domenica 30 agosto 2009

India, pmi italiane in difficoltà a causa della crisi

La recessione mondiale ha colpito in particolare le piccole medie imprese italiane che non hanno più la forza di investire nei mercati emergenti come l’India, dove la ripresa dei consumi è già partita e il mercato è ancora da conquistare. “Questo è un paese che ha bisogno di 100 milioni di paia di scarpe all’anno, miliardi di cioccolatini, di costruire case e infrastrutture” – dice Roney Simon, rappresentante in Italia della Ficci (Federation of India Chambers of Commerce and Industry) - Ci sono immense opportunità per le pmi italiane che possono vendere e guadagnare immediatamente dal loro know how, ma non hanno più la forza di gettare un ponte dall’Italia all’India”.
La recessione globale ha tarpato le ali alla piccola impresa che è sempre stata il motore del successo del Made in Italy. Mentre i grandi gruppi come Piaggio o Ferrero hanno la forza sufficiente e il sostegno del sistema creditizio di navigare nella bufera, i piccoli non ce la fanno e sono costretti ad abbandonare i progetti di internazionalizzazione. Jacob Rose è uno dei pionieri della consulenza aziendale per ditte italiane: “Purtroppo molte pmi dopo la crisi di ottobre hanno bloccato gli investimenti. Hanno subito un crollo di vendite in Italia, non hanno più liquidità e stanno concentrando i loro sforzi per sopravvivere sul mercato italiano. Non hanno avuto nessun sostegno statale come è avvenuto negli Stati Uniti”. Rose, che è a capo della società Italtec Consulting con sede a Noida, vicino a Nuova Delhi, cita due esempi: una ditta specializzata in paste abrasivi che voleva avviare la produzione in India, ma che ha bloccato i progetti e ha deciso per ora di importare i propri prodotti da Italia e Cina. E un secondo caso di un’azienda di sedie e poltrone che ha anch’essa rinunciato a insediarsi sul mercato indiano. “Le aziende italiane sono deluse dalla Cina, soprattutto per la protezione dei brevetti, e vorrebbero trasferirsi in India” dice Rose che “non vede nubi nere all’orizzonte della crescita indiana” soprattutto per le garanzie di continuità offerte dal governo bis di Manmohan Singh riconfermato a maggio.
Dello stesso avviso è Simon, secondo il quale “c’è una finestra da qui al 2012 per entrare sul mercato indiano e occupare gli spazi aperti. Le imprese italiane non devono perdere questo treno”.
C’è chi però ha dei dubbi sulla capacità di ripresa della locomotiva indiana: “da circa 3 mesi gli ordini sono ripresi, ma non sono tornati ai livelli precedenti – dice Gabriele Checchini, ceo di Itema India, colosso delle macchine tessili, che da due anni ha aperto un impianto a Coimbatore, nello stato meridionale del Tamil Nadu. Le previsioni per quest’anno dovranno essere riviste al ribasso per il 30 o 40%, ma l’India e anche la Cina sono “gli unici mercati possibili dove vendere”. “Siccome i nostri telai costano in media 150 mila euro – conclude - le aziende tessili indiane hanno bisogno dei prestiti delle banche e quindi è necessario che il governo lanci una nuova politica di finanziamento alle imprese”.

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