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Negli ultimi quattro anni l’India è entrata prepotentemente sulla scena internazionale grazie a un tasso di crescita dell’8-9% che è tra i più alti al mondo. Rimangono però enormi contraddizioni interne che pesano come macigni sulle prospettive del suo sviluppo. “Parto con la convinzione che non si può più esistere senza l’India. E’ una realtà con cui bisogna fare i conti politicamente ed economicamente. Non è una potenza mondiale, ma un giorno forse lo sarà”. E tempo di bilanci per Antonio Armellini, da oltre 4 anni ambasciatore italiano a Nuova Delhi, che tra circa un mese lascerà il suo incarico dopo essere stato nominato dalla Farnesina come rappresentante permanente presso l’Ocse a Parigi. Il suo successore sarà Roberto Toscano, attualmente a capo della sede diplomatica di Teheran. In questa lunga intervista, Armellini traccia un quadro con molte luci e ombre sul complesso delle relazioni bilaterali, sugli investimenti italiani che sono ancora sottodimensionati, sulla difficoltà di un Paese che “si cerca di capire non capendolo”, sulle virtù dell’etica induista e sul fascino dei suoi monumenti tra cui spiccano i templi erotici di Khajuraho. Dal 2000 al 2005 l’interscambio è raddoppiato e con l’impennata del 43% dell’export registrata nell’ultimo anno fiscale, l’Italia ha quasi raggiunto la Francia nella classifica dei maggiori esportatori europei in India. Dal suo arrivo nell’aprile del 2004, la bilancia commerciale è passata da 2,6 a 6,3 miliardi di dollari. Un trend positivo che fa pensare che l’obiettivo dei 10 miliardi di dollari entro il 2010 fissato dal ministro del commercio Kamal Nath e dalla sua ex omologa Emma Bonino sia “a portata di mano”. “Ma c’è ancora molto da fare” avverte Armellini soprattutto sul fronte degli investimenti diretti che devono essere indirizzati nei due settori prioritari per il governo di Manmohan Singh, che sono l’agricoltura, l’eterna “cenerentola” indiana e la modernizzazione delle infrastrutture che richiederà una spesa di 350 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. Il fenomeno indiano è scoppiato con il Millennio, quando il mondo ha scoperto l’abilità ma soprattutto la convenienza degli ingegneri informatici di Bangalore. C’è voluta però la visita dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 a collocare l’India nel radar della Farnesina puntato fino allora solo sulla Cina. “L’arrivo di Ciampi segna un rovesciamento del cono dell’indifferenza reciproca” – spiega l’ambasciatore ricordando l’andamento sinusoidale dei rapporti italo-indiani che risalgono alla prima fase dell’industrializzazione indiana dall’Indipendenza fino agli anni Settanta. “Pensiamo alla Lambretta della Piaggio o agli impianti di urea della Snam Progetti che hanno permesso l’autosufficienza agricola”. Nel febbraio del 2007 la missione di Romano Prodi e di tre ministri, accompagnati da una delegazione di 400 imprenditori, aggiunge un altro tassello alla costruzione di un “un quadro riferimento istituzionale che oggi è paragonabile a quello stabilito con i nostri maggiori partner commerciali”. Ma la partnership commerciale deve ancora rafforzarsi soprattutto sul fronte degli investimenti diretti “in cui esiste una debolezza strutturale dell’Italia”. Ci sono tuttavia “segnali di correzione positiva”. L’anno scorso il flusso di FDI (Foreign Direct Investments) ha segnato un balzo del 56% (più 80% nei primi tre mesi del 2008), ma sono ancora la metà di quelli francesi. “In Italia si guarda solo all’accordo Tata, ma non è l’unico. Sono ritornati sulla scena tutti i grandi protagonisti della nostra industria. Ci sono stati investimenti di rilievo da parte di Generali, il raddoppiamento della fabbrica della Piaggio e il triplicamento di quella di Carraro. Poi c’è la Perfetti che vuole fare dell’India un hub per l’Asia sudorientale”. Ma se si guarda l’altra faccia della medaglia, “gli imprenditori italiani dovrebbero concentrarsi maggiormente nel settore agroalimentare e in quello delle infrastrutture dove è possibile accedere solo con una logica di consorzi, che purtroppo manca alle nostre imprese di costruzione”. Oltre il 40% delle esportazioni è composto da macchinari utensili, dove l’Italia gode di un grande vantaggio competitivo grazie ad aziende come Bonfiglioli, Carraro e Graziano Trasmissioni. “Tutti parlano di Armani, ma per quanto riguarda le macchine utensili per lavorazione della pelle, tessile, ferro, marmo e legno qui in India abbiamo smentito il mito della superiorità tedesca”. Tra le carenze delle imprese italiane, secondo Armellini, c’è però quella di avere una “percezione assolutamente falsata dell’India”, che per molti è ancora un “paese di straccioni” e in più c’è un fattore frenante dovuto a una certa “tendenza tutta italiana a lamentarsi delle strutture pubbliche senza però fare nulla per cambiarle”. Armellini respinge senza mezzi termini l’idea abbastanza diffusa che gli uffici commerciali delle ambasciate o gli uffici dell’Ice siano inadeguati e inefficienti. “Mi ricordo quando ero in Polonia – racconta - gli imprenditori si rivolgevano solo a me quando erano disperati ed era ormai troppo tardi. Quando chiedevo perché non erano venuti prima, mi rispondevano che era per sfiducia oppure perche temevano che facessi la spia alla Finanza. Questa diffidenza di fondo è all’origine della difficoltà delle imprese di servirsi delle strutture pubbliche, che hanno mille carenze e su questo non c’è dubbio, ma hanno bisogno di avere un riscontro per migliorare l’offerta