giovedì 4 settembre 2008

Marchionne/Fiat “In India puntiamo a quota di mercato a due cifre”


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La Fiat punta a una quota di mercato di almeno il 10% in India, un paese che è tra i più promettenti per il settore automobilistico insieme a Brasile, Russia e Cina. “Siamo ritornati in India nel 2004 e da allora abbiamo cercato di ricostruire il marchio attraverso l’alleanza con Tata – ha detto Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, in un intervento al convegno annuale della Siam, la società dei costruttori automobilistici indiani – .Terminato questo periodo di transizione, la nostra speranza è di riuscire a conquistare una quota di mercato a doppia cifra”. Nei prossimi mesi dal nuovo stabilimento di Ranjangaon, nel distretto industriale di Pune, uscirà la Linea, la berlina media che è il primo prodotto comune della joint venture italo-indiana siglata un anno fa.
Il mercato indiano dell’auto è cresciuto negli ultimi cinque anni a un ritmo del 15-27% secondo quanto ha detto Ravi Kant, presidente Siam e direttore di Tata Motors, ma dovrà in futuro affrontare “numerose sfide che non hanno precedenti”. La produzione manifatturiera indiana ha già mostrato pesanti segni di un rallentamento sull’onda di una contrazione della domanda di generi di consumo causata da un’inflazione record del 12%, del costo del denaro e del caro benzina. Il rincaro delle materie prime, dall’acciaio alla gomma, “ha significative ripercussioni sui vari segmenti dell’industria dell’auto” ha aggiunto Kant che ha anche fatto appello al governo perche “prenda misure correttive”.
Dal convegno sono emersi anche quali saranno i trend futuri del settore che sarà sempre più concentrato sulle “small car”. Con i vincoli del caropetrolio e le esigenze di mobilità “non ci sono altre opzioni” che produrre auto più piccole, ha sostenuto Marchionne. Anche negli Stati Uniti i consumatori preferiscono ormai le “compatte”. Ma ovviamente non c’è un modello universale di “mini car” valido per ogni Paese. La Tata Nano, l’auto da 2500 dollari che dovrebbe essere lanciata sul mercato a ottobre (se si sbloccherà la crisi dello stabilimento di Singur, in Bengala Occidentale) è destinata a essere la “prima” auto delle famiglie indiane che ora vanno in scooter. La Fiat 500, introdotta da poco anche in India, è invece un’auto ad alto contenuto tecnologico per un consumatore maturo “che magari ha una Ferrari in garage” come ha scherzato Ratan Tata seduto di fianco a Marchionne nella tavola rotonda.
L’altro tema dominante per le industrie dell’auto è la riduzione di emissioni inquinanti attraverso l’uso di etanolo, energia elettrica o tecnologie ibride. Il numero uno del Lingotto ha ricordato l’obiettivo dichiarato da Fiat di arrivare nel 2012 a un motore che abbia il più basso livello di emissioni di CO2. Il rispetto dell’ambiente “è ormai una questione di responsabilità sociale verso la collettività” ha affermato Marchionne guadagnandosi l’applauso della platea.

mercoledì 3 settembre 2008

Fiat/Marchionne: “India grande opportunità di sviluppo”

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“L’India rappresenta oggi la più grande opportunità di sviluppo e anche una base importante per l’esportazione”. A Nuova Delhi l’amministratore delegato Sergio Marchionne ritrova l’ottimismo dopo le delusioni del mercato italiano. L’accordo di joint venture con Tata Motors siglato un anno fa ha permesso alla casa automobilistica torinese di ritornare a tutto campo sul mercato indiano dopo un lungo periodo di crisi. Il primo risultato concreto dell’alleanza sarà la Fiat Linea, la berlina media, già prodotta in Brasile e Turchia, e che è anche il primo prodotto a uscire dallo stabilimento comune di Ranjangaon, nei pressi di Pune, nello stato del Maharastra, realizzato grazie a un investimento di 650 milioni di euro. La capacità della nuova fabbrica, “completata all’85%”, è di oltre 300 mila veicoli all’anno. “E’ il primo passo di una relazione a lungo termine con Tata” ha spiegato Marchionne che stasera ha partecipato ad una presentazione “informale” della nuova vettura all’ambasciata italiana di Nuova Delhi. Il lancio ufficiale è previsto per dicembre, mentre per la Grande Punto, che uscirà sempre dalle catene di montaggio a Ranjangaon, bisognerà attendere il primo trimestre del prossimo anno.
Il numero uno di Fiat, nel suo tradizionale maglioncino blù nonostante la grande calura, ha anche parlato di una futura espansione dell’alleanza indiana ai veicoli commerciali. “Stiamo discutendo come poter organizzare la nostra collaborazione per la produzione di camion” ha aggiunto. Iveco era già presente in India con un’intesa con Ashok Leyland che è terminata a luglio. Domani Marchionne parteciperà insieme a Ratan Tata ad una tavola rotonda organizzata dalla Siam (Society of Indian Automobile Manufacturers), la società dei costruttori automobilistici indiani, nell’ambito del suo convegno annuale.

