A soli due giorni dal via libera definitivo del Senato americano all’accordo di cooperazione sul nucleare civile con l’India, Condoleezza Rice arriva a Nuova Delhi per suggellare un’intesa che segna l’inizio di un nuovo asse tra India e Stati Uniti. A meno di sorprese dell’ultimo minuto (ci sarebbero ancora dei dettagli da risolvere) domani il segretario di stato americano e il ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee firmeranno il cosiddetto “123 agreement”, un accordo bilaterale che ha avuto una travagliata gestazione di tre anni e che più volte è stato sul punto di fallire a causa dell’opposizione dei partiti comunisti alleati del partito del Congresso e anche di parte della comunità scientifica indiana “gelosa” del programma nucleare che l’India è riuscita a sviluppare nonostante le sanzioni imposte dopo i test atomici del 1974 e del 1998. Per superare lo scetticismo della comunità internazionale e vincere la diffidenza della lobby della non proliferazione americana, c’è voluta tutta la determinazione del presidente Bush e del primo ministro Manmohan Singh. E’ stata anche una corsa contro il tempo perché entrambi i leader sono alla scadenza del mandato elettorale. Per Bush si tratta di uno dei pochi successi di politica internazionale, mentre per Singh, ma soprattutto per il partito del Congresso di Sonia Gandhi, è un passo fondamentale verso il riconoscimento dell’India sulla scena mondiale, anche se sono in molti a chiedersi cosa cambierà per quei 600 milioni di indiani che vivono con 2 dollari al giorno. L’energia nucleare soddisfa attualmente il 3 per cento del fabbisogno energetico nazionale che dipende per quasi il 70 per cento dall’importazione di idrocarburi. Le centrali nucleari indiane sono in totale 17 ma funzionano solo alla metà della loro capacità per la mancanza di combustibile fissile. Altri cinque reattori sono ora in costruzione e altre otto sono in progetto secondo il Nuclear Power Corp of India (NPCIL) che ha il monopolio dell’energia atomica. I privati sono per ora esclusi, ma è probabile che in futuro anche il settore del nucleare civile sarà progressivamente privatizzato. L’obiettivo del governo è di raggiungere nel 2015 una capacità di 40 mila MW, ovvero dieci volte quella attuale e di oltre 60 mila MW nel 2030.
Gli interessi in gioco sono enormi. Secondo la CII, la Confindustria Indiana, l’entrata dell’India nel cartello nucleare dopo il via libera del Nuclear Supplier Group lo scorso 6 settembre, potrà generare un giro d’affari di 30 miliardi di dollari nei prossimi 15 anni, con ricadute enormi sull’interscambio e sulla creazione di posti di lavoro.
In pole position ci sono le aziende statunitensi, ma anche quelle francesi e russe. Il premier Singh di ritorno dalla sua visita negli Stati Uniti si è fermato a Parigi e martedì ha firmato un accordo di cooperazione con il presidente Nicolas Sarkozy.
Secondo il settimanale Outlook, il NPCIL intende avviare trattative commerciali con la francese Areva SA, la russa Rosatum e i colossi americani General Electric e Westinghouse Electric (della Toshiba) per un totale di 14 miliardi di dollari per forniture di tecnologia alle nuove centrali in costruzione. Ma si apriranno anche nuove opportunità per circa 40 aziende dell’hi-tech indiano che, dopo 34 anni di isolamento di tecnologia nucleare e “duel use”, potranno finalmente entrare nel business mondiale dell’energia atomica.
C’è però ancora un ultimo ostacolo che limita le esportazioni americane. In India non esiste una legge sulla responsabilità civile in caso di incidenti nucleari. Secondo alcuni esperti fino a quando il governo di Nuova Delhi non ratificherà una convenzione dell’Agenzia Internazionale Atomica del 1997 sui risarcimenti per danni causati dal nucleare, le aziende americane non potranno vendere la loro tecnologia.
venerdì 3 ottobre 2008
Usa-India, un'intesa nucleare da miliardi di dollari
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