del loro servizio”. Da qualche mese tuttavia si sono addensate dense nubi all’orizzonte della “speranza indiana”, per citare il libro di Federico Rampini (“dove è descritto un posto straordinario che si fa fatica a ritrovare appena si esce dall’aeroporto”). L’inflazione che ha toccato, proprio in questi giorni, il record dell’11 per cento a causa del caro benzina, potrebbe fortemente rallentare la crescita. A poco possono contribuire le previsioni ottimistiche di un buon raccolto dovuto all’arrivo anticipato del monsone. “L’obiettivo del 10 per cento di crescita mi sembra irragionevole – afferma - Penso invece che l’India possa mantenere un 7 per cento grazie alla potenza inespressa del mercato interno e al piano keynesiano di investimenti pubblici. Certo il Paese è ancora molto squilibrato sui servizi che rappresentano il 40 del Pil e che sono quelli più vulnerabili alla recessione mondiale. Penso però che il sistema economico indiano sia in grado di reggere a queste onde d’urto esterne”. C’è inoltre una marcia in più che l’India possiede ed è quella del “karma”, un concetto che impregna ogni classe sociale e che “garantisce una stabilità di fondo frenando l’ambizione personale. Per questo non credo tra i tanti problemi che l’India dovrà affrontare ci sarà quello di disordini o conflitti sociali. Nella classe media l’egoismo capitalistico convive con l’etica induista”. Guardando l’India con i nostri occhi da occidentali, si può inciampare in gravi errori di valutazione. Per esempio la guerra delle caste in Rajasthan non è “una rivendicazione rivoluzionaria”, ma si tratta di una "parte della società che vuole una diversa sistemazione all’interno di un ordine castale che nessuno di loro contesta. L’India si può permettere uno sviluppo squilibrato perché ha un tessuto sociale che garantisce la stabilità anche in presenza di fattori che per noi sono rivoluzionari”. “Temo invece un’instabilità sociale in Cina – aggiunge - se nei prossimi dieci anni non riuscirà a completare il processo di urbanizzazione delle campagne”. Negli ultimi anni a Nuova Delhi e a Bombay sono arrivate in massa i marchi simbolo del Made in Italy attirati dal potere di acquisto della nuova classe borghese che conta 80-100 milioni di consumatori in grado di permettersi una casa di proprietà, l’auto e le vacanze. Sono pronti a comprare anche i generi di lusso? “Assolutamente sì – afferma – perchè esiste una nuova domanda da parte di giovani ingegneri e professionisti che cominciano a vivere in famiglie mononucleari. Sono stato di recente a inaugurare un negozio di Corneliani che espone vestiti da 80 o 90 mila rupie (oltre i 1200 euro). Mi dicevano che c’è una forte richiesta non solo nelle metropoli, ma anche nelle città secondarie come Ludhiana o Chandigar”. Anche se qui in India l’argomento è tabù, la presenza della leader Sonia Gandhi è un elemento che non si può ignorare nelle relazioni indo-italiane. La leader del partito del Congresso e capo della coalizione di governo è una cittadina indiana a tutti gli effetti, ma nell’immaginario collettivo è sempre la ragazza piemontese che nel 1968 ha sposato Rajiv Gandhi. Le sue origini italiane sono costantemente soggette ad attacchi dell’opposizione e ogni suo rapporto con l’Italia è vagliato attentamente dalla stampa indiana affamata di particolari su una leader della cui privacy non si sa nulla. “Ho rapporti con lei come con tutti gli altri membri del governo indiano. Per me Sonia Gandhi è una cittadina indiana e se qualcuno pensa che possa essere una scorciatoia o un canale preferenziale si sbaglia di grosso” taglia corto Armellini che tra l’altro vanta origini britanniche da parte materna. Essendo quindi bilingue, la sua padronanza dell’inglese in un Paese anglofono gli ha dato un vantaggio in più nelle relazioni con la leadership indiana. “Sì è vero – ammette – essere un italiano di madre lingua inglese mi ha permesso di utilizzare un mio strumento che non porta lo stampo del dominio coloniale britannico”. L’India non era del tutto sconosciuta per il diplomatico che ricorda che “da universitario nel 1963 aveva girato l’Asia per sei mesi senza incontrare nessun italiano”. In India, “dove avevo dei legami familiari per via di mio nonno che ci ha abitato molti anni”, non erano ancora arrivati i Beatles, ma “io già conoscevo Ravi Shankar che qui era già popolare… Certo adesso ho corretto quell’immagine antica e ho maturato l’idea di un Paese molto più complesso di quanto la gente non pensi, in rapidissimo movimento e con contraddizioni che uno conosce solo dall’interno e cerca di capirle non capendole”. Nei quattro anni di permanenza numerosi sono stati i viaggi, anche nei due Paesi di competenza della sede diplomatica di Delhi, il Nepal e il piccolo Bhutan, ex regno con il quale non ci sono relazioni diplomatiche e “dove vive un’unica cittadina italiana che è la moglie del ministro degli esteri”. Sulle bellezze dell’India, Armellini scarta la natura che è “deludente, a parte il Ladakh”, mentre esalta il “costruito”. “Sono stato colpito dai monumenti indiani, intriganti e fascinosi, come i templi di Khajuraho “costruiti quando noi eravamo ancora chiusi nei conventi ad aspettare la fine del mondo”. Mentre non è stato sedotto dal fascino degli “ashram”, che invece attira moltissimi italiani. “Penso che la spiritualità indiana affascini più coloro che vengono qui a cercarla che coloro che ci abitano”.
domenica 22 giugno 2008
Ambasciatore Antonio Armellini: "Senza l'India non si può più esistere"
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