Mamata Banerjee, la tigre del Bengala contro la Tata Nano

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I suoi seguaci la chiamano con l’affettuoso nomignolo di “Didi”, sorella maggiore, ma per tutti gli altri è conosciuta come la “tigre del Bengala” o la “pasionaria dei contadini”. Dopo scioperi della fame, blocchi stradali e picchetti fuori dai cancelli, Mamata Banerjee è riuscita a piegare il colosso di Tata, il simbolo per eccellenza dell’industria indiana. Questa battagliera leader bengalese di 53 anni, dalle candide vesti e i capelli alla maschietta, ha vinto la sua battaglia contro le terre agricole espropriate per far posto alla fabbrica di Singur, dove tra due mesi dovevano uscire le prime Tata Nano, la ‘topolino’ destinata a realizzare i sogni di milioni di indiani e anche quelli del patron Ratan Tata, l’unico al mondo che sia riuscito a fabbricare una auto da 2500 dollari. Non è ancora detta l’ultima parola. In queste ore il longevo governo comunista marxista del Bengala Occidentale sta cercando di convincere i vertici di Tata Motors a non trasferire la fabbrica che era completata all’85%. La stessa Banerjee sembra sia stata colta di sorpresa dalla decisione, per altro annunciata del gruppo automobilistico, e sarebbe preoccupata per un’eventuale boomerang della sua protesta ad oltranza. “Non vogliamo far soffrire i lavoratori, non siamo contro l’industrializzazione dell’area, ma vogliamo solo che 400 acri di terra ritornino ai contadini” ha detto in un comizio lunedì sera.

La battaglia contro Singur, a circa 40 km a nord di Calcutta, era iniziata nel dicembre del 2006 quando il governo bengalese aveva iniziato a confiscare le terre fertili dietro un risarcimento che è stato considerato insufficiente dai proprietari.

La Banerjee, che si ispira ai principi gandhiani, aveva iniziato uno sciopero della fame durato 25 giorni e terminato solo dopo l’intervento dell’allora presidente indiano Abdul Kalam. Il suo partito, nato da una scissione dal Congresso, è il Trinamool (radici) di cui è l’unica esponente in parlamento. Alla guida di un variopinto fronte pro contadino, tra cui ci sarebbero anche i gruppi maoisti indiani, ha il suo nemico numero uno sono i comunisti marxisti di Buddhadeb Battarchejee, il Buddha rosso, fautore di un modello di industrializzazione ‘alla cinese’ favorito dall’afflusso di investimenti stranieri. Le ire della pasionaria Mamata si erano scagliate anche contro il progetto del gruppo indonesiano Salim per un polo chimico a Nandigram. Dopo sanguinose proteste, il progetto di “zona economica speciale” fu ritirato.
Adesso anche Singur potrebbe ritornare nelle mani dei contadini che per usare lo slogan preferito della Banerjee, hanno preferito l’”atta” (la farina) alla Tata. Per molti è la vittoria delle masse contadine contro lo strapotere delle multinazionali, ma per altri invece è la sconfitta di un’India che intende proiettarsi come futura potenza economica emergente.

martedì 2 settembre 2008

Inondazioni Bihar , rischio di epidemie

In onda su Radio Svizzera Italiana
Anche se molto lentamente il livello dell’acqua si sta abbassando nei distretti alluvionati del Bihar, vicino al confine con il Nepal dove due settimane fa il fiume Kosi in piena per le piogge monsoniche è uscito dagli argini allagando una vasta e povera zone popolata da 3 milioni di abitanti. Ma la catastrofe rischia ora di aggravarsi a causa delle disperate condizioni di vita degli sfollati, circa mezzo milione, che sono ancora in attesa di aiuti o che sono ammassati nei campi di prima assistenza allestiti dalle autorità locali. Le precarie condizioni igieniche, soprattutto la mancanza di acqua potabile per bere e cucinare, hanno già causato l’insorgere di infezioni. Si temono epidemie a causa dell’acqua stagnante e dei pozzi contaminati. Ma a preoccupare di più è la lentezza e la disorganizzazione nella distribuzione dei soccorsi e soprattutto la mancanza di medici nei campi dove ogni giorno continuano ad arrivare nuovi sfollati in condizioni disperate. Intanto continuano anche le polemiche e gli scaricabarile sulle responsabilità del disastro che è iniziato lo scorso 18 agosto quando il fiume Saptakoshi, come viene chiamato in nepalese, ha rotto degli sbarramenti costruiti negli anni 50 in base ad un accordo bilaterale tra il Nepal e lo stato indiano del Bihar al quale spetta il controllo e la manutenzione degli argini insabbiati prima dell’inizio dei monsoni. Ma quest’anno nessuno è intervenuto a causa, secondo la spiegazione delle autorità indiane, del diniego di permessi da parte degli ex ribelli maoisti che sono ora al potere a Kathmandu.

