Pubblicato su Apcom
Dopo quattro anni di corsa ininterrotta la locomotiva indiana mostra segni di rallentamento. La crescita prevista per quest’anno si fermerà all’8,5%, quasi un punto percentuale in meno rispetto al 2006. L’andamento economico del secondo quadrimestre aveva già evidenziato segni di cedimento soprattutto sul fronte dell’industria manifatturiera.
Secondo uno studio pubblicato dal centro di ricerche Oxford Analytica, a frenare l’espansione sarebbero la stretta monetaria attuata dalla Banca Centrale per tenere a bada l’inflazione e la rupia forte, ma anche le elezioni politiche previste nel 2009. Il partito del Congresso di Sonia Gandhi, salito al potere nel 2004 con un’agenda populista, difficilmente sarà propenso in questi anni di fine legislatura ad introdurre riforme economiche che rischiano di scontentare la sua base elettorale. Come ha riconosciuto lo stesso ministro delle finanze P.Chidambaram, in un recente convegno organizzato dal World Economic Forum, il governo già in questi anni è stato incapace di introdurre le liberalizzazioni nei settori del mercato dei capitali, delle banche e delle assicurazioni. La coalizione di centro-sinistra guidata dal premier Manmohan Singh, economista oxfordiano, avrebbe ottenuto risultati deludenti anche sul fronte della modernizzazione agricola, istruzione e sanità, che sono i pilastri del programma politico del Congresso.
In base al rapporto, che fissa a 8,4-8,6% l’incremento del pil per l’anno fiscale che termina a marzo 2008 (contro il 9,4% del 2006-2007), l’aumento del costo del denaro sarebbe stato uno dei principali fattori di “raffreddamento” del tasso di espansione. Dopo la fiammata dell’inflazione che, all’inizio dell’anno, aveva toccato il 6% (prezzi all’ingrosso) la Reserve Bank of India (Rbi) era intervenuta in un paio di occasioni aumentando i tassi. Ora il pericolo sembra essere stato scongiurato e l’aumento dei prezzi è contenuto al 3-4%. La stretta creditizia ha avuto però immediate ripercussioni sulla produzione manifatturiera che è scesa all’8,6% nel secondo quadrimestre (dal 12,7% dello stesso periodo dello scorso anno). Per l’anno fiscale in corso si prevede una crescita industriale dimezzata al 6% (dal 12% del 2006-2007). Un altro fattore “frenante”, soprattutto per le esportazioni, è l’apprezzamento della rupia sul dollaro (oltre il 15% dall’inizio dell’anno). A causa del caro petrolio (l’India importa il 70% del suo fabbisogno energetico) e del rincaro delle materia prime, la bilancia commerciale indiana rischia di aumentare il suo deficit al 6-7% del prodotto nazionale lordo.
Ci sono però anche degli aspetti positivi elencati dagli esperti di Oxford Analytica. Il primo è che le abbondanti piogge monsoniche di questa estate potrebbero portare ad un’annata di buoni raccolti per l’agricoltura che occupa oltre il 60% della popolazione indiana e che è finora rimasta la “cenerentola” del boom indiano trainato dal settore dell’high-tech. Il comparto dell’outsourcing potrebbe poi “beneficiare” della recessione in corso negli Stati Uniti che costringerebbe molte industrie americane a delocalizzare oltreoceano per ridurre i costi operativi. D’altra parte però le “Silicon valleys” indiane cominciano a soffrire della concorrenza di altri Paesi emergenti, come quelli dell’Europa centrale, e hanno gravi problemi infrastrutturali e di carenza di mano d’opera qualificata. A sottolineare queste deficienze è l’Economist in un articolo dove si interroga sulla sostenibilità del boom tecnologico di Bangalore e degli altri poli informatici. C’è poi un altro punto a favore, ovvero il crescente flusso di investimenti diretti dall’estero (Fdi) che dovrebbe raggiungere il livello record di 8 miliardi di dollari e il livello delle rimesse degli emigrati (tra 25 e 28 miliardi di dollari) che potrebbero compensare il rallentamento dell’export.
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