domenica 13 marzo 2016

REPORTAGE - La casa di Tiziano Terzani a Binsar, nell'Uttarakhand

Questo reportage è stato scritto per La Stampa quasi un anno fa ma non è mai stato pubblicato


Almora (Uttarakhand)

“La casa di Tissiano? Certo che so dove è! E’ a Binsar, a una ventina di chilometri da qui, si arriva in auto fino a un tempietto e poi si sale a piedi per mezzora”. Sono passati 12 anni da quando Tiziano Terzani ha lasciato l’Himalaya ma il suo amico indiano Tara ne parla come se lui fosse ancora seduto nella sua trattoria lungo la strada a bere un tè. L’albergatore era uno dei suoi punti di riferimento quando veniva quassù nella valle di Almora, a circa 350 km a nord-ovest di New Delhi, un posto speciale dato che in passato ha attirato frotte di intellettuali e artisti, dal mistico indiano Swami Vivekananda fino a Bob Dylan.
   Da questi strapiombi e pinete, ora ingiallite dal sole cocente, “poteva guardare le montagne senza il desiderio di scalarle” (Lettera dall’Himalaya, “Che fare?” del 17 gennaio 2002). Qui era scappato da una India che non gli piaceva più e qui aveva imparato ad accettare la sua malattia mortale.
    “Arrivava con la sua Ambassador con la scritta ‘Press’ – racconta – e si fermava sempre da me a prendere un chai (il tipico tè al latte zuccherato)”. All’epoca, siamo alla fine degli anni Novanta, lo spaccio di Tara e dei suoi due fratelli era l’unico posto dove fare la spesa, telefonare e anche scambiare due parole per chi arrivava dal villaggio di Binsar. Ci sono ancora la cabina telefonica e la macchina del fax dove Terzani “spediva decine di pagine” alla moglie Angela.
    Come molte altre località himalayane, Almora è deturpata da casermoni di cemento, dal traffico disordinato e chiassoso e da cumuli di spazzatura. Ma il vecchio Lal Bazar, con i suoi templi e i bassorilievi del Kamasutra, è ancora rimasto intatto come ai tempi di Terzani quando veniva qua a comprare le ’thulma’, le pesanti trapunte tibetane.
    “Tiziano aveva conosciuto mio padre grazie a un comune amico, Richard Wheeler, proprietario della guest house Deodars – ricorda Mukti Datta, una energica attivista che si occupa dell’emancipazione femminile e della tutela delle foreste – e da allora tra di loro è nato un forte connubio intellettuale”. Vivek Datta, spesso citato come “Il Vecchio”, era un raffinato studioso di filosofia indiana che si era ritirato con la moglie Marie Therese, una musicologa belga, su un cocuzzolo di una foresta diventata poi nel 1988 il Parco Nazionale di Binsar. La coppia aveva comprato nel 1956 una storica e bellissima casa circondata da un vasto appezzamento di terra coltivabile e da allora i Datta avevano deciso di viverci come eremiti.
   “Mio padre aveva proposto a Tiziano di stare da loro per scrivere il suo nuovo libro – prosegue - e all’inizio gli aveva offerto una piccola baita, poi una nuova casa che era stata costruita per lui dove prima c’era un vecchio fienile. Quando venivo a trovare i miei lo incontravo. Me lo ricordo girare in tondo nel giardino imprecando perché aveva il blocco dello scrittore. ‘Fuck, fuck’ ripeteva come un matto e poi improvvisamente gli veniva qualche idea e tornava a scrivere”. Mukti, che ha creato Panchachuli, una cooperativa dove 600 donne producono scialli su dei telai di legno, vive ancora nella stessa proprietà insieme al figlio Arjun e per finanziarsi affitta “la casa dello scrittore”. “Ma oggi è molto più comodo – dice ridendo – i pannelli solari funzionano e abbiano anche internet”.
    Però ci si arriva sempre a piedi, o con una Royal Enfield come quella del giovane Arjun, attraverso una mulattiera di circa due chilometri. Prima però occorre superare la barriera del Binsar Sanctuary (l’ingresso per i visitatori stranieri è di 600 rupie ovvero circa 8 euro). Si va un po’ a tentoni perché non ci sono indicazioni, ma per fortuna tutti i guardaparco conoscono la “Datta’s house”. Il sentiero si snoda in un bosco di querce e cedri che ai tempi di Terzani era popolato anche una pantera ‘mangiauomini.
