Su Apcom
E’ stato uno degli attentati più sanguinosi della lunga storia di violenze in Assam, lo stato nord orientale indiano famoso per le piantagioni di te, ma anche per una guerriglia separatista che da oltre 20 anni si batte contro il governo centrale di Nuova Delhi. Secondo un bilancio ancora parziale oltre 62 persone sono morte e circa 300 sono state ferite in una decina di esplosioni a catena che stamattina dopo le 11 ora locale hanno seminato morte e terrore nei mercati della capitale assamese Guwahati e in altre tre città a centinaia di chilometri di distanza. Le bombe, a base del composto chimico RDX, sono state piazzate per la maggior parte su automobili e fatte scoppiare in un arco di tempo di 15 minuti l’una dall’altra. Proprio questa precisione e abilità farebbe pensare che dietro l’attacco ci sia una nuova regia meglio organizzata che quella dell’ULFA (Fronte Unito di Liberazione dell’Assam), la sigla che in passato ha firmato quasi tutti gli attacchi esplosivi in Assam e negli altri piccoli stati del turbolento nord est indiano. Gli stessi guerriglieri separatisti si sono affrettati quasi subito a negare ogni responsabilità accusando le “forze di occupazione” indiane di aver orchestrato gli attacchi.
Chi ci sarebbe quindi dietro la nuova strage che giunge pochi mesi dopo quelle di matrice islamica ai mercati di Nuova Delhi, di Ahmedabad, in Gujarat e di Jaipur, la “città rosa” del Rajasthan? Per ora ci sarebbero solo speculazioni, tra cui quella più accreditata per ora di una fazione di “ribelli” dell’Ulfa, fuoriusciti dall’organizzazione e nascosti nel vicino Bangladesh. Fonti dell’intelligence indiana hanno detto che la ‘nuova Ulfa” avrebbe deciso ora di passare al “terrore urbano” non colpendo come prima più obiettivi specifici, come gasdotti e oleodotti, depositi di carburante e soprattutto immigrati “non assamesi”, ma passando a una “strategia della tensione” simile a quella usata dai gruppi integralisti che si rifanno ad Al Qaeda.
Dopo il fallimento dei negoziati di pace nel 2006, il governo di Nuova Delhi avrebbe adottato una nuova strategia tentando di creare spaccature tra i ribelli. Alcuni “battaglioni” dell’Ulfa avrebbero avviato un dialogo arrivando anche a un cessate il fuoco, mentre altri sarebbero decisi a continuare la lotta armata approfittando del poroso confine con il Bangladesh e delle pessime relazioni tra Dacca e Nuova Delhi.
Era tuttavia già da qualche mese che in Assam la tensione era alta a causa di scontri tra la comunità indù e la minoranza mussulmana costituita da immigrati del Bangladesh. Il governo aveva schierato truppe paramilitari per porre fine alle violenze che avevano provocato oltre 50 morti in tre distretti settentrionali. Le ostilità erano tra il gruppo tribale Bodo, che da anni guida la guerriglia separatista, e la numerosa comunità degli immigrati bangladesi spesso accusati di sottrarre posti di lavoro e di alterare l’equilibrio demografico.
giovedì 30 ottobre 2008
lunedì 27 ottobre 2008
Mini jirga a Islamabad per strategia comune contro talebani
In onda su Radio Svizzera
Con l’uscita di scena di Pervez Musharraf, Pakistan e Afghanistan hanno messo da parte i loro vecchi rancori e iniziato a collaborare nella lotta al terrorismo islamico. Lo dimostra la mini jirga che si chiude oggi a Islamabad e che è il primo tentativo concreto di studiare una strategia comune per porre fine alle violenze nell’impervia zona di confine, è lungo oltre 2400 chilometri che corre tra i due paesi dove ci sono le roccaforti dei talebani e di al Qaeda. Al consiglio, o jirga, hanno partecipato 25 delegati pachistani e afgani in rappresentanza delle tribù di etnia pashtun più alcuni inviati dei due governi. L’ultima grande jirga, tenuta a Kabul, risale ad un anno fa, ma da allora la situazione sembra essere precipitata. Dalle loro basi nel Waziristan pachistano, i talebani hanno intensificato gli attacchi in Afghanistan e per risposta gli Stati Uniti e l’intelligence americana hanno lanciato una campagna di raid oltre frontiera contro i presunti militanti. L’ultimo attacco, effettuato con un missile lanciato da un drone, avrebbe ucciso una ventina di persone in un villaggio appartenente a un comandante del leader talebano locale Maulvi Nazir.
In apertura della mini jirga ieri, il ministro degli esteri pachistano Qureshi ha ancora una volta criticato i raid americani considerato una violazione dell’integrità territoriale nazionale.
Con l’uscita di scena di Pervez Musharraf, Pakistan e Afghanistan hanno messo da parte i loro vecchi rancori e iniziato a collaborare nella lotta al terrorismo islamico. Lo dimostra la mini jirga che si chiude oggi a Islamabad e che è il primo tentativo concreto di studiare una strategia comune per porre fine alle violenze nell’impervia zona di confine, è lungo oltre 2400 chilometri che corre tra i due paesi dove ci sono le roccaforti dei talebani e di al Qaeda. Al consiglio, o jirga, hanno partecipato 25 delegati pachistani e afgani in rappresentanza delle tribù di etnia pashtun più alcuni inviati dei due governi. L’ultima grande jirga, tenuta a Kabul, risale ad un anno fa, ma da allora la situazione sembra essere precipitata. Dalle loro basi nel Waziristan pachistano, i talebani hanno intensificato gli attacchi in Afghanistan e per risposta gli Stati Uniti e l’intelligence americana hanno lanciato una campagna di raid oltre frontiera contro i presunti militanti. L’ultimo attacco, effettuato con un missile lanciato da un drone, avrebbe ucciso una ventina di persone in un villaggio appartenente a un comandante del leader talebano locale Maulvi Nazir.
In apertura della mini jirga ieri, il ministro degli esteri pachistano Qureshi ha ancora una volta criticato i raid americani considerato una violazione dell’integrità territoriale nazionale.
giovedì 23 ottobre 2008
Diego Della Valle inaugura negozio Tod's
Su Apcom
Nonostante i venti di recessione mondiale, le grandi firme del Made in Italy continuano a scommettere sull’India. “Sono sicuro che i mercati asiatici saranno in grado di reagire meglio a questi momenti di crisi” dice Diego Della Valle, arrivato stasera a Nuova Delhi per inaugurare ufficialmente il negozio Tod’s aperto nel nuovo “fashion mall” Emporio, il mega centro commerciale delle marche di lusso che sorge alla periferia di Nuova Delhi. Altri due punti vendita sono già stati aperti a Mumbai e a Bangalore. “Tra un anno o due valuteremo poi l’eventuale apertura di altri negozi – continua – ma sono sicuro che qui in India sarà un successo perché gli indiani hanno una grande tradizione di manualità e un forte senso della qualità dei prodotti”.
A fare da madrina all’inaugurazione al negozio di 180 metri quadri è stata l’attrice Bipasha Basu, una delle sexy star del cinema di Bollywood, scelta come testimonial dell’azienda italiana in India.
La crisi finanziaria sta avendo ripercussioni anche sui consumi indiani che a pochi giorni dal Diwali, la “festa delle luci”, una delle più importanti festività induiste, stanno registrando un calo rispetto allo scorso anno. “Bisogna avere i nervi saldi – dice ancora Della Valle – la mia famiglia ha 100 anni e ha attraversato molte crisi. In questi momenti la differenza la fanno le aziende che hanno prodotti di qualità e solidi, che durano negli anni, di quelli che “più spendi meno spendi” come si diceva una volta”.
Nonostante i venti di recessione mondiale, le grandi firme del Made in Italy continuano a scommettere sull’India. “Sono sicuro che i mercati asiatici saranno in grado di reagire meglio a questi momenti di crisi” dice Diego Della Valle, arrivato stasera a Nuova Delhi per inaugurare ufficialmente il negozio Tod’s aperto nel nuovo “fashion mall” Emporio, il mega centro commerciale delle marche di lusso che sorge alla periferia di Nuova Delhi. Altri due punti vendita sono già stati aperti a Mumbai e a Bangalore. “Tra un anno o due valuteremo poi l’eventuale apertura di altri negozi – continua – ma sono sicuro che qui in India sarà un successo perché gli indiani hanno una grande tradizione di manualità e un forte senso della qualità dei prodotti”.
A fare da madrina all’inaugurazione al negozio di 180 metri quadri è stata l’attrice Bipasha Basu, una delle sexy star del cinema di Bollywood, scelta come testimonial dell’azienda italiana in India.
La crisi finanziaria sta avendo ripercussioni anche sui consumi indiani che a pochi giorni dal Diwali, la “festa delle luci”, una delle più importanti festività induiste, stanno registrando un calo rispetto allo scorso anno. “Bisogna avere i nervi saldi – dice ancora Della Valle – la mia famiglia ha 100 anni e ha attraversato molte crisi. In questi momenti la differenza la fanno le aziende che hanno prodotti di qualità e solidi, che durano negli anni, di quelli che “più spendi meno spendi” come si diceva una volta”.
mercoledì 22 ottobre 2008
Chandrayaan-1 a caccia del "petrolio spaziale"
Su Apcom
Uno dei principali obiettivi della sonda orbitante Chandrayaan-1 lanciata stamane dalla base spaziale di Shriharikota, sulla costa orientale indiana, sarà quella di esplorare i giacimenti di elio-3, il cosiddetto “petrolio spaziale” che è pressoché sconosciuto sulla superficie terrestre. Si tratta di un isotopo leggero dell’elio che secondo gli scienziati potrebbe alimentare centrali nucleari che non producono scorie pericolose. Piccole quantità sarebbero sufficienti per soddisfare i bisogni energetici del pianeta. L’ipotesi di estrarre e trasportare sulla terra questa risorsa è ancora molto remota, ma intanto l’India vuole ritagliarsi il suo spazio nella “corsa alla luna” che si è scatenata tra i giganti asiatici di Cina e Giappone.
Tra un paio di settimane la navicella Chandrayaan, che pesa oltre 1300 chili, raggiungerà la bassa orbita lunare e comincerà a scattare fotografie da una distanza “ravvicinata” di poche centinaia di chilometri e a inviarle alla sala di controllo dell’Isro (India Space Research Organization) nella città di Bangalore. La sua autonomia è di due anni.
Immediatamente dopo il lancio del razzo vettore Polar Satellite Launch Vehicle, trasmesso in diretta televisiva, ci sono state scene di giubilo nel centro di controllo di Shiharicota, un’isola al largo della costa dell’Andhra Pradhesh. Alla missione, iniziata circa nove anni fa e costata circa 80 milioni di dollari, hanno lavorato mille scienziati. Il capo dell’Isro, Madhavan Nair, ha definito l’impresa “un momento storico” per la nazione. Dal Giappone, dove si trova per una visita ufficiale, il primo ministro Manmohan Singh si è congratulato con gli scienziati per la missione che è “una pietra miliare del programma spaziale indiano” iniziato nel 1962 quando il padre della bomba atomica indiana. Homi Babha. decise di costruire la prima base spaziale a Thumba, un piccolo villaggio agricolo del Kerala. E’ lì che furono costruiti i primi rudimentali razzi. Alcune celebri foto d’epoca mostrano i componenti dei missili trasportati su carri trainati da bovini e su biciclette.
