mercoledì 30 ottobre 2013
venerdì 11 ottobre 2013
India misteriosa, caccia a un tesoro ''sognato'' da un sadhu
A volte sono le leggende che portano alla scoperta di favolosi tesori, ma in India e' bastato un ''sogno'' a convincere gli archeologi a scavare in un antico forte sulle rive del Gange alla ricerca dell'incredibile quantita' di ben 1.000 tonnellate d'oro nascoste oltre 150 anni fa, nella speranza che la fortuna possa portare benessere a un povero villaggio. L'unico indizio per la caccia al tesoro e' la testimonianza ''onirica'' di un santone indu', Shohban Singh, che vive in un piccolo villaggio dello stato dell'Uttar Pradesh, il piu' popoloso dell'unione indiana. E' infatti a lui che e' apparso in sogno Raja Rao Ram Bux Singh, leader locale della resistenza contro gli inglesi, per ''svelargli'' il segreto del tesoro da lui nascosto nel palazzo di Daundiya Kheda prima di essere barbaramente ucciso dal nemico durante la rivolta indipendentista del 1857 nata dall'ammutinamento delle truppe indiane. Dopo la rivelazione Shobhan, che vanta un notevole seguito di devoti, ha informato il governo locale e perfino scritto alla potente leader del partito del Congresso, Sonia Gandhi. ''Ma tutti - ha detto - hanno pensato a una scherzo, nessuno mi ha preso sul serio''. Fino a quando, pochi giorni fa, un ministro dello stato del Chhattisgarh, Charan Das Mahant, ha visitato il luogo e ha deciso di informare la Sovrintendenza indiana ai beni archeologici (Asi) del misterioso ''tesoro''. ''Se lo troviamo, potrebbe risolvere i problemi finanziari dello stato in crisi a causa della svalutazione della rupia'', ha dichiarato il politico al quotidiano The Indian Express, che oggi ha raccontato la bizzarra vicenda in prima pagina. Sembra che gli esperti dell'Asi siano decisi a verificare quanto prima il ''sogno''. Un team ha gia' ispezionato il sito e delimitato l'area dove effettuare gli scavi che, secondo la fonte, ''saranno trasmessi in diretta televisiva''. Da un primo esame, non sembrano esserci delle credenze popolari legate alla presenza di un ''tesoro''. Ma il distretto di Unnao e' famoso per diversi templi e leggende mitologiche raccontate nel libro sacro del Ramayana. Ed e' noto anche per essere una terra di ''combattenti''. Lo stesso Ram Bux Singh e' discendente di un maharaja del XII secolo appartenente all'etnia dei ''Rajput'', i ''guerrieri'' indiani. Dopo una fiera resistenza durante la rivolta, e' stato catturato a Varanasi e impiccato nel suo villaggio il 28 dicembre 1858. La notizia degli scavi ha mandato in fibrillazione la gente del luogo che ha gia' preparato una lista di domande per l'amministrazione nel caso in cui sia rinvenuto l'oro. Nella lista c'e' una stazione ferroviaria, un collegio femminile, un centro di ricerca per l'agricoltura, una centrale a energia solare e un impiego pubblico per ogni famiglia. Due anni fa, un immenso tesoro da Mille e una notte fu scoperto nei sotterranei di un tempio del Kerala, nell'India meridionale. La fortuna, appartenente all'ex maharaja di Travancore e composta da monete d'oro, gemme e preziose statue, e' stata valutata in ben 15 miliardi di euro, ma deve ancora essere esaminata. Sembra infatti che sia ''protetta'' da una sortilegio e per questo nessuno avrebbe avuto il coraggio di aprire le celle sotterranee.
Trekking a Goa, il mio esordio con un reportage in inglese
Ecco il mio esordio in inglese sul blog dell'agenzia di viaggi Shanti Travel: http://blog.shantitravel.com/en/adventure-and-trekking-in-goa/
giovedì 3 ottobre 2013
REPORTAGE/ Dacca, ecco gli operai che per 30 euro al mese cuciono magliette e jeans
Questo mio reportage fotografico doveva uscire su un quotidiano italiano. Mai stato pubblicato. Chissa' perche'....forse da' fastidio sapere che il made in Italy viene fatto da operai a 30 euro al mese?
