In onda su Radio Svizzera Italiana
Sembra ci vorranno alcuni giorni perché i collegamenti internet verso India e Medio Oriente ritornino alla normalità dopo la rottura ieri di due cavi sottomarini nel Mar Mediterraneo. L’incidente, pare causato da una nave ancorata nei pressi di Alessandria d’Egitto, ha interrotto le linee telefoniche e dati verso l’Atlantico creando disagi per decine migliaia di utenti dei numerosi call center e servizi informatici. Secondo un portavoce della società che gestisce i cavi di fibre ottiche danneggiati, e che appartiene al colosso indiano Reliance, la capacità di trasmissione dei dati si sarebbe ridotta del 50 o 60 per cento. In Egitto sarebbero saltati il 70% dei collegamenti internet, ma a subire le conseguenze più pesanti sarebbe stata l’industria indiana dell’informatica e dell’outsourcing. Il presidente dell’associazione degli Internet Service Provider, Rajesh Chharia ha detto che sono stati toccati il 50% dei collegamenti a banda larga e che le società di call center e di servizi informatici che lavorano con il Regno Unito e con la costa orientale degli Stati Uniti sono state pesantemente colpite”. Il call center della British Airways sarebbe andato in tilt ieri. Nelle grandi industrie dell’hi tech, dalla Infosys, a Wipro, alle multinazionali americane come Ibm e Intel, che hanno delocalizzato in India gran parte dei loro laboratori, è scattato il campanello di allarme. I collegamenti sono stati reindirizzati sui cavi verso il Pacifico e via satellite creando però dei rallentamenti nella navigazione via internet anche per gli utenti privati.
giovedì 31 gennaio 2008
mercoledì 30 gennaio 2008
INDIA, GOVERNO INDAGA SU "DR.HORROR" E IL BAZAR DEI RENI DI GURGAON
Su Apcom
A cinque giorni dal blitz nella clinica del “Dr, Horror” nel polo informatico di Gurgaon, il governo indiano ha deciso di lanciare un’inchiesta sul vasto traffico di reni che coinvolgerebbe decine di medici compiacenti, ospedali e mediatori in India e anche all’estero. Secondo gli investigatori il “bazar dei trapianti”, gestito dal chirurgo Amit Kumar sfuggito alla cattura, era diventato una lucrosa attività grazie allo sfruttamento di centinaia di lavoratori immigrati. Si stima che negli ultimi dieci anni in India sarebbero stati effettuati oltre 500 trapianti di reni clandestini. In molti casi gli organi sarebbero stati prelevati con la forza dal corpo di inconsapevoli manovali immigrati, come alcuni testimoni hanno raccontato ai giornali. Ma spesso si tratterebbe semplicemente di storie di povertà che costringerebbero molti giovani a cedere un rene per una somma che al mercato nero indiano è valutata in circa 50 mila rupie (1250 dollari circa)
Il racket sarebbe stato scoperto grazie alla soffiata di una delle vittime, ma quando è scattato il raid in un appartamento di Gurgaon, la città dell’hi- tech alle porte di Delhi, trasformato in una sala operatoria, il sedicente chirurgo Amit e il fratello Jeewan si erano già volatilizzati. Sarebbero scappati in Canada. Non è escluso che abbiano goduto la complicità della polizia locale che li avrebbe avvertiti in tempo del blitz.
Il ministro della sanità, Ambumani Ramadoss ha detto che “il racket si estende a diversi stati e città, come Mumbai, Noida e Gurgaon” e che darà incarico al CBI (Central Bureau of Investigation) di “ condurre un’estesa inchiesta e di preparare un rapporto dettagliato della situazione”. Ha confermato anche il coinvolgimento di stranieri. Gli investigatori avrebbero infatti trovato in alcune guesthouses di Gurgaon due malati americani e tre greci in attesa del trapianto. L’operazione sarebbe costata sui 10 mila dollari.
Intanto oggi la polizia di Gurgaon ha arrestato la moglie del latitante Kumar, la quale avrebbe detto che il marito non era un vero chirurgo, ma solo un medico ayurvedico. Tra le 50 persone arrestate e sospettate di appartenere al vasto network nazionale e internazionale, risulta per ora un solo medico, Upender Kumar Aggarwal, che avrebbe cominciato a rivelare le profonde ramificazioni del traffico. Secondo alcune testimonianze il medico gestiva una sorta di nascondiglio nella foresta dove segregava i donatori con la minaccia delle armi.
Il “Dr Horror” come è stato soprannominato dalla stampa locale e il fratello erano già stati arrestati sette anni fa per traffico illegale di reni nel Sud dell’India. Erano usciti dalla prigione sotto cauzione e avevano ricominciato il “business” a Gurgaon. Nella casa del chirurgo, nell’est di Nuova Delhi, è stato trovato un falso passaporto intestato a Amit Kumar (che potrebbe essere uno dei falsi nomi usati) e un’auto-laboratorio dotata di macchinari per esami del sangue, che era già stata sequestrata dalla polizia nel 2001 quando lo scandalo venne alla luce per la prima volta.
A cinque giorni dal blitz nella clinica del “Dr, Horror” nel polo informatico di Gurgaon, il governo indiano ha deciso di lanciare un’inchiesta sul vasto traffico di reni che coinvolgerebbe decine di medici compiacenti, ospedali e mediatori in India e anche all’estero. Secondo gli investigatori il “bazar dei trapianti”, gestito dal chirurgo Amit Kumar sfuggito alla cattura, era diventato una lucrosa attività grazie allo sfruttamento di centinaia di lavoratori immigrati. Si stima che negli ultimi dieci anni in India sarebbero stati effettuati oltre 500 trapianti di reni clandestini. In molti casi gli organi sarebbero stati prelevati con la forza dal corpo di inconsapevoli manovali immigrati, come alcuni testimoni hanno raccontato ai giornali. Ma spesso si tratterebbe semplicemente di storie di povertà che costringerebbero molti giovani a cedere un rene per una somma che al mercato nero indiano è valutata in circa 50 mila rupie (1250 dollari circa)
Il racket sarebbe stato scoperto grazie alla soffiata di una delle vittime, ma quando è scattato il raid in un appartamento di Gurgaon, la città dell’hi- tech alle porte di Delhi, trasformato in una sala operatoria, il sedicente chirurgo Amit e il fratello Jeewan si erano già volatilizzati. Sarebbero scappati in Canada. Non è escluso che abbiano goduto la complicità della polizia locale che li avrebbe avvertiti in tempo del blitz.
Il ministro della sanità, Ambumani Ramadoss ha detto che “il racket si estende a diversi stati e città, come Mumbai, Noida e Gurgaon” e che darà incarico al CBI (Central Bureau of Investigation) di “ condurre un’estesa inchiesta e di preparare un rapporto dettagliato della situazione”. Ha confermato anche il coinvolgimento di stranieri. Gli investigatori avrebbero infatti trovato in alcune guesthouses di Gurgaon due malati americani e tre greci in attesa del trapianto. L’operazione sarebbe costata sui 10 mila dollari.
Intanto oggi la polizia di Gurgaon ha arrestato la moglie del latitante Kumar, la quale avrebbe detto che il marito non era un vero chirurgo, ma solo un medico ayurvedico. Tra le 50 persone arrestate e sospettate di appartenere al vasto network nazionale e internazionale, risulta per ora un solo medico, Upender Kumar Aggarwal, che avrebbe cominciato a rivelare le profonde ramificazioni del traffico. Secondo alcune testimonianze il medico gestiva una sorta di nascondiglio nella foresta dove segregava i donatori con la minaccia delle armi.
Il “Dr Horror” come è stato soprannominato dalla stampa locale e il fratello erano già stati arrestati sette anni fa per traffico illegale di reni nel Sud dell’India. Erano usciti dalla prigione sotto cauzione e avevano ricominciato il “business” a Gurgaon. Nella casa del chirurgo, nell’est di Nuova Delhi, è stato trovato un falso passaporto intestato a Amit Kumar (che potrebbe essere uno dei falsi nomi usati) e un’auto-laboratorio dotata di macchinari per esami del sangue, che era già stata sequestrata dalla polizia nel 2001 quando lo scandalo venne alla luce per la prima volta.
Rahul Gandhi si da al parapendio
Su Apcom
Come suo padre Rajiv che aveva studiato da pilota, anche Rahul Gandhi sembra avere una passione per il volo. Il segretario dell’ala giovanile del Congresso è impegnato da ieri in un corso intensivo di parapendio nei pressi di Pune, nello stato del Maharastra. Con l’aiuto di istruttori di un’agenzia di sport d’avventura, la Nirvana Adventure, il trentasettenne Rahul volteggerà sopra colline e campagne di una vasta zona dove “sono stati dispiegati 300 poliziotti” come scrive oggi il “Times of India” precisando che “la polizia rurale di Pune ha organizzato un massiccio cordone di sicurezza nelle foreste e alture del distretto di Wadgaon Maval”. La polizia ha anche chiesto ai residenti locali di non divulgare notizie sul programma. Il figlio di Sonia Gandhi e suo delfino, sarebbe da tempo nel mirino di gruppi integralisti islamici che l’anno scorso avevano anche organizzato un tentativo di sequestro.
Parlamentare dal 2004 e poi, dopo una gavetta politica, entrato a far parte del Comitato generale del Congresso, Rahul è impegnato a infondere nuova linfa allo storico partito che è reduce da alcune sconfitte elettorali a livello regionale e da scarse performance in stati chiave come in Uttar Pradesh (UP), roccaforte della regina degli intoccabili Mayawati e in Gujarat dove al potere c’è il nemico numero uno, l’indù nazionalista Narendra Modi. Il prossimo anno l’India andrà al voto e il giovane Gandhi potrebbe essere il candidato alla carica di primo ministro. Secondo molti però mancherebbe ancora dell’esperienza e carisma di un leader.
Di recente, per “svecchiare” il direttivo dello Youth Congress, Rahul ha esautorato i funzionari ultra trentacinquenni e nel tentativo di conquistare i favori dei “dalit” (gli ex intoccabili, che sono un quarto della popolazione indiana) lo scorso sabato, Republic Day, aveva cenato e pernottato a casa di una donna “fuori casta” incontrata durante una visita al suo collegio elettorale di Amethi, in UP.
Come suo padre Rajiv che aveva studiato da pilota, anche Rahul Gandhi sembra avere una passione per il volo. Il segretario dell’ala giovanile del Congresso è impegnato da ieri in un corso intensivo di parapendio nei pressi di Pune, nello stato del Maharastra. Con l’aiuto di istruttori di un’agenzia di sport d’avventura, la Nirvana Adventure, il trentasettenne Rahul volteggerà sopra colline e campagne di una vasta zona dove “sono stati dispiegati 300 poliziotti” come scrive oggi il “Times of India” precisando che “la polizia rurale di Pune ha organizzato un massiccio cordone di sicurezza nelle foreste e alture del distretto di Wadgaon Maval”. La polizia ha anche chiesto ai residenti locali di non divulgare notizie sul programma. Il figlio di Sonia Gandhi e suo delfino, sarebbe da tempo nel mirino di gruppi integralisti islamici che l’anno scorso avevano anche organizzato un tentativo di sequestro.
Parlamentare dal 2004 e poi, dopo una gavetta politica, entrato a far parte del Comitato generale del Congresso, Rahul è impegnato a infondere nuova linfa allo storico partito che è reduce da alcune sconfitte elettorali a livello regionale e da scarse performance in stati chiave come in Uttar Pradesh (UP), roccaforte della regina degli intoccabili Mayawati e in Gujarat dove al potere c’è il nemico numero uno, l’indù nazionalista Narendra Modi. Il prossimo anno l’India andrà al voto e il giovane Gandhi potrebbe essere il candidato alla carica di primo ministro. Secondo molti però mancherebbe ancora dell’esperienza e carisma di un leader.
Di recente, per “svecchiare” il direttivo dello Youth Congress, Rahul ha esautorato i funzionari ultra trentacinquenni e nel tentativo di conquistare i favori dei “dalit” (gli ex intoccabili, che sono un quarto della popolazione indiana) lo scorso sabato, Republic Day, aveva cenato e pernottato a casa di una donna “fuori casta” incontrata durante una visita al suo collegio elettorale di Amethi, in UP.
martedì 29 gennaio 2008
INDIA, CENERI DEL MAHATMA SPARSE IN MARE A 60 ANNI DALLA MORTE
Esattamente 60 anni dopo la sua morte, le ceneri del Mahatma Gandhi saranno sparse nel Mare d’Arabia. L’urna contenente parte dei resti mortali dell’apostolo della non violenza assassinato a Nuova Delhi il 30 gennaio 1948 si trova ora in un museo di Mumbai esposta al pubblico. Era stata consegnata nel 2006 da un uomo d’affari indiano di Dubai che l’aveva “ereditata” da suo padre. Dopo la cremazione di Gandhi, le ceneri erano state raccolte in diverse urne e gettate nel Gange e negli altri fiumi sacri secondo il rituale induista, ma alcune urne sarebbero state segretamente “sottratte” da conoscenti e simpatizzanti che volevano preservare la memoria del Mahatma.
Sarebbe stata la famiglia di Gandhi a chiedere alla fondazione del Mani Bhavan di non conservare l’urna con le ceneri diventata oggetto di accese controversie. “E’ un affronto all’insegnamento e ai principi di Bapu” aveva detto uno dei nipoti, Tushar Gandhi. “Bapu” è il nomignolo con cui gli indiani affettuosamente chiamano il Mahatma. Le ceneri saranno sparse in mare con una solenne cerimonia domani dalla spiaggia di Girgaum Chowpatty di Mumbai dai discendenti del primogenito Hariral, considerato il “ribelle” dei quattro figli di Gandhi.
A Nuova Delhi le celebrazioni prevedono, come ogni anno, una preghiera interconfessionale nel giardino dove Mohandas Karamchand Gandhi fu assassinato poco prima della preghiera del tramonto per mano dell’estremista hindu Nathuram Godse. Il Mahatma si trovava nella casa dell’industriale Birla, oggi trasformata in un museo. L’anno scorso l’India aveva commemorato i cento anni del Satyagraha, il movimento di resistenza passiva iniziato durante il periodo sudafricano e che ha ispirato molti suoi seguaci, come Martin Luther King, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, per citare alcuni dei più famosi difensori dei diritti umani.
L’eredita politica di Gandhi è stata raccolta dallo storico partito del Congresso oggi guidato dai discendenti di Jawaharlal Nehru. Il giovane Rahul, figlio di Sonia Gandhi e nipote di Indira Gandhi, è oggi candidato a continuare la dinastia politica che si ispira ai valori di laicità e tolleranza religiosa. Ma alcuni dei principi gandhiani, come quello della semplicità dall’esaltazione del lavoro manuale, simboleggiati nell’arcolaio, non hanno più posto nell’India moderna e globalizzata. E’ un paradosso, per esempio, che in Gujarat, lo stato dove Gandhi è nato e ha fondato il suo ashram, è guidato dal Bjp, il partito indu nazionalista con a capo il controverso Narendra Modi, accusato di aver sobillato i pogrom contro la comunità mussulmana nel 2002 e di aver instaurato un diffuso clima di intolleranza contro le minoranze religiose. Il delfino Rahul Gandhi, diventato l’anno scorso segretario generale del Congresso, aveva ricordato come l’obbligo di non consumare alcol e di vestire tessuto khadi (cotone filato a mano) non era sempre rispettato dai funzionari del partito che si comportavano spesso con ipocrisia.
D’altronde anche il principio di non violenza, il più importante degli insegnamenti del Mahatma – a cui non fu mai assegnato il Premio Nobel per la Pace - è largamente disatteso nel mondo odierno. Un altro nipote, Arun Gandhi, è stato nei giorni scorsi al centro di una vivace polemica per un commento in cui accusava “Israele e gli ebrei” di essere “i maggiori protagonisti” della cultura di violenza “che sta distruggendo l’umanità”. In seguito è stato costretto alle dimissioni dalla presidenza del M.K. Gandhi Institute of Non-Violence, l’istituto che lui stesso ha fondato nel 1991 a New York.
Sarebbe stata la famiglia di Gandhi a chiedere alla fondazione del Mani Bhavan di non conservare l’urna con le ceneri diventata oggetto di accese controversie. “E’ un affronto all’insegnamento e ai principi di Bapu” aveva detto uno dei nipoti, Tushar Gandhi. “Bapu” è il nomignolo con cui gli indiani affettuosamente chiamano il Mahatma. Le ceneri saranno sparse in mare con una solenne cerimonia domani dalla spiaggia di Girgaum Chowpatty di Mumbai dai discendenti del primogenito Hariral, considerato il “ribelle” dei quattro figli di Gandhi.
