostante le pressioni internazionali la giunta militare continua a imporre restrizioni sulla presenza di operatori umanitari stranieri. I soccorsi ai superstiti del ciclone, che sarebbero un milione e mezzo, sarebbero insufficienti. Secondo alcuni esperti, gli aiuti distribuiti sono solo un decimo rispetto ai bisogni che sarebbero enormi. La giornata di oggi è stata dedicata al referendum sulla nuova costituzione che si è tenuto nelle aree del paese che non sono state devastate. Secondo alcuni osservatori che hanno assistito allo spoglio circa l’80 o 90 per cento dei suffragi sarebbe a favore del nuovo testo costituzionale che secondo i generali birmani dovrebbe portare la democrazia nel paese entro i prossimi due annui.
I risultati definitivi saranno resi noti solo dopo il 24 maggio quando andranno al voto anche i distretti del delta dell’Irrawaddy. La nuova costituzione assegna il 25 per cento dei posti ai militari ed esclude da incarichi istituzionali la leader dell’opposizione Aung San Su Kyi.
venerdì 9 maggio 2008
L'Oni critica la Birmana per respingere gli operatori umanitari stranieri
In onda su Radio Vaticana
Le Nazioni Unite hanno duramente criticato la decisione della junta birmana di rifiutare l’ingresso agli operatori umanitari stranieri limitandosi ad accettare l’aiuto alimentare offerto dalla comunità internazionale. “ E’ una decisione senza precedenti nella storia” ha detto il portavoce del Pam, il Programma Alimentare Mondiale che ha precisato che l’agenzia ha fatto richiesta di dieci visti, ma di avere poche possibilità di ottenerli. Nel comunicato diffuso stamane il governo birmano ha precisato che a distribuire gli aiuti stranieri ai superstiti del ciclone Nargis sarà esclusivamente il personale birmano. Finora sono arrivati a Rangoon 12 aerei charter carichi di viveri e altro materiale.
Secondo gli esperti, il regime militare non sarebbe però in grado di far fronte alla gravissima emergenza che ha colpito un milione e mezzo di persone, la maggior parte nelle aree del delta meridionale dell’Irrawaddy. Secondo alcune testimonianze la situazione sarebbe disastrosa. Mancano soprattutto gli elicotteri in grado di raggiungere quello che rimane dei villaggi che sono ancora in parte sommersi. Un contadino nella zona di Labutta, epicentro del disastro, ha riferito di avere visto decine di cadaveri affiorare dal fango e detriti. E’ paradossale che nonostante la catastrofe, la junta militare abbia fatto appello ai propri cittadini di recarsi alle urne per il referendum costituzionale che si terrà come previsto domani nelle zone non interessate dal ciclone, mentre nel sud devastato e in parte di Rangoon è stato rinviato di qualche settimana.
Le Nazioni Unite hanno duramente criticato la decisione della junta birmana di rifiutare l’ingresso agli operatori umanitari stranieri limitandosi ad accettare l’aiuto alimentare offerto dalla comunità internazionale. “ E’ una decisione senza precedenti nella storia” ha detto il portavoce del Pam, il Programma Alimentare Mondiale che ha precisato che l’agenzia ha fatto richiesta di dieci visti, ma di avere poche possibilità di ottenerli. Nel comunicato diffuso stamane il governo birmano ha precisato che a distribuire gli aiuti stranieri ai superstiti del ciclone Nargis sarà esclusivamente il personale birmano. Finora sono arrivati a Rangoon 12 aerei charter carichi di viveri e altro materiale.
Secondo gli esperti, il regime militare non sarebbe però in grado di far fronte alla gravissima emergenza che ha colpito un milione e mezzo di persone, la maggior parte nelle aree del delta meridionale dell’Irrawaddy. Secondo alcune testimonianze la situazione sarebbe disastrosa. Mancano soprattutto gli elicotteri in grado di raggiungere quello che rimane dei villaggi che sono ancora in parte sommersi. Un contadino nella zona di Labutta, epicentro del disastro, ha riferito di avere visto decine di cadaveri affiorare dal fango e detriti. E’ paradossale che nonostante la catastrofe, la junta militare abbia fatto appello ai propri cittadini di recarsi alle urne per il referendum costituzionale che si terrà come previsto domani nelle zone non interessate dal ciclone, mentre nel sud devastato e in parte di Rangoon è stato rinviato di qualche settimana.
giovedì 8 maggio 2008
Ciclone Nargis, sì agli aiuti, no agli stranieri
In onda su Radio Vaticana
In un comunicato diffuso oggi il governo birmano ha detto che accetta il materiale umanitario, ma rifiuta l’aiuto del personale straniero necessario a coordinare i soccorsi. Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite e della comunità internazionale la giunta militare non sembra intenzionata ad allentare le restrizioni imposte sul rilascio dei visti. Alcuni aerei delle Nazioni Unite e della Croce Rossa Internazionale carichi di generi di prima necessità e in particolare di biscotti ad alto valore energetico sono in arrivo anche oggi, ma l’entità dell’aiuto potrebbe essere molto superiore. Una nave degli Stati Uniti aspetta da giorni al largo il permesso di sbarcare. Finora sono stati ammessi solo gli aiuti di Paese asiatici, come la vicina, l’India che sta inviando tonnellate di viveri, medicinali e generatori per la corrente elettrica.
Secondo una nuova stima dell’Onu sarebbero un milione e 500 mila le persone gravemente colpite dal ciclone Nargis di una settimana fa, mentre si parla ormai diffusamente di 100 mila morti. Ma a preoccupare sono le condizioni dei sopravissuti soprattuto nelle aree rurali del delta meridionale dell’Irrawaddy, che sarebbero ancora in parte isolate dal resto del paese. La televisione birmana ha mostrato le immagini dei militari aiutare gli sfollati e curare i feriti, ma secondo molti esperti i mezzi del governo non sarebbero sufficienti per far fronte ad un’emergenza di così vaste proporzioni.