Dacca, 23 Maggio 2013
Per arrivare in taxi al distretto industriale di Ashulia, a una decina di chilometri da Dacca, ci vuole lo stipendio di un operaio. Per mangiare alla pizzeria Little Italy, frequentata dai ‘buyers’ stranieri, cinque giornate di lavoro.
In questo angolo di Bangladesh, pieno di risaie e fornaci di mattoni, vivono e lavorano i nuovi ‘’schiavi’’ del mercato globale della moda, per dirla con le parole di Papa Francesco. Gli operai tessili del Bangladesh sono oltre tre milioni e i primi assunti guadagnano 3.000 taka al mese, circa 30 euro. Sono i piu’ sottopagati al mondo, ma e’ grazie a loro, oltre che al microcredito della Gramin Bank, se il Bangladesh e’ riuscito a tirarsi fuori dalla miseria e a superare anche l’India in alcuni indicatori sociali come la malnutrizione infantile.
Il polo di Ashulia, dove e’ concentrata la produzione di abbigliamento per l’export, e’ stato riaperto da pochi giorni dopo le violente proteste seguite alla paurosa catastrofe del Rana Plaza, nella vicina area di Savar. Davanti ad alcune fabbriche ci sono i poliziotti in tenuta anti sommossa a presidiare. C’e’ molta tensione e paura di nuove agitazioni. Alle nove del mattino dalla Trouser Line si aprono improvvisamente i cancelli e i lavoratori si riversano in strada dopo che e’ stata respinta la richiesta di 10 euro di aumento piu’ un buono pasto. La politica della potente associazione industriale della Bgmea (Bangladesh Garment Manufacturers & Exporters Association), che ha sede in un lussuoso grattacielo dichiarato illegale da un tribunale, e’ ‘’niente lavoro, niente paga’’.
Ma negli altri palazzoni grigi di Ashulia tirati su’ come pezzi di Lego, si lavora a pieno regime. A causa degli ‘hartal’, come vengono chiamati i cortei politici, le consegne sono in forte ritardo.
‘’Dall’inizio dell’anno siamo stati costretti a spedire via aerea oltre mezzo milione di pezzi con costi enormi e ovviamente un azzeramento del nostro guadagno’’ si lamenta Shahin Pervez, general manager del Landmark Group, 14 mila dipendenti, senza un sindacato e tra le prime aziende per l’export soprattutto in Germania, Svezia e Canada. ‘’La nostra fortuna e’ che abbiamo tutto l’intero ciclo di produzione in questo complesso, dalla tessitura alla maglieria, e che i nostri operai abitano in un raggio di 4 o 5 chilometri al massimo’’ aggiunge mentre ci mostra i capannoni dal nono piano del suo ufficio. Il gruppo si vanta di essere ‘’100% export oriented’’ e di lavorare per i colossi della distribuzione mondiale come WalMart che l’ha classificata con il ‘’yellow rating’’, ovvero a ‘’rischio medio’’ nel gergo del colosso americano per le condizioni di sicurezza e di lavoro.
Al piano di sotto, nel reparto confezioni, decine di operaie stipate con in un alveare, stanno cucendo dei boxer di cotone a strisce per WalMart. E’ una catena di montaggio, dall’elastico fino all’etichetta. Molte sembrano giovanissime.
Dopo la sciagura del 24 aprile, su pressione degli importatori europei e americani, il governo di Dacca sta disperatamente cercando di salvare l’immagine di un settore chiave che vale 20 miliardi di dollari. ‘’Ho partecipato ieri ad un incontro della Bgmea – spiega ancora il manager che e’ un ex ufficiale della Marina – e ora stiamo costruendo un data base dei lavoratori’’. Sembra incredibile, ma le cinque aziende tessili ospitate nel centro commerciale del Rana Plaza, non avevano un registro degli addetti .