A Nuova Delhi le celebrazioni prevedono, come ogni anno, una preghiera interconfessionale nel giardino dove Mohandas Karamchand Gandhi fu assassinato poco prima della preghiera del tramonto per mano dell’estremista hindu Nathuram Godse. Il Mahatma si trovava nella casa dell’industriale Birla, oggi trasformata in un museo. L’anno scorso l’India aveva commemorato i cento anni del Satyagraha, il movimento di resistenza passiva iniziato durante il periodo sudafricano e che ha ispirato molti suoi seguaci, come Martin Luther King, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, per citare alcuni dei più famosi difensori dei diritti umani.
L’eredita politica di Gandhi è stata raccolta dallo storico partito del Congresso oggi guidato dai discendenti di Jawaharlal Nehru. Il giovane Rahul, figlio di Sonia Gandhi e nipote di Indira Gandhi, è oggi candidato a continuare la dinastia politica che si ispira ai valori di laicità e tolleranza religiosa. Ma alcuni dei principi gandhiani, come quello della semplicità dall’esaltazione del lavoro manuale, simboleggiati nell’arcolaio, non hanno più posto nell’India moderna e globalizzata. E’ un paradosso, per esempio, che in Gujarat, lo stato dove Gandhi è nato e ha fondato il suo ashram, è guidato dal Bjp, il partito indu nazionalista con a capo il controverso Narendra Modi, accusato di aver sobillato i pogrom contro la comunità mussulmana nel 2002 e di aver instaurato un diffuso clima di intolleranza contro le minoranze religiose. Il delfino Rahul Gandhi, diventato l’anno scorso segretario generale del Congresso, aveva ricordato come l’obbligo di non consumare alcol e di vestire tessuto khadi (cotone filato a mano) non era sempre rispettato dai funzionari del partito che si comportavano spesso con ipocrisia.
D’altronde anche il principio di non violenza, il più importante degli insegnamenti del Mahatma – a cui non fu mai assegnato il Premio Nobel per la Pace - è largamente disatteso nel mondo odierno. Un altro nipote, Arun Gandhi, è stato nei giorni scorsi al centro di una vivace polemica per un commento in cui accusava “Israele e gli ebrei” di essere “i maggiori protagonisti” della cultura di violenza “che sta distruggendo l’umanità”. In seguito è stato costretto alle dimissioni dalla presidenza del M.K. Gandhi Institute of Non-Violence, l’istituto che lui stesso ha fondato nel 1991 a New York.
lunedì 28 gennaio 2008
Taslima Nasreen non sta bene, portata in ospedale per controlli
Su Apcom
La scrittrice bangladese in esilio Taslima Nasreen, che si trova sotto scorta in una località segreta vicino a Nuova Delhi, è stata trasportata nel principale ospedale della capitale per controlli medici. Secondo quanto riporta un quotidiano indiano, la Nasreen si era lamentata delle sue precarie condizioni di salute con un’amica scrittrice indiana bengalese, Mahasweta Devi.
Trasferita oltre due mesi fa dalla sua casa di Calcutta dopo i violenti disordini organizzati da un gruppo islamico integralista, l’intellettuale femminista aveva confessato di sentirsi “isolata e abbandonata” nel suo rifugio e più volte aveva espresso il desiderio di poter ritornare in Bengala Occidentale che considera come sua “seconda casa”. Qualche giorno fa aveva anche rifiutato l’invito di recarsi a Parigi per ricevere il premio letterario Simone de Beauvoir per le sue opere in difesa delle donne. L’onorificenza doveva essere consegnata dal presidente francese Nicolas Sarkozy durante la sua visita, ma il governo indiano avrebbe “sconsigliato” una cerimonia pubblica. Le autorità indiane, nel frattempo, hanno esteso di altri sei mesi il suo visto che era in scadenza il 17 febbraio. La Nasreen, che ha un passaporto svedese, aveva dichiarato di preferire l’esilio in un Paese europeo piuttosto che continuare a vivere in incognito nella capitale.
La scrittrice bangladese in esilio Taslima Nasreen, che si trova sotto scorta in una località segreta vicino a Nuova Delhi, è stata trasportata nel principale ospedale della capitale per controlli medici. Secondo quanto riporta un quotidiano indiano, la Nasreen si era lamentata delle sue precarie condizioni di salute con un’amica scrittrice indiana bengalese, Mahasweta Devi.
Trasferita oltre due mesi fa dalla sua casa di Calcutta dopo i violenti disordini organizzati da un gruppo islamico integralista, l’intellettuale femminista aveva confessato di sentirsi “isolata e abbandonata” nel suo rifugio e più volte aveva espresso il desiderio di poter ritornare in Bengala Occidentale che considera come sua “seconda casa”. Qualche giorno fa aveva anche rifiutato l’invito di recarsi a Parigi per ricevere il premio letterario Simone de Beauvoir per le sue opere in difesa delle donne. L’onorificenza doveva essere consegnata dal presidente francese Nicolas Sarkozy durante la sua visita, ma il governo indiano avrebbe “sconsigliato” una cerimonia pubblica. Le autorità indiane, nel frattempo, hanno esteso di altri sei mesi il suo visto che era in scadenza il 17 febbraio. La Nasreen, che ha un passaporto svedese, aveva dichiarato di preferire l’esilio in un Paese europeo piuttosto che continuare a vivere in incognito nella capitale.
domenica 27 gennaio 2008
Suharto, l'ex dittatore sepolto a Giava con gli onori militari
Su Radio Vaticana
Decine di migliaia di indonesiani hanno reso omaggio stamattina a Giacarta al convoglio funebre dell’ex dittatore Suharto morto ieri all’età di 86 anni dopo un lungo ricovero all’ospedale. Le spoglie dell’ex presidente, che per 32 anni ha guidato il paese con il pugno di ferro, sono state trasportate con un aereo militare nel centro Giava, vicino alla città reale di Solo, dove sorge la tomba della famiglia di Suharto. All’ex dittatore, che godeva ancora di molta popolarità, nonostante ormai da dieci anni fosse lontano dai riflettori, sono stati concessi gli onori di un funerale di stato. Alle esequie hanno partecipato anche il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono e i leader della Malaysia, Timor Est e Singapore. Suharto, soprannominato “Pak Harto”, lascia dietro di se una scia di contraddizioni. Da una parte è visto come l’artefice dello sviluppo e della crescita economica, dall’altra come il capo di un regime sanguinario e corrotto. Secondo alcune accuse, mai provate, avrebbe accumulato negli anni di potere un’immensa fortuna.
Decine di migliaia di indonesiani hanno reso omaggio stamattina a Giacarta al convoglio funebre dell’ex dittatore Suharto morto ieri all’età di 86 anni dopo un lungo ricovero all’ospedale. Le spoglie dell’ex presidente, che per 32 anni ha guidato il paese con il pugno di ferro, sono state trasportate con un aereo militare nel centro Giava, vicino alla città reale di Solo, dove sorge la tomba della famiglia di Suharto. All’ex dittatore, che godeva ancora di molta popolarità, nonostante ormai da dieci anni fosse lontano dai riflettori, sono stati concessi gli onori di un funerale di stato. Alle esequie hanno partecipato anche il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono e i leader della Malaysia, Timor Est e Singapore. Suharto, soprannominato “Pak Harto”, lascia dietro di se una scia di contraddizioni. Da una parte è visto come l’artefice dello sviluppo e della crescita economica, dall’altra come il capo di un regime sanguinario e corrotto. Secondo alcune accuse, mai provate, avrebbe accumulato negli anni di potere un’immensa fortuna.
venerdì 25 gennaio 2008
SARKO, L'INDIA DEVE ASSUMERSI PIU' RESPONSABILITA'
Su Apcom
L’India ha il “diritto a reclamare un posto nel nuovo ordine mondiale”, ma “non può essere esonerata dai doveri che competono ad una potenza politica ed economica”. Parlando davanti alla Confindustria Indiana Nicolas Sarkozy, giunto oggi in India con una delegazione di 300 uomini d’affari, ha esortato l’India a “prendersi parte della responsabilità della risoluzione dei problemi” a partire dalla sfida del cambiamento climatico. “La Francia non costringe l’India a dover scegliere tra crescita economica e protezione dell’ambiente, ma le propone un modello di sviluppo sostenibile in grado di proteggere la salute pubblica e nello stesso momento togliere dalla miseria i due terzi della popolazione che vive con due dollari al giorno”. Di fronte ad un’affollatissima sala, Sarkozy ha anche chiesto all’India un impegno a “convincere l’Iran” e ad “assicurare ovunque la pace”.
E’ stato un discorso appassionato quello di Sarkozy che, abbandonato il foglio con il testo scritto prima di salire sul palco, ha parlato a braccio. Ribadendo il supporto incondizionato di Parigi ai piani di espansione del nucleare civile - una volta l’intesa di cooperazione atomica Usa-India abbia il via libera da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e del Nuclear Suppliers Group (e anche dei partiti comunisti indiani) - ha anche scherzato sugli interessi dell’industria francese. “Se poi decidete che la tecnologia nucleare francese è migliore, allora saremo davvero contenti…”. Rivolgendosi poi in platea a Lakshmi Mittal, il re dell’acciaio, che è stato “convocato a Parigi” la prossima settimana per discutere dei tagli occupazionali negli impianti di Arcelor, Sarkozy ha corretto il tiro: “Abbiamo bisogno anche degli investimenti indiani e voi siete i benvenuti in Francia”. Non ha però risparmiato una battuta polemica in direzione del ministro al commercio indiano Kamal Nath, tornato apposta da Davos, sul contratto di fornitura di elicotteri vinto dal consorzio europeo Eurocopter e annullato lo scorso dicembre per irregolarità. “Preferiamo che gli appalti non siano annullati una volta assegnati…”. La revoca della fornitura di 600 milioni di euro aveva provocato una vivace reazione del ministro degli esteri Bernard Kouchner, assente dalla maxi delegazione presidenziale. La Francia è attualmente il terzo fornitore della difesa indiana dopo Russia e Israele. Oltre agli elicotteri, gli indiani sarebbero interessati anche ad acquistare nuovi cacciabombardieri Mirage per rimpiazzare quelli esistenti. “La Francia vuole essere amica dell’India. Voi avete tanti amici adesso – ha concluso Sarkozy – ma dovete distinguere quelli veri da quelli falsi. Mi sembra di aver provato con quanto ho detto nel mio intervento che la nostra amicizia è davvero autentica”.
L’India ha il “diritto a reclamare un posto nel nuovo ordine mondiale”, ma “non può essere esonerata dai doveri che competono ad una potenza politica ed economica”. Parlando davanti alla Confindustria Indiana Nicolas Sarkozy, giunto oggi in India con una delegazione di 300 uomini d’affari, ha esortato l’India a “prendersi parte della responsabilità della risoluzione dei problemi” a partire dalla sfida del cambiamento climatico. “La Francia non costringe l’India a dover scegliere tra crescita economica e protezione dell’ambiente, ma le propone un modello di sviluppo sostenibile in grado di proteggere la salute pubblica e nello stesso momento togliere dalla miseria i due terzi della popolazione che vive con due dollari al giorno”. Di fronte ad un’affollatissima sala, Sarkozy ha anche chiesto all’India un impegno a “convincere l’Iran” e ad “assicurare ovunque la pace”.
E’ stato un discorso appassionato quello di Sarkozy che, abbandonato il foglio con il testo scritto prima di salire sul palco, ha parlato a braccio. Ribadendo il supporto incondizionato di Parigi ai piani di espansione del nucleare civile - una volta l’intesa di cooperazione atomica Usa-India abbia il via libera da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e del Nuclear Suppliers Group (e anche dei partiti comunisti indiani) - ha anche scherzato sugli interessi dell’industria francese. “Se poi decidete che la tecnologia nucleare francese è migliore, allora saremo davvero contenti…”. Rivolgendosi poi in platea a Lakshmi Mittal, il re dell’acciaio, che è stato “convocato a Parigi” la prossima settimana per discutere dei tagli occupazionali negli impianti di Arcelor, Sarkozy ha corretto il tiro: “Abbiamo bisogno anche degli investimenti indiani e voi siete i benvenuti in Francia”. Non ha però risparmiato una battuta polemica in direzione del ministro al commercio indiano Kamal Nath, tornato apposta da Davos, sul contratto di fornitura di elicotteri vinto dal consorzio europeo Eurocopter e annullato lo scorso dicembre per irregolarità. “Preferiamo che gli appalti non siano annullati una volta assegnati…”. La revoca della fornitura di 600 milioni di euro aveva provocato una vivace reazione del ministro degli esteri Bernard Kouchner, assente dalla maxi delegazione presidenziale. La Francia è attualmente il terzo fornitore della difesa indiana dopo Russia e Israele. Oltre agli elicotteri, gli indiani sarebbero interessati anche ad acquistare nuovi cacciabombardieri Mirage per rimpiazzare quelli esistenti. “La Francia vuole essere amica dell’India. Voi avete tanti amici adesso – ha concluso Sarkozy – ma dovete distinguere quelli veri da quelli falsi. Mi sembra di aver provato con quanto ho detto nel mio intervento che la nostra amicizia è davvero autentica”.
Sarkozy, La Francia sarà l'avvocato dell'India nella sua causa per l'energia nucleare
Su Apcom
“L’India deve avere un posto al summit delle nazioni più industrializzate e non solo essere invitata come ospite a pranzo al terzo giorno”. Nicolas Sarkozy, da Nuova Delhi dove è arrivato stamattina per la sua prima missione ufficiale, ha promesso di elevare lo status dell’India nelle arene internazionali. Ha fatto appello per un allargamento del G8 a G13 in modo da includere anche India e ha reiterato il supporto di Parigi alla candidatura indiana come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quando sarà riformato. “Queste organizzazioni devono appartenere al nostro secolo e non a quello precedente” ha detto parlando in francese nella conferenza stampa dopo l’incontro con il primo ministro Manmohan Singh nel palazzo neoclassico di Hyderabad House.
Come era stato anticipato, la Francia ha poi espresso il pieno supporto al piano indiano di espansione del nucleare civile che sta ancora aspettando il via libera dell’Agenzia Internazionale Atomica di Vienna dove è in corso un terzo round di negoziati per stabilire le clausole di salvaguardia da applicare alle future centrali atomiche indiane. “La Francia sarà l’avvocato dell’India nella sua causa per accedere al nucleare civile” ha detto il presidente francese che ha anche assistito alla firma di un memorandum sulla partecipazione indiana al progetto del reattore Jules Horowitz a Cadarache. Nel prossimo decennio, l’India avrà un grande bisogno di energia per mantenere il suo sviluppo e “se non l’aiuteremo ad usare il nucleare, sarà obbligata ad utilizzare altre fonti energetiche più inquinanti” ha ribadito più volte Sarkozy ricordando anche la “buona condotta” in tema di non proliferazione mostrata con la moratoria volontaria dei test nucleari del 1998 avvenuti due anni dopo quelli francesi.
Nella conferenza stampa è stato toccato anche il tema della giornata, la mega truffa della Societe Generale e la “convocazione” da parte di Sarkozy per la prossima settimana del re dell’acciaio Lakshmi Mittal a proposito della chiusura di un’acciaieria dell’ex Arcelor nell’est della Francia.
Curiosamente nessuno dei numerosi giornalisti, “autorizzati” a porre le domande, ha sollevato l’argomento Bruni. La stampa indiana è ancora convinta che l’ex top model farà una visita a sorpresa domani pomeriggio al Taj Mahal. “Nessuno leader è mai andato da solo a visitare il monumento dell’amore di Agra, a parte Lady Diana – ricordava oggi un giornalista francese – non si capisce quindi perché Sarko abbia così tanto insistito ad andarci”.
“L’India deve avere un posto al summit delle nazioni più industrializzate e non solo essere invitata come ospite a pranzo al terzo giorno”. Nicolas Sarkozy, da Nuova Delhi dove è arrivato stamattina per la sua prima missione ufficiale, ha promesso di elevare lo status dell’India nelle arene internazionali. Ha fatto appello per un allargamento del G8 a G13 in modo da includere anche India e ha reiterato il supporto di Parigi alla candidatura indiana come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quando sarà riformato. “Queste organizzazioni devono appartenere al nostro secolo e non a quello precedente” ha detto parlando in francese nella conferenza stampa dopo l’incontro con il primo ministro Manmohan Singh nel palazzo neoclassico di Hyderabad House.