In un comunicato diffuso oggi il governo birmano ha detto che accetta il materiale umanitario, ma rifiuta l’aiuto del personale straniero necessario a coordinare i soccorsi. Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite e della comunità internazionale la giunta militare non sembra intenzionata ad allentare le restrizioni imposte sul rilascio dei visti. Alcuni aerei delle Nazioni Unite e della Croce Rossa Internazionale carichi di generi di prima necessità e in particolare di biscotti ad alto valore energetico sono in arrivo anche oggi, ma l’entità dell’aiuto potrebbe essere molto superiore. Una nave degli Stati Uniti aspetta da giorni al largo il permesso di sbarcare. Finora sono stati ammessi solo gli aiuti di Paese asiatici, come la vicina, l’India che sta inviando tonnellate di viveri, medicinali e generatori per la corrente elettrica.
Secondo una nuova stima dell’Onu sarebbero un milione e 500 mila le persone gravemente colpite dal ciclone Nargis di una settimana fa, mentre si parla ormai diffusamente di 100 mila morti. Ma a preoccupare sono le condizioni dei sopravissuti soprattuto nelle aree rurali del delta meridionale dell’Irrawaddy, che sarebbero ancora in parte isolate dal resto del paese. La televisione birmana ha mostrato le immagini dei militari aiutare gli sfollati e curare i feriti, ma secondo molti esperti i mezzi del governo non sarebbero sufficienti per far fronte ad un’emergenza di così vaste proporzioni.
Ciclone Nargis, atterrato l'aereo del Pam
In onda su Radio Vaticana
Un aereo del Pam, il Programma Alimentare Mondiale, è atterrato stamattina a Rangoon dopo due giorni di ritardo. Trasporta materiale di soccorso donato dalla cooperazione italiana tra cui medicinali, kit di depurazione dell’acqua e tende. Sempre oggi sono attesi altri tre voli umanitari. Alcuni team dell’Onu avrebbero ottenuto i visti di ingresso per recarsi nelle zone colpite ed effettuare una valutazione dei danni e bisogni per soccorrere circa un milione di sfollati che a sei giorni dal passaggio del ciclone si trovano in condizioni disperate.
Anche se lentamente la giunta militare sta allentando la presa di fronte alla gravità della crisi che con il passare delle ore assume contorni sempre più spaventosi. Secondo in funzionario birmano nella sola località di Labutta, l’epicentro del disastro, nel delta meridionale dell’Irrawaddy, si conterebbero 80 mila morti. Non è invece chiaro se il regime abbia finalmente accettato l’offerta di soccorso degli Stati Uniti dopo le rassicurazioni di Condoleezza Rice. Un C 130 statunitense sta aspettando a Bangkok l’autorizzazione a partire.
Sarebbe stata danneggiata dal passaggio del ciclone fa nell’ex capitale di Rangon anche l’abitazione di Aung Saan Suu Kyi, la dissidente e premio nobel per la pace, ormai da anni agli arresti domiciliari. Secondo testimoni la casa sarebbe stata scoperchiata.
Un aereo del Pam, il Programma Alimentare Mondiale, è atterrato stamattina a Rangoon dopo due giorni di ritardo. Trasporta materiale di soccorso donato dalla cooperazione italiana tra cui medicinali, kit di depurazione dell’acqua e tende. Sempre oggi sono attesi altri tre voli umanitari. Alcuni team dell’Onu avrebbero ottenuto i visti di ingresso per recarsi nelle zone colpite ed effettuare una valutazione dei danni e bisogni per soccorrere circa un milione di sfollati che a sei giorni dal passaggio del ciclone si trovano in condizioni disperate.
Anche se lentamente la giunta militare sta allentando la presa di fronte alla gravità della crisi che con il passare delle ore assume contorni sempre più spaventosi. Secondo in funzionario birmano nella sola località di Labutta, l’epicentro del disastro, nel delta meridionale dell’Irrawaddy, si conterebbero 80 mila morti. Non è invece chiaro se il regime abbia finalmente accettato l’offerta di soccorso degli Stati Uniti dopo le rassicurazioni di Condoleezza Rice. Un C 130 statunitense sta aspettando a Bangkok l’autorizzazione a partire.
Sarebbe stata danneggiata dal passaggio del ciclone fa nell’ex capitale di Rangon anche l’abitazione di Aung Saan Suu Kyi, la dissidente e premio nobel per la pace, ormai da anni agli arresti domiciliari. Secondo testimoni la casa sarebbe stata scoperchiata.
Fiat crea un Ufficio Acquisti centralizzato a Delhi per componenti low cost
Su Apcom
La Fiat ha deciso di concentrare in India gli acquisti di componenti auto low cost per l’intero gruppo. A Nuova Delhi sarà costituito un “Fiat Group Purchasing Office” con l’obiettivo di approvvigionarsi sui mercati emergenti a basso costo come India e Cina.
A dare la notizia è stato Gianni Coda, responsabile di Fiat Group Purchasing Italy, che ha precisato il gruppo intende acquistare componenti per 8,5 miliardi di euro nei prossimi due anni da destinare alle unità produttive in Europa, Asia e America Latina. Secondo quanto riportato da “The Economic Times”, la Fiat intende acquistare da fornitori indiani componenti per 250 milioni di euro circa otto volte di più l’attuale valore di pezzi acquistati in loco.
La decisione fa parte di una nuova strategia di razionalizzare e globalizzazione della rete di approvvigionamento a partire dal 2008 per ridurre i costi e aumentare la competitività della casa torinese. Si rafforzano quindi i legami tra Fiat e India dopo la costituzione della joint venture con Tata Motors per la produzione e commercializzazione di auto, motori e veicoli commerciali.
Il Fiat Group Purchasing Office sarà composto a regime da uno staff di una cinquantina di persone e fornirà parti per Fiat Group Automobiles, Cnh, Iveco e Fiat Powertrain Technologies. L’anno scorso era stato aperto a Shangai un analogo ufficio per il mercato cinese.
