lunedì 25 agosto 2008

Kashmir, come è riesplosa la rabbia indipendentista

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Era dal 2002, dall’ultima crisi tra India e Pakistan, che nel Kashmir indiano non si vedeva una sollevazione popolare cosi massiccia contro il governo di Nuova Delhi. Sembrava che il movimento separatista, indebolito da divisioni interne tra falchi e moderati, avesse ormai rinunciato a rivendicare l’indipendenza o a insistere sulla promessa mai mantenuta di indire un plebiscito sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il disgelo tra India e Pakistan avviato alla fine del 2003 con un cessate il fuoco tra i due eserciti schierati sulla cosiddetta Linea di Controllo - il fronte che divide i due Kashmir - aveva portato un periodo di relativa calma nella tormentata regione himalayana favorendo anche una ripresa del turismo. Agli inizi di giugno le caratteristiche “house boat” sul lago Dal di Srinagar registravano il tutto esaurito di vacanzieri indiani.
A innescare l’incendio, che probabilmente covava da tempo sotto la cenere, è stata la decisione dello scorso giugno di cedere un appezzamento di terra agli organizzatori di un famoso pellegrinaggio in una grotta sacra al dio Shiva dove ogni anno a partire da aprile si forma una stalattite di ghiaccio a forma di “linga”, simbolo fallico che rappresenta la divinità. Quest’anno un record di mezzo milione di fedeli induisti hanno intrapreso il lungo e periglioso trekking verso la grotta di Amarnath, che si trova in una profonda gola raggiungibile dopo giorni di cammino da due “campi base”, poco distanti da Srinagar, quindi in una zona popolata da mussulmani. Il pellegrinaggio, obiettivo privilegiato di attentati degli integralisti islamici in passato, è protetto da un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. L’Amarnath Sangarsh Samiti, la fondazione religiosa, da tempo chiede alle autorità locali dello stato indiano di Jammu e Kashmir un largo appezzamento di terra nel pianoro di Baltal, uno dei punti di partenza per la salita alla grotta, per costruire strutture di accoglienza durante i mesi estivi. Finora nell’area era allestita una gigantesca “tendopoli” in grado di ospitare circa 20 mila pellegrini, che da alcuni anni hanno la possibilità anche di un servizio di elicottero per raggiungere il luogo sacro.
La decisione di assegnare la terra all’istituzione religiosa induista aveva scatenato la rabbia dei mussulmani che per una settimana hanno paralizzato Srinagar e le altre città della vallata. Diverse persone sono morte negli scontri tra i dimostranti “armati” di pietre e la polizia, accusata di sparare sulla folla. E’ stato il primo segnale di un’insurrezione che a molti ricordava quella della fine degli Anni Ottanta quando è iniziata la ribellione separatista. Di fronte a una reazione così violenta, le autorità locali hanno fatto marcia indietro e hanno revocato l’assegnazione dei terreni provocando una bufera politica che si è conclusa con le dimissioni del responsabile dello stato del Jammu e Kashmir.
A quel punto è entrato in scena un nuovo protagonista, il nazionalismo indù sponsorizzato dal partito nazionalista del Bjp, all’opposizione nel governo centrale di Delhi, che ha portato in strada a Jammu – il capoluogo invernale del Jammu e Kashmir dove la popolazione è mista - migliaia dimostranti e poi bloccato la strada nazionale verso la mussulmana Srinagar, l’unico cordone ombelicale che unisce la vallata del Kashmir con il resto dell’India. Mentre le mele kashmire marcivano nei camion bloccati dai nazionalisti indù, a Srinagar scarseggiavano le medicine e la carne di agnello. L’assedio commerciale ha sollevato il risentimento non solo dei leader separatisti che dopo tanto tempo si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata, ma anche della gente comune, studenti, commercianti, albergatori e autotrasportatori. La simbolica marcia su Muzaffarabad, il capoluogo del Kashmir pachistano, dell’11 agosto, è stata repressa con la forza prima che i dimostranti raggiungessero il valico di Baramulla. Il bilancio della giornata di disordini è stato di otto morti, tra cui un leader separatista. Nelle ultime due settimane circa 30 mussulmani hanno perso la vita negli scontri con la polizia che anche oggi è intervenuta con la forza per bloccare i dimostranti alle porte di Srinagar dove da ieri è stato imposto il coprifuoco. Anche i giornalisti locali si lamentano si essere stati picchiati dalle forze dell’ordine. La città è presidiata dai militari che per precauzione hanno arrestato nella notte due leader separatisti, il “falco” Said Ali Shah Gelani e Omar Faruk, che è anche autorità religiosa, mentre nella mattina hanno fermato il “gandhiano” Yassin Malik, che stava guidando una dimostrazione verso la piazza di Lal Chowk, simbolo politico di Srinagar.
L’impressione è che la situazione stia sfuggendo di mano al governo di Nuova Delhi, concentrato in questo periodo sull’accordo sul nucleare civile con gli Stati Uniti e sulle elezioni generali del 2009. Con un lungo editoriale su un settimanale, Arundhati Roi, l’intellettuale pacifista diventata famosa per il romanzo “Il Dio delle piccole cose”, ha invocato l’indipendenza, “Azadi”, in lingua kashmira. “Dopo 18 anni di occupazione militare – ha scritto – si sta materializzando il peggiore incubo del governo indiano. Dopo aver creduto di aver schiacciato il movimento separatista, deve ora affrontare una protesta di massa che è non violenta, ma non è di quelle che sa come gestire. Questa è nutrita dai ricordi della gente di anni di repressione in cui decine di migliaia sono i morti, migliaia i desaparecidos, migliaia quelli torturati, picchiati, stuprati e umiliati. Questo tipo di rabbia, una volta che trova il suo sfogo, non può essere facilmente soffocata, rimessa in bottiglia e rispedita dove è venuta”.

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