Come era stato anticipato, la Francia ha poi espresso il pieno supporto al piano indiano di espansione del nucleare civile che sta ancora aspettando il via libera dell’Agenzia Internazionale Atomica di Vienna dove è in corso un terzo round di negoziati per stabilire le clausole di salvaguardia da applicare alle future centrali atomiche indiane. “La Francia sarà l’avvocato dell’India nella sua causa per accedere al nucleare civile” ha detto il presidente francese che ha anche assistito alla firma di un memorandum sulla partecipazione indiana al progetto del reattore Jules Horowitz a Cadarache. Nel prossimo decennio, l’India avrà un grande bisogno di energia per mantenere il suo sviluppo e “se non l’aiuteremo ad usare il nucleare, sarà obbligata ad utilizzare altre fonti energetiche più inquinanti” ha ribadito più volte Sarkozy ricordando anche la “buona condotta” in tema di non proliferazione mostrata con la moratoria volontaria dei test nucleari del 1998 avvenuti due anni dopo quelli francesi.
Nella conferenza stampa è stato toccato anche il tema della giornata, la mega truffa della Societe Generale e la “convocazione” da parte di Sarkozy per la prossima settimana del re dell’acciaio Lakshmi Mittal a proposito della chiusura di un’acciaieria dell’ex Arcelor nell’est della Francia.
Curiosamente nessuno dei numerosi giornalisti, “autorizzati” a porre le domande, ha sollevato l’argomento Bruni. La stampa indiana è ancora convinta che l’ex top model farà una visita a sorpresa domani pomeriggio al Taj Mahal. “Nessuno leader è mai andato da solo a visitare il monumento dell’amore di Agra, a parte Lady Diana – ricordava oggi un giornalista francese – non si capisce quindi perché Sarko abbia così tanto insistito ad andarci”.
giovedì 24 gennaio 2008
L'innamorato Sarkozy non andrà al Taj Mahal da solo secondo i giornali indiani
Su Apcom
Nonostante le smentite di Carla Bruni, continuano le speculazioni su una possibile sua visita “privata” in India che coinciderebbe con il fuoriprogramma voluto da Nicolas Sarkozy al Taj Mahal nel pomeriggio di sabato. Secondo il programma della visita, reso noto dal ministero degli esteri indiano, il presidente francese partirebbe per Agra con un volo speciale alle 12.30 ora locale subito dopo aver assistito alla parata militare del Giorno della Repubblica e ritornerebbe circa tre ore dopo in tempo per il banchetto offerto dalla presidente Prathiba Patil. La visita lampo al celebre mausoleo di Shah Jahan sarebbe stata inserita nell’itinerario ufficiale all’ultimo momento dopo forti insistenze del presidente. Secondo alcuni quotidiani indiani “l’innamorato” Sarkozy avrebbe voluto vedere il Taj Mahal in compagnia della sua futura moglie, ma “non è ancora detta l’ultima parola” scrive l’”Indian Express” che, senza citare alcuna fonte, informa che la Bruni potrebbe arrivare stanotte con un volo da Parigi.
I paparazzi di Nuova Delhi sono in fibrillazione e stanno presidiando l’Oberoi Hotel, dove il presidente arriverà domani mattina alle sette ora locale. Altre indiscrezioni darebbero Sarkozy un po’ seccato con le ansie da protocollo degli indiani che “sono ora preoccupati dal non scontentare ulteriormente il presidente” probabilmente già risentito dal non avere la fidanzata al suo fianco nei due giorni della missione. Anche il “Times of India” ipotizza che “per scavalcare il rigido protocollo del Ministero degli esteri” la Bruni avrebbe deciso di venire per conto suo e andare al Taj Mahal dove Sarkozy sarà in “visita privata”. “Ci dovrebbe forse andare da solo? - si chiede con un certa ironia il giornale – In un momento in cui è profondamente innamorato e sta pensando a sposarsi per la terza volta?”. Per inciso Sarkozy troverà il mausoleo del XVII secolo in attesa di essere sottoposto ad una speciale maschera di bellezza a base di fango ayurvedico. Per “sbiancare” il monumento, nei prossimi sei mesi i restauratori indiani applicheranno ai marmi dei minareti e della cupola una sorta di “impacco” a base di fango di Multan.
Nel caso in cui la Bruni arrivi in India, secondo le speculazioni, potrebbe poi recarsi a Mumbai dove domenica si inaugura un Festival del Cinema Francese in cui il protagonista sarà la superstar di Bollywood, Sharukh Khan premiato dall’accademia dell’arte parigina. Il presidente aveva depennato la tappa culturale di Mumbai lasciando a bocca asciutta gli organizzatori che adesso sperano almeno in una venuta di “Madame Sarkozy”.
Nonostante le smentite di Carla Bruni, continuano le speculazioni su una possibile sua visita “privata” in India che coinciderebbe con il fuoriprogramma voluto da Nicolas Sarkozy al Taj Mahal nel pomeriggio di sabato. Secondo il programma della visita, reso noto dal ministero degli esteri indiano, il presidente francese partirebbe per Agra con un volo speciale alle 12.30 ora locale subito dopo aver assistito alla parata militare del Giorno della Repubblica e ritornerebbe circa tre ore dopo in tempo per il banchetto offerto dalla presidente Prathiba Patil. La visita lampo al celebre mausoleo di Shah Jahan sarebbe stata inserita nell’itinerario ufficiale all’ultimo momento dopo forti insistenze del presidente. Secondo alcuni quotidiani indiani “l’innamorato” Sarkozy avrebbe voluto vedere il Taj Mahal in compagnia della sua futura moglie, ma “non è ancora detta l’ultima parola” scrive l’”Indian Express” che, senza citare alcuna fonte, informa che la Bruni potrebbe arrivare stanotte con un volo da Parigi.
I paparazzi di Nuova Delhi sono in fibrillazione e stanno presidiando l’Oberoi Hotel, dove il presidente arriverà domani mattina alle sette ora locale. Altre indiscrezioni darebbero Sarkozy un po’ seccato con le ansie da protocollo degli indiani che “sono ora preoccupati dal non scontentare ulteriormente il presidente” probabilmente già risentito dal non avere la fidanzata al suo fianco nei due giorni della missione. Anche il “Times of India” ipotizza che “per scavalcare il rigido protocollo del Ministero degli esteri” la Bruni avrebbe deciso di venire per conto suo e andare al Taj Mahal dove Sarkozy sarà in “visita privata”. “Ci dovrebbe forse andare da solo? - si chiede con un certa ironia il giornale – In un momento in cui è profondamente innamorato e sta pensando a sposarsi per la terza volta?”. Per inciso Sarkozy troverà il mausoleo del XVII secolo in attesa di essere sottoposto ad una speciale maschera di bellezza a base di fango ayurvedico. Per “sbiancare” il monumento, nei prossimi sei mesi i restauratori indiani applicheranno ai marmi dei minareti e della cupola una sorta di “impacco” a base di fango di Multan.
Nel caso in cui la Bruni arrivi in India, secondo le speculazioni, potrebbe poi recarsi a Mumbai dove domenica si inaugura un Festival del Cinema Francese in cui il protagonista sarà la superstar di Bollywood, Sharukh Khan premiato dall’accademia dell’arte parigina. Il presidente aveva depennato la tappa culturale di Mumbai lasciando a bocca asciutta gli organizzatori che adesso sperano almeno in una venuta di “Madame Sarkozy”.
mercoledì 23 gennaio 2008
India, premio Simone de Beauvoir non sarà consegnato a Taslima Nasreen
Pubblicato su Apcom
La decisione di Carla Bruni di non accompagnare il presidente francese, ha fatto tirare un sospiro di sollievo al protocollo indiano, ma un’altra polemica rischia di turbare la visita di Nicolas Sarkozy a Nuova Delhi. Il governo indiano avrebbe infatti suggerito alla missione francese di non onorare la scrittrice bangladese Taslima Nasreen con il “Premio Simone de Beauvoir” dedicato a eminenti personalità che lottano per i diritti delle donne. L’onorificenza è stata assegnata lo scorso 10 gennaio alla Nasreen, l’intellettuale femminista costretta a vivere in esilio per le minacce dei fanatici mussulmani (il premio è stato assegnato anche all’attivista politica etiope Ayaan Hirsi Ali).
Secondo quanto riporta oggi il quotidiano “The Times of India”, i francesi avrebbero voluto conferire il prestigioso premio con una cerimonia durante la visita di Sarkozy che si sviolgerà venerdi e sabato. La Nasreen si trova attualmente in una località segreta alle porte della capitale dopo essere stata “trasferita” per sicurezza dalla sua casa di Calcutta in seguito a violenti disordini organizzati da un gruppo fondamentalista islamico che si oppone al rinnovo del suo visto di permanenza in India in scadenza tra un mese. “Alcuni fonti di alto livello – scrive il quotidiano – che temeno nuovi scontri di strada sulla questione di Taslima, hanno scritto al governo francese chiedendo di rinunciare alla consegna del premio perché sarebbe stato impossibile organizzare l’evento” . Il premio è stato istituito in occasione del centesimo anniversario della nascita della Beauvoir.
La decisione di Carla Bruni di non accompagnare il presidente francese, ha fatto tirare un sospiro di sollievo al protocollo indiano, ma un’altra polemica rischia di turbare la visita di Nicolas Sarkozy a Nuova Delhi. Il governo indiano avrebbe infatti suggerito alla missione francese di non onorare la scrittrice bangladese Taslima Nasreen con il “Premio Simone de Beauvoir” dedicato a eminenti personalità che lottano per i diritti delle donne. L’onorificenza è stata assegnata lo scorso 10 gennaio alla Nasreen, l’intellettuale femminista costretta a vivere in esilio per le minacce dei fanatici mussulmani (il premio è stato assegnato anche all’attivista politica etiope Ayaan Hirsi Ali).
Secondo quanto riporta oggi il quotidiano “The Times of India”, i francesi avrebbero voluto conferire il prestigioso premio con una cerimonia durante la visita di Sarkozy che si sviolgerà venerdi e sabato. La Nasreen si trova attualmente in una località segreta alle porte della capitale dopo essere stata “trasferita” per sicurezza dalla sua casa di Calcutta in seguito a violenti disordini organizzati da un gruppo fondamentalista islamico che si oppone al rinnovo del suo visto di permanenza in India in scadenza tra un mese. “Alcuni fonti di alto livello – scrive il quotidiano – che temeno nuovi scontri di strada sulla questione di Taslima, hanno scritto al governo francese chiedendo di rinunciare alla consegna del premio perché sarebbe stato impossibile organizzare l’evento” . Il premio è stato istituito in occasione del centesimo anniversario della nascita della Beauvoir.
Colaninno, a Baramati produrremo 150 mila scooter all'anno
Su Apcom
Il gruppo Piaggio ha intenzione di usare l’India come piattaforma per un complesso piano di espansione globale nel settore dei veicoli commerciali leggeri e nelle due ruote. “La data magica è il 2010 – ha detto Roberto Colaninno a Mumbai per presentare la nuova offensiva asiatica del gruppo di Pontedera –quando la nuova fabbrica che stiamo costruendo a Baramati comincerà a diventare operativa. Prevediamo di produrre 200 mila motori all’anno, di cui 50 mila diesel e 150 motori a benzina per gli scooter, che si andranno ad aggiungere a quelli già prodotti in India”. La linea della Vespa dovrebbe essere lanciata sul mercato indiano tra un paio di anni forse alla prossima edizione dell’Autoexpo di Nuova Delhi.
L’investimento totale sarà di 65 milioni di euro per lo sviluppo di nuovi motori turbodiesel e diesel fino a 1200 cc “che saranno esportati in Italia per una nuova generazione di veicoli commerciali” e per il nuovo stabilimento che sorgerà accanto a quello esistente che attualmente produce le Ape a tre e quattro ruote e il nuovo Ape Truk, a quattro ruote, lanciato nel luglio dello scorso anno. Nel 2007 la Piaggio India ha venduto 154 mila veicoli triplicando i risultati in quattro anni.
La Vespa sarà anche prodotta, a partire dal 2009, in Vietnam, dove la Piaggio sta costruendo un nuovo stabilimento nella zona di Hanoi. Ma non è nei piani del gruppo italiano di esportare gli scooter sul mercato europeo. “Come è per la Vespa prodotta in Cina, gli standard di qualità, in termini di rifiniture e verniciatura, sono diversi e non sono adatti ai mercati occidentali” – ha aggiunto Colaninno che da Mumbai ha anche annunciato in anteprima mondiale il progetto di motore ibrido per scooter, elettrico e a benzina, che è stato sviluppato dai tecnici di Pontedera, ma che a partire dalla “magica data” data del 2010 sarà portato anche in India “una volta che saremo riusciti ad abbassare i costi”.
Il gruppo Piaggio ha intenzione di usare l’India come piattaforma per un complesso piano di espansione globale nel settore dei veicoli commerciali leggeri e nelle due ruote. “La data magica è il 2010 – ha detto Roberto Colaninno a Mumbai per presentare la nuova offensiva asiatica del gruppo di Pontedera –quando la nuova fabbrica che stiamo costruendo a Baramati comincerà a diventare operativa. Prevediamo di produrre 200 mila motori all’anno, di cui 50 mila diesel e 150 motori a benzina per gli scooter, che si andranno ad aggiungere a quelli già prodotti in India”. La linea della Vespa dovrebbe essere lanciata sul mercato indiano tra un paio di anni forse alla prossima edizione dell’Autoexpo di Nuova Delhi.
L’investimento totale sarà di 65 milioni di euro per lo sviluppo di nuovi motori turbodiesel e diesel fino a 1200 cc “che saranno esportati in Italia per una nuova generazione di veicoli commerciali” e per il nuovo stabilimento che sorgerà accanto a quello esistente che attualmente produce le Ape a tre e quattro ruote e il nuovo Ape Truk, a quattro ruote, lanciato nel luglio dello scorso anno. Nel 2007 la Piaggio India ha venduto 154 mila veicoli triplicando i risultati in quattro anni.
La Vespa sarà anche prodotta, a partire dal 2009, in Vietnam, dove la Piaggio sta costruendo un nuovo stabilimento nella zona di Hanoi. Ma non è nei piani del gruppo italiano di esportare gli scooter sul mercato europeo. “Come è per la Vespa prodotta in Cina, gli standard di qualità, in termini di rifiniture e verniciatura, sono diversi e non sono adatti ai mercati occidentali” – ha aggiunto Colaninno che da Mumbai ha anche annunciato in anteprima mondiale il progetto di motore ibrido per scooter, elettrico e a benzina, che è stato sviluppato dai tecnici di Pontedera, ma che a partire dalla “magica data” data del 2010 sarà portato anche in India “una volta che saremo riusciti ad abbassare i costi”.
martedì 22 gennaio 2008
Colaninno rilancia la Vespa in India
Pubblicato su Il Giornale
Vespa contro Nano. Due ruote contro quattro ruote. Made in Italy contro low-cost. In un giorno in cui la borsa di Dalal Street è in caduta libera, Roberto Colaninno sbarca a Mumbai per annunciare la sua campagna d’oriente che ha l’India come testa di ponte e la vecchia Vespa come ariete. Il gruppo di Pontedera, forte dei risultati sul mercato asia-pacifico (più 18% nel 2007), intende allargare la sua ragnatela di unità produttive, joint-ventures e accordi commerciali tessuta negli ultimi anni all’ombra del Taj Mahal e della Muraglia Cinese. In quest’area del pianeta vive un terzo dell’umanità che non è ancora stata completamente motorizzata e che ha il sogno delle due ruote.
In India il gruppo Piaggio intende spendere dai 60 ai 65 milioni di euro per lo sviluppo di motori diesel per una nuova generazione di veicoli commerciali e per l’espansione dello stabilimento di Baramati, vicino a Pune, da cui uscirà la Vespa indiana. “Per realizzare i nostri progetti abbiamo bisogno di due o tre anni e a quel tempo il ciclo economico sarà di nuovo positivo – ha detto Colaninno che, incurante dello spettro della recessione, ha aggiunto: “preferisco investire quando il trend è negativo”.