La Fiat ha deciso di concentrare in India gli acquisti di componenti auto low cost per l’intero gruppo. A Nuova Delhi sarà costituito un “Fiat Group Purchasing Office” con l’obiettivo di approvvigionarsi sui mercati emergenti a basso costo come India e Cina.
A dare la notizia è stato Gianni Coda, responsabile di Fiat Group Purchasing Italy, che ha precisato il gruppo intende acquistare componenti per 8,5 miliardi di euro nei prossimi due anni da destinare alle unità produttive in Europa, Asia e America Latina. Secondo quanto riportato da “The Economic Times”, la Fiat intende acquistare da fornitori indiani componenti per 250 milioni di euro circa otto volte di più l’attuale valore di pezzi acquistati in loco.
La decisione fa parte di una nuova strategia di razionalizzare e globalizzazione della rete di approvvigionamento a partire dal 2008 per ridurre i costi e aumentare la competitività della casa torinese. Si rafforzano quindi i legami tra Fiat e India dopo la costituzione della joint venture con Tata Motors per la produzione e commercializzazione di auto, motori e veicoli commerciali.
Il Fiat Group Purchasing Office sarà composto a regime da uno staff di una cinquantina di persone e fornirà parti per Fiat Group Automobiles, Cnh, Iveco e Fiat Powertrain Technologies. L’anno scorso era stato aperto a Shangai un analogo ufficio per il mercato cinese.
mercoledì 7 maggio 2008
Ciclone Nargis, ambasciatore Usa parla di 100 mila morti
In onda su Radio Vaticana
Come purtroppo si temeva sarebbe destinato ad aumentare il bilancio del disastro causato sei giorni fa dal ciclone Nargis. La televisione di stato birmana riferisce di quasi 23 mila morti e oltre 41 mila dispersi nel delta meridionale dell’Irrawaddy, ma l’ambasciatore statunitense a Yangoon ha ipotizzato che il bilancio possa salire a 100 mila vittime a causa delle spaventose condizioni in cui si trovano i senzatetto. Il responsabile di uno dei distretti colpiti di Labutta, dove sono ammassati decine di migliaia di sfollati, ha dichiarato stamattina ad un agenzia di stampa che il bilancio potrebbe essere di 80 mila morti. Decine di villaggi sono stati spazzati via dalle ondate provocate dal ciclone. Immagini satellitari mostrano che la regione, una delle più povere e isolate, è ancora sommersa dall’acqua. L’accesso è possibile solamente con imbarcazioni. Ma è ancora difficile avere un quadro preciso delle condizioni dei sopravissuti che con ogni mezzo stanno cercando di raggiungere i centri abitati. Ci sono stati casi di saccheggi di generi alimentari.
Intanto i soccorsi internazionali stanno per arrivare anche se al rallentatore a causa delle restrizioni imposte dalla giunta militare che per ora ha autorizzato un aereo e personale dell’ufficio umanitario dell’Onu. Altri convogli umanitari sarebbero bloccati alla frontiera in attesa dei visti di ingresso che devono essere rilasciati da un apposito ufficio del ministero degli esteri.
Come purtroppo si temeva sarebbe destinato ad aumentare il bilancio del disastro causato sei giorni fa dal ciclone Nargis. La televisione di stato birmana riferisce di quasi 23 mila morti e oltre 41 mila dispersi nel delta meridionale dell’Irrawaddy, ma l’ambasciatore statunitense a Yangoon ha ipotizzato che il bilancio possa salire a 100 mila vittime a causa delle spaventose condizioni in cui si trovano i senzatetto. Il responsabile di uno dei distretti colpiti di Labutta, dove sono ammassati decine di migliaia di sfollati, ha dichiarato stamattina ad un agenzia di stampa che il bilancio potrebbe essere di 80 mila morti. Decine di villaggi sono stati spazzati via dalle ondate provocate dal ciclone. Immagini satellitari mostrano che la regione, una delle più povere e isolate, è ancora sommersa dall’acqua. L’accesso è possibile solamente con imbarcazioni. Ma è ancora difficile avere un quadro preciso delle condizioni dei sopravissuti che con ogni mezzo stanno cercando di raggiungere i centri abitati. Ci sono stati casi di saccheggi di generi alimentari.
Intanto i soccorsi internazionali stanno per arrivare anche se al rallentatore a causa delle restrizioni imposte dalla giunta militare che per ora ha autorizzato un aereo e personale dell’ufficio umanitario dell’Onu. Altri convogli umanitari sarebbero bloccati alla frontiera in attesa dei visti di ingresso che devono essere rilasciati da un apposito ufficio del ministero degli esteri.
Ciclone Nargis, aiuti con il contagocce. Bilancio destinato ad aumentare
In onda su Radio Vaticana
A causa delle restrizioni imposte dalla giunta militare e dell’inagibilità delle strade nel delta dell’Irrawaddy, proseguono a rilento gli aiuti ai sopravissuti del ciclone Nargis. A cinque giorni dal disastro che ha causato quasi 23 mila morti e 41 mila dispersi, c’è il rischio di un’emergenza umanitaria nelle zone sinistrate ancora sommerse dall’acqua dove finora sono arrivati solo gli elicotteri del governo. Mano a mano che l’acqua defluisce sta emergendo una situazione spaventosa come hanno raccontato alcuni testimoni. Nei prossimi giorni il conto delle vittime potrebbe aumentare secondo alcuni responsabili dell’Onu. La macchina dei soccorsi internazionali si è messa in moto con generose offerte di aiuto, ma la giunta birmana sta rallentando il rilascio dei visti d’ingresso agli operatori umanitari. Il ministro degli esteri francese Bernard Couchner ha suggerito l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per convincere la giunta militare ad aprire le frontiere ai soccorsi internazionali. C’è però una notizia positiva. L’aereo del Pam, il Programma Alimentare Mondiale, con 25 tonnellate di aiuti della cooperazione italiana caricati a Brindisi sarebbe in arrivo a Yangoon.
