In questi giorni in Kashmir è caduta la prima neve della stagione, ma non sarà solo il maltempo a rendere deserte le urne che domani si aprono per la prima di sette giornate elettorali per il rinnovo del parlamento regionale. Come avviene fin dal 1990 i separatisti kashmiri hanno fatto appello al boicottaggio di questo voto che è considerato cruciale per il governo di Nuova Delhi dopo le violente proteste pro indipendentiste di agosto e settembre.
Dopo alcuni anni di relativa calma, nella “Valle”, come l’India chiama la regione a maggioranza mussulmana del Kashmir (per distinguerla da quella buddista del Ladakh e da quella indù di Jammu) è riemerso dalle ceneri un movimento di ribellione contro il governo indiano che da oltre mezzo secolo controlla due terzi della regione himalayana contesa con il Pakistan.
A provocare la scintilla era stato il tentativo di assegnare dei terreni per costruire strutture alberghiere per i pellegrini indù diretti ogni anno alla grotta sacra al dio Shiva di Amarnath, vicino a Srinagar. Nei disordini e scontri con la polizia erano state uccise oltre 40 persone.
Il governo di Nuova Delhi, già sotto pressione per l’ondata di attentati terroristici di matrice mussulmana (ma anche della destra induista come sta emergendo in questi giorni), si è ritrovato con una delle più gravi insurrezioni dal 1989, da quando è iniziata la guerriglia separatista. Lo stato del Jammu e Kashmir, che da agosto è stato commissariato dopo i disordini, è diventato di nuovo un punto centrale nell’agenda politica del Congresso, il partito di Sonia Gandhi che guida la coalizione di governo e che dovrà affrontare nuove elezioni generali nella primavera del 2009. Il test elettorale kashmiro, che si concluderà il prossimo 24 dicembre (nello stesso periodo al voto vanno anche altri cinque stati dell’India settentrionale) è quindi visto come una sorta di verifica della legittimità e della capacità di controllo di Nuova Delhi sulla regione contesa che è una delle più militarizzate al mondo. Anche per queste elezioni sono state schierate migliaia di truppe davanti ai seggi. Nell’ultima tornata del 2002 il processo di voto era stato caratterizzato da violenze e attentati. Questa volta la situazione si profila più tranquilla dopo che un gruppo estremista filo pachistano ha fatto appello a non usare la violenza, ma a organizzare proteste pacifiche contro il voto.
L’organizzazione separatista moderata nota come Hurriyat Conference, rivitalizzata dalle proteste estive e che domani boicotterà le urne, ha denunciato la campagna di arresti dei suoi rappresentanti. In questi ultimi giorni circa 30 leader separatisti sono stati messi agli arresti domiciliari, tra cui il Mirwaiz Umar Farook, presidente dell’Hurriyat e carismatica figura religiosa. Aveva annunciato per ieri una marcia di protesta verso Bandipore, uno dei distretti che va al voto domani. A parte numerosi candidati indipendenti, i principali partiti pro indiani in lizza sono due, il People Democratic Party, vincitore nel 2002 e il National Conference guidato da Omar Abdullah, ultimo rampollo di una dinastia di leader kashmiri e abbastanza critico verso le elezioni “che potranno permettere una gestione amministrativa della regione, ma non risolvere la disputa sul Kashmir”.
L’unica soluzione passerebbe attraverso il negoziato con il Pakistan che dopo otto anni ha chiuso l’era del regime di Pervez Musharraf e che ha ora un governo democraticamente eletto guidato da Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, assassinata un anno fa. Il nuovo leader di Islamabad sembra essere abbastanza disponibile ad aperture sul fronte del Kashmir, ma per ora la priorità sembra la lotta ai gruppi estremisti di Al Qaeda al confine afghano e, va ricordato, anche la gravissima crisi economica. Va anche sottolineato che per alcuni anni, durante il governo Musharraf, c’è stato un canale diplomatico segreto parallelo al processo di pace indo-pachistano avviato nel 2003 che però non avrebbe portato a nessun frutto.
Con il cambio della guardia alla Casa Bianca la questione kashmira potrebbe ritornare al centro dell’agenda internazionale. Il presidente eletto Barach Obama aveva considerato a un certo punto l’ipotesi di nominare Bill Clinton come “inviato speciale”. Si tratterebbe di una svolta rispetto alla politica seguita da Bush di non interferenza nella contesa che per Nuova Delhi è strettamente “bilaterale”. A differenza di Islamabad, disponibile ad accettare l’intervento dell’Onu nel rispetto quindi delle vecchie risoluzioni che prevedevano un plebiscito, l’India non intende accettare “terze parti” nei negoziati. Una posizione rigida che di sicuro il premier indiano Manmohan Singh avrà ribadito nel suo recente colloquio telefonico con Obama.
domenica 16 novembre 2008
Kashmir, domani via alla prima fase del voto
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