La nuova strategia Piaggio per il continente asiatico è stata illustrata ieri a Mumbai dall’amministratore delegato del gruppo e da Ravi Chopra, il responsabile della filiale indiana, creata nel 1999 dopo alcune disavventure con partner locali. Accanto al palco è stato presentato per la prima volta alla stampa un prototipo di scooter con motore ibrido (elettrico e a benzina) sviluppato dagli ingegneri di Pontedera che sono riusciti a inscatolare batterie al litio e motore a scoppio in uno spazio ristrettissimo. A fare da “cavia” per la nuova tecnologia ibrida sarà lo scooter a tre ruote Mp3 a partire della fine dell’anno. Poi il motore sarà sperimentato in India, che secondo Colaninno è il “Paese ideale per produrre questo tipo di motore per i risparmi, i fornitori e la tecnologia disponibile”. La Vespa ibrida sarà quindi la risposta alla “bomba ecologica” della Tata Nano, la people car da 1700 euro voluta dal lungimirante Ratan Tata e destinata a trasformare milioni di motociclisti in automobilisti? Con 100 km con un litro e un livello minimo di CO2 “è attualmente la migliore tecnologia pulita disponibile per un mezzo di trasporto in grado di combinare risparmio energetico, basse emissioni e prezzo”. La Vespa indiana sarà però a benzina, almeno all’inizio, “in attesa di adeguare i costi della nuova tecnologia al mercato locale”. Quando la produzione sarà a regime dalle due fabbriche di Baramati usciranno 150 mila scooter all’anno.
Per la Piaggio si tratta quindi di un ritorno in grande stile sull’appetitoso mercato delle due ruote indiano dove era presente prima della dolorosa rottura con il socio LML di Kanpur. ”In un Paese come l’India dove il 30% della popolazione è sotto i 20 anni, il marchio Vespa significa qualcosa in più che un mezzo di trasporto, è un oggetto di lusso o di moda” ha dichiarato Colaninno che ha ipotizzato il lancio ufficiale degli scooter italiani all’Autoexpo del 2010 a New Delhi.
La mitica Vespa farà il suo ingresso anche in Vietnam dove vicino ad Hanoi sta sorgendo uno stabilimento pronto per il 2009. Fanno parte della strategia dell’espansione asiatica, anche l’accordo con la giapponese Daihatsu per motori a benzina destinati alla gamma Porter e per motori diesel e turbodiesel da 1000 e 1200 cc che saranno prodotti in India e poi esportati in Italia per la nuova generazione di veicoli commerciali. Un'altra intesa, siglata ieri, coinvolge l’indiana Greaves Cotton Limited per la fornitura del motore monocilindrico dell’Ape che in India ha avuto un grande successo (le vendite sono triplicate dal 2003). Nelle tre ruote, o “autorisciò” come li chiamano qui quando trasportano passeggeri, la Piaggio è al secondo posto con una quota di mercato del 33%, ma concentrata nel sud dell'India
In India il gruppo Piaggio intende spendere dai 60 ai 65 milioni di euro per lo sviluppo di motori diesel per una nuova generazione di veicoli commerciali e per l’espansione dello stabilimento di Baramati, vicino a Pune, da cui uscirà la Vespa indiana. “Per realizzare i nostri progetti abbiamo bisogno di due o tre anni e a quel tempo il ciclo economico sarà di nuovo positivo – ha detto Colaninno che, incurante dello spettro della recessione, ha aggiunto: “preferisco investire quando il trend è negativo”.
La nuova strategia Piaggio per il continente asiatico è stata illustrata ieri a Mumbai dall’amministratore delegato del gruppo e da Ravi Chopra, il responsabile della filiale indiana, creata nel 1999 dopo alcune disavventure con partner locali. Accanto al palco è stato presentato per la prima volta alla stampa un prototipo di scooter con motore ibrido (elettrico e a benzina) sviluppato dagli ingegneri di Pontedera che sono riusciti a inscatolare batterie al litio e motore a scoppio in uno spazio ristrettissimo. A fare da “cavia” per la nuova tecnologia ibrida sarà lo scooter a tre ruote Mp3 a partire della fine dell’anno. Poi il motore sarà sperimentato in India, che secondo Colaninno è il “Paese ideale per produrre questo tipo di motore per i risparmi, i fornitori e la tecnologia disponibile”. La Vespa ibrida sarà quindi la risposta alla “bomba ecologica” della Tata Nano, la people car da 1700 euro voluta dal lungimirante Ratan Tata e destinata a trasformare milioni di motociclisti in automobilisti? Con 100 km con un litro e un livello minimo di CO2 “è attualmente la migliore tecnologia pulita disponibile per un mezzo di trasporto in grado di combinare risparmio energetico, basse emissioni e prezzo”. La Vespa indiana sarà però a benzina, almeno all’inizio, “in attesa di adeguare i costi della nuova tecnologia al mercato locale”. Quando la produzione sarà a regime dalle due fabbriche di Baramati usciranno 150 mila scooter all’anno.
Per la Piaggio si tratta quindi di un ritorno in grande stile sull’appetitoso mercato delle due ruote indiano dove era presente prima della dolorosa rottura con il socio LML di Kanpur. ”In un Paese come l’India dove il 30% della popolazione è sotto i 20 anni, il marchio Vespa significa qualcosa in più che un mezzo di trasporto, è un oggetto di lusso o di moda” ha dichiarato Colaninno che ha ipotizzato il lancio ufficiale degli scooter italiani all’Autoexpo del 2010 a New Delhi.
La mitica Vespa farà il suo ingresso anche in Vietnam dove vicino ad Hanoi sta sorgendo uno stabilimento pronto per il 2009. Fanno parte della strategia dell’espansione asiatica, anche l’accordo con la giapponese Daihatsu per motori a benzina destinati alla gamma Porter e per motori diesel e turbodiesel da 1000 e 1200 cc che saranno prodotti in India e poi esportati in Italia per la nuova generazione di veicoli commerciali. Un'altra intesa, siglata ieri, coinvolge l’indiana Greaves Cotton Limited per la fornitura del motore monocilindrico dell’Ape che in India ha avuto un grande successo (le vendite sono triplicate dal 2003). Nelle tre ruote, o “autorisciò” come li chiamano qui quando trasportano passeggeri, la Piaggio è al secondo posto con una quota di mercato del 33%, ma concentrata nel sud dell'India
lunedì 21 gennaio 2008
MUSHARRAF INIZIA IL TOUR EUROPEO, A DAVOS INCONTRERA' LA RICE
Su Radio Svizzera Italiana
Saranno sette giorni di intensi incontri diplomatici per Musharraf arrivato ieri a Bruxelles per la prima tappa del suo tour europeo. Il presidente pachistano, la cui popolarità in patria è in forte declino, incontra oggi Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Unione Europea e poi il numero uno della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, con cui discuterà della sicurezza in Afghanistan e al confine pachistano dove è in corso una violenta offensiva contro le roccaforti dei talebani.
Domani invece si recherà a Parigi dove vedrà Nikolas Sarkozy, che si sta preparando alla sua prima missione ufficiale in India. Musharraf sarà poi ospite del Forum di Davos, un appuntamento abbastanza consueto per il leader pachistano che utilizzerà il conclave elvetico anche per consultazioni con la segretario di stato americana Condoleezza Rice e con il presidente afgano Hamid Karzai. Gli Stati Uniti vogliono fare pressione sul governo di Islamabad perché assicuri che le elezioni del 18 febbraio si tengano in modo regolare e corretto. Ma la preoccupazione della Casa Bianca è anche sulla battaglia in corso tra i militanti integralisti e l’esercito pachistano nel Sud del Waziristan. Nei giorni scorsi decine di insorti sarebbero stati uccisi in bombardamenti contro la base del comandante talebano Baitullah Mehsud, indicato anche dalla Cia come responsabile dell’uccisione di Benazir Bhutto lo scorso 27 dicembre. Il tour europeo di Musharraf, che si concluderà sabato a Londra, ha fatto scattare anche l’allarme sicurezza nelle capitali dopo che alcuni gruppi fondamentalisti hanno minacciato attentati contro il presidente pachistano.
Saranno sette giorni di intensi incontri diplomatici per Musharraf arrivato ieri a Bruxelles per la prima tappa del suo tour europeo. Il presidente pachistano, la cui popolarità in patria è in forte declino, incontra oggi Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Unione Europea e poi il numero uno della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, con cui discuterà della sicurezza in Afghanistan e al confine pachistano dove è in corso una violenta offensiva contro le roccaforti dei talebani.
Domani invece si recherà a Parigi dove vedrà Nikolas Sarkozy, che si sta preparando alla sua prima missione ufficiale in India. Musharraf sarà poi ospite del Forum di Davos, un appuntamento abbastanza consueto per il leader pachistano che utilizzerà il conclave elvetico anche per consultazioni con la segretario di stato americana Condoleezza Rice e con il presidente afgano Hamid Karzai. Gli Stati Uniti vogliono fare pressione sul governo di Islamabad perché assicuri che le elezioni del 18 febbraio si tengano in modo regolare e corretto. Ma la preoccupazione della Casa Bianca è anche sulla battaglia in corso tra i militanti integralisti e l’esercito pachistano nel Sud del Waziristan. Nei giorni scorsi decine di insorti sarebbero stati uccisi in bombardamenti contro la base del comandante talebano Baitullah Mehsud, indicato anche dalla Cia come responsabile dell’uccisione di Benazir Bhutto lo scorso 27 dicembre. Il tour europeo di Musharraf, che si concluderà sabato a Londra, ha fatto scattare anche l’allarme sicurezza nelle capitali dopo che alcuni gruppi fondamentalisti hanno minacciato attentati contro il presidente pachistano.
domenica 20 gennaio 2008
Arriva oggi Gordon Brown tra le polemche sul clima e la suspense per Carla Bruni
Pubblicato su Apcom
Cambiamento del clima, diffusione della lingua inglese e intesa nucleare indo-americana. Sono questi alcuni punti di discussione che caratterizzeranno l’agenda degli incontri del premier britannico Gordon Brown che sta per iniziare in India la sua prima visita ufficiale di ritorno dalla Cina. Secondo il quotidiano The “Hindustan Times”, Brown e il premier indiano Manmohan Singh alla cena di stasera “si scambieranno le opinioni in merito alle loro recenti visite a Pechino” e anche sugli sforzi diplomatici per contenere le crisi in Pakistan e Birmania. “La Gran Bretagna intende chiedere un maggiore coinvolgimento dell’India in quello che chiama l’approccio del “bastione e della carota” – scrive il giornale a proposito della situazione birmana.
I due Paesi terranno domani il loro quarto Summit bilaterale che avrà in agenda l’antiterrorismo, la cooperazione allo sviluppo in Africa, la collaborazione tra gli istituti professionali d’elite come IIT e IIM e le università britanniche e la liberalizzazione dei servizi finanziati e legali. Durante la visita di due giorni, il premier britannico lancerà un nuovo web-site dedicato all’auto-apprendimento della lingua inglese e un piano di formazione per 700 mila insegnanti d’inglese.
Uno dei temi “caldi” sarà l’ambiente. Il “Times of India” riporta di una polemica innescata dal ministro dell’ambiente Phil Woolas che alla vigilia della missione ha accusato l’India di non fare abbastanza per l’ecologia, mentre ha elogiato la Cina. “Il governo centrale cinese è parte della soluzione e non parte del problema” è la dichiarazione di Woolas riportata dal giornale che aggiunge: “le parole di Woolas rischiano di essere un motivo di irritazione per Nuova Delhi perché i ministri di un governo straniero raramente, o quasi mai, paragonano un Paese con un altro mentre sono in visita ufficiale nei Paesi stessi”.
Una nota più leggera invece giunge da “The Asian Age” che in prima pagina titola: “Il clamore della Bruni può offuscare la visita di Sarah”. Mettendo a confronto la first lady inglese Sarah Brown, ex manager delle pubbliche relazioni, con l’ex modella italiana, l’editorialista Ramesh Ramachandran scrive che “la visita della signora Brown giunge in un periodo in cui Nuova Delhi è impegnata con il protocollo della visita di Sarkozy” che arriverà un giorno dopo per il Republic Day. Secondo indiscrezioni della stampa inglese, il leader francese e Carla Bruni potrebbero recarsi insieme per un fuoriprogramma al Taj Mahal, il celebre “mausoleo dell’amore” che sorge ad Agra, a poche ore di auto da Delhi.
Cambiamento del clima, diffusione della lingua inglese e intesa nucleare indo-americana. Sono questi alcuni punti di discussione che caratterizzeranno l’agenda degli incontri del premier britannico Gordon Brown che sta per iniziare in India la sua prima visita ufficiale di ritorno dalla Cina. Secondo il quotidiano The “Hindustan Times”, Brown e il premier indiano Manmohan Singh alla cena di stasera “si scambieranno le opinioni in merito alle loro recenti visite a Pechino” e anche sugli sforzi diplomatici per contenere le crisi in Pakistan e Birmania. “La Gran Bretagna intende chiedere un maggiore coinvolgimento dell’India in quello che chiama l’approccio del “bastione e della carota” – scrive il giornale a proposito della situazione birmana.
I due Paesi terranno domani il loro quarto Summit bilaterale che avrà in agenda l’antiterrorismo, la cooperazione allo sviluppo in Africa, la collaborazione tra gli istituti professionali d’elite come IIT e IIM e le università britanniche e la liberalizzazione dei servizi finanziati e legali. Durante la visita di due giorni, il premier britannico lancerà un nuovo web-site dedicato all’auto-apprendimento della lingua inglese e un piano di formazione per 700 mila insegnanti d’inglese.
Uno dei temi “caldi” sarà l’ambiente. Il “Times of India” riporta di una polemica innescata dal ministro dell’ambiente Phil Woolas che alla vigilia della missione ha accusato l’India di non fare abbastanza per l’ecologia, mentre ha elogiato la Cina. “Il governo centrale cinese è parte della soluzione e non parte del problema” è la dichiarazione di Woolas riportata dal giornale che aggiunge: “le parole di Woolas rischiano di essere un motivo di irritazione per Nuova Delhi perché i ministri di un governo straniero raramente, o quasi mai, paragonano un Paese con un altro mentre sono in visita ufficiale nei Paesi stessi”.
Una nota più leggera invece giunge da “The Asian Age” che in prima pagina titola: “Il clamore della Bruni può offuscare la visita di Sarah”. Mettendo a confronto la first lady inglese Sarah Brown, ex manager delle pubbliche relazioni, con l’ex modella italiana, l’editorialista Ramesh Ramachandran scrive che “la visita della signora Brown giunge in un periodo in cui Nuova Delhi è impegnata con il protocollo della visita di Sarkozy” che arriverà un giorno dopo per il Republic Day. Secondo indiscrezioni della stampa inglese, il leader francese e Carla Bruni potrebbero recarsi insieme per un fuoriprogramma al Taj Mahal, il celebre “mausoleo dell’amore” che sorge ad Agra, a poche ore di auto da Delhi.
venerdì 18 gennaio 2008
Stabilimento di Singur, l'Alta Corte di Calcutta respinge i ricorsi dei contadini delle terre espropriate
Pubblicato su Apcom
La contestata fabbrica della Tata Motors a Singur, nello stato del Bengala Occidentale, dove si stanno producendo le mini car Nano, ha ricevuto oggi il via libera dall’Alta Corte di Calcutta. I giudici hanno detto che la confisca dei terreni agricoli da parte del governo bengalese è stata “legale” e in linea con le disposizioni della legge che regola gli espropri terrieri per uso pubblico. L’acquisizione dei terreni, avvenuta un anno fa, era stata contestata da undici petizioni che sono state respinte in blocco dal tribunale. Gli oppositori, guidati dal battagliero partito locale Trinamul Congress, avevano impugnato la decisione del governo locale di cedere l’area alla Tata Motors per costruire il suo stabilimento. Un terzo degli ex proprietari terrieri non ha ancora accettato per protesta l’indennizzo previsto dalla legge e ora sono pronti a ricorrere contro la decisione dell’Alta Corte.
Difficilmente questa sentenza riuscirà a sopire la polemica di Singur che è rimbalzata anche in Italia per via della nuova joint venture tra Tata Motors e Fiat. La risonanza mondiale del lancio della people car da 2500 dollari, la scorsa settimana all’Autoexpo di Nuova Delhi, ha di fatto offuscato le proteste dei contadini e ha dato nuovo impulso al piano di industrializzazione lanciato dal Partito comunista marxista indiano che da oltre 30 anni è al potere nel Bengala Occidentale.
Dalla fabbrica bengalese, che è oggi protetta dalla polizia, usciranno circa 250 mila unità nella fase iniziale e 350 mila a regime. La Nano sarà in vendita a partire a fine anno secondo i responsabili del gruppo.