Intanto continuano le polemiche sulla mancata evacuazione delle aree colpite dal potente ciclone il cui passaggio era stato previsto con 48 ore di anticipo. Le autorità birmane hanno detto che la popolazione era stata allertata in tempo, ma non sarebbero state previste le onde e il brusco aumento del livello dei fiumi provocato dalla furia dei venti.
A causa delle restrizioni imposte dalla giunta militare e dell’inagibilità delle strade nel delta dell’Irrawaddy, proseguono a rilento gli aiuti ai sopravissuti del ciclone Nargis. A cinque giorni dal disastro che ha causato quasi 23 mila morti e 41 mila dispersi, c’è il rischio di un’emergenza umanitaria nelle zone sinistrate ancora sommerse dall’acqua dove finora sono arrivati solo gli elicotteri del governo. Mano a mano che l’acqua defluisce sta emergendo una situazione spaventosa come hanno raccontato alcuni testimoni. Nei prossimi giorni il conto delle vittime potrebbe aumentare secondo alcuni responsabili dell’Onu. La macchina dei soccorsi internazionali si è messa in moto con generose offerte di aiuto, ma la giunta birmana sta rallentando il rilascio dei visti d’ingresso agli operatori umanitari. Il ministro degli esteri francese Bernard Couchner ha suggerito l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per convincere la giunta militare ad aprire le frontiere ai soccorsi internazionali. C’è però una notizia positiva. L’aereo del Pam, il Programma Alimentare Mondiale, con 25 tonnellate di aiuti della cooperazione italiana caricati a Brindisi sarebbe in arrivo a Yangoon.
Intanto continuano le polemiche sulla mancata evacuazione delle aree colpite dal potente ciclone il cui passaggio era stato previsto con 48 ore di anticipo. Le autorità birmane hanno detto che la popolazione era stata allertata in tempo, ma non sarebbero state previste le onde e il brusco aumento del livello dei fiumi provocato dalla furia dei venti.
India- Cina, corsa al riarmo nucleare tra missili e sommergibili
Su Apcom
Il test del missile balistico Agni III, lanciato oggi da un’isola della costa orientale dell’Orissa, ha aggiunto un nuovo tassello alla corsa al riarmo di India e Cina. Il missile a testata nucleare ha una gittata di 3000 chilometri ed è quindi in grado di raggiungere Pechino o Shangai. L’Agni III (“agni” in sanscrito significa fuoco) è la punta di diamante dell’arsenale missilistico indiano sviluppato dal Drdo (Defence Research and Development Organization). Si tratta del secondo test andato a buon fine dopo il fallimento del primo lancio nel luglio 2006 quando gli scienziati indiani persero il controllo dell’ordigno finito nelle acque del Golfo del Bengala poco dopo un minuto dalla sua partenza.
L’esperimento di oggi è significativo perché rafforza la capacità di deterrenza dell’India non solo nei confronti del “nemico” Pakistan, ma anche della Cina con cui esiste una notevole “asimmetria” militare. Ma è anche importante perché coincide con un momento di attrito tra i due giganti asiatici entrambi impegnati nella corsa per l’egemonia politica ed economica dell’Oceano Indiano. E’ della scorsa settimana la rivelazione del quotidiano britannico “The Indipendent” che la Cina sta costruendo una base sotterranea segreta in grado di ospitare sommergibili nucleari sull’isola di Hainan, nel Mar della Cina Meridionale. La notizia, corredata di immagini satellitari, ha fatto scattare un campanello di allarme a Nuova Delhi che teme una possibile intrusione di Pechino nella propria area di influenza dell’Oceano Indiano, uno spazio marino strategico per la presenza delle rotte petrolifere e commerciali. La paura è che la Cina “accerchi” l’India con la sua strategia del “filo di perle” che consiste nel costruire legami commerciali e marittimi con l’Africa Orientale, le Seychelles, lo Sri Lanka, Bangladesh, Myanmar e naturalmente il Pakistan, suo migliore alleato, nonché grande beneficiario di tecnologia nucleare e missilistica cinese. La base di Hainan ospiterà i nuovi sottomarini lanciamissili balistici a propulsione nucleare che saranno pronti a partire dal 2010. Secondo gli esperti militari si tratta di un arsenale diretto a controbilanciare le mosse americane nello stretto di Taiwan. Ma i vertici indiani non dormono sonni tranquilli anche perché il divario sia in termini di superiorità tecnologica che di budget per la difesa si sta nettamente allargando. Come faceva notare un esperto militare sul quotidiano “The Times of India”, a Nuova Delhi manca una “gamba” della triade nucleare, ovvero quella dei sommergibili, che è anche quella più importante perché non visibile dai satelliti spia. Da ormai 25 anni l’India sta sviluppando in proprio dei sottomarini nucleari chiamati Atv (Advance Technoly Vessel), mentre di recente ne sta acquistando due dalla Russia, che è il principale fornitore di difesa.
C’è poi un'altra fonte di preoccupazione per l’India che starebbe “soffrendo in silenzio” la pirateria informatica cinese, come scriveva sempre il Times of India la scorsa settimana. Nell’ultimo anno e mezzo, secondo fonti del governo, si sarebbero verificati numerosi attacchi a website di organismi pubblici e anche privati da parte di “hackers” cinesi. Sono stati presi di mira in particolare il sito internet nel National Informatics Center e il sito del Ministero degli Esteri. I cinesi userebbero dei “bot”, ovvero dei programmi nascosti in un network che trasformano i computer in “zombies”, quindi al servizio dei pirati informatici. Anche in materia di “guerra cibernetica” l’India si troverebbe sguarnita e questo sarebbe un’ulteriore fonte di preoccupazione per la sua immagine di polo mondiale dell’IT.
