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Quando la scorsa settimana erano iniziate a circolare le prime voci di impeachment di Pervez Musharraf, negli ambienti diplomatici di Nuova Delhi era scattato un campanello di allarme. Il consigliere alla sicurezza nazionale indiano M.K. Narayanan era stato il primo a denunciare il rischio di un “limbo politico” che “lasciava i gruppi estremisti islamici la libertà di agire a piacimento”. Non è un caso che l’indebolimento e l’isolamento politico dell’ex generale di Islamabad siano coincisi con una ripresa della stagione delle bombe in India e a Kabul contro l’ambasciata indiana, nonché con un aumento della tensione separatista nella regione contesa del Kashmir indiano dove regnava una relativa calma dal cessate il fuoco del 2003.
In queste ore - dopo l’annuncio in diretta televisiva delle dimissioni - ci sono almeno tre incognite che aleggiano nell’aria. La prima è sulla sorte di Musharraf che secondo indiscrezioni potrebbe scegliere l’esilio in Arabia Saudita (per ironia della sorte nello stesso posto che per anni è stato il rifugio dell’ex premier Nawaz Sharif, da lui esautorato dopo il golpe del 1999) oppure la sua nuova casa di Islamabad, che però non è ancora terminata e che comunque richiederebbe la garanzia di una massiccia protezione visto i suoi numerosi nemici. La seconda incognita è su chi sarà il suo successore alla carica di capo dello Stato, una decisione che sarà presa di comune accordo dal Partito Popolare Pachistano (PPP) di Asif Ali Zardari e dal partito di Sharif, che dopo un lungo braccio di ferro hanno deciso di “detronizzare” il rivale politico. La terza, infine, è quella più inquietante e riguarda la sorte dei potenti servizi segreti, l’ISI (Inter Service Intelligence), che sono stati molte volte in passato i veri protagonisti della storia del “Paese dei Puri” a fianco dell’esercito. Le forze armate sono attualmente l’esercito guidate dal generale Ashfaq Pervez Kiyani che lo scorso novembre ha ereditato il comando dallo stesso generale Musharraf e che è considerato vicino al PPP. I servizi segreti dipendono dal Ministero della Difesa, ma c’è stato un tentativo a fine luglio di porli sotto il controllo degli Interni su pressione degli Stati Uniti che vorrebbero avere accesso a informazioni dirette per la caccia ai militanti di Al Qaeda. La decisione, coincisa con la visita del premier Yousuf Raza Gilani a Washington, è stata però revocata poco dopo e quindi non è attualmente chiaro chi sia in realtà a controllare l’intelligente e il controterrorismo. Secondo la Cia, ci sarebbe stato lo zampino dell’Isi dietro l’attacco all’ambasciata indiana di Kabul il 7 luglio che uccise 56 persone, tra cui quattro indiani. Le prove sono state consegnate direttamente dalla Cia agli ufficiali di Islamabad.
La rivelazione rischia di far deragliare il processo di pace con l’India avviato quattro anni fa e fermo dallo scorso anno dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. Il Pakistan accusa l’intelligence indiana di fomentare la ribellione separatista nella provincia del Baluchistan, al confine afghano, e non vede di buon occhio l’ingente programma di ricostruzione e di cooperazione in Afghanistan, preludio ad un aumento della sfera di influenza dell’India in Asia centrale. Ma i rapporti tra i due paesi rivali continuano, come dimostra l’incontro tra Gilani e il primo ministro Manmohan Singh a margine del vertice regionale dei Paesi dell’Asia Meridionale a Colombo, in Sri Lanka, i primi di agosto, in cui Islamabad ha promesso di fare luce sulle accuse.
Se l’India guarda con apprensione alla successione, lo stesso è per gli Stati Uniti che sul Pakistan hanno giocato tutte le loro carte nella guerra ad Al Qaeda con un sostanzioso finanziamento di ben 11 miliardi di dollari per sostenere l’apparato militare. In questo anno elettorale non ci saranno decisioni importanti di politica estera, ma non è un mistero che la Casa Bianca sta premendo con insistenza sul nuovo governo eletto a febbraio per ottenere “mano libera” a cavallo del confine con l’Afghanistan. I raid contro i presunti militanti integralisti e talebani hanno eroso la credibilità dell’esercito pachistano e alimentato sentimenti anti americani. Bisognerà vedere se il PPP di Zardari e i suoi alleati se la sentiranno di aumentare la pressione militare nelle turbolente regioni tribali del nord ovest anche a costo di deteriorare la popolarità guadagnata dopo l’assassinio di Benazir Bhutto a dicembre.
lunedì 18 agosto 2008
Pakistan, Pervez, Musharraf, le incognite della successione
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