Sul luogo del ‘palazzo della morte’, lungo una trafficatissima strada, c’e’ ora un pantano di acqua fetida da cui spuntano le sagome accartocciate di automobili parcheggiate nel garage. Dalle macerie di questo stabile abusivo, di proprieta’ dell’uomo politico Sohel Rana, sono emersi 1127 cadaveri, ma molti sono ancora senza nome. Davanti a delle transenne gialle, c’e’ un gruppo di donne che chiedono risarcimenti e mostrano le foto dei loro familiari al giornalista di turno. Al municipio di Savar e’ stata aperta una ‘’control room’’ per raccogliere tutti i reclami e compilare una lista ufficiale di dispersi.
Nelle corsie dell’ospedale Enam Medical College and Hospital, i letti sono pieni di superstiti con arti amputati. Lavany, infermiera di 22 anni, era in servizio alla Phantom Tak, al quinto piano. E’ stata tirata fuori dopo 36 ore, ma e’ stata necessaria la recisione dell'intero braccio sinistro rimasto sotto una trave di cemento. Ha ricevuto un risarcimento dal primo ministro, la signora Sheikh Hasina, di 10 mila taka, circa 100 euro piu’ due mesi di stipendio.
Il caso della Phantom, gestita da un imprenditore ‘’illuminato’’ in partner con uno spagnolo, e’ davvero singolare. L’azienda occupava il quinto e sesto piano del Rana Plaza e lavorava anche per italiani, tra cui Benetton il gruppo Berto (Manifattura Corona). E’ stata la Campagna Abiti Puliti a denunciare la presenza delle etichette tra i detriti.
‘’Sono stata all’inaugurazione del laboratorio della Phantom di due anni fa – racconta Giovanna Berto che 14 anni fa, insieme al marito Giuseppe, ha lasciato l’Italia per aprire una tessitura nella Export Processing Zone di Dacca, che e’ diventata una fabbrica modello per il rispetto dell’ambiente e dell’efficienza energetica grazie a un ingegnoso sistema di recupero del C02 inventato dallo stesso Berto.
‘’Sono stata meravigliata dalla qualita’ delle loro macchine, le misure antincendio e l’ergonomia delle postazioni di lavoro – aggiunge – Ed e’ per quello che Manifattura Corona (che ora appartiene alla figlia Francesca) era uno dei clienti’’. Nel laboratorio sono morte anche delle ragazze diplomate alla Novara Techical School, l’istituto professionale del Pime che e’ sostenuto dai Berto. ‘’L’atteggiamento aggressivo della Campagna Abiti Puliti, che ci ha contattati lo stesso giorno della tragedia, e’ completamente ingiustificato – dice –. Abbiamo risarcito le persone che lavoravano per noi e continueremo a sostenere i missionari. Credo ancora che aziende come la Phantom possano essere un esempio per questo Paese’’.
Dacca, 23 Maggio 2013
Per arrivare in taxi al distretto industriale di Ashulia, a una decina di chilometri da Dacca, ci vuole lo stipendio di un operaio. Per mangiare alla pizzeria Little Italy, frequentata dai ‘buyers’ stranieri, cinque giornate di lavoro.
In questo angolo di Bangladesh, pieno di risaie e fornaci di mattoni, vivono e lavorano i nuovi ‘’schiavi’’ del mercato globale della moda, per dirla con le parole di Papa Francesco. Gli operai tessili del Bangladesh sono oltre tre milioni e i primi assunti guadagnano 3.000 taka al mese, circa 30 euro. Sono i piu’ sottopagati al mondo, ma e’ grazie a loro, oltre che al microcredito della Gramin Bank, se il Bangladesh e’ riuscito a tirarsi fuori dalla miseria e a superare anche l’India in alcuni indicatori sociali come la malnutrizione infantile.