lunedì 1 settembre 2008

Orissa, appello vescovi mentre continuano le violenze contro i cristiani

Su Radio Vaticana Mentre la situazione nello stato dell’Orissa rimane tesa a causa di nuovi incidenti, i vescovi italiani sono intervenuti per condannare l’ondata di violenza contro la minoranza cristiana. In una nota diffusa ieri la presidenza della Cei, la Conferenza Episcopale italiana, si associa all'accorato appello formulato dal Santo Padre Benedetto XVI, condannando con fermezza ogni attacco alla vita umana ed esortando alla ricerca della concordia e della pace. I vescovi hanno inoltre deciso di indire per venerdì una giornata di preghiera e di digiuno.
Secondi un portavoce della CBCI, la Conferenza dei Vescovi cattolici in India, sarebbero 40 mila le persone rimaste senza tetto a causa di quello che è stato definito i regno del terrore in Orissa. Dopo gli ultimi scontri, il bilancio delle vittime è salito a 16, mentre secondo statistiche citate dalla CBCI sono state distrutte 4300 case, 50 chiese e cinque conventi nel distretto di Kandhamal, che e quello più colpito dall’esplosione di violenza seguito all’uccisione di un leader religioso indu lo scorso 23 agosto e di alcuni seguaci. La comunità cristiana era stata incolpata dell’omicidio nonostante le rivendicazione di gruppi maoisti attivi nello stato tribale dell’Orissa.

Vogue India, il lusso dei ricchi pubblicizzato dai poveri

In onda su Radio Svizzera Italiana
Si sa che fin dai tempi dei maharaja l’India è un paese dalle mille contraddizioni dove estrema povertà e estrema ricchezza coesistono in un modo quasi naturale. Questo contrasto, oggi più stridente che mai, è diventato oggetto di una discutibile campagna pubblicitaria dell’edizione indiana di Vogue, lanciata lo scorso ottobre e dedicata alla nuova classe emergente. In uno speciale di 16 pagine intitolato “India in Style”, il famoso mensile patinato ha usato “gente di strada”, esattamente di Jodhpur, per promuovere costosissimi accessori e vestiti di marca. Si vede per esempio un contadino sdentato con un ombrello di Burberrys, una donna su uno scooter con tre passeggeri che espone una borsa ultimo modello di Hermes. Un'altra con dei sandali Miu Miu seduta davanti alla capanna fatta con letame essicato. “Solo con il costo di questi sandali potrebbe pagare un anno di scuola per suo figlio” scrive in un editoriale il Mail Today, uno dei pochi quotidiani indiani a criticare il servizio fotografico di Vogue India che è stato accusato di cattivo gusto anche in un articolo apparso sul New York Times. Secondo una recente statistica di Banca Mondiale, il 76 per cento della popolazione indiana vive con due dollari al giorno, ma l’India è considerata uno dei mercati più appetibili per l’industria del lusso. Certo prima di vendere la moda bisogna fabbricare i sogni. Ma di sicuro ci vorrà molto tempo prima di vedere la contadina del Rajasthan entrare in una boutique di Armani.

Bihar, emergenza per 500 mila alluvionati

In onda su Radio Vaticana
A due settimane dallo straripamento di un fiume in Nepal, centinaia di migliaia di alluvionati sono in urgente bisogno di cibo e acqua pulita in Bihar, nel nord dell’India. L’intera parte settentrionale dello stato, lungo il confine nepalese, sarebbe completamente sommersa. Le inondazioni, causate dal fiume Kosi un affluente del Gange, hanno costretto alla fuga un milione e 200 mila persone. Le autorità stimano che 500 mila sopravissuti siano ancora intrappolati sui tetti delle loro case o aggrappati agli alberi in attesa dei soccorsi che vanno estremamente a rilento. Oltre 70 persone sono annegate o morte nel crollo delle case. Ma non è ancora chiaro il numero degli scomparsi.
In Bihar, uno dei stati più poveri dell’india, ma anche quello dall’amministrazione più corrotta, non è in grado di affrontare calamita naturali di questa entità. Mancano per esempio le imbarcazione adeguate per raggiungere i villaggi isolati e anche il personale per distribuire gli aiuti. Grazie all’interveneto dell’esercito sarebbero state evacuate finora 400 mila persone che hanno trovato rifugio in campi allestiti dalle autorità. Ma l’affollamento nelle tendopoli di fortuna e le precarie condizioni igieniche potrebbero far nascere il rischio di infezioni e epidemie.