Uno dei principali obiettivi della sonda orbitante Chandrayaan-1 lanciata stamane dalla base spaziale di Shriharikota, sulla costa orientale indiana, sarà quella di esplorare i giacimenti di elio-3, il cosiddetto “petrolio spaziale” che è pressoché sconosciuto sulla superficie terrestre. Si tratta di un isotopo leggero dell’elio che secondo gli scienziati potrebbe alimentare centrali nucleari che non producono scorie pericolose. Piccole quantità sarebbero sufficienti per soddisfare i bisogni energetici del pianeta. L’ipotesi di estrarre e trasportare sulla terra questa risorsa è ancora molto remota, ma intanto l’India vuole ritagliarsi il suo spazio nella “corsa alla luna” che si è scatenata tra i giganti asiatici di Cina e Giappone.
Tra un paio di settimane la navicella Chandrayaan, che pesa oltre 1300 chili, raggiungerà la bassa orbita lunare e comincerà a scattare fotografie da una distanza “ravvicinata” di poche centinaia di chilometri e a inviarle alla sala di controllo dell’Isro (India Space Research Organization) nella città di Bangalore. La sua autonomia è di due anni.
Immediatamente dopo il lancio del razzo vettore Polar Satellite Launch Vehicle, trasmesso in diretta televisiva, ci sono state scene di giubilo nel centro di controllo di Shiharicota, un’isola al largo della costa dell’Andhra Pradhesh. Alla missione, iniziata circa nove anni fa e costata circa 80 milioni di dollari, hanno lavorato mille scienziati. Il capo dell’Isro, Madhavan Nair, ha definito l’impresa “un momento storico” per la nazione. Dal Giappone, dove si trova per una visita ufficiale, il primo ministro Manmohan Singh si è congratulato con gli scienziati per la missione che è “una pietra miliare del programma spaziale indiano” iniziato nel 1962 quando il padre della bomba atomica indiana. Homi Babha. decise di costruire la prima base spaziale a Thumba, un piccolo villaggio agricolo del Kerala. E’ lì che furono costruiti i primi rudimentali razzi. Alcune celebri foto d’epoca mostrano i componenti dei missili trasportati su carri trainati da bovini e su biciclette.
martedì 21 ottobre 2008
Chandrayaan-1, missione compiuta
In onda su Radio Svizzera
Da stamattina un miliardo e 100 milioni di indiani potranno guardare la luna con un pizzico di orgoglio nazionale in più. La piccola navicella Chandrayaan 1, frutto di nove anni di lavoro dell’Isro, l’Agenzia Spaziale indiana, è stata lanciata nell’orbita lunare e ha già iniziato a inviare i primi dati alla sala di controllo di Bangalore. L’operazione sarebbe stata perfetta secondo gli scienziati che si sono lasciati andare a scene di giubilo quando il razzo vettore PSLV - anche questo di fabbricazione indiana e già utilizzato più volte per il lancio di satelliti - ha lasciato la rampa di lancio della base spaziale di Sriharikota, un’isola sulla costa orientale. La missione costata 80 milioni di dollari, durerà due anni e avrà lo scopo di creare una mappa tridimensionale della luna, ma anche di esplorare la superficie alla ricerca di preziose risorse minerarie e di verificare la presenza di ghiaccio ai poli che permetterebbe eventuali insediamenti umani. La navicella orbitante Chandrayaan, che in sanscrito significa carro lunare, è composta da 11 strumenti di rilevazione, di cui circa la metà sono europei e americani.
Con questa impresa, l’India si unisce a Giappone e Cina, in questa gara tutta asiatica all’esplorazione della luna, che a quasi 30 anni dall’Apollo 11, potrebbe nascondere ancora molti segreti.
Da stamattina un miliardo e 100 milioni di indiani potranno guardare la luna con un pizzico di orgoglio nazionale in più. La piccola navicella Chandrayaan 1, frutto di nove anni di lavoro dell’Isro, l’Agenzia Spaziale indiana, è stata lanciata nell’orbita lunare e ha già iniziato a inviare i primi dati alla sala di controllo di Bangalore. L’operazione sarebbe stata perfetta secondo gli scienziati che si sono lasciati andare a scene di giubilo quando il razzo vettore PSLV - anche questo di fabbricazione indiana e già utilizzato più volte per il lancio di satelliti - ha lasciato la rampa di lancio della base spaziale di Sriharikota, un’isola sulla costa orientale. La missione costata 80 milioni di dollari, durerà due anni e avrà lo scopo di creare una mappa tridimensionale della luna, ma anche di esplorare la superficie alla ricerca di preziose risorse minerarie e di verificare la presenza di ghiaccio ai poli che permetterebbe eventuali insediamenti umani. La navicella orbitante Chandrayaan, che in sanscrito significa carro lunare, è composta da 11 strumenti di rilevazione, di cui circa la metà sono europei e americani.
Con questa impresa, l’India si unisce a Giappone e Cina, in questa gara tutta asiatica all’esplorazione della luna, che a quasi 30 anni dall’Apollo 11, potrebbe nascondere ancora molti segreti.
Pakistan in bancarotta lancia un SOS
In onda su Radio Svizzera Italiana
Secondo il Fondo Monetario Internazionale il Pakistan avrà bisogno di 10 miliardi di dollari nei prossimi due anni per evitare la bancarotta. Il collasso dei mercati finanziari mondiali ha acutizzato la grave crisi economica che sta mettendo a dura prova il governo di Asif Ali Zardari, il primo governo democratico dopo l’era di Musharraf. Messo in ginocchio da un’inflazione galoppante, da una svalutazione del 30 per cento della rupia pachistana e da una voragine nei conti pubblici, il Pakistan ha lanciato un disperato sos ai paesi donatori che finora hanno sostenuto il suo debito. Ma con i tempi che corrono, pochi hanno voglia di aprire i cordoni della borsa. Una riunione dei cosiddetti “Amici del Pakistan”,ovvero Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Arabia Saudita, è prevista per novembre. Il rischio più grosso è che il Paese non riesca a ripagare gli interessi sul suo debito e quindi vada verso la bancarotta, un’eventualità che potrebbe compromettere anche le capacità di fronteggiare la minaccia degli integralisti islamici nelle zone di confine del nord ovest dove da agosto l’esercito pachistano avrebbe ucciso oltre mille militanti.
Intanto una buona notizia arriva sul fronte della distensione con l’India. Dopo oltre mezzo secolo, le merci potranno attraversare la linea di demarcazione che divide la regione contesa del Kashmir. Dopo il bus della pace di tre anni fa, la strada Srinagar-Muzaffarabad, sarà aperta da oggi anche agli scambi commerciali.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale il Pakistan avrà bisogno di 10 miliardi di dollari nei prossimi due anni per evitare la bancarotta. Il collasso dei mercati finanziari mondiali ha acutizzato la grave crisi economica che sta mettendo a dura prova il governo di Asif Ali Zardari, il primo governo democratico dopo l’era di Musharraf. Messo in ginocchio da un’inflazione galoppante, da una svalutazione del 30 per cento della rupia pachistana e da una voragine nei conti pubblici, il Pakistan ha lanciato un disperato sos ai paesi donatori che finora hanno sostenuto il suo debito. Ma con i tempi che corrono, pochi hanno voglia di aprire i cordoni della borsa. Una riunione dei cosiddetti “Amici del Pakistan”,ovvero Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Arabia Saudita, è prevista per novembre. Il rischio più grosso è che il Paese non riesca a ripagare gli interessi sul suo debito e quindi vada verso la bancarotta, un’eventualità che potrebbe compromettere anche le capacità di fronteggiare la minaccia degli integralisti islamici nelle zone di confine del nord ovest dove da agosto l’esercito pachistano avrebbe ucciso oltre mille militanti.
Intanto una buona notizia arriva sul fronte della distensione con l’India. Dopo oltre mezzo secolo, le merci potranno attraversare la linea di demarcazione che divide la regione contesa del Kashmir. Dopo il bus della pace di tre anni fa, la strada Srinagar-Muzaffarabad, sarà aperta da oggi anche agli scambi commerciali.
Made In Italy ancora in crescita in India (+45%)
Su Apcom
Il Made in Italy continua ad andare a gonfie vele in India. Per il secondo anno consecutivo le esportazioni italiane hanno registrato un incremento record del 45% sfiorando i 3,9 miliardi di dollari secondo le statistiche del Ministero indiano del Commercio Estero relative all’anno finanziario che va da marzo 2007 allo stesso mese del 2008 e che sono state fornite dall’ambasciata italiana a Nuova Delhi.
Nel precedente esercizio finanziario del 2006-2007 le esportazioni erano salite del 44%. In soli due anni l’export italiano è quindi stato raddoppiato raggiungendo i 3,898 miliardi di dollari e riuscendo a portare quasi in pareggio la bilancia commerciale per la prima volta dopo moltissimi anni di deficit da parte italiana.
L’andamento positivo ha interessato anche il flusso di investimenti che grazie soprattutto alla joint venture Fiat-Tata sono raddoppiati a 637 milioni di dollari rispetto al dato consolidato del 2000-2007. L’Italia è quindi salita al sesto posto tra gli investitori esteri nel primo trimestre del 2008 guadagnando una posizione.
Per quando riguarda la classifica dei Paesi fornitori, il Belpaese rimane al ventesimo posto, ma la nostra quota sul totale delle importazioni indiane è aumentata dall’1,44% all’1,55% “a dimostrazione del vantaggio competitivo raggiunto”. L’Italia ha sorpassato anche quest’anno alcuni dei suoi concorrenti internazionali, tra cui la Germania (+31%), la Svizzera (+7.8%), la Gran Bretagna (+19%) e il Belgio (+5%), ma non la Francia (+48). La crescita più forte è stata registrata dall’export americano (+79%).
A trainare il Made in Italy è stato ancora una volta il settore dei macchinari e delle apparecchiature industriali, ma i dati settoriali non sono ancora disponibili.
Al contrario, la crescita delle importazioni indiane verso l’Italia ha subito un relativo rallentamento al 9,3% (pari a 3,912 miliardi di dollari). L’Italia scende dunque al decimo posto tra i Paesi di sbocco per l’India, subito dopo Germania e Belgio e subito prima del Giappone.
Secondo la nota dell’ambasciata,si tratta di “indicazioni confortanti che dimostrano come il Sistema Paese abbia saputo muoversi con efficacia su questo mercato, rispondendo alla sfida costituita dall’India con grande intraprendenza”.
L’andamento è incoraggiante per il Made in Italy soprattutto alla luce dei rischi di recessione mondiale che potrebbero vanificare l’obiettivo fissato dai due governi di raggiungere i 10 miliardi di euro di interscambio italo-indiano entro il 2010.
Il Made in Italy continua ad andare a gonfie vele in India. Per il secondo anno consecutivo le esportazioni italiane hanno registrato un incremento record del 45% sfiorando i 3,9 miliardi di dollari secondo le statistiche del Ministero indiano del Commercio Estero relative all’anno finanziario che va da marzo 2007 allo stesso mese del 2008 e che sono state fornite dall’ambasciata italiana a Nuova Delhi.
Nel precedente esercizio finanziario del 2006-2007 le esportazioni erano salite del 44%. In soli due anni l’export italiano è quindi stato raddoppiato raggiungendo i 3,898 miliardi di dollari e riuscendo a portare quasi in pareggio la bilancia commerciale per la prima volta dopo moltissimi anni di deficit da parte italiana.
L’andamento positivo ha interessato anche il flusso di investimenti che grazie soprattutto alla joint venture Fiat-Tata sono raddoppiati a 637 milioni di dollari rispetto al dato consolidato del 2000-2007. L’Italia è quindi salita al sesto posto tra gli investitori esteri nel primo trimestre del 2008 guadagnando una posizione.
Per quando riguarda la classifica dei Paesi fornitori, il Belpaese rimane al ventesimo posto, ma la nostra quota sul totale delle importazioni indiane è aumentata dall’1,44% all’1,55% “a dimostrazione del vantaggio competitivo raggiunto”. L’Italia ha sorpassato anche quest’anno alcuni dei suoi concorrenti internazionali, tra cui la Germania (+31%), la Svizzera (+7.8%), la Gran Bretagna (+19%) e il Belgio (+5%), ma non la Francia (+48). La crescita più forte è stata registrata dall’export americano (+79%).