Nei mesi scorsi i contadini, guidati dal Trinamul Congress della “pasionaria” Mamata Banerjee, avevano organizzato numerose proteste, sfociate in violenti scontri con la polizia e anche qualche morto. Secondo gli oppositori circa 1200 braccianti e 300 agricoltori di 5 villaggi sono oggi disoccupati a causa dello stabilimento della Tata, che sorge a 50 chilometri a nord di Calcutta. Sostengono che la terra è stata acquistata contro la loro volontà e che gli indennizzi non sono stati adeguati. Durante una conferenza stampa, il giorno del lancio della Nano, Ratan Tata, il fondatore del colosso indiano, aveva “ringraziato” il governo bengalese per la messa a disposizione dei terreni e aveva detto di aver deciso di produrre la mini car nel Bengala Occidentale “per promuovere un’area a nord est del Paese che è marginalizzata dal punto di vista industriale”. La fabbrica Tata e anche il nuovo stabilimento Fiat di Ranjangaon sorgono nello stato centrale del Maharastra, lo stato di Bombay, dove è concentrata parte dell’industria automobilistica indiana.
La contestata fabbrica della Tata Motors a Singur, nello stato del Bengala Occidentale, dove si stanno producendo le mini car Nano, ha ricevuto oggi il via libera dall’Alta Corte di Calcutta. I giudici hanno detto che la confisca dei terreni agricoli da parte del governo bengalese è stata “legale” e in linea con le disposizioni della legge che regola gli espropri terrieri per uso pubblico. L’acquisizione dei terreni, avvenuta un anno fa, era stata contestata da undici petizioni che sono state respinte in blocco dal tribunale. Gli oppositori, guidati dal battagliero partito locale Trinamul Congress, avevano impugnato la decisione del governo locale di cedere l’area alla Tata Motors per costruire il suo stabilimento. Un terzo degli ex proprietari terrieri non ha ancora accettato per protesta l’indennizzo previsto dalla legge e ora sono pronti a ricorrere contro la decisione dell’Alta Corte.
Difficilmente questa sentenza riuscirà a sopire la polemica di Singur che è rimbalzata anche in Italia per via della nuova joint venture tra Tata Motors e Fiat. La risonanza mondiale del lancio della people car da 2500 dollari, la scorsa settimana all’Autoexpo di Nuova Delhi, ha di fatto offuscato le proteste dei contadini e ha dato nuovo impulso al piano di industrializzazione lanciato dal Partito comunista marxista indiano che da oltre 30 anni è al potere nel Bengala Occidentale.
Dalla fabbrica bengalese, che è oggi protetta dalla polizia, usciranno circa 250 mila unità nella fase iniziale e 350 mila a regime. La Nano sarà in vendita a partire a fine anno secondo i responsabili del gruppo.
Nei mesi scorsi i contadini, guidati dal Trinamul Congress della “pasionaria” Mamata Banerjee, avevano organizzato numerose proteste, sfociate in violenti scontri con la polizia e anche qualche morto. Secondo gli oppositori circa 1200 braccianti e 300 agricoltori di 5 villaggi sono oggi disoccupati a causa dello stabilimento della Tata, che sorge a 50 chilometri a nord di Calcutta. Sostengono che la terra è stata acquistata contro la loro volontà e che gli indennizzi non sono stati adeguati. Durante una conferenza stampa, il giorno del lancio della Nano, Ratan Tata, il fondatore del colosso indiano, aveva “ringraziato” il governo bengalese per la messa a disposizione dei terreni e aveva detto di aver deciso di produrre la mini car nel Bengala Occidentale “per promuovere un’area a nord est del Paese che è marginalizzata dal punto di vista industriale”. La fabbrica Tata e anche il nuovo stabilimento Fiat di Ranjangaon sorgono nello stato centrale del Maharastra, lo stato di Bombay, dove è concentrata parte dell’industria automobilistica indiana.
giovedì 17 gennaio 2008
Pakistan, truppe perdono due fortini militari nel sud del Waziristan
In onda su Radio Svizzera Italiana
E’ di sicuro un pesante smacco per le forze di sicurezza pachistane, impegnate ormai da alcuni anni a fronteggiare l’avanzata dell’estremismo islamico. La resa di due fortini militari nel Sud del Waziristan, dove sono in corso combattimenti quotidiani, è stata smentita dal governo di Islamabad che teme per un’ulteriore erosione della sua credibilità in vista delle elezioni generali del 18 febbraio. Ma secondo testimoni e fonti dell’intelligence, due giorni fa l’avamposto di Saklatoi e dopo 24 ore anche quello di Sararogha sono stati abbandonati dalle forze paramilitari dopo aver ricevuto minacce da parte di centinaia di militanti filo telebani. I fortini, residui dell’era coloniale britannica, appartengono alla polizia di frontiera lungo il poroso confine con l’Afghanistan. In quest’area sorge la roccaforte del comandante talebano Baitullah Mehsud, accusato dalle autorità pachistane di essere il mandante dell’uccisione di Benazir Bhutto. Su pressione degli Stati Uniti circa 100 mila soldati sarebbero dislocati nella vasta provincia di frontiera del nord ovest.
La tensione in queste ore è alta anche per l’ennesimo attentato a Peshawar riconducibile alla rivalità tra i sunniti e la minoranza sciita. Un giovane kamikaze ieri si è fatto esplodere in una moschea affollata di fedeli per la festività religiosa sciita di Ashoura che si celebra questo finesettimana. I morti sono almeno una decina. In un’intervista Pervez Musharraf ha reiterato l’impegno a combattere Al Qaeda da solo senza l’aiuto degli Stati Uniti e ha smentito che il paese sia in grave pericolo. Non ci faremo sopraffare – ha detto -. Il Pakistan è una forte nazione di 160 milioni di persone, con armi nucleari e una robusta economia”.
E’ di sicuro un pesante smacco per le forze di sicurezza pachistane, impegnate ormai da alcuni anni a fronteggiare l’avanzata dell’estremismo islamico. La resa di due fortini militari nel Sud del Waziristan, dove sono in corso combattimenti quotidiani, è stata smentita dal governo di Islamabad che teme per un’ulteriore erosione della sua credibilità in vista delle elezioni generali del 18 febbraio. Ma secondo testimoni e fonti dell’intelligence, due giorni fa l’avamposto di Saklatoi e dopo 24 ore anche quello di Sararogha sono stati abbandonati dalle forze paramilitari dopo aver ricevuto minacce da parte di centinaia di militanti filo telebani. I fortini, residui dell’era coloniale britannica, appartengono alla polizia di frontiera lungo il poroso confine con l’Afghanistan. In quest’area sorge la roccaforte del comandante talebano Baitullah Mehsud, accusato dalle autorità pachistane di essere il mandante dell’uccisione di Benazir Bhutto. Su pressione degli Stati Uniti circa 100 mila soldati sarebbero dislocati nella vasta provincia di frontiera del nord ovest.
La tensione in queste ore è alta anche per l’ennesimo attentato a Peshawar riconducibile alla rivalità tra i sunniti e la minoranza sciita. Un giovane kamikaze ieri si è fatto esplodere in una moschea affollata di fedeli per la festività religiosa sciita di Ashoura che si celebra questo finesettimana. I morti sono almeno una decina. In un’intervista Pervez Musharraf ha reiterato l’impegno a combattere Al Qaeda da solo senza l’aiuto degli Stati Uniti e ha smentito che il paese sia in grave pericolo. Non ci faremo sopraffare – ha detto -. Il Pakistan è una forte nazione di 160 milioni di persone, con armi nucleari e una robusta economia”.
De Castro: aspetto un segnale del governo indiano su riduzione dazi doganali
Su Apcom
“L’Agrofood Park è solo uno dei “tanti risultati positivi” di questa missione concepita per “dare concretezza alla visita di Romano Prodi” di quasi un anno fa che ha rimesso l’India al centro della politica di internazionalizzazione delle imprese italiane. Il ministro per le politiche agricole Paolo De Castro, che conclude stasera una maratona diplomatica di due giorni, può considerarsi soddisfatto anche dall’impegno assicurato da parte del governo indiano per eliminare o ridurre ulteriormente le barriere tariffarie e non tariffarie che penalizzano il Made in Italy.
Le importazioni di prodotti indiani dell’agroalimentare in Italia sono dieci volte superiori alle nostre esportazioni. Il disavanzo commerciale, pari a 169 milioni di euro nel 2006, è in progressivo aumento. Tra due settimane ci sarà un’altra missione di “follow up”, quella del ministro del commercio estero Emma Bonino. “Ci aspettiamo un segnale preciso – ha detto De Castro che oggi ha avuto un secondo incontro con il ministro del food processing Subodh Kant Sahai – da parte del governo indiano in materia di riduzione delle tariffe, soprattutto quelle sul vino”. Il ministro ha dichiarato che il messaggio “è stato ben capito”. Anche perché l’impegno a portare investimenti italiani in India sarebbe condizionato alla disponibilità mostrata da Nuova Delhi sullo scottante fronte dei dazi doganali.
Sul parco agroalimentare, un’iniziativa dell’Unione Parmense degli Industriali, “sarà costituito un gruppo tecnico per la scelta della location da una rosa di 5 aree individuate dal governo indiano” ha precisato De Castro. Al gruppo di lavoro parteciperanno il ministro Sahai e rappresentanti della Ficci, la Camera di Commercio indiana. Come fase iniziale “saranno investiti qualche milione di euro”, ma l’impegno finanziario è un aspetto secondario: “sarà molto più importante creare una situazione di convenienza per gli investimenti italiani”. L’Agrofood Park dovrà essere una sorta “vetrina dove sarà esposta la tecnologica italiana e indiana”. Il ministro ha poi ricordato anche gli altri accordi firmati, tra cui quello di Unacoma (macchine agricole) per la realizzazione di un evento specializzato sulla meccanizzazione agricola e l’intesa tra Cermac (già presente in India con un “campo prove” a Ludhiana, nel Punjab) e FieldFresh (gruppo Bharti e Del Monte) per la cooperazione nella meccanica agricola e tecnologie del food processing. Infine va ricordato l’iniziativa della Crai, che intende replicare in India la positiva esperienza in Cina dove a fine anno inaugurerà 4 negozi “flagship” di circa 4 mila metri ciascuno dove accanto al supermercato alimentare ci saranno un ristorante e un angolo con prodotti tipici del Made in Italy. La Crai, presente nella delegazione ministeriale, è impegnata a cercare un partner indiano.
“L’Agrofood Park è solo uno dei “tanti risultati positivi” di questa missione concepita per “dare concretezza alla visita di Romano Prodi” di quasi un anno fa che ha rimesso l’India al centro della politica di internazionalizzazione delle imprese italiane. Il ministro per le politiche agricole Paolo De Castro, che conclude stasera una maratona diplomatica di due giorni, può considerarsi soddisfatto anche dall’impegno assicurato da parte del governo indiano per eliminare o ridurre ulteriormente le barriere tariffarie e non tariffarie che penalizzano il Made in Italy.
Le importazioni di prodotti indiani dell’agroalimentare in Italia sono dieci volte superiori alle nostre esportazioni. Il disavanzo commerciale, pari a 169 milioni di euro nel 2006, è in progressivo aumento. Tra due settimane ci sarà un’altra missione di “follow up”, quella del ministro del commercio estero Emma Bonino. “Ci aspettiamo un segnale preciso – ha detto De Castro che oggi ha avuto un secondo incontro con il ministro del food processing Subodh Kant Sahai – da parte del governo indiano in materia di riduzione delle tariffe, soprattutto quelle sul vino”. Il ministro ha dichiarato che il messaggio “è stato ben capito”. Anche perché l’impegno a portare investimenti italiani in India sarebbe condizionato alla disponibilità mostrata da Nuova Delhi sullo scottante fronte dei dazi doganali.
Sul parco agroalimentare, un’iniziativa dell’Unione Parmense degli Industriali, “sarà costituito un gruppo tecnico per la scelta della location da una rosa di 5 aree individuate dal governo indiano” ha precisato De Castro. Al gruppo di lavoro parteciperanno il ministro Sahai e rappresentanti della Ficci, la Camera di Commercio indiana. Come fase iniziale “saranno investiti qualche milione di euro”, ma l’impegno finanziario è un aspetto secondario: “sarà molto più importante creare una situazione di convenienza per gli investimenti italiani”. L’Agrofood Park dovrà essere una sorta “vetrina dove sarà esposta la tecnologica italiana e indiana”. Il ministro ha poi ricordato anche gli altri accordi firmati, tra cui quello di Unacoma (macchine agricole) per la realizzazione di un evento specializzato sulla meccanizzazione agricola e l’intesa tra Cermac (già presente in India con un “campo prove” a Ludhiana, nel Punjab) e FieldFresh (gruppo Bharti e Del Monte) per la cooperazione nella meccanica agricola e tecnologie del food processing. Infine va ricordato l’iniziativa della Crai, che intende replicare in India la positiva esperienza in Cina dove a fine anno inaugurerà 4 negozi “flagship” di circa 4 mila metri ciascuno dove accanto al supermercato alimentare ci saranno un ristorante e un angolo con prodotti tipici del Made in Italy. La Crai, presente nella delegazione ministeriale, è impegnata a cercare un partner indiano.
Vinitaly, si beve ancora poco vino italiano in India
Nonostante un aumento dell’80% dell’export nel 2006 e del 23% nei primi nove mesi del 2007, il consumo di vino italiano in India è ancora molto modesto. Il principale ostacolo è rappresentato dai dazi e dalle tasse, che incidono fino ad un massimo del 250% sul prezzo di una bottiglia, ma “ci sono anche dei ritardi da colmare” secondo Giovanni Mantovani, direttore generale di VeronaFiere che ha aperto oggi a Nuova Delhi la terza edizione di Vinitaly. La mostra, a cui partecipano 70 aziende italiane, è stata inaugurata dal ministro per le politiche agricole Paolo De Castro, che conclude oggi la sua missione indiana.
Dopo la liberalizzazione nel 2001, il consumo di vino importato è in costante crescita e rappresenta oggi un mercato di 50 milioni di euro, ma il “peso” dell’Italia è quasi insignificante (1,1 milioni di euro nei primi nove mesi del 2007 pari a 202 mila litri). “Solo negli ultimi cinque anni, da quando è cominciato a calare il consumo interno, l’Italia ha iniziato a cercare nuovi sbocchi sui grandi mercati emergenti come la Cina e l’India - ha spiegato Mantovani – In Cina siano partiti un po’ prima e dopo dieci anni di Vinitaly a Shangai si è creata una certa consapevolezza dei prodotti italiani, mentre in India c’è ancora molto da fare per far diffondere la conoscenza dei nostri marchi”. Certo le barriere tariffarie, la complessa burocrazia e la mancanza di un’adeguata rete distributiva stanno penalizzando il Made in Italy. “Da alcuni anni l’Italia sta promuovendo in modo aggressivo i suoi vini – spiega Subash Arora, presidente della Wine Indian Academy e autore di una Guida sui vini italiani in India - –ma la promozione è ancora insufficiente. Occorre per esempio far conoscere di più i vini nei ristoranti con degustazioni e presentazioni mirate. Creare degli eventi per gli importatori, come Vinitaly, va bene, ma non è sufficiente. Gli importatori, che oggi sono quasi un centinaio, sono solo dei commercianti e non contribuiscono a far conoscere la storia e le qualità delle etichette italiane”.
Fino a dieci anni fa i vini francesi avevano quasi il monopolio del vino importato in India. Adesso la quota della Francia è scesa al 30%, ma rimane sempre davanti all’Italia che si contende il campo con gli altri fornitori che nell’ordine sono Australia, Stati Uniti, Cina e Argentina. Sono aumentate in questi anni anche le etichette importate che oggi sono 1400 e i ristoranti italiani, concentrati per la maggior parte negli hotel a cinque stelle, hanno ormai una ricca lista di vini di quasi tutte le regioni.
A Nuova Delhim, Veronafiere ha lanciato anche un’iniziativa per promuovere il Made in Italy attraverso eventi fieristici. “Nei prossimi tre mesi individueremo un partner indiano – spiega Mantovani – per creare una nuova società che avrà come obiettivo di realizzare fiere ed esposizioni dedicate al wine e food ed anche alle tecnologie dell’agroalimentare”.
mercoledì 16 gennaio 2008
India, missione De Castro da via libera a parco dell'agroalimentare
Pubblicato su Apcom
Un parco tecnologico dedicato all’agroalimentare dove le aziende italiane e indiane possono lavorare insieme e attirare investimenti grazie a incentivi fiscali e doganali. E’ la funzione dell’Agrofood Park che India e Italia si sono impegnati a realizzare nei prossimi 18 mesi in base a un memorandum d’intesa siglato oggi a Nuova Delhi dal ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Paolo De Castro e dal suo omologo indiano Subod Kant Sahai che è a capo del dicastero del food processing. La delegazione italiana è composta anche da Confindustria, Federalimentare e altre cinque associazioni di categoria.