Il test del missile balistico Agni III, lanciato oggi da un’isola della costa orientale dell’Orissa, ha aggiunto un nuovo tassello alla corsa al riarmo di India e Cina. Il missile a testata nucleare ha una gittata di 3000 chilometri ed è quindi in grado di raggiungere Pechino o Shangai. L’Agni III (“agni” in sanscrito significa fuoco) è la punta di diamante dell’arsenale missilistico indiano sviluppato dal Drdo (Defence Research and Development Organization). Si tratta del secondo test andato a buon fine dopo il fallimento del primo lancio nel luglio 2006 quando gli scienziati indiani persero il controllo dell’ordigno finito nelle acque del Golfo del Bengala poco dopo un minuto dalla sua partenza.
L’esperimento di oggi è significativo perché rafforza la capacità di deterrenza dell’India non solo nei confronti del “nemico” Pakistan, ma anche della Cina con cui esiste una notevole “asimmetria” militare. Ma è anche importante perché coincide con un momento di attrito tra i due giganti asiatici entrambi impegnati nella corsa per l’egemonia politica ed economica dell’Oceano Indiano. E’ della scorsa settimana la rivelazione del quotidiano britannico “The Indipendent” che la Cina sta costruendo una base sotterranea segreta in grado di ospitare sommergibili nucleari sull’isola di Hainan, nel Mar della Cina Meridionale. La notizia, corredata di immagini satellitari, ha fatto scattare un campanello di allarme a Nuova Delhi che teme una possibile intrusione di Pechino nella propria area di influenza dell’Oceano Indiano, uno spazio marino strategico per la presenza delle rotte petrolifere e commerciali. La paura è che la Cina “accerchi” l’India con la sua strategia del “filo di perle” che consiste nel costruire legami commerciali e marittimi con l’Africa Orientale, le Seychelles, lo Sri Lanka, Bangladesh, Myanmar e naturalmente il Pakistan, suo migliore alleato, nonché grande beneficiario di tecnologia nucleare e missilistica cinese. La base di Hainan ospiterà i nuovi sottomarini lanciamissili balistici a propulsione nucleare che saranno pronti a partire dal 2010. Secondo gli esperti militari si tratta di un arsenale diretto a controbilanciare le mosse americane nello stretto di Taiwan. Ma i vertici indiani non dormono sonni tranquilli anche perché il divario sia in termini di superiorità tecnologica che di budget per la difesa si sta nettamente allargando. Come faceva notare un esperto militare sul quotidiano “The Times of India”, a Nuova Delhi manca una “gamba” della triade nucleare, ovvero quella dei sommergibili, che è anche quella più importante perché non visibile dai satelliti spia. Da ormai 25 anni l’India sta sviluppando in proprio dei sottomarini nucleari chiamati Atv (Advance Technoly Vessel), mentre di recente ne sta acquistando due dalla Russia, che è il principale fornitore di difesa.
C’è poi un'altra fonte di preoccupazione per l’India che starebbe “soffrendo in silenzio” la pirateria informatica cinese, come scriveva sempre il Times of India la scorsa settimana. Nell’ultimo anno e mezzo, secondo fonti del governo, si sarebbero verificati numerosi attacchi a website di organismi pubblici e anche privati da parte di “hackers” cinesi. Sono stati presi di mira in particolare il sito internet nel National Informatics Center e il sito del Ministero degli Esteri. I cinesi userebbero dei “bot”, ovvero dei programmi nascosti in un network che trasformano i computer in “zombies”, quindi al servizio dei pirati informatici. Anche in materia di “guerra cibernetica” l’India si troverebbe sguarnita e questo sarebbe un’ulteriore fonte di preoccupazione per la sua immagine di polo mondiale dell’IT.
Ciclone Nargis, messaggio del Papa e critiche alla giunta
In onda su Radio Vaticana
Con un telegramma inviato dal cardinale Tarcisio Bertone al presidente della conferenza episcopale del Myanmar, il Papa ha espresso ieri il suo cordoglio per le vittime e gli sfollati del ciclone Nargis e ha fatto appello alla generosità della comunità internazionale. Il Santo Padre si è detto profondamente addolorato dalle notizie delle tragiche conseguenze del disastro e ha espresso la sua solidarietà e preoccupazione alle autorità civili e a tutta la popolazione birmana.
Gli aerei con i primi aiuti di soccorso sono arrivati a Rangoon, ma mancherebbero i mezzi e il personale per iniziare la distribuzione. A quattro giorni dal disastro che ha causato almeno 22 mila morti secondo il bilancio ufficiale, il regime militare birmano è sotto il fuoco delle critiche per bloccare l’ingresso degli operatori umanitari. Le nazioni Unite hanno detto che i loro funzionari stranieri stanno ancora aspettando il visto. Il presidente americano Bush ha fatto appello alla giunta militare di rompere l’isolamento internazionale e accettare l’aiuto degli Stati Uniti.
Intanto il Pam, il Programma Alimentare Mondiale, ha cominciato ieri la distribuzione di viveri nelle zone colpite di Rangoon, mentre sono partiti i convogli umanitari verso il delta dell’Irrawaddy, dove interi villaggi sono stati spazzati via dalle ondate sollevate dal ciclone.
Con un telegramma inviato dal cardinale Tarcisio Bertone al presidente della conferenza episcopale del Myanmar, il Papa ha espresso ieri il suo cordoglio per le vittime e gli sfollati del ciclone Nargis e ha fatto appello alla generosità della comunità internazionale. Il Santo Padre si è detto profondamente addolorato dalle notizie delle tragiche conseguenze del disastro e ha espresso la sua solidarietà e preoccupazione alle autorità civili e a tutta la popolazione birmana.