A trainare il Made in Italy è stato ancora una volta il settore dei macchinari e delle apparecchiature industriali, ma i dati settoriali non sono ancora disponibili.
Al contrario, la crescita delle importazioni indiane verso l’Italia ha subito un relativo rallentamento al 9,3% (pari a 3,912 miliardi di dollari). L’Italia scende dunque al decimo posto tra i Paesi di sbocco per l’India, subito dopo Germania e Belgio e subito prima del Giappone.
Secondo la nota dell’ambasciata,si tratta di “indicazioni confortanti che dimostrano come il Sistema Paese abbia saputo muoversi con efficacia su questo mercato, rispondendo alla sfida costituita dall’India con grande intraprendenza”.
L’andamento è incoraggiante per il Made in Italy soprattutto alla luce dei rischi di recessione mondiale che potrebbero vanificare l’obiettivo fissato dai due governi di raggiungere i 10 miliardi di euro di interscambio italo-indiano entro il 2010.
lunedì 20 ottobre 2008
India, conto alla rovescia per Chandrayaan 1
Su Apcom
E’ iniziato stamattina alle 4 ora indiana il conto alla rovescia per la prima missione lunare che consisterà nel lancio della navicella orbitante Chandrayaan-1. Il razzo vettore PSLV è da oggi pronto sulla rampa di lancio della base spaziale di Shriharicota, nello stato dell’Andhra Pradhesh, sulla costa orientale indiana. Il lancio è previsto per mercoledì all’alba e sarà la prima vera impresa spaziale al di fuori dell’orbita terrestre dell’ISRO, l’Istituto Indiano per le Ricerche Spaziali, che sta lavorando da ben nove anni alla missione realizzata in collaborazione con scienziati russi.
La sonda Chandrayaan-1 (“chandra” in sanscrito significa luna e “yaan” veicolo) entrerà nell’orbita lunare a circa 100 chilometri dalla superficie. Da questa bassa altitudine scatterà fotografie e le invierà ai laboratori dell’ISRO a Bangalore e Hyderabad. Lo scopo della missione è di fare una mappatura della superficie terrestre per individuare possibili siti “sicuri” di allunaggio per altre navicelle o, in futuro, per l’installazione di basi spaziali da cui partire per l’esplorazione del nostro sistema solare. Secondo gli scienziati indiani, “completerà il lavoro fatto dagli americani e dai russi negli Anni Sessanta e Settanta”. Allora le navicelle si erano posate in un’unica ristretta fascia sulla linea dell’equatore nella faccia lunare illuminata dal sole. Rimarrebbe ancora molto da conoscere sulle caratteristiche geologiche dell’unico satellite terrestre.
La navicella trasporterà 11 strumenti, cinque indiani, quattro europei e due della Nasa. Serviranno a tracciare una mappa tridimensionale delle facce lunari e anche a rilevare la presenza di risorse minerarie, tra cui uranio e torio. Nello stesso tempo sarà anche studiata la crosta lunare nel tentativo di scoprire l’origine e l’evoluzione del satellite.
La prossima missione, Chandrayaan-2, prevista per il 2011, consisterà invece nel lanciare sulla superficie una sonda-robot per prelevare campioni di sabbia e roccia. Nei programmi dell’Isro c’è anche una missione umana entro il 2020 battendo sul tempo la Cina, che esattamente un anno fa ha iniziato il suo programma di esplorazione lunare con il lancio della navicella orbitante Chang’e-1.
E’ iniziato stamattina alle 4 ora indiana il conto alla rovescia per la prima missione lunare che consisterà nel lancio della navicella orbitante Chandrayaan-1. Il razzo vettore PSLV è da oggi pronto sulla rampa di lancio della base spaziale di Shriharicota, nello stato dell’Andhra Pradhesh, sulla costa orientale indiana. Il lancio è previsto per mercoledì all’alba e sarà la prima vera impresa spaziale al di fuori dell’orbita terrestre dell’ISRO, l’Istituto Indiano per le Ricerche Spaziali, che sta lavorando da ben nove anni alla missione realizzata in collaborazione con scienziati russi.
La sonda Chandrayaan-1 (“chandra” in sanscrito significa luna e “yaan” veicolo) entrerà nell’orbita lunare a circa 100 chilometri dalla superficie. Da questa bassa altitudine scatterà fotografie e le invierà ai laboratori dell’ISRO a Bangalore e Hyderabad. Lo scopo della missione è di fare una mappatura della superficie terrestre per individuare possibili siti “sicuri” di allunaggio per altre navicelle o, in futuro, per l’installazione di basi spaziali da cui partire per l’esplorazione del nostro sistema solare. Secondo gli scienziati indiani, “completerà il lavoro fatto dagli americani e dai russi negli Anni Sessanta e Settanta”. Allora le navicelle si erano posate in un’unica ristretta fascia sulla linea dell’equatore nella faccia lunare illuminata dal sole. Rimarrebbe ancora molto da conoscere sulle caratteristiche geologiche dell’unico satellite terrestre.
La navicella trasporterà 11 strumenti, cinque indiani, quattro europei e due della Nasa. Serviranno a tracciare una mappa tridimensionale delle facce lunari e anche a rilevare la presenza di risorse minerarie, tra cui uranio e torio. Nello stesso tempo sarà anche studiata la crosta lunare nel tentativo di scoprire l’origine e l’evoluzione del satellite.
La prossima missione, Chandrayaan-2, prevista per il 2011, consisterà invece nel lanciare sulla superficie una sonda-robot per prelevare campioni di sabbia e roccia. Nei programmi dell’Isro c’è anche una missione umana entro il 2020 battendo sul tempo la Cina, che esattamente un anno fa ha iniziato il suo programma di esplorazione lunare con il lancio della navicella orbitante Chang’e-1.
sabato 18 ottobre 2008
India, la crisi si abbatte sulla classe media
Su Apcom
Tra una decina di giorni l’India festeggia Diwali, la “festa delle luci”, una delle più importanti del calendario religioso induista dove è tradizione fare scoppiare mortaretti e petardi nelle strade e regalare dolci e frutta secca. Ma dopo 4 anni consecutivi di sbornia consumistica, quest’anno le luci delle candele di Diwali brilleranno un po’ di meno. Il collasso finanziario mondiale si è abbattuto anche sull’India, il gigante asiatico che si sta svegliando dal suo letargo, in un momento in cui il boom economico stava già cedendo il passo sotto il peso di un’inflazione galoppante di oltre l’11 per cento e di una battuta di arresto della produzione manifatturiera che ad agosto è crollata all’1,9 per cento (dal 10,9 per cento dello stesso mese del 2007).
La prima vittima è stata la borsa di Mumbai che dopo l’ultimo scivolone di venerdì risulta dimezzata rispetto all’inizio dell’anno. Il principale indice Sensex è ridisceso dopo due anni sotto la soglia psicologica dei 10 mila punti. I più colpiti dall’orso di Dalal Street (la “Wall Street” di Mumbai) sono i titoli della “vecchia” economia che stavano trainando il miracolo indiano ancor più che il settore informatico e high-tech, ovvero il gruppo Reliance dei litigiosi fratelli Ambani, l’onnipresente conglomerato Tata, i costruttori di DLF, appena arrivati nel listino e la più grande banca, la ICICI. A provocare il terremoto borsistico è stato, come prevedibile, il fuggi fuggi degli investitori istituzionali stranieri, tipo i fondi pensione, che in questi anni avevano “pompato” il mercato spingendolo a dei record storici.
Il risultato è stato devastante soprattutto sui piccoli azionisti che fanno parte dell’emergente classe media che per la prima volta nella storia dell’India si ritrovava con un vero potere di acquisto. I quotidiani indiani, oggi evidenziano il caso di un uomo di Ahmedabad, il capoluogo del ricco stato del Punjub, che ha chiesto il divorzio della moglie casalinga che ha perso in borsa tutti i risparmi, e di un insegnante statale che per la disperazione di aver perso una somma enorme si è suicidato con il veleno in Uttar Pradesh.
Dopo alcuni anni di euforia che hanno spinto la domanda interna di beni di consumo e beni durevoli tipo elettrodomestici, televisioni e veicoli, i consumatori indiani si sono presi paura e stanno ritornando alla tradizionale austerità predicata dal Mahatma Gandhi. In questi giorni di vigilia di festa nei mercati popolari di Nuova Delhi c’è meno folla del solito. Alla crisi si è aggiunta anche la paura delle bombe dopo gli attentati terroristici a catena che hanno colpito la capitale lo scorso 13 settembre. Sono semi deserti anche i negozi delle marche di moda nella popolare Connaught Place o nel rione South Extension, dove gli affitti commerciali avevano raggiunto livelli paragonabili a quello della Fifth Avanue a Manhattan. Così come lo sono anche quelli dei nuovi “mall”, i mega centri commerciali, che stanno spuntando come funghi alla periferia e nei poli tecnologici di Noida e Gurgaon. Si lamentano perfino le gioiellerie che alla vigilia del Diwali erano una delle mete preferite dagli indiani, da sempre sono grandi acquirenti di oro e pietre preziose.
In questi giorni a Delhi ci sono due settimane della moda in contemporanea e la prossima settimana ne inizia un’altra a Mumbai, ma manca il “glamour” delle precedenti edizioni. “La gente non ha più voglia di uscire – dice Tersillo Nataloni, proprietario di un ristorante italiano molto popolare tra gli indiani della classe media – . C’è la paura degli attentati, certo, ma c’è anche l’effetto della crisi che comunque si era fatta sentire già qualche mese fa”.
Il timore è anche quello della perdita di posti di lavoro. Ha fatto scalpore la notizia del licenziamento in tronco di 800 hostess e steward della compagnia aerea privata Jet Airways costretta a un matrimonio di interessi con Kingfisher Airlines, appartenente al re della birra Vijay Mallya, anche lui con qualche problema finanziario. Dopo le proteste del personale davanti all’aeroporto, il patron di Jet, Naresh Goyal ha fatto marcia indietro perché come ha dichiarato in una conferenza stampa “non poteva dormire pensando alle lacrime dei suoi impiegati”. In realtà, secondo speculazioni di stampa, sarebbe intervenuto il ministro dell’aviazione Praful Patel e quindi anche il governo dell’economista Manmohan Singh che il prossimo anno dovrà affrontare le elezioni generali. A causa del caro petrolio e di una concorrenza aggressiva delle compagnie “low cost”, il settore aereo è in profonda crisi e sta cercando di unire le forze e tamponare i bilanci. L’era dei voli a buon prezzo, che ha permesso a milioni di indiani di volare per la prima volta, sembra essere tramontata. Il fortunato slogan coniato da Kingfisher, “Flying the Good Times”, impresso su tutti gli aerei della flotta oggi suona più amaro che mai.
Tra una decina di giorni l’India festeggia Diwali, la “festa delle luci”, una delle più importanti del calendario religioso induista dove è tradizione fare scoppiare mortaretti e petardi nelle strade e regalare dolci e frutta secca. Ma dopo 4 anni consecutivi di sbornia consumistica, quest’anno le luci delle candele di Diwali brilleranno un po’ di meno. Il collasso finanziario mondiale si è abbattuto anche sull’India, il gigante asiatico che si sta svegliando dal suo letargo, in un momento in cui il boom economico stava già cedendo il passo sotto il peso di un’inflazione galoppante di oltre l’11 per cento e di una battuta di arresto della produzione manifatturiera che ad agosto è crollata all’1,9 per cento (dal 10,9 per cento dello stesso mese del 2007).