Il progetto di un Agrofood Park, in gestazione da un paio di anni, era stato lanciato in particolare dall’Unione Parmense degli Industriali sulla base della positiva esperienza italiana dei distretti industriali, i “cluster”, un modello di sviluppo che ben si adatta al tessuto economico indiano basato sulle piccole e medie imprese. In base al memorandum, entro sei mesi sarà creata una Fondazione che beneficerà di finanziamenti del governo italiano e indiano e anche delle imprese interessate a investire. Per ora non è ancora stato decisa l’entità degli stanziamenti. Il governo indiano, inoltre, non ha ancora individuato la location che dovrà essere “in un’area geograficamente ben definita specializzata nella produzione di frutta, verdura e latte, dovrà avere un’elevata concentrazione territoriale di imprese meccaniche o piccole officine e dovrà essere vicina a un porto o aeroporto” secondo una nota del ministero. Il progetto prevede “il coinvolgimento a monte di produttori locali di frutta e verdura e latte e la realizzazione di 3 o 4 stabilimenti di trasformazione degli stessi prodotti che utilizzeranno impianti o tecnologie del Made in Italy”.
L’Agrofood Park fa parte “degli sforzi del nostro governo affinché le aziende italiane e indiane si aggreghino per creare insediamenti produttivi in India” ha detto De Castro che nel pomeriggio ha partecipato ad un seminario organizzato da Confindustria e da Ficci (la Federazione Indiana della Camere di Commercio) dove è stato firmato anche un accordo tra Cermac di Bologna (associazione di produttori macchine agricole e post raccolta) e la società Bharti Wal-Mart (nata dalla fusione del gruppo di telefonia indiano e il colosso americano Wal –Mart per l’apertura di una catena di “cash&carry” all’ingrosso).
Nel suo incontro di stamattina con il ministro indiano dell’agricoltura Sharad Pawar e con il ministro del food processing Sahai, De Castro ha anche siglato un secondo memorandum d’intesa in materia agricola e fitosanitaria. Si tratta della creazione entro i prossimi 12 mesi di un laboratorio di Food Testing nella città di Kolkata, nel Bengala Occidentale.
I colloqui ufficiali hanno anche riguardato l’interscambio di prodotti dell’agroalimentare. Nei primi sei mesi del 2007 le esportazioni verso l’India hanno registrato un aumento dell’11% (13% per l’alimentare e 39% i prodotti trasformati). “Riteniamo che tra pochi anni si aprirà un mercato importante per l’export dei prodotti agroalimentari italiani e anche per gli investimenti - ha detto il ministro al seminario della Ficci, ricordando anche che “già oggi l’Italia è un importante mercato di sbocco dei prodotti agricoli indiani (quasi 200 milioni di euro)”. L’interscambio presenta però un forte disavanzo commerciale. Nel 2006 le importazioni di prodotti agroalimentari indiani hanno toccato i 188 milioni di euro a fronte di 19,5 milioni di euro circa di esportazioni (che dal 2000 al 2006 sono balzate del 115%, di cui 29% solo nel 2006). A trainare l’export è pasta, olio di oliva, formaggi duri, vino, conserve di pomodori e prosciutti, salsicce e salami (prima praticamente inesistenti sul mercato indiano).
Ci sono però alcuni punti di attrito tra i due Paesi relativi alle elevate barriere tariffarie, che pur essendo in diminuzione negli ultimi cinque anni, rimangono ancora tra le più alte del mondo. L’esempio più eclatante è il vino su cui pesa un dazio che va da un minimo del 150% ad un massimo del 250% (a seconda dello Stato indiano). La questione è stata sollevata da De Castro durante gli incontri con il governo indiano. La rimozione delle barriere tariffarie e non tariffarie “è considerata una prerogativa affinché progetti come l’Agrofood Park possano essere attuati da entrambi i Paesi” ha detto un portavoce del ministero.
Domani il ministro De Castro inaugurerà la mostra Vinitaly India 2008 e poi incontrerà il tycoon indiano Mukesh Ambani, che è a capo del conglomerato Reliance Industries, che sta aprendo centinaia di supermercati di frutta e verdura con la formula “dal produttore al consumatore”.
Un parco tecnologico dedicato all’agroalimentare dove le aziende italiane e indiane possono lavorare insieme e attirare investimenti grazie a incentivi fiscali e doganali. E’ la funzione dell’Agrofood Park che India e Italia si sono impegnati a realizzare nei prossimi 18 mesi in base a un memorandum d’intesa siglato oggi a Nuova Delhi dal ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Paolo De Castro e dal suo omologo indiano Subod Kant Sahai che è a capo del dicastero del food processing. La delegazione italiana è composta anche da Confindustria, Federalimentare e altre cinque associazioni di categoria.
Il progetto di un Agrofood Park, in gestazione da un paio di anni, era stato lanciato in particolare dall’Unione Parmense degli Industriali sulla base della positiva esperienza italiana dei distretti industriali, i “cluster”, un modello di sviluppo che ben si adatta al tessuto economico indiano basato sulle piccole e medie imprese. In base al memorandum, entro sei mesi sarà creata una Fondazione che beneficerà di finanziamenti del governo italiano e indiano e anche delle imprese interessate a investire. Per ora non è ancora stato decisa l’entità degli stanziamenti. Il governo indiano, inoltre, non ha ancora individuato la location che dovrà essere “in un’area geograficamente ben definita specializzata nella produzione di frutta, verdura e latte, dovrà avere un’elevata concentrazione territoriale di imprese meccaniche o piccole officine e dovrà essere vicina a un porto o aeroporto” secondo una nota del ministero. Il progetto prevede “il coinvolgimento a monte di produttori locali di frutta e verdura e latte e la realizzazione di 3 o 4 stabilimenti di trasformazione degli stessi prodotti che utilizzeranno impianti o tecnologie del Made in Italy”.
L’Agrofood Park fa parte “degli sforzi del nostro governo affinché le aziende italiane e indiane si aggreghino per creare insediamenti produttivi in India” ha detto De Castro che nel pomeriggio ha partecipato ad un seminario organizzato da Confindustria e da Ficci (la Federazione Indiana della Camere di Commercio) dove è stato firmato anche un accordo tra Cermac di Bologna (associazione di produttori macchine agricole e post raccolta) e la società Bharti Wal-Mart (nata dalla fusione del gruppo di telefonia indiano e il colosso americano Wal –Mart per l’apertura di una catena di “cash&carry” all’ingrosso).
Nel suo incontro di stamattina con il ministro indiano dell’agricoltura Sharad Pawar e con il ministro del food processing Sahai, De Castro ha anche siglato un secondo memorandum d’intesa in materia agricola e fitosanitaria. Si tratta della creazione entro i prossimi 12 mesi di un laboratorio di Food Testing nella città di Kolkata, nel Bengala Occidentale.
I colloqui ufficiali hanno anche riguardato l’interscambio di prodotti dell’agroalimentare. Nei primi sei mesi del 2007 le esportazioni verso l’India hanno registrato un aumento dell’11% (13% per l’alimentare e 39% i prodotti trasformati). “Riteniamo che tra pochi anni si aprirà un mercato importante per l’export dei prodotti agroalimentari italiani e anche per gli investimenti - ha detto il ministro al seminario della Ficci, ricordando anche che “già oggi l’Italia è un importante mercato di sbocco dei prodotti agricoli indiani (quasi 200 milioni di euro)”. L’interscambio presenta però un forte disavanzo commerciale. Nel 2006 le importazioni di prodotti agroalimentari indiani hanno toccato i 188 milioni di euro a fronte di 19,5 milioni di euro circa di esportazioni (che dal 2000 al 2006 sono balzate del 115%, di cui 29% solo nel 2006). A trainare l’export è pasta, olio di oliva, formaggi duri, vino, conserve di pomodori e prosciutti, salsicce e salami (prima praticamente inesistenti sul mercato indiano).
Ci sono però alcuni punti di attrito tra i due Paesi relativi alle elevate barriere tariffarie, che pur essendo in diminuzione negli ultimi cinque anni, rimangono ancora tra le più alte del mondo. L’esempio più eclatante è il vino su cui pesa un dazio che va da un minimo del 150% ad un massimo del 250% (a seconda dello Stato indiano). La questione è stata sollevata da De Castro durante gli incontri con il governo indiano. La rimozione delle barriere tariffarie e non tariffarie “è considerata una prerogativa affinché progetti come l’Agrofood Park possano essere attuati da entrambi i Paesi” ha detto un portavoce del ministero.
Domani il ministro De Castro inaugurerà la mostra Vinitaly India 2008 e poi incontrerà il tycoon indiano Mukesh Ambani, che è a capo del conglomerato Reliance Industries, che sta aprendo centinaia di supermercati di frutta e verdura con la formula “dal produttore al consumatore”.
lunedì 14 gennaio 2008
India ottiene appoggio di Pechino su nucleare e seggio al Consiglio di Sicurezza
Su Radio Vaticana
“La Grande Muraglia mostra qualche crepa” è il titolo scelto da un quotidiano indiano stamattina per riassumere il risultato diplomatico del vertice tra Monmohan Singh e Wen Jabao. India e Cina, che insieme rappresentano un terzo dell’umanità, vogliono superare il muro di reciproca diffidenza che li separa fin dalla miniguerra di confine del 1962. In una dichiarazione congiunta di sei pagine hanno delineato una visione comune per il ventunesimo secolo che vede i due giganti asiatici come protagonisti della scena geopolitica mondiale. New Delhi è riuscita ad ottenere l’appoggio di Pechino alla sua candidatura ad un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu quando sarà allargato. Ed è anche riuscita ad ottenere, anche se implicitamente, il consenso cinese alle sue ambizioni nucleari. Nella dichiarazione si legge che i due paesi “si impegnano a promuovere al cooperazione in materia di energia atomica”, Un simile impegno è esteso anche per la protezione dell’ambiente, un punto cruciale visto che India e Cina si avviano a diventare i futuri inquinatori mondiali. Nessun passo avanti invece, come previsto, sull’annosa disputa per la delimitazione del lungo confine himalayano e sulle rivendicazioni territoriali. Il successo più evidente si registra tuttavia nelle relazioni economiche che sono in piena espansione, anche se l’India presenta un forte deficit commerciale con la Cina. I due governi hanno firmato undici accordi commerciali e aumentato a 60 miliardi di dollari il volume dell’interscambio da raggiungere nel 2010.
Musharraf vuole far luce su mistero assassinio di Benazir Bhutto
In onda su Radio Svizzera Italiana
In un ennesimo colpo di scena sull’assassinio di Benazir Bhutto, il presidente Musharraf vorrebbe ora che il corpo della leader sia esumato per dissipare il mistero sulla sua morte. In un’intervista ad un settimanale americano il presidente ha respinto le accuse di complicità lanciate dal PPP e ha detto di volere un’autopsia, ma solo se la famiglia Bhutto lo richiede. I famigliari di Benazir avevano già in precedenza rifiutato un esame autoptico da parte delle autorità che secondo loro avrebbero inquinato le prove. Per loro un’esumazione sarebbe possibile solo se ordinata da una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come richiesto più volte dal partito. Nella stessa intervista Musharraf ha però bocciato l’ipotesi come “ridicola. Che necessità c’è di una commissione internazionale - si è chiesto - quando non c’è il coinvolgimento di altri paesi?”. Un team di investigatori di Scotland Yard si sta occupando del caso e secondo alcune indiscrezioni della stampa britannica avrebbe trovato una pista che conduce ad Al Qaeda. Secondo testimonianze e anche un filmato, l’ex premier sarebbe stata uccisa da proiettili sparati da uno sconosciuto nascosto tra la folla di simpatizzanti. Poi sarebbe seguita l’esplosione innescata da un kamikaze. Le autorità pachistane sostengono invece che Benazir è morta per frattura cranica. Una versione che non convince i sostenitori del PPP e nemmeno la stessa opinione pubblica. Secondo un sondaggio di opinione, quasi metà dei pachistani ritiene i servizi segreti o i partiti legati al governo responsabili dell’uccisione dell’ex premier avvenuta lo scorso 27 dicembre.
In un ennesimo colpo di scena sull’assassinio di Benazir Bhutto, il presidente Musharraf vorrebbe ora che il corpo della leader sia esumato per dissipare il mistero sulla sua morte. In un’intervista ad un settimanale americano il presidente ha respinto le accuse di complicità lanciate dal PPP e ha detto di volere un’autopsia, ma solo se la famiglia Bhutto lo richiede. I famigliari di Benazir avevano già in precedenza rifiutato un esame autoptico da parte delle autorità che secondo loro avrebbero inquinato le prove. Per loro un’esumazione sarebbe possibile solo se ordinata da una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come richiesto più volte dal partito. Nella stessa intervista Musharraf ha però bocciato l’ipotesi come “ridicola. Che necessità c’è di una commissione internazionale - si è chiesto - quando non c’è il coinvolgimento di altri paesi?”. Un team di investigatori di Scotland Yard si sta occupando del caso e secondo alcune indiscrezioni della stampa britannica avrebbe trovato una pista che conduce ad Al Qaeda. Secondo testimonianze e anche un filmato, l’ex premier sarebbe stata uccisa da proiettili sparati da uno sconosciuto nascosto tra la folla di simpatizzanti. Poi sarebbe seguita l’esplosione innescata da un kamikaze. Le autorità pachistane sostengono invece che Benazir è morta per frattura cranica. Una versione che non convince i sostenitori del PPP e nemmeno la stessa opinione pubblica. Secondo un sondaggio di opinione, quasi metà dei pachistani ritiene i servizi segreti o i partiti legati al governo responsabili dell’uccisione dell’ex premier avvenuta lo scorso 27 dicembre.
domenica 13 gennaio 2008
INDIA-CINA, LE OMBRE DELLA MISSIONE DI SINGH
In onda su Radio Svizzera Italiana
Nonostante la crescita record degli scambi commerciali e le recenti esercitazioni militari congiunte, Cina e India continuano a guardarsi con un certo sospetto. La missione di Manmohan Singh a Pechino, iniziata ieri, si presenta con molte ombre. Difficilmente ci saranno dei passi avanti sulle due qestioni cruciali dei rapporti indo-cinesi, ovvero la disputa sui confini e il via libera al commercio di tecnologia nucleare. Undici round di negoziati tra le due delegazioni non hanno sbloccato lo stallo sulla delimitazione della frontiera di oltre 4000 km che taglia in due la catena himalayana. Pechino non ha mai rinunciato a rivendicare lo stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Inoltre come ha ricordato il ministro degli esteri indiano Mukherjee, le intrusioni oltre confine di truppe cinesi sono abbastanza frequenti anche se finora non hanno avuto ripercussioni sui rapporti diplomatici. Il secondo cruccio di New Delhi è l’accordo indo- americano sul nucleare civile, attualmente in discussione presso l’agenzia Internazionale per l’energia Atomica e che per diventare operativo dovrà ottenere il consenso dei Paesi detentori di tecnologia nucleare. La Cina non vede di buon occhio il riconoscimento ufficiale dell’India come potenza atomica. Secondo alcune indiscrezioni, da questa visita, potrebbero però esserci alcune aperture sul nucleare e forse anche sulle ambizioni dell’India di avere un seggio permanente nel futuro Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma ci sono anche altri elementi irritanti tra i due giganti asiatici come l’espansione dell’influenza economica e tecnologica di Pechino in Pakistan e la presenza a Dharamsala del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio.
Nonostante la crescita record degli scambi commerciali e le recenti esercitazioni militari congiunte, Cina e India continuano a guardarsi con un certo sospetto. La missione di Manmohan Singh a Pechino, iniziata ieri, si presenta con molte ombre. Difficilmente ci saranno dei passi avanti sulle due qestioni cruciali dei rapporti indo-cinesi, ovvero la disputa sui confini e il via libera al commercio di tecnologia nucleare. Undici round di negoziati tra le due delegazioni non hanno sbloccato lo stallo sulla delimitazione della frontiera di oltre 4000 km che taglia in due la catena himalayana. Pechino non ha mai rinunciato a rivendicare lo stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Inoltre come ha ricordato il ministro degli esteri indiano Mukherjee, le intrusioni oltre confine di truppe cinesi sono abbastanza frequenti anche se finora non hanno avuto ripercussioni sui rapporti diplomatici. Il secondo cruccio di New Delhi è l’accordo indo- americano sul nucleare civile, attualmente in discussione presso l’agenzia Internazionale per l’energia Atomica e che per diventare operativo dovrà ottenere il consenso dei Paesi detentori di tecnologia nucleare. La Cina non vede di buon occhio il riconoscimento ufficiale dell’India come potenza atomica. Secondo alcune indiscrezioni, da questa visita, potrebbero però esserci alcune aperture sul nucleare e forse anche sulle ambizioni dell’India di avere un seggio permanente nel futuro Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma ci sono anche altri elementi irritanti tra i due giganti asiatici come l’espansione dell’influenza economica e tecnologica di Pechino in Pakistan e la presenza a Dharamsala del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio.