Gli aerei con i primi aiuti di soccorso sono arrivati a Rangoon, ma mancherebbero i mezzi e il personale per iniziare la distribuzione. A quattro giorni dal disastro che ha causato almeno 22 mila morti secondo il bilancio ufficiale, il regime militare birmano è sotto il fuoco delle critiche per bloccare l’ingresso degli operatori umanitari. Le nazioni Unite hanno detto che i loro funzionari stranieri stanno ancora aspettando il visto. Il presidente americano Bush ha fatto appello alla giunta militare di rompere l’isolamento internazionale e accettare l’aiuto degli Stati Uniti.
Intanto il Pam, il Programma Alimentare Mondiale, ha cominciato ieri la distribuzione di viveri nelle zone colpite di Rangoon, mentre sono partiti i convogli umanitari verso il delta dell’Irrawaddy, dove interi villaggi sono stati spazzati via dalle ondate sollevate dal ciclone.
martedì 6 maggio 2008
Ciclone Nargis ha generato onde devastanti. Rinviato il referendum costituzionale nelle zone colpite
In onda su Radio Vaticana
Secondo quanto ha detto il ministro birmano della protezione sociale Maung Swe, il potente ciclone Nargis avrebbe generato una sorta di tsunami nel delta dell’Irrawaddy che non ha lasciato via di scampo agli abitanti della fascia costiera e delle basse regioni fluviali dove sorgono le grandi risaie del Paese. La furia del vento avrebbe sollevato un’onda di diversi metri di altezza che ha spazzato via tutto quello che trovava sul suo cammino. E’ la prima descrizione del disastro avvenuto tre giorni fa e che sta mettendo a dura prova il regime birmano e la capacità di far fronte ad un’emergenza che con il passare delle ore diventa sempre più allarmante. La giunta militare, che è al potere da 46 anni, ha deciso di accettare l’aiuto internazionale e di permettere l’ingresso delle squadre di soccorso straniere, ma con la limitazione che dovranno ottenere il nulla osta del Ministro degli esteri, come è stato precisato durante una conferenza stampa a Rangoon, l’ex capitale di 5 milioni persone, dove manca ancora la corrente elettrica e i prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle.
Di fronte alla gravità della crisi, la giunta ha deciso di rinviare al 24 maggio il controverso referendum sulla nuova costituzione nella maggior parte delle circoscrizioni di Rangoon e nei sette distretti colpiti.
Intanto i Paesi asiatici si stanno mobilitando, il gruppo dell’Asean ha lanciato un appello ai suoi membri per inviare aiuti agli sfollati, mentre la Cina ha promesso un milione di dollari in cibo e in denaro contante.
Secondo quanto ha detto il ministro birmano della protezione sociale Maung Swe, il potente ciclone Nargis avrebbe generato una sorta di tsunami nel delta dell’Irrawaddy che non ha lasciato via di scampo agli abitanti della fascia costiera e delle basse regioni fluviali dove sorgono le grandi risaie del Paese. La furia del vento avrebbe sollevato un’onda di diversi metri di altezza che ha spazzato via tutto quello che trovava sul suo cammino. E’ la prima descrizione del disastro avvenuto tre giorni fa e che sta mettendo a dura prova il regime birmano e la capacità di far fronte ad un’emergenza che con il passare delle ore diventa sempre più allarmante. La giunta militare, che è al potere da 46 anni, ha deciso di accettare l’aiuto internazionale e di permettere l’ingresso delle squadre di soccorso straniere, ma con la limitazione che dovranno ottenere il nulla osta del Ministro degli esteri, come è stato precisato durante una conferenza stampa a Rangoon, l’ex capitale di 5 milioni persone, dove manca ancora la corrente elettrica e i prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle.
Di fronte alla gravità della crisi, la giunta ha deciso di rinviare al 24 maggio il controverso referendum sulla nuova costituzione nella maggior parte delle circoscrizioni di Rangoon e nei sette distretti colpiti.
Intanto i Paesi asiatici si stanno mobilitando, il gruppo dell’Asean ha lanciato un appello ai suoi membri per inviare aiuti agli sfollati, mentre la Cina ha promesso un milione di dollari in cibo e in denaro contante.
lunedì 5 maggio 2008
Nargis, bilancio spaventoso. Giunta ammette i soccorritori dell'Onu, ma non gli Usa
In onda su Radio Vaticana
Continua a salire il bilancio delle vittime del ciclone Nargis che tre giorni fa ha devastato la costa meridionale del Myanmar. Come si temeva la situazione che sta emergendo è spaventosa mano a mano che le informazioni giungono dal grande delta dell’Irrawaddy, l’epicentro del disastro. Nella sola città di Bogalay le vittime sarebbero 10 mila secondo quanto ha riportato un ministro della giunta militare al potere che ha deciso ieri di permettere l’accesso all’Onu e alle agenzie umanitarie straniere, ad eccezione di quelle degli Stati Uniti. La first lady Laura Bush ha però promesso ingenti aiuti finanziari, oltre ai 250 mila dollari già stanziati, se il regime autorizzerà l’arrivo di team americani. La macchina dei soccorsi dell’Onu sta per mettersi in moto. Il primo aereo carico di generi di emergenza, medicinali e tende dovrebbe partire da Bangkok già stasera. Anche la vicina India, che in questi anni ha mantenuto buone relazioni con la giunta birmana, ha deciso di inviare due navi di soccorso. Altre organizzazioni non governative straniere, ammesse per la prima volta nel Paese, sono pronte a partire per Rangoon dove continua a mancare elettricità e acqua potabile.