La prima vittima è stata la borsa di Mumbai che dopo l’ultimo scivolone di venerdì risulta dimezzata rispetto all’inizio dell’anno. Il principale indice Sensex è ridisceso dopo due anni sotto la soglia psicologica dei 10 mila punti. I più colpiti dall’orso di Dalal Street (la “Wall Street” di Mumbai) sono i titoli della “vecchia” economia che stavano trainando il miracolo indiano ancor più che il settore informatico e high-tech, ovvero il gruppo Reliance dei litigiosi fratelli Ambani, l’onnipresente conglomerato Tata, i costruttori di DLF, appena arrivati nel listino e la più grande banca, la ICICI. A provocare il terremoto borsistico è stato, come prevedibile, il fuggi fuggi degli investitori istituzionali stranieri, tipo i fondi pensione, che in questi anni avevano “pompato” il mercato spingendolo a dei record storici.
Il risultato è stato devastante soprattutto sui piccoli azionisti che fanno parte dell’emergente classe media che per la prima volta nella storia dell’India si ritrovava con un vero potere di acquisto. I quotidiani indiani, oggi evidenziano il caso di un uomo di Ahmedabad, il capoluogo del ricco stato del Punjub, che ha chiesto il divorzio della moglie casalinga che ha perso in borsa tutti i risparmi, e di un insegnante statale che per la disperazione di aver perso una somma enorme si è suicidato con il veleno in Uttar Pradesh.
Dopo alcuni anni di euforia che hanno spinto la domanda interna di beni di consumo e beni durevoli tipo elettrodomestici, televisioni e veicoli, i consumatori indiani si sono presi paura e stanno ritornando alla tradizionale austerità predicata dal Mahatma Gandhi. In questi giorni di vigilia di festa nei mercati popolari di Nuova Delhi c’è meno folla del solito. Alla crisi si è aggiunta anche la paura delle bombe dopo gli attentati terroristici a catena che hanno colpito la capitale lo scorso 13 settembre. Sono semi deserti anche i negozi delle marche di moda nella popolare Connaught Place o nel rione South Extension, dove gli affitti commerciali avevano raggiunto livelli paragonabili a quello della Fifth Avanue a Manhattan. Così come lo sono anche quelli dei nuovi “mall”, i mega centri commerciali, che stanno spuntando come funghi alla periferia e nei poli tecnologici di Noida e Gurgaon. Si lamentano perfino le gioiellerie che alla vigilia del Diwali erano una delle mete preferite dagli indiani, da sempre sono grandi acquirenti di oro e pietre preziose.
In questi giorni a Delhi ci sono due settimane della moda in contemporanea e la prossima settimana ne inizia un’altra a Mumbai, ma manca il “glamour” delle precedenti edizioni. “La gente non ha più voglia di uscire – dice Tersillo Nataloni, proprietario di un ristorante italiano molto popolare tra gli indiani della classe media – . C’è la paura degli attentati, certo, ma c’è anche l’effetto della crisi che comunque si era fatta sentire già qualche mese fa”.
Il timore è anche quello della perdita di posti di lavoro. Ha fatto scalpore la notizia del licenziamento in tronco di 800 hostess e steward della compagnia aerea privata Jet Airways costretta a un matrimonio di interessi con Kingfisher Airlines, appartenente al re della birra Vijay Mallya, anche lui con qualche problema finanziario. Dopo le proteste del personale davanti all’aeroporto, il patron di Jet, Naresh Goyal ha fatto marcia indietro perché come ha dichiarato in una conferenza stampa “non poteva dormire pensando alle lacrime dei suoi impiegati”. In realtà, secondo speculazioni di stampa, sarebbe intervenuto il ministro dell’aviazione Praful Patel e quindi anche il governo dell’economista Manmohan Singh che il prossimo anno dovrà affrontare le elezioni generali. A causa del caro petrolio e di una concorrenza aggressiva delle compagnie “low cost”, il settore aereo è in profonda crisi e sta cercando di unire le forze e tamponare i bilanci. L’era dei voli a buon prezzo, che ha permesso a milioni di indiani di volare per la prima volta, sembra essere tramontata. Il fortunato slogan coniato da Kingfisher, “Flying the Good Times”, impresso su tutti gli aerei della flotta oggi suona più amaro che mai.
martedì 14 ottobre 2008
Mini test elettorale d'autunno per il Congresso
Su Apcom
Il governo di Manmohan Singh dovrà affrontare nei prossimi due mesi un mini test elettorale in cinque stati, tra cui quello della capitale Nuova Delhi. Per il partito del Congresso guidato dall’italo-indiana Sonia Gandhi si tratta di un banco di prova determinante per verificare la tenuta della maggioranza in vista delle elezioni generali del maggio 2009.
La coalizione di centro-sinistra, salita al potere nel 2004 con un programma politico antipovertà, si trova in difficoltà a causa del rischio di recessione economica, del rincaro dei generi alimentari e della catena di attentati terroristici degli ultimi mesi nei mercati di Jaipur, di Ahmedabad e per due volte a Nuova Delhi. Il governo ha anche perso il supporto dei partiti comunisti che lo scorso luglio hanno abbandonato la coalizione perché contrari all’accordo sul nucleare civile appena concluso con gli Stati Uniti.
L’opposizione del Bjp, il Bharatya Janata Party (Partito Indiano del Popolo), che si ispira a un’ideologia indu nazionalista e promuove una maggiore liberalizzazione economica, si trova con molte frecce nel suo arco. Il candidato a primo ministro, l’anziano leader Lal Krishna Advani ha già iniziato una dura campagna elettorale contro il governo denunciando la sua impotenza a garantire la sicurezza dei cittadini e l’incapacità a sradicare le organizzazioni islamiche estremiste legate al Simi, il Movimento Islamico Studentesco, un movimento clandestino sospettato di essere il mandante delle recenti stragi.
A dover rinnovare i parlamenti locali nel periodo tra il 14 novembre e 4 dicembre sono cinque stati. Tre di questi, il Rajasthan, Madhya Pradesh e il Chattisgarh (dove è attiva la guerriglia maoista) sono attualmente governati dal Bjp. Il voto si tiene poi nel piccolo Mizoram, uno degli stati del nord est, retto da un partito regionale e a Delhi, stato laboratorio del Congresso guidato dalla veterana Sheila Dikshit.
Nelle ultime elezioni locali, il partito di Sonia Gandhi ha subito una débacle perdendo ben nove degli undici Stati andati alle urne dal gennaio del 2007.
Nel voto autunnale era previsto anche lo stato di Jammu e Kashmir, che comprende la regione himalayana contesa da oltre mezzo secolo e che ha scatenato 4 guerre con il Pakistan. Ma è stato rimandato a causa dei gravi disordini scoppiati durante l’estate a causa dell’assegnazione di terra ai pellegrini indù diretti alla grotta sacra di Amarnath, che sorge in una vallata non distante da Srinagar. I separatisti kashmiri, che hanno ritrovato una nuova unità e anche nuova linfa per la causa indipendentista, avevano comunque deciso di boicottare le urne.
Sullo sfondo di questo mini test anticipato ci sono poi le persecuzioni anti cristiane in Orissa che stanno mettendo a dura prova il modello di convivenza religiosa ed etnica dell’India promosso dal Congresso, lo storico partito della dinastia Nehru-Gandhi. A fomentare le violenze contro la minoranza cristiana sono dei gruppi di fanatici, come il VHP (Consiglio Mondiale Hindu) o il Bajrang, che sono affiliati allo stesso Bjp e si nutrono della sua ideologia dell’”Hindutva”, l’identità nazionale indiana basata sulla religione induista, che ha come suo principale sostenitore Narendra Modi, il controverso leader dello stato del Gujarat dove nel 2002 si sono verificati i pogrom antimussulmani.
Il governo di Manmohan Singh dovrà affrontare nei prossimi due mesi un mini test elettorale in cinque stati, tra cui quello della capitale Nuova Delhi. Per il partito del Congresso guidato dall’italo-indiana Sonia Gandhi si tratta di un banco di prova determinante per verificare la tenuta della maggioranza in vista delle elezioni generali del maggio 2009.
La coalizione di centro-sinistra, salita al potere nel 2004 con un programma politico antipovertà, si trova in difficoltà a causa del rischio di recessione economica, del rincaro dei generi alimentari e della catena di attentati terroristici degli ultimi mesi nei mercati di Jaipur, di Ahmedabad e per due volte a Nuova Delhi. Il governo ha anche perso il supporto dei partiti comunisti che lo scorso luglio hanno abbandonato la coalizione perché contrari all’accordo sul nucleare civile appena concluso con gli Stati Uniti.
L’opposizione del Bjp, il Bharatya Janata Party (Partito Indiano del Popolo), che si ispira a un’ideologia indu nazionalista e promuove una maggiore liberalizzazione economica, si trova con molte frecce nel suo arco. Il candidato a primo ministro, l’anziano leader Lal Krishna Advani ha già iniziato una dura campagna elettorale contro il governo denunciando la sua impotenza a garantire la sicurezza dei cittadini e l’incapacità a sradicare le organizzazioni islamiche estremiste legate al Simi, il Movimento Islamico Studentesco, un movimento clandestino sospettato di essere il mandante delle recenti stragi.
A dover rinnovare i parlamenti locali nel periodo tra il 14 novembre e 4 dicembre sono cinque stati. Tre di questi, il Rajasthan, Madhya Pradesh e il Chattisgarh (dove è attiva la guerriglia maoista) sono attualmente governati dal Bjp. Il voto si tiene poi nel piccolo Mizoram, uno degli stati del nord est, retto da un partito regionale e a Delhi, stato laboratorio del Congresso guidato dalla veterana Sheila Dikshit.
Nelle ultime elezioni locali, il partito di Sonia Gandhi ha subito una débacle perdendo ben nove degli undici Stati andati alle urne dal gennaio del 2007.
Nel voto autunnale era previsto anche lo stato di Jammu e Kashmir, che comprende la regione himalayana contesa da oltre mezzo secolo e che ha scatenato 4 guerre con il Pakistan. Ma è stato rimandato a causa dei gravi disordini scoppiati durante l’estate a causa dell’assegnazione di terra ai pellegrini indù diretti alla grotta sacra di Amarnath, che sorge in una vallata non distante da Srinagar. I separatisti kashmiri, che hanno ritrovato una nuova unità e anche nuova linfa per la causa indipendentista, avevano comunque deciso di boicottare le urne.
Sullo sfondo di questo mini test anticipato ci sono poi le persecuzioni anti cristiane in Orissa che stanno mettendo a dura prova il modello di convivenza religiosa ed etnica dell’India promosso dal Congresso, lo storico partito della dinastia Nehru-Gandhi. A fomentare le violenze contro la minoranza cristiana sono dei gruppi di fanatici, come il VHP (Consiglio Mondiale Hindu) o il Bajrang, che sono affiliati allo stesso Bjp e si nutrono della sua ideologia dell’”Hindutva”, l’identità nazionale indiana basata sulla religione induista, che ha come suo principale sostenitore Narendra Modi, il controverso leader dello stato del Gujarat dove nel 2002 si sono verificati i pogrom antimussulmani.
lunedì 13 ottobre 2008
Stilisti a duello, da domani via alle due "fashion week" di Delhi
Su Apcom
Nonostante la crisi finanziaria mondiale e il tracollo della borsa di Mumbai, l’industria emergente della moda indiana inizia da domani una maratona di sfilate. A causa di una spaccatura dell’associazione di categoria, sono due le “Settimane della Moda” che si tengono in contemporanea a Nuova Delhi. Per decine di modelle, stilisti e anche per i “buyers”, contesi da due parti, sarà un vero tour de force della passerella. Domani nel nuovo lussuoso centro commerciale Emporio, nel sud della capitale, che ospita le griffe come Vuitton e Armani si apre la “Delhi Fashion Week” organizzata da un neonata associazione formata da una decina di stilisti indiani “fuoriusciti” dal Fashion Council Design on India (FCDI) che è l’organismo che negli ultimi dieci anni ha organizzato tutte le rassegne modaiole. Dopodomani invece nel centro fieristico Pragati Maidan si tiene la “India Fashion Week” sponsorizzata anche quest’anno dalla catena di abbigliamento Wills Lifestyle del colosso industriale ITC. “In questo momento di pessimismo e di depressione mondiale, la moda indiana porterà un po’ di colore” ha promesso Sunil Sethi, presidente della FCDI che organizza la India Fashion Week, a cui partecipano una settantina di stilisti, tra cui il “ribelle” Manish Arora, il più popolare tra i “sarti” indiani che ha appena presentato a Parigi la sua collezione primavera estate ispirata al mondo circense. Come attrazione internazionale è stata invitata a sfilare anche la stilista Vivienne Tam che presenta una collezione speciale dedicata ai laptop.