   All’ingresso del “Nanda Devi Estate” c’è un vecchio cancello arrugginito aperto. Il sentiero si inerpica ancora per per un po’ fino a sboccare in un avvallamento dove ci sono delle coltivazioni a terrazza e diversi edifici in stile coloniale. Siamo a circa 2.200 mila metri di quota e quando l’orizzonte e’ sereno, a febbraio o marzo, da qui si vedono i picchi dei ‘Settemila’ che sorgono a circa 300 km, compresa la montagna sacra del Nanda Devi, oggi chiusa alle spedizioni alpinistiche e che all’epoca della Guerra fredda fu usata, senza successo, dalla Cia per spiare i test nucleari cinesi. Qui vicino abitava anche l’ex ministro della Difesa Arun Singh, che era in carica una trentina di anni fa all’epoca di un clamoroso scandalo di corruzione per una fornitura di cannoni che coinvolse il manager italiano Ottavo Quattrocchi e che costrinse alle dimissioni l’allora premier Rajiv Gandhi.
    La villa dove Terzani ha abitato per due anni dalla fine del 2000 e che lui aveva battezzato “il rifugio di Anaam” (“Anaam Sheranam” o il Rifugio del Senza Nome), sorge su un’altura con un bel prato davanti e un grande leccio. Ci sono dei giardinieri che falciano l’erba e sistemano la veranda in attesa di una famiglia indiana del Rajasthan che l’ha affittata per un breve periodo. Uno e’ Govind, il giovane tuttofare, spesso citato nei diari pubblicati lo scorso anno (‘Un Idea di Destino’, Longanesi) e dove ci sono ampie descrizioni di questo posto, del massiccio del Nanda Devi, dei corvi e delle lunghe colazioni con il suo ‘guru’ e padrone di casa Vivek.
   Govind mostra orgoglioso il soppalco al primo piano dove Terzani si sedeva per leggere o scrivere davanti a delle grandi vetrate. Si vede il paesaggio che ha ispirato i suoi acquarelli e anche molti dei suoi scritti. "L'esistenza qui è semplicissima – raccontava sempre nella lettera dall’Himalaya -. Scrivo seduto sul pavimento di legno, un pannello solare alimenta il mio piccolo computer; uso l'acqua di una sorgente a cui si abbeverano gli animali del bosco - a volte anche un leopardo -, faccio cuocere riso e verdure su una bombola a gas, attento a non buttar via il fiammifero usato. Qui tutto è all'osso, non ci sono sprechi e presto si impara a ridare valore ad ogni piccola cosa. La semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine".
   Il pian terreno è un open space, con un salotto davanti a un grande caminetto, un tavolo da pranzo e la cucina, mentre sopra ci sono due stanze da letto con un arredo spartano.
    Non c’è più alcun oggetto che lo ricorda, a parte quel ‘sacro silenzio’ di cui parla nei diari e che lo ha convinto che “la cura di tutte le cure, la vera medicina per tutti i mali consiste nel cambiare vita, cambiare noi stessi e con questa rivoluzione interiore dare il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore”.
   L’abitazione del “Vecchio’’, spesso paragonato a un “Vaso di Pandora” per le sue conoscenze, è a qualche centinaio di metri, tra cespugli di rose e rododendri ormai sfioriti e un grande orto con ogni tipo di verdura. Ci sono anche delle pecore, qualche mucca e un cavallo. Durante la sua permanenza fino alla primavera 2003 (quando ha lasciato definitivamente l’India per tornare a Orsigna) gli insegnamenti di Datta, il “maestro che compare quando l’allievo e’ pronto”, sono stati molto importanti per il suo cammino spirituale raccontato in ‘Un Altro Giro di Giostra’. “Dal vecchio – scriveva - imparo a passare ore dinanzi a una candela nel tentativo di sentire l’armonia degli opposti, quell’Uno in cui tutto si integra”.
   Ma secondo Tara in queste vallate c’è una ‘magia’ che fa sì che gli stranieri si fermino per anni. Il villaggio di Kasar Devi, ribattezzato il “crinale degli strambi”, era una destinazione degli hippy negli anni Settanta e, prima di intellettuali come il mistico danese Alfred Sorensen e il monaco buddista tedesco Lama Anagarika Govinda. E forse anche “Tissiano” era stato stregato dall’energia di questo luogo.
   Prima di partire gli ha regalato una copia in inglese di “Lettere contro la guerra” in cui lo ringrazia per i “chai” senza i quali “non sarebbe stato possibile scrivere questo libro” . Firmato, con l’alfabeto hindi, Anaam di Binsar.

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