Continua a salire il bilancio delle vittime del ciclone Nargis che tre giorni fa ha devastato la costa meridionale del Myanmar. Come si temeva la situazione che sta emergendo è spaventosa mano a mano che le informazioni giungono dal grande delta dell’Irrawaddy, l’epicentro del disastro. Nella sola città di Bogalay le vittime sarebbero 10 mila secondo quanto ha riportato un ministro della giunta militare al potere che ha deciso ieri di permettere l’accesso all’Onu e alle agenzie umanitarie straniere, ad eccezione di quelle degli Stati Uniti. La first lady Laura Bush ha però promesso ingenti aiuti finanziari, oltre ai 250 mila dollari già stanziati, se il regime autorizzerà l’arrivo di team americani. La macchina dei soccorsi dell’Onu sta per mettersi in moto. Il primo aereo carico di generi di emergenza, medicinali e tende dovrebbe partire da Bangkok già stasera. Anche la vicina India, che in questi anni ha mantenuto buone relazioni con la giunta birmana, ha deciso di inviare due navi di soccorso. Altre organizzazioni non governative straniere, ammesse per la prima volta nel Paese, sono pronte a partire per Rangoon dove continua a mancare elettricità e acqua potabile.
Birmania, forse giunta militare accetta soccorsi internazionali
In onda su Radio Vaticana
Di fronte alla gravità del disastro causato dal passaggio del ciclone Nargis, la giunta birmana potrebbe chiedere l’aiuto internazionale per prestare soccorso a decine di migliaia di senza tetto concentrati soprattutto sulla costa sud occidentale. Il ministro degli esteri birmano ha convocato un vertice con gli ambasciatori stranieri per fare il punto sull’emergenza che potrebbe trasformarsi nei prossimi giorni in una crisi umanitaria. Decine di migliaia di persone si trovano da due giorni senza acqua e cibo nel delta del fiume Irrawaddy e anche nelle baraccopoli dell’ex capitale Yangoon che sono state gravemente danneggiate dal ciclone.
Gruppi di dissidenti birmani all’estero hanno denunciato l’inadeguatezza dei mezzi di soccorso in un Paese impoverito da oltre 4 decenni di dittatura militare salita e dalle sanzioni internazionali. Anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha rivolto un appello ai militari birmani perché permettano l’intervento delle agenzie umanitarie straniere. Nel frattempo la Croce Rossa Internazionale ha iniziato la distribuzione di generi di prima necessità attraverso i propri team locali. Nonostante lo stato di emergenza dichiarato in cinque regioni, la giunta militare ha deciso di non rinviare il controverso referendum popolare sulla nuova costituzione. Il voto è previsto per sabato.
Di fronte alla gravità del disastro causato dal passaggio del ciclone Nargis, la giunta birmana potrebbe chiedere l’aiuto internazionale per prestare soccorso a decine di migliaia di senza tetto concentrati soprattutto sulla costa sud occidentale. Il ministro degli esteri birmano ha convocato un vertice con gli ambasciatori stranieri per fare il punto sull’emergenza che potrebbe trasformarsi nei prossimi giorni in una crisi umanitaria. Decine di migliaia di persone si trovano da due giorni senza acqua e cibo nel delta del fiume Irrawaddy e anche nelle baraccopoli dell’ex capitale Yangoon che sono state gravemente danneggiate dal ciclone.
Gruppi di dissidenti birmani all’estero hanno denunciato l’inadeguatezza dei mezzi di soccorso in un Paese impoverito da oltre 4 decenni di dittatura militare salita e dalle sanzioni internazionali. Anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha rivolto un appello ai militari birmani perché permettano l’intervento delle agenzie umanitarie straniere. Nel frattempo la Croce Rossa Internazionale ha iniziato la distribuzione di generi di prima necessità attraverso i propri team locali. Nonostante lo stato di emergenza dichiarato in cinque regioni, la giunta militare ha deciso di non rinviare il controverso referendum popolare sulla nuova costituzione. Il voto è previsto per sabato.
Gli armatori italiani di Confitarma a caccia di affari in India
Su Apcom
“A differenza della Cina, l’India è un Paese che favorisce l’iniziativa privata e in futuro beneficerà della spinta innovativa della sua giovane popolazione. E sicuramente tra i mercati più importanti dove esportare i servizi delle nostre imprese”. A parlare è Giuseppe Mauro Rizzo, presidente dei giovani armatori di Confitarma, l’associazione di categoria che raggruppa 250 imprese del settore e che oggi conclude una missione esplorativa in India.
Gli armatori italiani hanno incontrato nei giorni scorsi i colleghi indiani dell’Insa (Indian Shiponwers’ Association), rappresentanti di cantieri navali a Mumbai e in Gujarat, noleggiatori, diversi utilizzatori del trasporto marittimo, istituti di credito e altri attori dell’”indotto” marittimo. “L’anno scorso abbiamo condotto una simile missione in Cina – aggiunge – e ora tocca all’India dove pensiamo che il trasporto marittimo avrà un ritmo di crescita molto simile. Vogliamo favorire la penetrazione delle nostre imprese anche su questo promettente mercato”. In particolare, la missione, a cui prendono parte una decina di armatori, ha visitato il terminal contenitori di Nhava Sheva a Mumbai e, nello stato nord occidentale del Gujarat, il cantiere Modest Infrastructure di Bhavnagar dove è iniziata la costruzione di alcune navi ordinate dalla società Calisa Spa, primo contratto siglato con un armatore italiano.
Il presidente di Confitarma, che da domani si sposta negli Emirati Arabi Uniti per la seconda tappa della missione, ha sottolineato anche la potenzialità per il settore del trasporto marittimo dei nuovi poli di raffinazione come quello in costruzione del colosso dell’energia Reliance. Gli armatori italiani hanno anche visitato il sito di demolizione di Alang, sempre sulla costa del Gujarat, considerato il più grande “cimitero delle navi” del mondo.
“A differenza della Cina, l’India è un Paese che favorisce l’iniziativa privata e in futuro beneficerà della spinta innovativa della sua giovane popolazione. E sicuramente tra i mercati più importanti dove esportare i servizi delle nostre imprese”. A parlare è Giuseppe Mauro Rizzo, presidente dei giovani armatori di Confitarma, l’associazione di categoria che raggruppa 250 imprese del settore e che oggi conclude una missione esplorativa in India.
