martedì 12 febbraio 2008

Indian people you like? Gioie e dolori della vita a New Delhi

SUL NUMERO DI FEBBRAIO DEL MENSILE "MAXIM"


“Indian people you like?”. Dopo aver lasciato sull'asfalto un largo sputo color arancione, il guidatore dell'autorisciò si dà una grattatina ai genitali e poi ti assesta la domanda di rito: "Ti piace la gente dell'India?". Magari è uno di quei giorni di maggio a 45 gradi, a casa manca la corrente elettrica e sei bloccato in un ingorgo da matrimonio tra una banda musicale e un calesse ricoperto di fiori. Per cortesia rispondi di sì e lui tutto contento dondola la testa in segno di soddisfazione lasciandoti con un dubbio atroce. E' sarcasmo o solo un approccio amichevole con quel poco d'inglese che conosce?
L'India è "misteriosa", ma solo dopo qualche anno ti accorgi del reale significato di questa consumata definizione. Per un occidentale è uno shock culturale, visivo e anche olfattivo appena sbarca all'aeroporto di New Delhi. L'immagine predominante sui giornali italiani di un’India che sta diventando una potenza economica oggi stride ancora di più con la realtà della gente che dorme sui marciapiedi, con il degrado del centro storico, con le immense baraccopoli della periferia e con le condizioni pietose di vacche e cani randagi che condividono la strada con i mendicanti. L'India è ancora questa nonostante le “speranze” legate all’8 o 9% di crescita economica che per ora ha arricchito solo una minuscola percentuale del miliardo e 100 milioni di abitanti. Nella capitale New Delhi, megalopoli da 15 milioni di persone, le contraddizioni sono ancora più evidenti, anche se negli ultimi due o tre anni il panorama urbano è radicalmente cambiato con l'arrivo della metropolitana, dei mezzi pubblici a metano, delle boutique di marca e dei primi disco- bar. Ma i cambiamenti hanno interessato solo il Sud di Delhi, dove ci sono i palazzi del potere, eredità del periodo coloniale, le ambasciate e i quartieri della "middle class" sorti dopo l'indipendenza dal dominio britannico. La stragrande maggioranza degli stranieri vive in questa parte fatta di lunghi boulevard, rotatorie con fontane illuminate, grandi parchi per il jogging mattutino e hotel a cinque stelle dove comprare la baguette calda di forno. A circa mezzora di auto, oltrepassata Connaught Place, la grande piazza circolare che fa da spartiacque tra lusso e miseria, c'è la vera India, quella alla Rudyard Kipling, con i mercati all'ingrosso delle spezie di Chandni Chowk, il Forte Rosso degli imperatori mughal, la grande moschea e i negozi di profumi, argento e pietre preziose. Quella dei templi profumati di incenso e legno di sandalo e degli elefanti in coda ai semafori. Insomma tutto quello che un turista, che sta allo Sheraton a 300 euro a notte, si aspetta di trovare. Se invece si sta nella bolgia psichedelica di Paharganj, la strada degli hippies e dei saccopelisti, vicino alla stazione, dove si spendono 300 rupie (6 euro) per una stanza, la percezione è ancora diversa perché qui non c'è alcun segno della modernizzazione che invece sta avanzando nella parte post coloniale. C'è qualcosa di schizofrenico in queste due Delhi che si ignorano e che continuano ad allontanarsi sempre più.
Tra gli italiani che risiedono in pianta stabile a Delhi, circa 200, solo un'anziana studiosa di indologia, un po' eccentrica, abita nei quartieri popolari della vecchia città, dove gli affitti sono un decimo o anche più rispetto a quello che si paga a Golf Link, Jorbagh, Defence Colony o Vasant Vihar, per citare alcune zone "bene" della capitale. Il mercato immobiliare indiano è in piena bolla speculativa. New Delhi è diventata tra le città più care al mondo per le locazioni commerciali. Il paradosso è rappresentato dal Khan Market, mercatino di quartiere dalle facciate scrostate e marciapiedi dissestati, dove gli affitti dei negozi sono cari come sulla Quinta Strada a Manhattan. E' la meta preferita degli stranieri. Al sabato pomeriggio è difficile trovare un tavolo libero al Barista o al Coffee Day, le due più grandi catene di coffee shop, che ancora oggi sono l'unico posto pulito e confortevole dove fare una colazione veloce o incontrare un amico. A detta