mercoledì 3 settembre 2008

Mamata Banerjee, la tigre del Bengala contro la Tata Nano

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I suoi seguaci la chiamano con l’affettuoso nomignolo di “Didi”, sorella maggiore, ma per tutti gli altri è conosciuta come la “tigre del Bengala” o la “pasionaria dei contadini”. Dopo scioperi della fame, blocchi stradali e picchetti fuori dai cancelli, Mamata Banerjee è riuscita a piegare il colosso di Tata, il simbolo per eccellenza dell’industria indiana. Questa battagliera leader bengalese di 53 anni, dalle candide vesti e i capelli alla maschietta, ha vinto la sua battaglia contro le terre agricole espropriate per far posto alla fabbrica di Singur, dove tra due mesi dovevano uscire le prime Tata Nano, la ‘topolino’ destinata a realizzare i sogni di milioni di indiani e anche quelli del patron Ratan Tata, l’unico al mondo che sia riuscito a fabbricare una auto da 2500 dollari. Non è ancora detta l’ultima parola. In queste ore il longevo governo comunista marxista del Bengala Occidentale sta cercando di convincere i vertici di Tata Motors a non trasferire la fabbrica che era completata all’85%. La stessa Banerjee sembra sia stata colta di sorpresa dalla decisione, per altro annunciata del gruppo automobilistico, e sarebbe preoccupata per un’eventuale boomerang della sua protesta ad oltranza. “Non vogliamo far soffrire i lavoratori, non siamo contro l’industrializzazione dell’area, ma vogliamo solo che 400 acri di terra ritornino ai contadini” ha detto in un comizio lunedì sera.

La battaglia contro Singur, a circa 40 km a nord di Calcutta, era iniziata nel dicembre del 2006 quando il governo bengalese aveva iniziato a confiscare le terre fertili dietro un risarcimento che è stato considerato insufficiente dai proprietari.

La Banerjee, che si ispira ai principi gandhiani, aveva iniziato uno sciopero della fame durato 25 giorni e terminato solo dopo l’intervento dell’allora presidente indiano Abdul Kalam. Il suo partito, nato da una scissione dal Congresso, è il Trinamool (radici) di cui è l’unica esponente in parlamento. Alla guida di un variopinto fronte pro contadino, tra cui ci sarebbero anche i gruppi maoisti indiani, ha il suo nemico numero uno sono i comunisti marxisti di Buddhadeb Battarchejee, il Buddha rosso, fautore di un modello di industrializzazione ‘alla cinese’ favorito dall’afflusso di investimenti stranieri. Le ire della pasionaria Mamata si erano scagliate anche contro il progetto del gruppo indonesiano Salim per un polo chimico a Nandigram. Dopo sanguinose proteste, il progetto di “zona economica speciale” fu ritirato.
Adesso anche Singur potrebbe ritornare nelle mani dei contadini che per usare lo slogan preferito della Banerjee, hanno preferito l’”atta” (la farina) alla Tata. Per molti è la vittoria delle masse contadine contro lo strapotere delle multinazionali, ma per altri invece è la sconfitta di un’India che intende proiettarsi come futura potenza economica emergente.

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