Missione di Singh a Pechino, India e Cina ancora divise su disputa confini
Su Apcom
Nonostante gli scambi commerciali che l’anno scorso hanno registrato un aumento del 50%, India e Cina continuano a guardarsi con sospetto. L’annosa questione della delimitazione del confine di oltre 4 mila chilometri che taglia in due la catena dell’Himalaya rimane ancora irrisolta e, secondo alcuni commentatori indiani, la missione di Manmohan Singh, in corso a Pechino, non porterà a molti passi in avanti. Le prime esercitazioni militari congiunte che si sono tenute a dicembre nella provincia dello Yunnan non ha dissipato la diffidenza reciproca dei due eserciti che nel 1962 hanno combattuto una miniguerra di frontiera. I due giganti asiatici rivendicano ampie porzioni di territorio e non hanno mai smesso di avanzare pretese sulla base di diritti acquisiti nel periodo coloniale britannico. Pechino, per esempio, non riconosce l’intero stato indiano dell’Arunachal Pradesh, nel nord est, incassato tra Bhutan e Tibet. Le trattative sulla linea di demarcazione conosciuta come “Line of Actual Control” sono iniziati nel 2003 e nonostante numerosi round di negoziati, non sono mai arrivati a tracciare una mappa che possa mettere fine alle dispute territoriali.
Sul confine permane anche una certa tensione militare. In un’intervista televisiva, alla vigilia della partenza di Singh, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee ha ammesso che “qualche volta si sono verificate incursioni cinesi oltre la Line of Actual Control”. Anche se non ci sono state ripercussioni dal punto di vista pratico, nel senso che non c’è stata una reazione militare da parte indiane, “è difficile ignorarle”. Negli ultimi due anni si sono registrate circa 300 intrusioni di militari cinesi sia nel settore orientale del Sikkim e Arunachal Pradesh, che nell’Uttaranchal Pradesh e nell’estremità occidentale intorno al grande lago Pangkok Tso in Ladakh.
Il governo di Nuova Delhi è estremamente cauto a non irritare il potente vicino, ma negli ambienti diplomatici si avverte una certa preoccupazione per lo sviluppo di infrastrutture oltre frontiera nella regione autonoma del Tibet. Il ministro Mukherjee ha ammesso anche che i cinesi “hanno una superiorità infrastrutturale in termini di strade, elettricità e altri servizi di trasporto”. L’India sta cercando di colmare il divario con un piano di opere pubbliche nelle regioni himalayane, ma il ritardo accumulato è enorme. Il supertreno cinese, inaugurato nel 2006, che va fino a Lhasa, è un esempio di come Pechino intende espandere la sua influenza all’interno del suo territorio fino al confine indiano e in particolare sull’altipiano tibetano dove è in corso una massiccia “sinesizzazione”. Gli indiani sono anche preoccupati dal vasto potenziamento dell’arteria autostradale della Karakoram che collega il Pakistan, “alleato” di Pechino, lungo i picchi del K2. Un altro elemento “irritante” è la presenza del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio nella località montana indiana di Dharamsala dal 1959. Di recente Nuova Delhi ha mostrato una certa “freddezza” nei confronti della causa tibetana. Quando agli inizi di novembre il settantaduenne Premio Nobel per la Pace è ritornato in India dopo la consegna della Medaglia d’Oro da parte del Congresso americano, i ministri sono stati invitati a non partecipare alle celebrazioni perché “non erano conformi con la politica estera del governo”.
Nonostante gli scambi commerciali che l’anno scorso hanno registrato un aumento del 50%, India e Cina continuano a guardarsi con sospetto. L’annosa questione della delimitazione del confine di oltre 4 mila chilometri che taglia in due la catena dell’Himalaya rimane ancora irrisolta e, secondo alcuni commentatori indiani, la missione di Manmohan Singh, in corso a Pechino, non porterà a molti passi in avanti. Le prime esercitazioni militari congiunte che si sono tenute a dicembre nella provincia dello Yunnan non ha dissipato la diffidenza reciproca dei due eserciti che nel 1962 hanno combattuto una miniguerra di frontiera. I due giganti asiatici rivendicano ampie porzioni di territorio e non hanno mai smesso di avanzare pretese sulla base di diritti acquisiti nel periodo coloniale britannico. Pechino, per esempio, non riconosce l’intero stato indiano dell’Arunachal Pradesh, nel nord est, incassato tra Bhutan e Tibet. Le trattative sulla linea di demarcazione conosciuta come “Line of Actual Control” sono iniziati nel 2003 e nonostante numerosi round di negoziati, non sono mai arrivati a tracciare una mappa che possa mettere fine alle dispute territoriali.
Sul confine permane anche una certa tensione militare. In un’intervista televisiva, alla vigilia della partenza di Singh, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee ha ammesso che “qualche volta si sono verificate incursioni cinesi oltre la Line of Actual Control”. Anche se non ci sono state ripercussioni dal punto di vista pratico, nel senso che non c’è stata una reazione militare da parte indiane, “è difficile ignorarle”. Negli ultimi due anni si sono registrate circa 300 intrusioni di militari cinesi sia nel settore orientale del Sikkim e Arunachal Pradesh, che nell’Uttaranchal Pradesh e nell’estremità occidentale intorno al grande lago Pangkok Tso in Ladakh.
Il governo di Nuova Delhi è estremamente cauto a non irritare il potente vicino, ma negli ambienti diplomatici si avverte una certa preoccupazione per lo sviluppo di infrastrutture oltre frontiera nella regione autonoma del Tibet. Il ministro Mukherjee ha ammesso anche che i cinesi “hanno una superiorità infrastrutturale in termini di strade, elettricità e altri servizi di trasporto”. L’India sta cercando di colmare il divario con un piano di opere pubbliche nelle regioni himalayane, ma il ritardo accumulato è enorme. Il supertreno cinese, inaugurato nel 2006, che va fino a Lhasa, è un esempio di come Pechino intende espandere la sua influenza all’interno del suo territorio fino al confine indiano e in particolare sull’altipiano tibetano dove è in corso una massiccia “sinesizzazione”. Gli indiani sono anche preoccupati dal vasto potenziamento dell’arteria autostradale della Karakoram che collega il Pakistan, “alleato” di Pechino, lungo i picchi del K2. Un altro elemento “irritante” è la presenza del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio nella località montana indiana di Dharamsala dal 1959. Di recente Nuova Delhi ha mostrato una certa “freddezza” nei confronti della causa tibetana. Quando agli inizi di novembre il settantaduenne Premio Nobel per la Pace è ritornato in India dopo la consegna della Medaglia d’Oro da parte del Congresso americano, i ministri sono stati invitati a non partecipare alle celebrazioni perché “non erano conformi con la politica estera del governo”.
giovedì 10 gennaio 2008
LA TATA CE L'HA FATTA, GLI INDIANI AVRANNO UNA QUATTROPOSTI DA 2500 DOLLARI
Pubblicato su Apcom
“Una promessa è una promessa”. Quattro anni dopo Ratan Tata, l’uomo simbolo dell’industria indiana, ha vinto la sfida. E’ riuscito a produrre l’automobile più a buon prezzo del pianeta. Erano stati i giornali indiani a soprannominare “one lakh car” il prototipo che i giovani ingegneri della Tata stavano sviluppando negli stabilimenti di Pune. Un “lakh”, ovvero 100 mila rupie, al cambio attuale circa 2500 dollari, sono all’incirca un anno di stipendio per un operaio. Pochi credevano che la Tata sarebbe riuscita a mantenere il prezzo prefissato. E soprattutto non lo credevano i concorrenti che ora si stanno buttando nella corsa dello low cost. Osama Suzuki solo due anni fa aveva detto che la “one lakh car non era realizzabile”. Questa frase è stata ricordata a caratteri cubitali sullo schermo tridimensionale dove stamattina è avvenuta la presentazione alla presenza di oltre mille giornalisti che hanno fatto la ressa per avere un posto in prima fila.
Il “Giovanni Agnelli” indiano, che in conferenza stampa dopo ha detto di essere stato “traumatizzato” dall’assalto mediatico (“sono una persona timida”) ha lanciato la sua creatura, battezzata “Nano” con uno spettacolo multimediale degno di Bill Gates. Ha tracciato una storia della famiglia e poi ha mostrato una famiglia media indiana su uno scooter, con due bambini piccoli, e ha detto di “volere dare agli indiani un mezzo più sicuro di trasporto”. Paradossalmente la “people car”, l’auto del popolo, sembra quasi avere più una funzione sociale, che quella di aumentare i profitti del colosso indiano che sta per comprare la Jaguar e Land Rover. “Abbiamo concepito questa auto per le masse indiane, non sono quelle delle città, ma soprattutto dell’India delle campagne dove la connettività è determinante per favorire lo sviluppo”. Il ministro del commercio Kamal Nath, presente tra la platea dell’Autoexpo , (dove era seduto anche il manager della Fiat Alfredo Cantavilla) ha dichiarato che la mini car “soddisfa le aspirazioni di un miliardo e 100 milioni di indiani”.
Il team della Tata non si è pronunciato sulla data esatta della commercializzazione, prevista per la seconda metà di quest’anno. “Ci sono ancora dei piccoli problemi da risolvere – ha detto il presidente – ma quella che vedete qui non è un prototipo, è una macchina pronta per la produzione”. L’utilitaria uscirà dallo stabilimento di Singur, nel Bengala Occidentale, che è stato teatro di sanguinosi scontri per via degli espropri agricoli. “La scelta del Bengala Occidentale è stata abbastanza insolita, ma abbiamo voluto così promuovere l’industrializzazione anche di un area marginale come il nord est”. La capacità attuale dello stabilimento è di 250 mila unità annue con una possibilità di arrivare a 350 mila. A chi gli chiedeva, in conferenza stampa, se non si sentiva responsabile di aumentare l’inquinamento e di congestionare ulteriormente le metropoli indiane, ha risposto con una domanda: “dobbiamo negare alle famiglie indiane di avere un mezzo privato di trasporto?”. Ha poi sottolineato la cronica carenza e inadeguatezza delle infrastrutture viarie in India, un “problema che deve essere urgentemente affrontato”. Ha poi aggiunto che non pensa di vendere “milioni” di mini car, “non abbiamo le capacità per farlo”, ma non ha indicato nessun target di vendita. “Noi abbiamo fatto del nostro meglio, adesso aspettiamo il verdetto dei consumatori che dovranno giudicare”. Nulla di definito anche sull’ipotesi di esportare la Nano. “Per i prossimi due anni l’India sarà il nostro mercato di riferimento” ha chiarito aggiungendo che “la mini car sarà pronta a soddisfare tutti i requisiti di sicurezza ed ecologici nel caso in cui raggiunga il mercato occidentale”. Ricordando il legame con Fiat, “una meravigliosa alleanza” non ha escluso in futuro la possibilità di un marketing comune in altri Paesi attraverso la rete di concessionari come già sta avvenendo oggi per le auto Tata e la Palio”. “Ognuno di noi è completamente indipendente di sviluppare o vendere i propri prodotti ovunque – ha detto – se ci sarà qualche convenienza di unire le forze in certi mercati, lo si farà”.
Dal punto di vista tecnico, il motore a due cilindri della Tata Nano è di 623 cc, catalittico e soddisfa il criterio di Euro 4. Dal punto di vista del consumo è abbastanza efficiente: 20 km con un litro. Ha quattro posti e una linea ultramoderna disegnata dagli italiani dello studio Idea che hanno già firmato la Tata Indica, ma “c’è stata una maggiore collaborazione del nostro staff interno per abbassare i costi”. Si presenta in sette versioni, tra cui una delux con l’aria condizionata.
“Una promessa è una promessa”. Quattro anni dopo Ratan Tata, l’uomo simbolo dell’industria indiana, ha vinto la sfida. E’ riuscito a produrre l’automobile più a buon prezzo del pianeta. Erano stati i giornali indiani a soprannominare “one lakh car” il prototipo che i giovani ingegneri della Tata stavano sviluppando negli stabilimenti di Pune. Un “lakh”, ovvero 100 mila rupie, al cambio attuale circa 2500 dollari, sono all’incirca un anno di stipendio per un operaio. Pochi credevano che la Tata sarebbe riuscita a mantenere il prezzo prefissato. E soprattutto non lo credevano i concorrenti che ora si stanno buttando nella corsa dello low cost. Osama Suzuki solo due anni fa aveva detto che la “one lakh car non era realizzabile”. Questa frase è stata ricordata a caratteri cubitali sullo schermo tridimensionale dove stamattina è avvenuta la presentazione alla presenza di oltre mille giornalisti che hanno fatto la ressa per avere un posto in prima fila.
Il “Giovanni Agnelli” indiano, che in conferenza stampa dopo ha detto di essere stato “traumatizzato” dall’assalto mediatico (“sono una persona timida”) ha lanciato la sua creatura, battezzata “Nano” con uno spettacolo multimediale degno di Bill Gates. Ha tracciato una storia della famiglia e poi ha mostrato una famiglia media indiana su uno scooter, con due bambini piccoli, e ha detto di “volere dare agli indiani un mezzo più sicuro di trasporto”. Paradossalmente la “people car”, l’auto del popolo, sembra quasi avere più una funzione sociale, che quella di aumentare i profitti del colosso indiano che sta per comprare la Jaguar e Land Rover. “Abbiamo concepito questa auto per le masse indiane, non sono quelle delle città, ma soprattutto dell’India delle campagne dove la connettività è determinante per favorire lo sviluppo”. Il ministro del commercio Kamal Nath, presente tra la platea dell’Autoexpo , (dove era seduto anche il manager della Fiat Alfredo Cantavilla) ha dichiarato che la mini car “soddisfa le aspirazioni di un miliardo e 100 milioni di indiani”.
Il team della Tata non si è pronunciato sulla data esatta della commercializzazione, prevista per la seconda metà di quest’anno. “Ci sono ancora dei piccoli problemi da risolvere – ha detto il presidente – ma quella che vedete qui non è un prototipo, è una macchina pronta per la produzione”. L’utilitaria uscirà dallo stabilimento di Singur, nel Bengala Occidentale, che è stato teatro di sanguinosi scontri per via degli espropri agricoli. “La scelta del Bengala Occidentale è stata abbastanza insolita, ma abbiamo voluto così promuovere l’industrializzazione anche di un area marginale come il nord est”. La capacità attuale dello stabilimento è di 250 mila unità annue con una possibilità di arrivare a 350 mila. A chi gli chiedeva, in conferenza stampa, se non si sentiva responsabile di aumentare l’inquinamento e di congestionare ulteriormente le metropoli indiane, ha risposto con una domanda: “dobbiamo negare alle famiglie indiane di avere un mezzo privato di trasporto?”. Ha poi sottolineato la cronica carenza e inadeguatezza delle infrastrutture viarie in India, un “problema che deve essere urgentemente affrontato”. Ha poi aggiunto che non pensa di vendere “milioni” di mini car, “non abbiamo le capacità per farlo”, ma non ha indicato nessun target di vendita. “Noi abbiamo fatto del nostro meglio, adesso aspettiamo il verdetto dei consumatori che dovranno giudicare”. Nulla di definito anche sull’ipotesi di esportare la Nano. “Per i prossimi due anni l’India sarà il nostro mercato di riferimento” ha chiarito aggiungendo che “la mini car sarà pronta a soddisfare tutti i requisiti di sicurezza ed ecologici nel caso in cui raggiunga il mercato occidentale”. Ricordando il legame con Fiat, “una meravigliosa alleanza” non ha escluso in futuro la possibilità di un marketing comune in altri Paesi attraverso la rete di concessionari come già sta avvenendo oggi per le auto Tata e la Palio”. “Ognuno di noi è completamente indipendente di sviluppare o vendere i propri prodotti ovunque – ha detto – se ci sarà qualche convenienza di unire le forze in certi mercati, lo si farà”.
