Pubblicato su Apcom
Sono passati esattamente 23 anni dal più grave disastro industriale della storia moderna, ma la gente di Bhopal continua a morire per i veleni usciti dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide nella notte tra il 2 e 3 dicembre. Per ricordare le vittime della tragedia ambientale e denunciare la mancata decontaminazione del sito della multinazionale americana, ieri è stata organizzata una fiaccolata nella città dell’India centrale. Circa 25 mila abitanti delle bidonville vicine all’impianto bevono ancora l’acqua dei pozzi inquinati. Secondo i volontari del Bhopal Group for Information and Action, una delle miriadi di associazioni che si occupano della riabilitazione delle vittime, c’è un’intera generazione nata dopo il 1984 che porta i segni della catastrofe sotto forma di malattie genetiche, malformazioni e vari disturbi psico-psichici. Secondo alcune fonti, almeno 100 mila persone soffrirebbero in diversa misura degli effetti devastanti causati dalla fuga di sostanze tossiche, di cui 20 mila hanno bisogno di cure permanenti.
L’Union Carbide, che ora appartiene al gruppo Dow Chemicals (che di recente è ritornato in India dove ha aperto un centro di ricerca) aveva accettato la responsabilità dell’incidente e aveva creato un fondo di 100 milioni di dollari destinato a costruire un ospedale per le vittime. Dopo una lunga battaglia legale, la questione degli indennizzi venne liquidata nel 1989 quando il governo locale accettò un rimborso totale di 470 milioni (che significò 500 dollari per malato e 2000 dollari per vittima). Ma nessuno pensò agli effetti di lungo periodo dei veleni finiti nel sottosuolo. I sopravissuti ora chiedono al governo di Nuova Delhi che istituisca una commissione nazionale d’inchiesta per lanciare un piano d’azione trentennale per le cure mediche e la decontaminazione dell’area.
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