L’industria della moda indiana rappresenta un giro d’affari ancora esiguo sul totale dell’industria tessile indiana e ha come principale sbocco i ricchi mercati dei Paesi del Golfo dove lo stile indiano, ricco di colori e di ricami, è molto apprezzato. Il settore dell’alta moda indiana è ancora confinato alle tradizionali cerimonie di matrimonio e allo sfavillante mondo del cinema di Bollywood. Per la prima volta a settembre è stata organizzata una rassegna di “houte couture” a Mumbai. Secondo Shefalee Vasudev, direttrice dell’edizione indiana di Marie Claire, è tempo di rivalutare la ricchezza e la tradizione dell’artigianato tessile indiano. Il mensile intende promuovere il “Made in India”, un marchio che in Occidente è a volte associata ad una produzione di scarsa qualità e a basso costo. “In quale altro posto è possibile che una famiglia lavori per mesi per tessere un solo sari come a Patan in Gujarat? – si chiede Vasudev in un recente editoriale – Se lo si sapeva è perché se ne è occupata qualche organizzazione non governativa. E’ ora invece che ne parlino le riviste di moda”.
Nonostante la crisi finanziaria mondiale e il tracollo della borsa di Mumbai, l’industria emergente della moda indiana inizia da domani una maratona di sfilate. A causa di una spaccatura dell’associazione di categoria, sono due le “Settimane della Moda” che si tengono in contemporanea a Nuova Delhi. Per decine di modelle, stilisti e anche per i “buyers”, contesi da due parti, sarà un vero tour de force della passerella. Domani nel nuovo lussuoso centro commerciale Emporio, nel sud della capitale, che ospita le griffe come Vuitton e Armani si apre la “Delhi Fashion Week” organizzata da un neonata associazione formata da una decina di stilisti indiani “fuoriusciti” dal Fashion Council Design on India (FCDI) che è l’organismo che negli ultimi dieci anni ha organizzato tutte le rassegne modaiole. Dopodomani invece nel centro fieristico Pragati Maidan si tiene la “India Fashion Week” sponsorizzata anche quest’anno dalla catena di abbigliamento Wills Lifestyle del colosso industriale ITC. “In questo momento di pessimismo e di depressione mondiale, la moda indiana porterà un po’ di colore” ha promesso Sunil Sethi, presidente della FCDI che organizza la India Fashion Week, a cui partecipano una settantina di stilisti, tra cui il “ribelle” Manish Arora, il più popolare tra i “sarti” indiani che ha appena presentato a Parigi la sua collezione primavera estate ispirata al mondo circense. Come attrazione internazionale è stata invitata a sfilare anche la stilista Vivienne Tam che presenta una collezione speciale dedicata ai laptop.
L’industria della moda indiana rappresenta un giro d’affari ancora esiguo sul totale dell’industria tessile indiana e ha come principale sbocco i ricchi mercati dei Paesi del Golfo dove lo stile indiano, ricco di colori e di ricami, è molto apprezzato. Il settore dell’alta moda indiana è ancora confinato alle tradizionali cerimonie di matrimonio e allo sfavillante mondo del cinema di Bollywood. Per la prima volta a settembre è stata organizzata una rassegna di “houte couture” a Mumbai. Secondo Shefalee Vasudev, direttrice dell’edizione indiana di Marie Claire, è tempo di rivalutare la ricchezza e la tradizione dell’artigianato tessile indiano. Il mensile intende promuovere il “Made in India”, un marchio che in Occidente è a volte associata ad una produzione di scarsa qualità e a basso costo. “In quale altro posto è possibile che una famiglia lavori per mesi per tessere un solo sari come a Patan in Gujarat? – si chiede Vasudev in un recente editoriale – Se lo si sapeva è perché se ne è occupata qualche organizzazione non governativa. E’ ora invece che ne parlino le riviste di moda”.
sabato 11 ottobre 2008
Domani Suor Alphonsa diventa la prima santa indiana
Su Apcom
Migliaia di fedeli della cittadina di Bharananganam, nello stato meridionale del Kerala, seguiranno sui megaschermi la canonizzazione di suor Alphonsa, la prima donna indiana a diventare santa. La cerimonia si terrà domani in Vaticano dove è prevista la partecipazione di migliaia di indiani, tra cui una delegazione governativa guidata dal ministro del lavoro Oscar Fernandes. Secondo un quotidiano indiano “un gruppo di suore di Bharananganam ha anche preso alcune ossa dalla sua tomba per portarle in Vaticano come reliquie sacre”.
Il riconoscimento religioso giunge in un momento estremamente difficile per i rapporti con la minoranza cristiana, che in India rappresenta meno del 3% della popolazione, e che da oltre in mese è vittima di persecuzioni nello stato nord orientale dell’Orissa. Il processo di canonizzazione di suor Alphonsa, appartenente all’ordine francescano delle Clarisse, è iniziato mezzo secolo ed era culminato con la beatificazione avvenuta durante il viaggio apostolico in India di Giovanni Paolo II nel 1986. Domani sarà Papa Benedetto XVI con una solenne cerimonia in San Pietro a elevare agli altari la suora keralese insieme ad un italiano, uno svizzero e un ecuadoregno.
A differenza della Beata Madre Teresa di Calcutta, diventata il simbolo dell’impegno dei cristiani a favore dei poveri e degli oppressi, il percorso di suor Alphonsa è stato di carattere più interiore e spirituale. Secondo i suoi seguaci, la vita della religiosa era “così pura da non avere nessun peccato da rivelare durante la sua prima confessione”. Era rimasta orfana di madre a soli tre anni e aveva scoperto fin da subito una forte inclinazione al misticismo. Nella sua biografia si legge che per non andare in sposa, come avrebbero voluto la famiglia, si sarebbe sfigurata le gambe saltando sul fuoco di braciere. Nata nel 1910 in un piccolo villaggio nei pressi di Kottayam, una delle mete turistiche del Kerala - “The God’s Own Country” (“il paese che appartiene a Dio”) come è battezzato lo stato indiano - è poi entrata nel convento delle Clarisse nel vicino paese di Bharananganam dove ha vissuto fino alla sua morte avvenuta ad appena 36 anni. La sua sarebbe stata una vita piena di sofferenza fisica e spirituale. Le vengono attribuiti molti miracoli da parte di fedeli che sono andati a pregare sulla sua tomba, tra quello riconosciuto dalle gerarchie ecclesiastiche di un bambino, Jinil di 10 anni, disabile dalla nascita che è riuscito a camminare dopo aver pregato la suora. Domani anche lui sarà a Roma ad assistere alla cerimonia di canonizzazione che è particolarmente importante non solo perché si tratta della prima santa indiana, ma anche per la sua provenienza dal Kerala, dove il cristianesimo ha radici profondissime essendo arrivato con san Tommaso nell’anno 52 quando l’apostolo sbarcò sulla costa del Mar Arabico. Nella storia della Chiesa indiana esiste solo il precedente di san Gonsalo Garcia, un gesuita di origine portoghese morto come martire in Giappone e dichiarato santo nel 1862.
Migliaia di fedeli della cittadina di Bharananganam, nello stato meridionale del Kerala, seguiranno sui megaschermi la canonizzazione di suor Alphonsa, la prima donna indiana a diventare santa. La cerimonia si terrà domani in Vaticano dove è prevista la partecipazione di migliaia di indiani, tra cui una delegazione governativa guidata dal ministro del lavoro Oscar Fernandes. Secondo un quotidiano indiano “un gruppo di suore di Bharananganam ha anche preso alcune ossa dalla sua tomba per portarle in Vaticano come reliquie sacre”.
Il riconoscimento religioso giunge in un momento estremamente difficile per i rapporti con la minoranza cristiana, che in India rappresenta meno del 3% della popolazione, e che da oltre in mese è vittima di persecuzioni nello stato nord orientale dell’Orissa. Il processo di canonizzazione di suor Alphonsa, appartenente all’ordine francescano delle Clarisse, è iniziato mezzo secolo ed era culminato con la beatificazione avvenuta durante il viaggio apostolico in India di Giovanni Paolo II nel 1986. Domani sarà Papa Benedetto XVI con una solenne cerimonia in San Pietro a elevare agli altari la suora keralese insieme ad un italiano, uno svizzero e un ecuadoregno.
A differenza della Beata Madre Teresa di Calcutta, diventata il simbolo dell’impegno dei cristiani a favore dei poveri e degli oppressi, il percorso di suor Alphonsa è stato di carattere più interiore e spirituale. Secondo i suoi seguaci, la vita della religiosa era “così pura da non avere nessun peccato da rivelare durante la sua prima confessione”. Era rimasta orfana di madre a soli tre anni e aveva scoperto fin da subito una forte inclinazione al misticismo. Nella sua biografia si legge che per non andare in sposa, come avrebbero voluto la famiglia, si sarebbe sfigurata le gambe saltando sul fuoco di braciere. Nata nel 1910 in un piccolo villaggio nei pressi di Kottayam, una delle mete turistiche del Kerala - “The God’s Own Country” (“il paese che appartiene a Dio”) come è battezzato lo stato indiano - è poi entrata nel convento delle Clarisse nel vicino paese di Bharananganam dove ha vissuto fino alla sua morte avvenuta ad appena 36 anni. La sua sarebbe stata una vita piena di sofferenza fisica e spirituale. Le vengono attribuiti molti miracoli da parte di fedeli che sono andati a pregare sulla sua tomba, tra quello riconosciuto dalle gerarchie ecclesiastiche di un bambino, Jinil di 10 anni, disabile dalla nascita che è riuscito a camminare dopo aver pregato la suora. Domani anche lui sarà a Roma ad assistere alla cerimonia di canonizzazione che è particolarmente importante non solo perché si tratta della prima santa indiana, ma anche per la sua provenienza dal Kerala, dove il cristianesimo ha radici profondissime essendo arrivato con san Tommaso nell’anno 52 quando l’apostolo sbarcò sulla costa del Mar Arabico. Nella storia della Chiesa indiana esiste solo il precedente di san Gonsalo Garcia, un gesuita di origine portoghese morto come martire in Giappone e dichiarato santo nel 1862.
martedì 7 ottobre 2008
Nepal, maoisti approvano la nuova Kumari
Su Il Giornale
Sembrava che con l’arrivo al potere dei maoisti a Kathmandu, il culto della Kumari, la “dea bambina”, fosse spazzato via dai venti di democrazia e di modernità che spirano in Nepal. O magari messo in un ripostiglio come l’ex re Gyanendra che da maggio vive in una modesta magione alla periferia della capitale. Probabilmente il nuovo governo maoista e ateo dell’ex guerrigliero Prachanda, diventato ora primo ministro, non ha fatto i conti con una tradizione secolare che ha profonde radici nell’ex regno himalayano dove induismo e buddhismo convivono in perfetta armonia. Dopo la nomina governativa della nuova “dea bambina” del sobborgo medioevale di Bhaktapur a fine settembre, adesso è stata la volta della Kumari “reale” di Kathmandu, quella che aveva niente meno che l’onore di legittimare il potere del sovrano con segno vermiglio impresso sulla fronte. La nuova arrivata nell’austero palazzo di legno intarsiato che si affaccia su Durbar Square nel cuore storico della capitale, si chiama Matina Shakya. Ha appena tre anni e uno sguardo tra il perplesso e l’impaurito sotto il pesante trucco degli occhi. E’ stata scelta come sempre da uno speciale comitato di ex sacerdoti reali, ma in mancanza del re è stata ufficialmente insediata dal primo presidente della neo repubblica nepalese, il medico Ram Baran Yadav, a cui è toccato questo compito che una volta spettava al monarca. La piccola dea sostituisce Preeti Shakya (il cognome Shakya indica la casta buddista da cui provengono tutte le Kumari) che ormai arrivata alla soglia dei 12 anni stava per diventare “impura” o, come avevano riferito i suoi custodi religiosi, era a rischio di “incidenti”, ovvero dell’arrivo delle mestruazioni che avrebbero sminuito la sua aurea divina. Era stata nominata poco dopo l’orrendo massacro della famiglia reale nell’estate del 2001 quando salì sul trono il dispotico Gyanendra.