di molti italiani, al Barista, che tra l'altro è passato alla Lavazza, si beve il migliore cappuccino servito alla temperatura giusta e perfino con la schiuma decorata. Ma è riservato all'elite perché costa più di un euro. In un "fast food" locale come Nirula con la stessa cifra si fa un pasto abbondante.Anche se il costo della vita è aumentato, vivere in India è ancora molto conveniente per chi ha euro in tasca. Alcuni prezzi fanno perfino sorridere. La riparazione di uno scooter per esempio non costa più di 30 rupie (circa mezzo euro), una multa per divieto di sosta è di 100 rupie (2 euro) e il biglietto della metropolitana è dalle 10 alle 20 rupie. Però poi si va a mangiare a La Piazza, il migliore ristorante italiano, all'hotel Hayatt, e si sborsa a testa l'equivalente di un mese di stipendio di un operaio indiano. I beni importati, come il vino o l'olio di oliva che le signore dell’alta borghesia usano per lucidare la capigliatura, sono ancora molto costosi per via dei dazi e tasse doganali. Uno dei vantaggi indiscussi della vita degli espatriati c'è invece la possibilità di avere una schiera di cuochi, baby-sitter, domestici, valletti, autisti, giardinieri e perfino guardie private armate per poche centinaia di euro al mese. E' una fortuna perché significa la liberazione dalla schiavitù dei lavori casalinghi, ma può essere anche un incubo se si pretende troppo. Con pochissime eccezioni, quasi tutti hanno del personale di servizio in casa, spesso residente nei cosiddetti “servant quarters”, alloggi riservati alla servitù, nel retro di ogni casa signorile. Esiste un immenso florilegio di aneddoti divertenti sulle gioie e dolori della servitù. L’uso della ramazza o spazzolone, sconosciuti ai domestici indiani che usano scopini e passano lo straccio accovacciati per terra, è uno dei temi più dibattuti nelle conversazioni salottiere. I nuovi arrivati sono di solito scioccati dalla scarsa igiene della cucina, un ambiente che nelle case indiane è riservato esclusivamente ai cuochi e camerieri. L’ostinazione di noi occidentali a voler scrostare l’unto dai fornelli e consumare i pasti in cucina è vista come un’abitudine orripilante, quasi come quella dell’uso della carta igienica invece del bidè. L’idea di igiene che hanno gli asiatici provoca a volte dei veri e propri scontri di civiltà. Ci sono stranieri, che anche dopo molti anni, continuano ad essere ossessionati dal rischio di vermi intestinali o di epatiti a tal punto che non mangiano mai cibi non cotti e bevono solo acqua Evian, spesso venduta in farmacia. Il famigerato “Delhi Belly”, il mal di pancia che colpisce il turista neofita, è sempre in agguato soprattutto quando si combina con gli altrettanti famigerati “colpi di caldo”. Da fine aprile a luglio il nord dell’India si trasforma in una fornace. L’abbonamento ad una piscina di un hotel o di una palestra è uno degli antidoti migliori per sfuggire alla calura. E’ decisamente uno degli aspetti piacevoli della vita nella capitale dove non ci sono molti svaghi per il tempo libero.

A differenza della godereccia e bollywoodiana Mumbai (come è stata ribattezzata Bombay), New Delhi non offre molti divertimenti. La vita notturna è limitata ad una decina di locali, concentrati nei soliti hotel e, solo da pochi anni, nei nuovi centri commerciali che stanno per sorgere come funghi a Gurgaon o a Noida, i due poli del terziario avanzato. In quest’ultimo c’è l’Elevate Club, la più grande discoteca, a due piani, con arredo minimalista-rococò e frequentata dai giovanissimi rampolli dell’alta società che si possono permettere gli oltre 20 euro di ingresso. Ma non immaginatevi serate sex,drug and rock’nroll. Solo da poco le ragazze indiane hanno iniziato a indossare la minigonna, quando vanno a ballare, di nascosto ai genitori. La società indiana è molto puritana e tradizionalista in materia di sesso, nonostante il Kamasutra sia stato scritto qui. Delhi non diventerà mai Bangkok, per fortuna. Citando un diplomatico: “Questo è l’unico posto in cui le mogli tornano in Europa per tre mesi durante il monsone estivo lasciando i mariti soli in città”. Nessun rischio di perdizione.

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