Dopo 60 anni di battaglie legali e una lunga scia di violenze, un tribunale indiano ha scritto oggi, con una sentenza salomonica, l'ultimo capitolo della storia di Ayodhya, la citta' dello stato settentrionale dell'Uttar Pradesh, simbolo del nazionalismo indu' e fonte di sanguinosissimi scontri con la minoranza dei 130 milioni mussulmani. Per tutto il pomeriggio l'India ha aspettato con il fiato sospeso il verdetto dell'alta corte di Allahabad che si doveva pronunciare sulla proprieta' del luogo sacro dove i ''saffron'', i radicali indu', demolirono a mani nude una moschea del XVI secolo. C'era la paura che nel nome di Ayodhya di nuovo potessero scoppiare i pogrom come quelli del Gujarat nel 2005. Spesso nella storia dell'India e' bastata una scintilla per far esplodere tensioni interreligiose che covano sotto la cenere e che improvvisamente diventano incontrollabili.
La sentenza della corte (che non si e' pronunciata all'unanimita', ma con una maggioranza di due giudici su tre) prevede una formula di compromesso. Il terreno conteso, nel centro di Ayodhya, ''la citta' costruita dagli dei'' come recitano i libri vedici, sara' diviso in tre parti uguali: tra gli indu' che vogliono costruire un grande tempio dedicato al dio Rama, un'associazione induista e l'ente mussulmano che rivendicava la proprieta' del sito dove c'era la moschea del 1528 costruita dall'imperatore mughal Babar. In attesa di tracciare le divisioni, il tribunale ha ordinato una moratoria di tre mesi in cui dovra' essere mantenuto lo status quo. La soluzione riconosce quindi il diritto degli indu' a pregare nello storico luogo sacro e, nello stesso tempo, non ''estromette'' del tutto i mussulmani, che sono i legittimi proprietari. Reagendo al verdetto, il ''falco'' del partito indu nazionalista del Bjp (Partito popolare indiano), L.K. Advani, che partecipo' alla demolizione della moschea, ha espresso soddisfazione e ha anche proposto una riconciliazione tra le comunita' religiose. ''Si apre un nuovo capitolo per l'integrazione nazionale e una nuova era per pacifiche relazioni tra le comunita' religiose'' ha detto in un comunicato letto stasera davanti alle telecamere delle tv indiane. Advani ha poi sottolineato che la corte ''ha riconosciuto chiaramente l'esistenza di rovine induiste'' preislamiche, che era quello su cui si battevano gli estremisti della destra indu' dell'Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), considerato un movimento con tendenze fasciste.
Meno contenti, ma non del tutto delusi, i responsabili dell'autorita' mussulmana sunnita Wafq, che probabilmente presenteranno ricorso presso la Corte Suprema. C'e' quindi ancora la possibilita' che il massimo organo giudiziario riapra l'annosa controversia.
Fin dalla scorsa settimana, quando la Corte Suprema ha dato il via libera alla sentenza di oggi, il governo ha cercato di giocare in anticipo con ripetuti appelli alla calma, detenzioni preventive di sospetti facinorosi, dispiegamento di truppe nei luoghi ''caldi'' dell'Uttar Pradesh e perfino con il blocco degli sms collettivi sui telefonini. In diverse citta', scuole e uffici sono stati chiusi in anticipo e molti mercati sono rimasti deserti. Tensione palpabile anche a New Delhi, dove domenica si aprono i Giochi dei Commonwealth e dove c'e' massima allerta per la paura di attentati terroristici
venerdì 1 ottobre 2010
Ayodhya, bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
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