Secondo un rituale che si perde nella notte dei tempi, la Kumari rappresenta l’incarnazione vivente della dea dell’energia Durga, una delle tante divinità del panteon induista e che si festeggia proprio in questi giorni. La bambina prescelta deve avere 32 “perfezioni”, tra cui la pelle priva di cicatrici e un completo controllo delle emozioni. Secondo quella che molte organizzazioni di diritti dell’infanzia giudicano una “pratica barbara”, le candidate, tutte di 3 o 4 anni, devono superare una serie di prove di resistenza, tra cui quella di trascorrere una notte senza piangere in una stanza piena di teste mozzate di capre e bufali. Non è chiaro se anche la povera Matina ha dovuto subire lo stesso rituale. Di sicuro è che da oggi non potrà più stare con i suoi genitori, ma sarà “affidata” ai sacerdoti che gestiscono il palazzo dove vivrà praticamente come una reclusa secondo regole ferree. Per tre ore al giorno dovrà affacciarsi alla finestra per salutare con la manina i visitatori, soprattutto turisti stranieri, che la considerano una delle maggiori attrazioni della città. Le uniche uscite sono in occasione delle processioni religiose. La precedente Kumari di Bhaktapur aveva suscitato un vespaio quando era andata in viaggio negli Stati Uniti e per questo è stata costretta a un ritiro anticipato.
A difesa dei diritti della “dea bambina” di Kathmandu era intervenuta addirittura la Corte Suprema, il massimo organo giudiziario, con una sentenza lo scorso agosto che a molti sembrava anticipare la messa in soffitta della vecchia e controversa usanza rituale. Accogliendo una petizione avanzata da un gruppo di avvocati, i giudici avevano ordinato alle autorità religiose di mandare la Kumari a scuola e non privarla del diritto all’istruzione e alla libertà di movimento.
Sembrava che con l’arrivo al potere dei maoisti a Kathmandu, il culto della Kumari, la “dea bambina”, fosse spazzato via dai venti di democrazia e di modernità che spirano in Nepal. O magari messo in un ripostiglio come l’ex re Gyanendra che da maggio vive in una modesta magione alla periferia della capitale. Probabilmente il nuovo governo maoista e ateo dell’ex guerrigliero Prachanda, diventato ora primo ministro, non ha fatto i conti con una tradizione secolare che ha profonde radici nell’ex regno himalayano dove induismo e buddhismo convivono in perfetta armonia. Dopo la nomina governativa della nuova “dea bambina” del sobborgo medioevale di Bhaktapur a fine settembre, adesso è stata la volta della Kumari “reale” di Kathmandu, quella che aveva niente meno che l’onore di legittimare il potere del sovrano con segno vermiglio impresso sulla fronte. La nuova arrivata nell’austero palazzo di legno intarsiato che si affaccia su Durbar Square nel cuore storico della capitale, si chiama Matina Shakya. Ha appena tre anni e uno sguardo tra il perplesso e l’impaurito sotto il pesante trucco degli occhi. E’ stata scelta come sempre da uno speciale comitato di ex sacerdoti reali, ma in mancanza del re è stata ufficialmente insediata dal primo presidente della neo repubblica nepalese, il medico Ram Baran Yadav, a cui è toccato questo compito che una volta spettava al monarca. La piccola dea sostituisce Preeti Shakya (il cognome Shakya indica la casta buddista da cui provengono tutte le Kumari) che ormai arrivata alla soglia dei 12 anni stava per diventare “impura” o, come avevano riferito i suoi custodi religiosi, era a rischio di “incidenti”, ovvero dell’arrivo delle mestruazioni che avrebbero sminuito la sua aurea divina. Era stata nominata poco dopo l’orrendo massacro della famiglia reale nell’estate del 2001 quando salì sul trono il dispotico Gyanendra.
Secondo un rituale che si perde nella notte dei tempi, la Kumari rappresenta l’incarnazione vivente della dea dell’energia Durga, una delle tante divinità del panteon induista e che si festeggia proprio in questi giorni. La bambina prescelta deve avere 32 “perfezioni”, tra cui la pelle priva di cicatrici e un completo controllo delle emozioni. Secondo quella che molte organizzazioni di diritti dell’infanzia giudicano una “pratica barbara”, le candidate, tutte di 3 o 4 anni, devono superare una serie di prove di resistenza, tra cui quella di trascorrere una notte senza piangere in una stanza piena di teste mozzate di capre e bufali. Non è chiaro se anche la povera Matina ha dovuto subire lo stesso rituale. Di sicuro è che da oggi non potrà più stare con i suoi genitori, ma sarà “affidata” ai sacerdoti che gestiscono il palazzo dove vivrà praticamente come una reclusa secondo regole ferree. Per tre ore al giorno dovrà affacciarsi alla finestra per salutare con la manina i visitatori, soprattutto turisti stranieri, che la considerano una delle maggiori attrazioni della città. Le uniche uscite sono in occasione delle processioni religiose. La precedente Kumari di Bhaktapur aveva suscitato un vespaio quando era andata in viaggio negli Stati Uniti e per questo è stata costretta a un ritiro anticipato.
A difesa dei diritti della “dea bambina” di Kathmandu era intervenuta addirittura la Corte Suprema, il massimo organo giudiziario, con una sentenza lo scorso agosto che a molti sembrava anticipare la messa in soffitta della vecchia e controversa usanza rituale. Accogliendo una petizione avanzata da un gruppo di avvocati, i giudici avevano ordinato alle autorità religiose di mandare la Kumari a scuola e non privarla del diritto all’istruzione e alla libertà di movimento.
Scontri etnici e religiosi in Assam, nuova sfida dell'India
Su Apcom
Come se non bastasse l’ondata di violenza anticristiana nello stato dell’Orissa, un altro fronte di tensione etnica e religiosa si è aperto nel travagliato nord-est dell’India. Da quattro giorni nello stato dell’Assam, famoso per le piantagione di tè ma anche per le insurrezioni separatiste, migliaia di persone sono in fuga a causa di scontri tra la comunità indù e la minoranza mussulmana costituita da immigrati del Bangladesh.
Il bilancio delle vittime è di 48 morti e di oltre cento feriti nelle violenze tra le due comunità e negli scontri con la polizia che è stata affiancata da truppe paramilitari inviate dal governo di Nuova Delhi per cercare di riportare la calma. In tre distretti settentrionali, vicino al confine con il Bhutan, è stato imposto il coprifuoco e le forze dell’ordine hanno l’ordine di sparare a vista. Sono stati impiegati anche degli elicotteri per fermare i disordini che rischiano di estendersi anche in altre province. Finora circa 200 villaggi sono stati coinvolti e 85 mila persone sono state costrette a cercare scampo in scuole e in rifugi di fortuna nelle foreste.
Era da qualche mese le vecchie ostilità tra il gruppo tribale Bodo (che da anni guida la guerriglia separatista) e la comunità degli immigrati bangladesi, erano di nuovo riemerse in alcuni incidenti isolati. In Assam i mussulmani sono circa il 40 per cento della popolazione, ma molti sono clandestini entrati in India attraverso il poroso confine con il Bangladesh, lo Stato nato nel 1971 dalla costola orientale del Pakistan. Si stima che gli immigrati illegali in India sarebbero numerosi milioni
Durante il fine settimana gruppi di ribelli Bodo, armati di frecce, machete e rudimentali armi, hanno assaltato alcuni villaggi a prevalenza mussulmana bruciando le capanne e costringendo alla fuga agli abitanti.
Da tempo la comunità tribale indù in Assam chiede al governo centrale di fermare l’immigrazione clandestina accusata di sottrarre posti di lavoro e di alterare l’equilibrio demografico. E’ una guerra tra poveri. Ma alla base ora ci sarebbero anche motivazioni politiche rappresentate dalla lotta tra il Congresso che è al potere nello stato e il partito indù nazionalista del Bjp che sta affilando le armi in vista delle elezioni generali della primavera del 2009.
Come se non bastasse l’ondata di violenza anticristiana nello stato dell’Orissa, un altro fronte di tensione etnica e religiosa si è aperto nel travagliato nord-est dell’India. Da quattro giorni nello stato dell’Assam, famoso per le piantagione di tè ma anche per le insurrezioni separatiste, migliaia di persone sono in fuga a causa di scontri tra la comunità indù e la minoranza mussulmana costituita da immigrati del Bangladesh.
Il bilancio delle vittime è di 48 morti e di oltre cento feriti nelle violenze tra le due comunità e negli scontri con la polizia che è stata affiancata da truppe paramilitari inviate dal governo di Nuova Delhi per cercare di riportare la calma. In tre distretti settentrionali, vicino al confine con il Bhutan, è stato imposto il coprifuoco e le forze dell’ordine hanno l’ordine di sparare a vista. Sono stati impiegati anche degli elicotteri per fermare i disordini che rischiano di estendersi anche in altre province. Finora circa 200 villaggi sono stati coinvolti e 85 mila persone sono state costrette a cercare scampo in scuole e in rifugi di fortuna nelle foreste.
Era da qualche mese le vecchie ostilità tra il gruppo tribale Bodo (che da anni guida la guerriglia separatista) e la comunità degli immigrati bangladesi, erano di nuovo riemerse in alcuni incidenti isolati. In Assam i mussulmani sono circa il 40 per cento della popolazione, ma molti sono clandestini entrati in India attraverso il poroso confine con il Bangladesh, lo Stato nato nel 1971 dalla costola orientale del Pakistan. Si stima che gli immigrati illegali in India sarebbero numerosi milioni
Durante il fine settimana gruppi di ribelli Bodo, armati di frecce, machete e rudimentali armi, hanno assaltato alcuni villaggi a prevalenza mussulmana bruciando le capanne e costringendo alla fuga agli abitanti.