Dal punto di vista tecnico, il motore a due cilindri della Tata Nano è di 623 cc, catalittico e soddisfa il criterio di Euro 4. Dal punto di vista del consumo è abbastanza efficiente: 20 km con un litro. Ha quattro posti e una linea ultramoderna disegnata dagli italiani dello studio Idea che hanno già firmato la Tata Indica, ma “c’è stata una maggiore collaborazione del nostro staff interno per abbassare i costi”. Si presenta in sette versioni, tra cui una delux con l’aria condizionata.
mercoledì 9 gennaio 2008
Pininfarina vuole aprire un centro di design in India
Su Apcom
L’India non è solo un serbatoio di cervelli per Pininfarina, ma potrebbe ospitare in futuro anche un centro di design industriale per la nascente industria automobilistica. Secondo una notizia riportata dal quotidiano Economic Times, il gruppo italiano avrebbe intenzione di stabilire un “global hub” in India tra i prossimi due e cinque anni.
Di recente Pininfarina ha avviato un’alleanza con la ICML (Indian Car and Motors Ltd), società di design che fa capo al produttore di trattori Sonalaika, per sviluppare una famiglia di “world car” destinate all’India e ad altri Paesi emergenti. In particolare le due società stanno lavorando a un progetto di un SUV (Sport Utilità Vehicle) e di un’autovettura di lusso.
Citando il consulente Roney Simon, il quotidiano indiano riferisce che la storica carrozzeria italiana “famosa per i suoi modelli di Ferrari e Maserati” avrebbe preso contatti con le principali case automobilistiche indiane e “starebbe pensando di espandere le sue operazioni nel subcontinente”. Il gruppo di Sergio Pininfarina aveva firmato lo scorso febbraio durante la missione di Romano Prodi un accordo con il National Institute of Design (NID), il vivaio dei talenti indiani, per una serie di attività congiunte nel centro di design di Torino e nel campus NID di Ahmedabad, nello stato del Punjab.
L’India non è solo un serbatoio di cervelli per Pininfarina, ma potrebbe ospitare in futuro anche un centro di design industriale per la nascente industria automobilistica. Secondo una notizia riportata dal quotidiano Economic Times, il gruppo italiano avrebbe intenzione di stabilire un “global hub” in India tra i prossimi due e cinque anni.
Di recente Pininfarina ha avviato un’alleanza con la ICML (Indian Car and Motors Ltd), società di design che fa capo al produttore di trattori Sonalaika, per sviluppare una famiglia di “world car” destinate all’India e ad altri Paesi emergenti. In particolare le due società stanno lavorando a un progetto di un SUV (Sport Utilità Vehicle) e di un’autovettura di lusso.
Citando il consulente Roney Simon, il quotidiano indiano riferisce che la storica carrozzeria italiana “famosa per i suoi modelli di Ferrari e Maserati” avrebbe preso contatti con le principali case automobilistiche indiane e “starebbe pensando di espandere le sue operazioni nel subcontinente”. Il gruppo di Sergio Pininfarina aveva firmato lo scorso febbraio durante la missione di Romano Prodi un accordo con il National Institute of Design (NID), il vivaio dei talenti indiani, per una serie di attività congiunte nel centro di design di Torino e nel campus NID di Ahmedabad, nello stato del Punjab.
India, Fiat vuole vendere 70 mila auto nel 2010
Pubblicato su Apcom
"Da oggi la Fiat si mette in gioco sul mercato> indiano". Con queste parole Alfredo Altavilla, giunto> al salone dell'Auto di Nuova Delhi al posto dell'a.d.> Sergio Marchionne, influenzato, ha annunciato il piano> per rilanciare un marchio che in India e' ancora molto> popolare, nonostante il crollo delle vendite degli> ultimi anni. Al fianco di Ravi Kant, direttore di Tata> Motors, il partner indiano nella joint venture> lanciata lo scorso anno, Altavilla ha presentato alla> stampa quattro nuovi modelli che saranno sulle strade> indiane entro la fine dell'anno. Si tratta della Linea> e della Grande Punto, che uscirano dal mega> stabilimento di Ranjangaon riaperto con l'aiuto> finanziario di Tata, e della Cinquecento e Bravo, che> saranno invece importate a pezzi e assemblate. > A chi gli ha chiesto di fissare un target di vendita,> Altavilla ha dichiarato di voler arrivare a 70 mila> vetture nel 2010. Un obiettivo ambizioso se si pensa> alle 2800 unita' (in maggior parte Palio) vendute> l'anno scorso nonostante l'avvio della rete comune di> concessionari (che sono ora arrivati a 65). "La> strategia della Fiat si basa essenzialente sul> prodotto, ma anche sulla nuova rete di vendita e su> una campagna di marketing che coivolgera' testimonial> indiani di primo piano - ha detto il manager del> Lingotto che piu' volte ha lodato il partner Tata> Motors " perche' ci ha aiutati a diventare piu'> efficenti e credibili che nel passato". La Linea,> presentata al Salone con uno spettacolo di danza> classica, ha fatto il suo debutto circa un anno fa al> Motor Show di Istanbul e si presenta in India come un> auto di medio livello che puo' prendere il posto della> vecchia Palio, la "world car" che ha ormai dieci anni> sulle spalle e che in India non e' mai riuscita a> sfondare soprattutto per la mancanza di una adeguata> rete di assistenza post vendita. "Vogliamo replicare> in India il successo che abbiamo registrato in Brasile> - ha detto Altavilla che riconosce le enormi> potenzialita' del mercato indiano. "Questo Salone mi> ricorda quello di Shangai nel momento in cui il> mercato cinese stava per esplodere. C'e' la stessa> effervescenza ed entusiamo". Dall'unita' di> Ranjangaon, in Maharastra, (che puo' produrre a> regime 130 mila auto e 200 mila motori all'anno)> uscira' tra pochi mesi anche la Palio con motore 1,3> Multijet. Lo stabilimento, che ha richiesto un> investimento congiunto di 650 milioni di dollari,> produce attualmente solo le Palio, ma in futuro e'> prevista anche una linea per nuove generazioni di> modelli Tata. > Per ora non ci sarebbero progetti di sviluppare o> costruire insieme nuove vetture. La Tata sara'> impegnata nel lancio della "people car", che sara' la> protagonista di questo car show. Il patron di Ratan> Tata togliera' il velo dalla prima "low cost" del> mondo domani sotto gli obiettivi della stampa> mondiale. Dalla Ford alla Renault si e' innescata una> corsa a disegnare le mini car che motorizzeranno> l'India e anche l'intera Asia. La Fiat, che non ha> nessun tipo di coinvolgimento nella auto da 100 mila> rupie (2500 dollari), per ora non sembra interessata a> mettersi in gara. "Porteremo la Cinquecento in India> perche' e' un simbolo del nostro marchio, ma I prezzi> saranno simili a quelli europei e si tratta di un> prodotto completamente differente dalla mini car della> Tata".
lunedì 7 gennaio 2008
Delhi, animalisti sequestrano cobra a incantatore di serpenti
Pubblicato su Apcom
Tempi duri per gli incantatori di serpenti di Nuova Delhi dopo una nuova offensiva delle associazioni animaliste per proteggere i cobra e gli altri rettili in via di estinzione. Nonostante una legge del 1972 vieti il possesso o la vendita di specie di flora e fauna protette, il tradizionale spettacolo del cobra che esce dalla cesta di vimini al suono del flauto è ancora abbastanza popolare soprattutto nelle destinazioni turistiche come il Rajasthan. Gli incantatori di serpenti in India appartengono a una casta sociale, i Sapera, e il loro mestiere ha un risvolto religioso essendo il serpente sacro per il dio Shiva.
Con l’emergere delle moderne metropoli e di una nuova sensibilità ecologica, questo residuo di India alla Kipling è destinato alla disoccupazione. Lo dimostra il “sequestro” di rettili avvenuto nel finettimana in un’area residenziale di Nuova Delhi e riportato con enfasi da alcuni quotidiani nazionali. Due cobra, un boa, un “rat snake” e un “diadem snake” sono stati sottratti a due incantatori che si erano avventurati nel ricco quartiere di Vasant Vihar, nel sud della capitale, dove vivono molti stranieri ed esponenti della middle class indiana. L’autore del blitz è l’organizzazione non governativa “Animal Savior” allertata da un anonimo cittadino che aveva notato due incantatori aggirarsi per il rione con il loro carico. “Fingendo di essere un cliente interessato a comprare un esemplare - racconta Gautam Grover dell’ong – ho chiesto di vedere i serpenti e poi ho minacciando di chiamare la polizia. A quel punto l’incantatore è fuggito lasciandomi le ceste”. I rettili sequestrati erano in pessime condizioni a causa dei maltrattamenti subiti alla dentatura e alle ghiandole che contengono il veleno. Costretti a subire i rigori dell’inverno del nord dell’India quando invece dovrebbero restare in letargo “le loro possibilità di sopravvivenza erano remote” secondo un esperto interpellato dall’ong che sconsiglia anche la gente a non “incoraggiare” gli spettacoli.
Tempi duri per gli incantatori di serpenti di Nuova Delhi dopo una nuova offensiva delle associazioni animaliste per proteggere i cobra e gli altri rettili in via di estinzione. Nonostante una legge del 1972 vieti il possesso o la vendita di specie di flora e fauna protette, il tradizionale spettacolo del cobra che esce dalla cesta di vimini al suono del flauto è ancora abbastanza popolare soprattutto nelle destinazioni turistiche come il Rajasthan. Gli incantatori di serpenti in India appartengono a una casta sociale, i Sapera, e il loro mestiere ha un risvolto religioso essendo il serpente sacro per il dio Shiva.
Con l’emergere delle moderne metropoli e di una nuova sensibilità ecologica, questo residuo di India alla Kipling è destinato alla disoccupazione. Lo dimostra il “sequestro” di rettili avvenuto nel finettimana in un’area residenziale di Nuova Delhi e riportato con enfasi da alcuni quotidiani nazionali. Due cobra, un boa, un “rat snake” e un “diadem snake” sono stati sottratti a due incantatori che si erano avventurati nel ricco quartiere di Vasant Vihar, nel sud della capitale, dove vivono molti stranieri ed esponenti della middle class indiana. L’autore del blitz è l’organizzazione non governativa “Animal Savior” allertata da un anonimo cittadino che aveva notato due incantatori aggirarsi per il rione con il loro carico. “Fingendo di essere un cliente interessato a comprare un esemplare - racconta Gautam Grover dell’ong – ho chiesto di vedere i serpenti e poi ho minacciando di chiamare la polizia. A quel punto l’incantatore è fuggito lasciandomi le ceste”. I rettili sequestrati erano in pessime condizioni a causa dei maltrattamenti subiti alla dentatura e alle ghiandole che contengono il veleno. Costretti a subire i rigori dell’inverno del nord dell’India quando invece dovrebbero restare in letargo “le loro possibilità di sopravvivenza erano remote” secondo un esperto interpellato dall’ong che sconsiglia anche la gente a non “incoraggiare” gli spettacoli.
mercoledì 2 gennaio 2008
Sri Lanka da il colpo di grazia alla pace
In onda su Radio Svizzera Italiana
Il governo di Colombo ha dato ieri il colpo di grazia al processo di pace con i ribelli delle Tigri Tamil avviato nel 2002 grazie alla mediazione norvegese. Il consiglio dei ministri ha deciso di ritirare l’accordo di cessate il fuoco che da un paio di anni esisteva ormai solo più sulla carta. Secondo la procedura una parte deve informare due settimane prima il ministro degli esteri norvegese dell’intenzione di abbandonare la tregua.
L’ultimo fallimento delle trattative nell’ottobre del 2006 aveva fatto riesplodere il ventennale conflitto etnico-religioso tra la maggioranza cingalese e i ribelli tamil. Con una serie di offensive militari, l’esercito di Colombo aveva riconquistato alcune roccaforti dei separatisti nel nord est dell’isola. I piani del presidente Mahinda Rajapaksa, un falco alleato del potente clero buddista, prevedono ora di ri prendere il controllo anche del nord dove è concentrata la maggior parte della minoranza tamil. La scorsa settimana un portavoce del ministro della difesa aveva definito l’accordo di tregua una “barzelletta” e aveva detto che non c ’era più nessuna intenzione di venire a patti con un’organizzazione terrorista come quella delle Tigri Tamil, dichiarata fuorilegge anche dall’Unione Europea. A provocare la decisione del governo è stato il sospetto attentato di ieri ad un bus militare a Colombo che ha causato cinque morti, secondo la polizia. Per rappresaglia i militari hanno bombardato alcune postazioni nel nord, secondo un copione di una guerra civile che dopo il fallimento diplomatico norvegese è ormai ignorata dall’intera comunità internazionale.
Il governo di Colombo ha dato ieri il colpo di grazia al processo di pace con i ribelli delle Tigri Tamil avviato nel 2002 grazie alla mediazione norvegese. Il consiglio dei ministri ha deciso di ritirare l’accordo di cessate il fuoco che da un paio di anni esisteva ormai solo più sulla carta. Secondo la procedura una parte deve informare due settimane prima il ministro degli esteri norvegese dell’intenzione di abbandonare la tregua.
L’ultimo fallimento delle trattative nell’ottobre del 2006 aveva fatto riesplodere il ventennale conflitto etnico-religioso tra la maggioranza cingalese e i ribelli tamil. Con una serie di offensive militari, l’esercito di Colombo aveva riconquistato alcune roccaforti dei separatisti nel nord est dell’isola. I piani del presidente Mahinda Rajapaksa, un falco alleato del potente clero buddista, prevedono ora di ri prendere il controllo anche del nord dove è concentrata la maggior parte della minoranza tamil. La scorsa settimana un portavoce del ministro della difesa aveva definito l’accordo di tregua una “barzelletta” e aveva detto che non c ’era più nessuna intenzione di venire a patti con un’organizzazione terrorista come quella delle Tigri Tamil, dichiarata fuorilegge anche dall’Unione Europea. A provocare la decisione del governo è stato il sospetto attentato di ieri ad un bus militare a Colombo che ha causato cinque morti, secondo la polizia. Per rappresaglia i militari hanno bombardato alcune postazioni nel nord, secondo un copione di una guerra civile che dopo il fallimento diplomatico norvegese è ormai ignorata dall’intera comunità internazionale.
Pakistan chiede aiuto a Scotland Yard per risolvere giallo dell'uccisione di Benazir
Sulla Radio Vaticana
Una settimana dopo la morte di Benazir Bhutto, il governo di Islambad ha chiesto aiuto al Regno Unito per risolvere il giallo del suo assassinio e anche allentare la tensione con il Partito Popolare Pachistano che si prepara alle elezioni generali rinviate al prossimo 18 febbraio. Un team di Scotland Yard sara’ inviato immediatamente per avviare l’inchiesta che era stata suggerita dallo stesso partito della Bhutto all’indomani dell’attentato di Rawalpindi attribuito dal governo ai militanti di Al Qeda.
Le autorita’ avevano detto inoltre che l’ex premier era morta per frattura cranica secondo un misterioso referto medico, ma un filmato del corteo e diverse testimonianze indicano invece che sarebbe stata colpita al collo da proiettili sparati prima dell’esplosione innescata da un sospetto kamikaze e che ha ucciso anche ventina di guardie del corpo che proteggevano il convoglio della leader.
Il rinvio delle elezioni e’ stato criticato da Asif Ali Zardari, marito della Bhutto nominato a capo del PPP insieme al figlio diciannovenne Bilawal. Ma il partito prendera parte al voto, originariamente previsto per l’8 gennaio e che e’ considerato cruciale per la continuazione del processo democratico in Pakistan.
Una settimana dopo la morte di Benazir Bhutto, il governo di Islambad ha chiesto aiuto al Regno Unito per risolvere il giallo del suo assassinio e anche allentare la tensione con il Partito Popolare Pachistano che si prepara alle elezioni generali rinviate al prossimo 18 febbraio. Un team di Scotland Yard sara’ inviato immediatamente per avviare l’inchiesta che era stata suggerita dallo stesso partito della Bhutto all’indomani dell’attentato di Rawalpindi attribuito dal governo ai militanti di Al Qeda.
Le autorita’ avevano detto inoltre che l’ex premier era morta per frattura cranica secondo un misterioso referto medico, ma un filmato del corteo e diverse testimonianze indicano invece che sarebbe stata colpita al collo da proiettili sparati prima dell’esplosione innescata da un sospetto kamikaze e che ha ucciso anche ventina di guardie del corpo che proteggevano il convoglio della leader.
Il rinvio delle elezioni e’ stato criticato da Asif Ali Zardari, marito della Bhutto nominato a capo del PPP insieme al figlio diciannovenne Bilawal. Ma il partito prendera parte al voto, originariamente previsto per l’8 gennaio e che e’ considerato cruciale per la continuazione del processo democratico in Pakistan.
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