lunedì 3 dicembre 2007

India, economia a rischio di frenata secondo un rapporto del Forum di Davos

Pubblicato su Apcom


L’India potrebbe non mantenere il ritmo di crescita dell’8% nei prossimi anni a causa di alcuni ostacoli di natura politica, sociale ed economica che potrebbero frenare la sua espansione. A gettare un’ombra sul roseo futuro della potenza emergente asiatica è l’India Economic Forum che si è aperto ieri a Nuova Delhi e che ogni anno serve a “misurare il polso” dell’economia indiana. In un rapporto intitolato “India@Risk” e presentato ieri, gli economisti di Davos hanno messo in luce sei fattori che rischiano di rallentare o arrestare la corsa dell’elefante indiano. I primi tre, che possono essere controllati dall’azione del governo, sono l’impatto della crescita demografica, la carenza di acqua pulita e il conseguente dilagare di epidemie infettive. Il secondo trio di minacce è invece esogeno: il caro petrolio, gli effetti della globalizzazione e i disastri naturali derivanti dal cambiamento del clima.
Per una nazione di un miliardo e oltre 100 milioni di abitanti, metà dei quali sotto i 25 anni, il “dividendo” demografico può diventare un’opportunità in un mondo che invecchia solo se si garantisce una adeguata istruzione e formazione professionale ai giovani di oggi. Tra dieci anni la forza lavoro indiana sarà di 800 milioni di persone e se si vuole dare a tutti un’occupazione “sarà necessario un enorme sforzo di investimento in capitale umano” ha detto Shamser Mehta, direttore generale della CII, la Confindustria Indiana. La scarsità della mano d’opera qualificata è un problema che già oggi affligge e preoccupa le economie emergenti di India e Cina. Anche la globalizzazione, che è stata trainante per la “success story” delle Sylicon Valleys indiane, potrebbe rivelarsi una trappola soprattutto se non garantirà benefici per tutte le classi sociali. Le disuguaglianze sociali sono in aumento e - in una società interdipendente dove il flusso di informazioni è molto rapido - potrebbero essere fonti di tensione nel delicato equilibrio di caste, minoranze etniche e religiose che compone il tessuto sociale del subcontinente. La rivolta dei contadini contro le Zone Economiche Speciali e dei piccoli commercianti contro i centri commerciali, poi il caso degli espropri agrari di Nandigram e l’escalation della violenza dei gruppi maoisti nel Nord-Est sono alcuni segnali di allarme.
Il rapporto, compilato da un team di 40 esperti, mette in luce anche i pericoli derivanti dal rincaro della bolletta petrolifera (l’India importa il 70% del suo fabbisogno energetico), della sopravalutazione della rupia che ha toccato i massimi contro il dollaro e di un eventuale collasso dei prezzi immobiliari nelle metropoli che sono ora a livelli record.
A frenare gli entusiasmi sulla “speranza indiana” è stato lo stesso ministro delle finanze Palaniappan Chidambaram, un fautore delle riforme, della stessa scuola del premier Manmohan Singh. Inaugurando il Forum, ha riconosciuto l’emergere di un nuovo polo economico asiatico “con India e Cina che ora contribuiscono a oltre il 60% del prodotto mondiale”, ma “ciò non significa che il centro del potere economico si sia spostato. I Paesi sviluppati continuano a detenere le risorse della conoscenza, finanziarie e materiali”. Chidambaram ha anche detto che “le riforme del settore finanziario, come le banche, assicurazioni e pensioni sono in ritardo” e ha espresso delusione “per i risultati del governo nel campo della sanità, scuola e irrigazione” nonostante il raddoppio degli stanziamenti pubblici in questi settori. L’agricoltura, in particolare, rimane ancora una “cenerentola” largamente dipendente dalla stagione monsonica. La coalizione di centro sinistra guidata dal partito del Congresso di Sonia Gandhi giungerà alla scadenza del mandato elettorale a fine del prossimo anno. “Abbiamo ancora 16 mesi davanti e forse possiamo progredire” ha detto Chidambaram che rimane però fiducioso sulla possibilità che l’India mantenga un tasso di cresciuta di oltre l8% nel prossimo decennio. Nel terzo trimestre, il Pil indiano ha subito uno scossone assestandosi all’8,5%, in calo rispetto allo stesso periodo del 2006, quando aveva registrato oltre il 10% di aumento. A frenare i consumi di beni durevoli (in particolare le automobili) sarebbero stati i tassi di interesse mantenuti alti dalla Banca Centrale per raffreddare le spinte sui prezzi.
Per la prima volta Chidambaram ha anche ammesso che l’India forse non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’agenda dei “Millennium Goals” delle Nazioni Unite entro la scadenza del 2015. Alcuni di questi obiettivi, come la riduzione della povertà e l’istruzione per tutti i bambini “potrebbero richiedere ancora qualche anno in più rispetto alla data fissata”.

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