Operaie alla fabbrica Landmark Group |
Ma negli altri palazzoni grigi di Ashulia tirati su’ come pezzi di Lego, si lavora a pieno regime. A causa degli ‘hartal’, come vengono chiamati i cortei politici, le consegne sono in forte ritardo.
‘’Dall’inizio dell’anno siamo stati costretti a spedire via aerea oltre mezzo milione di pezzi con costi enormi e ovviamente un azzeramento del nostro guadagno’’ si lamenta Shahin Pervez, general manager del Landmark Group, 14 mila dipendenti, senza un sindacato e tra le prime aziende per l’export soprattutto in Germania, Svezia e Canada. ‘’La nostra fortuna e’ che abbiamo tutto l’intero ciclo di produzione in questo complesso, dalla tessitura alla maglieria, e che i nostri operai abitano in un raggio di 4 o 5 chilometri al massimo’’ aggiunge mentre ci mostra i capannoni dal nono piano del suo ufficio. Il gruppo si vanta di essere ‘’100% export oriented’’ e di lavorare per i colossi della distribuzione mondiale come WalMart che l’ha classificata con il ‘’yellow rating’’, ovvero a ‘’rischio medio’’ nel gergo del colosso americano per le condizioni di sicurezza e di lavoro.
Al piano di sotto, nel reparto confezioni, decine di operaie stipate con in un alveare, stanno cucendo dei boxer di cotone a strisce per WalMart. E’ una catena di montaggio, dall’elastico fino all’etichetta. Molte sembrano giovanissime.
Ingresso degli operai in una fabbrica di jeans - Distretto tessile di Ashulia |
Sul luogo del ‘palazzo della morte’, lungo una trafficatissima strada, c’e’ ora un pantano di acqua fetida da cui spuntano le sagome accartocciate di automobili parcheggiate nel garage. Dalle macerie di questo stabile abusivo, di proprieta’ dell’uomo politico Sohel Rana, sono emersi 1127 cadaveri, ma molti sono ancora senza nome. Davanti a delle transenne gialle, c’e’ un gruppo di donne che chiedono risarcimenti e mostrano le foto dei loro familiari al giornalista di turno. Al municipio di Savar e’ stata aperta una ‘’control room’’ per raccogliere tutti i reclami e compilare una lista ufficiale di dispersi.
Indumenti in attesa del controllo di qualita' - Fabbrica Landmark - Distretto tessile di Ashulia |
Il caso della Phantom, gestita da un imprenditore ‘’illuminato’’ in partner con uno spagnolo, e’ davvero singolare. L’azienda occupava il quinto e sesto piano del Rana Plaza e lavorava anche per italiani, tra cui Benetton il gruppo Berto (Manifattura Corona). E’ stata la Campagna Abiti Puliti a denunciare la presenza delle etichette tra i detriti.
‘’Sono stata all’inaugurazione del laboratorio della Phantom di due anni fa – racconta Giovanna Berto che 14 anni fa, insieme al marito Giuseppe, ha lasciato l’Italia per aprire una tessitura nella Export Processing Zone di Dacca, che e’ diventata una fabbrica modello per il rispetto dell’ambiente e dell’efficienza energetica grazie a un ingegnoso sistema di recupero del C02 inventato dallo stesso Berto.
‘’Sono stata meravigliata dalla qualita’ delle loro macchine, le misure antincendio e l’ergonomia delle postazioni di lavoro – aggiunge – Ed e’ per quello che Manifattura Corona (che ora appartiene alla figlia Francesca) era uno dei clienti’’. Nel laboratorio sono morte anche delle ragazze diplomate alla Novara Techical School, l’istituto professionale del Pime che e’ sostenuto dai Berto. ‘’L’atteggiamento aggressivo della Campagna Abiti Puliti, che ci ha contattati lo stesso giorno della tragedia, e’ completamente ingiustificato – dice –. Abbiamo risarcito le persone che lavoravano per noi e continueremo a sostenere i missionari. Credo ancora che aziende come la Phantom possano essere un esempio per questo Paese’’.
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