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"L'ho sentito fin dal primo giorno che ce l'avrei fatta, avevo una grande spinta dentro, mi sono massacrato la schiena e allenato come se dovessi fare le Olimpiadi...". L'alpinista bergamasco Simone Moro, il primo al mondo a salire d'inverno sulla montagna pachistana del Nanga Parbat (8.126 metri), parla con l'ANSA della sua impresa che ha realizzato il 26 febbraio insieme allo spagnolo Alex Txicon, al basco Alì Sadpara e all'altoatesina Tamar Lunger. Stasera lo sportivo è ospite dell'ambasciatore d'Italia a Islamabad, Stefano Pontecorvo, e domani pomeriggio torna in Italia dove è atteso da una calorosa accoglienza. "E' proprio vero che quando hai un sogno grande - spiega - nulla ti può fermare e così è stato. L'insegnamento che ne ho tratto è che non bisogna mai credere nell'esistenza dell'impossibile". L''impossibile' è stato conquistare nella stagione invernale, quindi con condizioni proibitive per il freddo fino a meno 60 gradi (temperatura percepita) e per i venti, la vetta della 'montagna assassina', come è stato ribattezzato il Nanga Parbat per l'elevata mortalità. "Prima di noi - racconta Moro che oggi ha tenuto una conferenza stampa a Islamabad organizzata dal club alpino locale - ci sono stati negli ultimi tre o quattro decenni circa trenta tentativi di alpinisti che sono tra i migliori al mondo". Per lui è stato il terzo tentativo e ci sono voluti tre mesi di pazienza. "Il problema dell'inverno è proprio questo - spiega - che devi aspettare in una tenda per giorni e giorni a temperature di meno 20 gradi o oltre in attesa di una finestra di bel tempo che può non arrivare mai". All'eccezionalità dell'impresa, si aggiunge il fatto che è stata una 'scalata di altri tempi', in puro stile alpinistico, ovvero senza ossigeno, senza portatori di alta quota e senza nessuna comunicazione digitale. "Non ho voluto neppure usare gli scarponi con la suola riscaldata - aggiunge - e per questo non ho ancora ripreso del tutto la sensibilità di alcune dita dei piedi". Nell'immediato futuro Moro, che è anche pilota di elicotteri, ha in serbo di tornare in Nepal portando "un elicottero italiano" da donare al servizio di soccorso montano. "Tra un mese - conclude - sarò a Kathmandu per le pratiche burocratiche. Mi piacerebbe tanto da italiano pilotare un elicottero italiano e spero che questa impresa mi aiuti a realizzare questo sogno". (ANSA).
"L'ho sentito fin dal primo giorno che ce l'avrei fatta, avevo una grande spinta dentro, mi sono massacrato la schiena e allenato come se dovessi fare le Olimpiadi...". L'alpinista bergamasco Simone Moro, il primo al mondo a salire d'inverno sulla montagna pachistana del Nanga Parbat (8.126 metri), parla con l'ANSA della sua impresa che ha realizzato il 26 febbraio insieme allo spagnolo Alex Txicon, al basco Alì Sadpara e all'altoatesina Tamar Lunger. Stasera lo sportivo è ospite dell'ambasciatore d'Italia a Islamabad, Stefano Pontecorvo, e domani pomeriggio torna in Italia dove è atteso da una calorosa accoglienza. "E' proprio vero che quando hai un sogno grande - spiega - nulla ti può fermare e così è stato. L'insegnamento che ne ho tratto è che non bisogna mai credere nell'esistenza dell'impossibile". L''impossibile' è stato conquistare nella stagione invernale, quindi con condizioni proibitive per il freddo fino a meno 60 gradi (temperatura percepita) e per i venti, la vetta della 'montagna assassina', come è stato ribattezzato il Nanga Parbat per l'elevata mortalità. "Prima di noi - racconta Moro che oggi ha tenuto una conferenza stampa a Islamabad organizzata dal club alpino locale - ci sono stati negli ultimi tre o quattro decenni circa trenta tentativi di alpinisti che sono tra i migliori al mondo". Per lui è stato il terzo tentativo e ci sono voluti tre mesi di pazienza. "Il problema dell'inverno è proprio questo - spiega - che devi aspettare in una tenda per giorni e giorni a temperature di meno 20 gradi o oltre in attesa di una finestra di bel tempo che può non arrivare mai". All'eccezionalità dell'impresa, si aggiunge il fatto che è stata una 'scalata di altri tempi', in puro stile alpinistico, ovvero senza ossigeno, senza portatori di alta quota e senza nessuna comunicazione digitale. "Non ho voluto neppure usare gli scarponi con la suola riscaldata - aggiunge - e per questo non ho ancora ripreso del tutto la sensibilità di alcune dita dei piedi". Nell'immediato futuro Moro, che è anche pilota di elicotteri, ha in serbo di tornare in Nepal portando "un elicottero italiano" da donare al servizio di soccorso montano. "Tra un mese - conclude - sarò a Kathmandu per le pratiche burocratiche. Mi piacerebbe tanto da italiano pilotare un elicottero italiano e spero che questa impresa mi aiuti a realizzare questo sogno". (ANSA).
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