Da tempo la comunità tribale indù in Assam chiede al governo centrale di fermare l’immigrazione clandestina accusata di sottrarre posti di lavoro e di alterare l’equilibrio demografico. E’ una guerra tra poveri. Ma alla base ora ci sarebbero anche motivazioni politiche rappresentate dalla lotta tra il Congresso che è al potere nello stato e il partito indù nazionalista del Bjp che sta affilando le armi in vista delle elezioni generali della primavera del 2009.
domenica 5 ottobre 2008
Persecuzioni in Orissa, quando induismo fa rima con casta
Su Famiglia Cristiana n.40 del 5 ottobre
L’ondata di violenza anti cristiana esplosa a fine agosto in Orissa e che sta contagiando il resto dell’India ha gettato un’ombra inquietante sulla più grande democrazia del mondo e patria del Mahatma Gandhi. Non è la prima volta che la minoranza cristiana, una forza importante per lo sviluppo nazionale pur essendo solo il 2,3% della popolazione, è presa di mira dai radicali indù ostili alle conversioni religiose, ma soprattutto allo scardinamento dello status quo castale. Lo scorso Natale c’era già stato spargimento di sangue in Orissa, lo stato orientale popolato da tribù poverissime e sfruttate nelle ricche miniere della regione. Erano stati per primi i missionari battisti arrivati nel 1820 a convertire gli indigeni animisti.
L’omicidio del 23 agosto del leader estremista del Vishwa Hindu Parishad (Consiglio Mondiale Indù) ha riacceso il fuoco che covava sotto la cenere. Il bilancio è stato pesante nel distretto di Kandhamal dove si contano almeno 25 morti, tra cui una missionaria laica arsa viva, una cinquantina di chiese profanate, decine di atti vandalici in conventi, ostelli, orfanotrofi e scuole, senza contare i 13 mila cristiani fuggiti nelle foreste dopo che le loro case erano state date alle fiamme. La lista si è allungata con nuovi assalti ad un centinaio di abitazioni e con l’incendio di altre tre chiese.
Ma si fa presto a dire persecuzioni religiose. La fede sembra essere solo una foglia di fico per coprire interessi economici e politici. Il 70% dei cristiani indiani sono “dalit”, ex “intoccabili” che abbracciano la parola di Cristo - ma anche di Buddha - per uscire da un destino che ancora oggi li condanna a raccogliere gli escrementi umani dalle latrine.
Le reazioni sono state dure. Il premier Manmohan Singh, un sikh scelto dalla leader cristiana Sonia Gandhi, ha parlato di “vergogna nazionale”. La chiesa indiana per protesta ha chiuso per un giorno le sue 30 mila scuole. Dopo il richiamo del Santo Padre, il governo italiano ha convocato l’ambasciatore indiano a Roma. Il Parlamento Europeo ha fatto sentire la sua voce con una risoluzione in cui chiede giustizia e anche risarcimenti per le vittime. Sarà uno dei punti in agenda del vertice annuale Ue-India che si tiene a Marsiglia.
La violenza non si è fermata, anzi è dilagata a sud nello stato del Karnataka, dove sono state prese a sassate chiese e statue nella moderna Bangalore, in quello del Madhya Pradesh e perfino in Kerala, dove le radici cristiane risalgono all’apostolo san Tommaso. Non è un caso però che in questi stati ci sia al potere il partito indù nazionalista Bharatya Janata Party (Partito del Popolo Indiano), che ha già messo in moto la sua macchina propagandistica in vista delle elezioni di primavera.
L’ondata di violenza anti cristiana esplosa a fine agosto in Orissa e che sta contagiando il resto dell’India ha gettato un’ombra inquietante sulla più grande democrazia del mondo e patria del Mahatma Gandhi. Non è la prima volta che la minoranza cristiana, una forza importante per lo sviluppo nazionale pur essendo solo il 2,3% della popolazione, è presa di mira dai radicali indù ostili alle conversioni religiose, ma soprattutto allo scardinamento dello status quo castale. Lo scorso Natale c’era già stato spargimento di sangue in Orissa, lo stato orientale popolato da tribù poverissime e sfruttate nelle ricche miniere della regione. Erano stati per primi i missionari battisti arrivati nel 1820 a convertire gli indigeni animisti.
L’omicidio del 23 agosto del leader estremista del Vishwa Hindu Parishad (Consiglio Mondiale Indù) ha riacceso il fuoco che covava sotto la cenere. Il bilancio è stato pesante nel distretto di Kandhamal dove si contano almeno 25 morti, tra cui una missionaria laica arsa viva, una cinquantina di chiese profanate, decine di atti vandalici in conventi, ostelli, orfanotrofi e scuole, senza contare i 13 mila cristiani fuggiti nelle foreste dopo che le loro case erano state date alle fiamme. La lista si è allungata con nuovi assalti ad un centinaio di abitazioni e con l’incendio di altre tre chiese.
Ma si fa presto a dire persecuzioni religiose. La fede sembra essere solo una foglia di fico per coprire interessi economici e politici. Il 70% dei cristiani indiani sono “dalit”, ex “intoccabili” che abbracciano la parola di Cristo - ma anche di Buddha - per uscire da un destino che ancora oggi li condanna a raccogliere gli escrementi umani dalle latrine.
Le reazioni sono state dure. Il premier Manmohan Singh, un sikh scelto dalla leader cristiana Sonia Gandhi, ha parlato di “vergogna nazionale”. La chiesa indiana per protesta ha chiuso per un giorno le sue 30 mila scuole. Dopo il richiamo del Santo Padre, il governo italiano ha convocato l’ambasciatore indiano a Roma. Il Parlamento Europeo ha fatto sentire la sua voce con una risoluzione in cui chiede giustizia e anche risarcimenti per le vittime. Sarà uno dei punti in agenda del vertice annuale Ue-India che si tiene a Marsiglia.
La violenza non si è fermata, anzi è dilagata a sud nello stato del Karnataka, dove sono state prese a sassate chiese e statue nella moderna Bangalore, in quello del Madhya Pradesh e perfino in Kerala, dove le radici cristiane risalgono all’apostolo san Tommaso. Non è un caso però che in questi stati ci sia al potere il partito indù nazionalista Bharatya Janata Party (Partito del Popolo Indiano), che ha già messo in moto la sua macchina propagandistica in vista delle elezioni di primavera.
sabato 4 ottobre 2008
Ratan Tata abbandona la fabbrica della Nano a Singur,
In onda su Radio Svizzera Italiana
Dopo un mese e mezzo di proteste dei contadini contro l’esproprio delle terre, la Tata Motors ha gettato la spugna. La nuova fabbrica di Singur, vicino a Calcutta, dedicata alla minicar Nano, sarà trasferita altrove. La Nano, l’utilitaria da 2500 dollari e sogno a quattro ruote per milioni di indiani, doveva uscire dalla catena di montaggio proprio in questo mese in coincidenza con delle feste induiste. Adesso non è chiaro dove sarà delocalizzata la produzione, ne quando la Nano sarà nei concessionari. Ad annunciare la decisione di abbandonare la fabbrica, chiusa da un mese dopo picchettaggi davanti ai cancelli e blocchi stradali, è stato ieri lo stesso Ratan Tata, presidente dell’omonimo gruppo che è uno dei simboli dell’industrializzazione indiana. “Non è possibile che una fabbrica lavori sotto la protezione della polizia e che i suoi operai subiscano regolari intimidazioni”, ha detto in una conferenza stampa in cui ha accusato della debacle la “pasionaria” dei contadini, Mamata Banerjee, che a capo di un piccolo partito regionale, guida la battaglia contro la politica industriale dello stato del Bengala Occidentale. Lo scorso anno violente proteste avevano costretto un gruppo indonesiano ad abbandonare un progetto di polo chimico a Nandigram, sempre nei pressi di Calcutta, dove era in programma una zona economica speciale.
Dopo un mese e mezzo di proteste dei contadini contro l’esproprio delle terre, la Tata Motors ha gettato la spugna. La nuova fabbrica di Singur, vicino a Calcutta, dedicata alla minicar Nano, sarà trasferita altrove. La Nano, l’utilitaria da 2500 dollari e sogno a quattro ruote per milioni di indiani, doveva uscire dalla catena di montaggio proprio in questo mese in coincidenza con delle feste induiste. Adesso non è chiaro dove sarà delocalizzata la produzione, ne quando la Nano sarà nei concessionari. Ad annunciare la decisione di abbandonare la fabbrica, chiusa da un mese dopo picchettaggi davanti ai cancelli e blocchi stradali, è stato ieri lo stesso Ratan Tata, presidente dell’omonimo gruppo che è uno dei simboli dell’industrializzazione indiana. “Non è possibile che una fabbrica lavori sotto la protezione della polizia e che i suoi operai subiscano regolari intimidazioni”, ha detto in una conferenza stampa in cui ha accusato della debacle la “pasionaria” dei contadini, Mamata Banerjee, che a capo di un piccolo partito regionale, guida la battaglia contro la politica industriale dello stato del Bengala Occidentale. Lo scorso anno violente proteste avevano costretto un gruppo indonesiano ad abbandonare un progetto di polo chimico a Nandigram, sempre nei pressi di Calcutta, dove era in programma una zona economica speciale.
venerdì 3 ottobre 2008
Usa-India, un'intesa nucleare da miliardi di dollari
A soli due giorni dal via libera definitivo del Senato americano all’accordo di cooperazione sul nucleare civile con l’India, Condoleezza Rice arriva a Nuova Delhi per suggellare un’intesa che segna l’inizio di un nuovo asse tra India e Stati Uniti. A meno di sorprese dell’ultimo minuto (ci sarebbero ancora dei dettagli da risolvere) domani il segretario di stato americano e il ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee firmeranno il cosiddetto “123 agreement”, un accordo bilaterale che ha avuto una travagliata gestazione di tre anni e che più volte è stato sul punto di fallire a causa dell’opposizione dei partiti comunisti alleati del partito del Congresso e anche di parte della comunità scientifica indiana “gelosa” del programma nucleare che l’India è riuscita a sviluppare nonostante le sanzioni imposte dopo i test atomici del 1974 e del 1998. Per superare lo scetticismo della comunità internazionale e vincere la diffidenza della lobby della non proliferazione americana, c’è voluta tutta la determinazione del presidente Bush e del primo ministro Manmohan Singh. E’ stata anche una corsa contro il tempo perché entrambi i leader sono alla scadenza del mandato elettorale. Per Bush si tratta di uno dei pochi successi di politica internazionale, mentre per Singh, ma soprattutto per il partito del Congresso di Sonia Gandhi, è un passo fondamentale verso il riconoscimento dell’India sulla scena mondiale, anche se sono in molti a chiedersi cosa cambierà per quei 600 milioni di indiani che vivono con 2 dollari al giorno. L’energia nucleare soddisfa attualmente il 3 per cento del fabbisogno energetico nazionale che dipende per quasi il 70 per cento dall’importazione di idrocarburi. Le centrali nucleari indiane sono in totale 17 ma funzionano solo alla metà della loro capacità per la mancanza di combustibile fissile. Altri cinque reattori sono ora in costruzione e altre otto sono in progetto secondo il Nuclear Power Corp of India (NPCIL) che ha il monopolio dell’energia atomica. I privati sono per ora esclusi, ma è probabile che in futuro anche il settore del nucleare civile sarà progressivamente privatizzato. L’obiettivo del governo è di raggiungere nel 2015 una capacità di 40 mila MW, ovvero dieci volte quella attuale e di oltre 60 mila MW nel 2030.
Gli interessi in gioco sono enormi. Secondo la CII, la Confindustria Indiana, l’entrata dell’India nel cartello nucleare dopo il via libera del Nuclear Supplier Group lo scorso 6 settembre, potrà generare un giro d’affari di 30 miliardi di dollari nei prossimi 15 anni, con ricadute enormi sull’interscambio e sulla creazione di posti di lavoro.
In pole position ci sono le aziende statunitensi, ma anche quelle francesi e russe. Il premier Singh di ritorno dalla sua visita negli Stati Uniti si è fermato a Parigi e martedì ha firmato un accordo di cooperazione con il presidente Nicolas Sarkozy.