Gli armatori italiani hanno incontrato nei giorni scorsi i colleghi indiani dell’Insa (Indian Shiponwers’ Association), rappresentanti di cantieri navali a Mumbai e in Gujarat, noleggiatori, diversi utilizzatori del trasporto marittimo, istituti di credito e altri attori dell’”indotto” marittimo. “L’anno scorso abbiamo condotto una simile missione in Cina – aggiunge – e ora tocca all’India dove pensiamo che il trasporto marittimo avrà un ritmo di crescita molto simile. Vogliamo favorire la penetrazione delle nostre imprese anche su questo promettente mercato”. In particolare, la missione, a cui prendono parte una decina di armatori, ha visitato il terminal contenitori di Nhava Sheva a Mumbai e, nello stato nord occidentale del Gujarat, il cantiere Modest Infrastructure di Bhavnagar dove è iniziata la costruzione di alcune navi ordinate dalla società Calisa Spa, primo contratto siglato con un armatore italiano.
Il presidente di Confitarma, che da domani si sposta negli Emirati Arabi Uniti per la seconda tappa della missione, ha sottolineato anche la potenzialità per il settore del trasporto marittimo dei nuovi poli di raffinazione come quello in costruzione del colosso dell’energia Reliance. Gli armatori italiani hanno anche visitato il sito di demolizione di Alang, sempre sulla costa del Gujarat, considerato il più grande “cimitero delle navi” del mondo.
domenica 4 maggio 2008
Birmania, soccorsi difficili ai senzatetto del ciclone Nargis
In onda su Radio Vaticana
A 48 ore dal passaggio del devastante ciclone Nargis che si è abbattuto sulla costa sud occidentale del Myanmar, è ancora difficile fare una stima precisa dei danni. Secondo fonti di stampa del regime militare in un’isola del delta dell’Irrawaddy, la zona più colpita, 90 mila persone avrebbero perso la casa. Il numero dei senzatetto supererebbe i 100 mila, ma non si ha ancora notizia della situazione di moltissimi villaggi costieri ancora isolati. Nella stessa Yangoon, l’ex capitale manca ancora la corrente elettrica e comincia a scarseggiare l’acqua potabile. I danni maggiori sarebbero nelle baraccopoli della periferia. L’ufficio per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, dalla sede regionale di Bangkok, sta cercando di valutare l’entità dei danni e dei bisogni per assistere i sopravissuti, un compito difficile dato che l’accesso alle aree colpite è ristretto dai militari. La giunta birmana non ha ancora risposto alle offerte di soccorso della comunità internazionale. Fonti governative hanno però precisato che nonostante il ciclone il cruciale referendum sulla nuova costituzione si terrà il 10 maggio, come previsto.
A 48 ore dal passaggio del devastante ciclone Nargis che si è abbattuto sulla costa sud occidentale del Myanmar, è ancora difficile fare una stima precisa dei danni. Secondo fonti di stampa del regime militare in un’isola del delta dell’Irrawaddy, la zona più colpita, 90 mila persone avrebbero perso la casa. Il numero dei senzatetto supererebbe i 100 mila, ma non si ha ancora notizia della situazione di moltissimi villaggi costieri ancora isolati. Nella stessa Yangoon, l’ex capitale manca ancora la corrente elettrica e comincia a scarseggiare l’acqua potabile. I danni maggiori sarebbero nelle baraccopoli della periferia. L’ufficio per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, dalla sede regionale di Bangkok, sta cercando di valutare l’entità dei danni e dei bisogni per assistere i sopravissuti, un compito difficile dato che l’accesso alle aree colpite è ristretto dai militari. La giunta birmana non ha ancora risposto alle offerte di soccorso della comunità internazionale. Fonti governative hanno però precisato che nonostante il ciclone il cruciale referendum sulla nuova costituzione si terrà il 10 maggio, come previsto.
Birmania, morte e distruzione dopo il passaggio del ciclone Nargis
In onda su Radio Vaticana
Cinque regioni del Myanmar, l’ex Birmania, hanno dichiarato lo stato di emergenza dopo il passaggio del potente ciclone tropicale Nargis. Secondo la tv di Stato, il numero delle vittime sarebbe salito almeno 350. Il ciclone proveniente dal Golfo del Bengala, si è abbattuto venerdì sera sulla costa sud occidentale con venti che spiravano a oltre 200 km orari. E’ proseguito poi verso est seminando terrore e distruzione nell’ex capitale Yangoon. Secondo una prima stima i senza tetto sarebbero almeno 100 mila. Molti di loro si trovano isolati senza corrente elettrica e telefoni. Bloccata anche la distribuzione dell’acqua. L’aeroporto internazionale di Yangoon è stato chiuso e i voli reindirizzati verso Mandalay, la seconda città del Paese. Ma la zona maggiormente colpita sarebbe la regione fluviale di Irrawaddy e alcune isole dove migliaia di case sono state spazzate via e decine di migliaia di persone sono sfollate.
Cinque regioni del Myanmar, l’ex Birmania, hanno dichiarato lo stato di emergenza dopo il passaggio del potente ciclone tropicale Nargis. Secondo la tv di Stato, il numero delle vittime sarebbe salito almeno 350. Il ciclone proveniente dal Golfo del Bengala, si è abbattuto venerdì sera sulla costa sud occidentale con venti che spiravano a oltre 200 km orari. E’ proseguito poi verso est seminando terrore e distruzione nell’ex capitale Yangoon. Secondo una prima stima i senza tetto sarebbero almeno 100 mila. Molti di loro si trovano isolati senza corrente elettrica e telefoni. Bloccata anche la distribuzione dell’acqua. L’aeroporto internazionale di Yangoon è stato chiuso e i voli reindirizzati verso Mandalay, la seconda città del Paese. Ma la zona maggiormente colpita sarebbe la regione fluviale di Irrawaddy e alcune isole dove migliaia di case sono state spazzate via e decine di migliaia di persone sono sfollate.
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