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Dalla prossima settimana l’India va al voto per rinnovare la Camera bassa del Parlamento giunta a scadenza dopo 5 anni che hanno visto al potere una coalizione di centro-sinistra guidata dal Congresso, il partito di Sonia Gandhi. Data l’impossibilità di far votare in un solo giorno 714 milioni di elettori (oltre 40 milioni in più rispetto al 2004), le elezioni sono state diluite in cinque settimane e cinque fasi dal 16 aprile al 13 maggio. Lo scrutinio sarà invece il 16 maggio. Per la seconda volta il voto sarà interamente elettronico. Nella precedente maratona elettorale la partecipazione era stata del 57%, una percentuale che questa volta potrebbe aumentare secondo alcuni analisti grazie all’incidenza dell’elettorato giovane (un quarto dell’elettorato è sotto i 35 anni) e anche della mobilitazione popolare nata dopo l’attacco terroristico di Mumbai del 26 novembre.
La “più grande democrazia del mondo”, come è spesso definita l’India, sarà quindi di nuovo in marcia nei prossimi due mesi. La campagna elettorale, almeno finora, non ha riservato grosse sorprese. Se si esclude davanti alle sedi di partito, nella capitale Nuova Delhi è difficile avvertire il clima pre-elettorale. Anche giornali e televisioni sono abbastanza cauti nello sfornare sondaggi dopo la “debacle” nel 2004 quando nessuno riuscì a prevedere la sconfitta del Bjp e del governo di centro destra pro riforme di Atal Behari Vajpayee. L’ultima proiezione pubblicata ieri dal “Times of India” pone in testa (con 154 seggi su un totale di 543) il partito di Sonia Gandhi che, in caso di vittoria ricandida come primo ministro l’economista dal turbante azzurro Manmohan Singh. L’opposizione indu-nazionalista del Bharatiya Janata Party (Partito del Popolo Indiano), guidato dall’ultraottantenne Lal Krishna Advani, è invece in calo (135 seggi) rispetto a un mese fa. Ma nessuno dei due partiti nazionali è comunque in grado di governare da solo. La battaglia sarà quindi dopo il 16 maggio quando inizierà il balletto delle alleanze.
L’era del bipolarismo Bjp-Congresso sembra definitivamente tramontata con l’emergere di forti poteri regionali guidati da ambiziosi e potenti leader come Mayawati, la leader dei dalit, gli ex intoccabili, che governa lo stato settentrionale dell’Uttar Pradesh che con i suoi 160 milioni di abitanti e 80 seggi alla camera, influenza la politica nazionale. Mayawati è a capo di un cosiddetto “terzo fronte” che unisce un variegato gruppo di partitini regionali, ma che non hanno neppure un programma politico comune. Altri leader dell’Uttar Pradesh e del confinante Bihar, hanno invece formato un “quarto fronte” dopo essersi staccati dalla coalizione con il Congresso. Un altro tassello del complesso mosaico politico indiano sono poi i partiti comunisti che hanno appoggiato il governo di Manmohan Singh dall’esterno fino all’anno scorso quando hanno rotto l’accordo perché contrari al patto indo-americano sul nucleare pacifico. I comunisti, concentrati negli stati del Bengala Occidentale, lo stato di Calcutta, e nel meridionale Kerala, sono la terza forza in Parlamento e hanno il 7% dei consensi (27% il Congresso e 22% il Bjp). Secondo i sondaggi potrebbero però subire uno scivolone per via delle polemiche nate in seguito alla chiusura della fabbrica della Tata Nano a Singur, vicino a Calcutta, dove il governo locale guidato dai comunisti non è riuscito a trovare un compromesso con il movimento contadino sulla confisca delle terre agricole.
domenica 12 aprile 2009
ELEZIONI 2009, Il Congresso in testa nei sondaggi
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