Secondo il settimanale Outlook, il NPCIL intende avviare trattative commerciali con la francese Areva SA, la russa Rosatum e i colossi americani General Electric e Westinghouse Electric (della Toshiba) per un totale di 14 miliardi di dollari per forniture di tecnologia alle nuove centrali in costruzione. Ma si apriranno anche nuove opportunità per circa 40 aziende dell’hi-tech indiano che, dopo 34 anni di isolamento di tecnologia nucleare e “duel use”, potranno finalmente entrare nel business mondiale dell’energia atomica.
C’è però ancora un ultimo ostacolo che limita le esportazioni americane. In India non esiste una legge sulla responsabilità civile in caso di incidenti nucleari. Secondo alcuni esperti fino a quando il governo di Nuova Delhi non ratificherà una convenzione dell’Agenzia Internazionale Atomica del 1997 sui risarcimenti per danni causati dal nucleare, le aziende americane non potranno vendere la loro tecnologia.
Gli interessi in gioco sono enormi. Secondo la CII, la Confindustria Indiana, l’entrata dell’India nel cartello nucleare dopo il via libera del Nuclear Supplier Group lo scorso 6 settembre, potrà generare un giro d’affari di 30 miliardi di dollari nei prossimi 15 anni, con ricadute enormi sull’interscambio e sulla creazione di posti di lavoro.
In pole position ci sono le aziende statunitensi, ma anche quelle francesi e russe. Il premier Singh di ritorno dalla sua visita negli Stati Uniti si è fermato a Parigi e martedì ha firmato un accordo di cooperazione con il presidente Nicolas Sarkozy.
Secondo il settimanale Outlook, il NPCIL intende avviare trattative commerciali con la francese Areva SA, la russa Rosatum e i colossi americani General Electric e Westinghouse Electric (della Toshiba) per un totale di 14 miliardi di dollari per forniture di tecnologia alle nuove centrali in costruzione. Ma si apriranno anche nuove opportunità per circa 40 aziende dell’hi-tech indiano che, dopo 34 anni di isolamento di tecnologia nucleare e “duel use”, potranno finalmente entrare nel business mondiale dell’energia atomica.
C’è però ancora un ultimo ostacolo che limita le esportazioni americane. In India non esiste una legge sulla responsabilità civile in caso di incidenti nucleari. Secondo alcuni esperti fino a quando il governo di Nuova Delhi non ratificherà una convenzione dell’Agenzia Internazionale Atomica del 1997 sui risarcimenti per danni causati dal nucleare, le aziende americane non potranno vendere la loro tecnologia.
Accordo nucleare, il Senato Usa ha ratificato
In onda su Radio Svizzera Italiana
Con l’accordo approvato ieri dal Senato americano, l’India esce da tre decenni di isolamento internazionale nucleare. La ratifica finale dell’intesa di cooperazione quarantennale, avviata tre anni fa e fortemente voluta da Bush, offre all’India l’accesso alla tecnologia nucleare occidentale in cambio dell’apertura agli ispettori dell’Onu di alcune delle sue istallazioni nucleari. L’India ha attualmente 14 centrali atomiche e altre nove sono in costruzione. L’energia nucleare soddisfa solo il 3 per cento del fabbisogno totale che dipende per oltre il 70 per cento dall’importazione di idrocarburi.
La nuova intesa è vista anche come una pietra miliare nelle relazioni con gli Stati Uniti ed era anche una priorità di politica estera del governo di Manmohan Singh che proprio su questa decisione ha rischiato la sua maggioranza dopo il ritiro del supporto dei partiti comunisti. L’accordo era stato criticato anche da alcuni paesi. L’India che non è firmataria del TPN rappresenta ora un’eccezione nell’attuale regime giuridico internazionale e potrebbe quindi incoraggiare paesi come l’Iran a proseguire la loro attività nucleare. Il Pakistan ha già rivendicato il diritto ad un’ analoga intesa con Washington. Ma la più importante ricaduta sarà quella economica. Martedi a Parigi il presidente francese Sarkozy ha siglato un accordo di cooperazione con il premier Singh che apre la strada alla vendita di reattori all’India. E così faranno presto i russi e ovviamente gli americani. A New Delhi è attesa per oggi la segretario di stato americano Condoleeza Rice.
Con l’accordo approvato ieri dal Senato americano, l’India esce da tre decenni di isolamento internazionale nucleare. La ratifica finale dell’intesa di cooperazione quarantennale, avviata tre anni fa e fortemente voluta da Bush, offre all’India l’accesso alla tecnologia nucleare occidentale in cambio dell’apertura agli ispettori dell’Onu di alcune delle sue istallazioni nucleari. L’India ha attualmente 14 centrali atomiche e altre nove sono in costruzione. L’energia nucleare soddisfa solo il 3 per cento del fabbisogno totale che dipende per oltre il 70 per cento dall’importazione di idrocarburi.
La nuova intesa è vista anche come una pietra miliare nelle relazioni con gli Stati Uniti ed era anche una priorità di politica estera del governo di Manmohan Singh che proprio su questa decisione ha rischiato la sua maggioranza dopo il ritiro del supporto dei partiti comunisti. L’accordo era stato criticato anche da alcuni paesi. L’India che non è firmataria del TPN rappresenta ora un’eccezione nell’attuale regime giuridico internazionale e potrebbe quindi incoraggiare paesi come l’Iran a proseguire la loro attività nucleare. Il Pakistan ha già rivendicato il diritto ad un’ analoga intesa con Washington. Ma la più importante ricaduta sarà quella economica. Martedi a Parigi il presidente francese Sarkozy ha siglato un accordo di cooperazione con il premier Singh che apre la strada alla vendita di reattori all’India. E così faranno presto i russi e ovviamente gli americani. A New Delhi è attesa per oggi la segretario di stato americano Condoleeza Rice.
giovedì 2 ottobre 2008
Orissa, coprifuoco dopo nuova violenza anticristiana
In onda su Radio Vaticana
E’ stato imposto il coprifuoco nel distretto di Kandhamal in Orissa dopo i disordini scoppiati ieri in seguito a una nuova ondata di violenza contro la minoranza cristiana. Negli scontri con la polizia che ha aperto il fuoco sulla folla sono morte tre persone, tra cui una donna cristiana di 42 anni. Una decina di dimostranti sono rimasti feriti. Secondo alcune testimonianze, gli incidenti sono iniziati quando una folla di alcune migliaia di fanatici indù con fucili e armi da taglio hanno attaccato ieri tre villaggi e bruciato tre chiese. Sarebbe stata assaltata anche una stazione della polizia dove erano detenuti alcuni dimostranti. Altri episodi di violenza contro cristiani si sarebbero verificati anche in altre parti del distretto di Kandhamal, l’epicentro delle persecuzioni anticristiane iniziate alla fine di agosto dopo l’uccisione del leader di un’organizzazione della destra induista. Nonostante le proteste delle comunità internazionale, comprese l’ultimo richiamo dell’Unione Europea, le violenze continuano e rischiano di contagiare anche altri stati. Secondo padre Carlo Torriani, missionario del Pime, gli estremisti indu starebbero per programmare nuovi attacchi anche in Maharashtra, lo stato di Mumbai, dove esiste una consolidata tradizione di convivenza interreligiosa.
E’ stato imposto il coprifuoco nel distretto di Kandhamal in Orissa dopo i disordini scoppiati ieri in seguito a una nuova ondata di violenza contro la minoranza cristiana. Negli scontri con la polizia che ha aperto il fuoco sulla folla sono morte tre persone, tra cui una donna cristiana di 42 anni. Una decina di dimostranti sono rimasti feriti. Secondo alcune testimonianze, gli incidenti sono iniziati quando una folla di alcune migliaia di fanatici indù con fucili e armi da taglio hanno attaccato ieri tre villaggi e bruciato tre chiese. Sarebbe stata assaltata anche una stazione della polizia dove erano detenuti alcuni dimostranti. Altri episodi di violenza contro cristiani si sarebbero verificati anche in altre parti del distretto di Kandhamal, l’epicentro delle persecuzioni anticristiane iniziate alla fine di agosto dopo l’uccisione del leader di un’organizzazione della destra induista. Nonostante le proteste delle comunità internazionale, comprese l’ultimo richiamo dell’Unione Europea, le violenze continuano e rischiano di contagiare anche altri stati. Secondo padre Carlo Torriani, missionario del Pime, gli estremisti indu starebbero per programmare nuovi attacchi anche in Maharashtra, lo stato di Mumbai, dove esiste una consolidata tradizione di convivenza interreligiosa.
mercoledì 1 ottobre 2008
Divieto anti fumo nel giorno del Mahatma
Su Apcom
L’India, uno degli ultimi paradisi dei fumatori, da domani mette al bando le sigarette nei luoghi pubblici. Nei ristoranti, hotel, stazioni, aeroporti, uffici, autobus, negozi e fabbriche entra in vigore il divieto di fumo. La multa per i trasgressori sarà di 200 rupie (circa 3 euro) e le autorità hanno promesso controlli a tappeto.
Per un Paese, dove la salute pubblica è spesso ignorata, sarà una vera e propria rivoluzione. E’ significativo che per applicare la legge anti fumo sia stata scelta la data del 2 ottobre, anniversario della nascita del Mahatma Gandhi e dall’anno scorso anche Giornata Mondiale della Non Violenza. Per rispetto al “padre della patria” in questo giorno, che è festività pubblica, sono vietati la vendita e il consumo di alcolici su tutto il territorio nazionale. Il Mahatma aveva adottato uno stile di vita ascetico ed era contrario al consumo di carne, alcolici e di “bindi”, come sono chiamate le sigarette fatte a mano.
Il bando è stato fortemente voluto dal ministro della sanità, il medico e “salutista” Ambumani Ramadoss secondo il quale il 40 per cento dei problemi di salute della popolazione è causata dalle sigarette. La legge era stata contestata duramente dall’industria del tabacco e da alcuni leader politici regionali. La scorsa settimana era intervenuta anche la Corte Suprema, il massimo organo giudiziario, che ha respinto una petizione per uno slittamento dell’entrata in vigore del divieto.
L’India è il terzo produttore mondiale di tabacco e i fumatori sono 120 milioni su una popolazione di oltre un miliardo di persone. Secondo dati dell’Indian Coucil of Medical Research il fumo uccide un milione di persone all’anno.
L’India, uno degli ultimi paradisi dei fumatori, da domani mette al bando le sigarette nei luoghi pubblici. Nei ristoranti, hotel, stazioni, aeroporti, uffici, autobus, negozi e fabbriche entra in vigore il divieto di fumo. La multa per i trasgressori sarà di 200 rupie (circa 3 euro) e le autorità hanno promesso controlli a tappeto.
Per un Paese, dove la salute pubblica è spesso ignorata, sarà una vera e propria rivoluzione. E’ significativo che per applicare la legge anti fumo sia stata scelta la data del 2 ottobre, anniversario della nascita del Mahatma Gandhi e dall’anno scorso anche Giornata Mondiale della Non Violenza. Per rispetto al “padre della patria” in questo giorno, che è festività pubblica, sono vietati la vendita e il consumo di alcolici su tutto il territorio nazionale. Il Mahatma aveva adottato uno stile di vita ascetico ed era contrario al consumo di carne, alcolici e di “bindi”, come sono chiamate le sigarette fatte a mano.
Il bando è stato fortemente voluto dal ministro della sanità, il medico e “salutista” Ambumani Ramadoss secondo il quale il 40 per cento dei problemi di salute della popolazione è causata dalle sigarette. La legge era stata contestata duramente dall’industria del tabacco e da alcuni leader politici regionali. La scorsa settimana era intervenuta anche la Corte Suprema, il massimo organo giudiziario, che ha respinto una petizione per uno slittamento dell’entrata in vigore del divieto.
L’India è il terzo produttore mondiale di tabacco e i fumatori sono 120 milioni su una popolazione di oltre un miliardo di persone. Secondo dati dell’Indian Coucil of Medical Research il fumo uccide un milione di persone all’anno.
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