domenica 6 dicembre 2015
venerdì 4 dicembre 2015
Ambiente: allarme inquinamento, New Delhi vara le 'targhe alterne'
Su ANSA
(di Maria Grazia Coggiola) (ANSA) - NEW DELHI, 4 DIC - Dopo che alcuni giudici hanno detto "di vivere in una camera a gas", New Delhi ha deciso di correre i ripari, introducendo la formula delle "targhe alterne" a partire dal prossimo anno. In questo modo ogni giorno potranno circolare solo la metà delle 2,8 milioni di auto a seconda del numero pari o dispari della targa. E' una misura drastica adottata anche da Pechino, che rivaleggia con la capitale indiana per inquinamento atmosferico. Ma è la prima volta che viene introdotta in India. Le associazioni ambientaliste, che da tempo accusano le autorità municipali di sottovalutare i rischi per la salute pubblica, esultano. Ma sono in molti a chiedersi se il provvedimento sia "praticabile" per una città che ha un record di 8,8 milioni di veicoli immatricolati, che insieme fanno più di tutti i mezzi di Mumbai, Kolkata e Chennai messi insieme, in aumento ogni giorno di 1.400 unità. La polizia cittadina a mala pena riesce a gestire questa gigantesca massa di motori rombanti che intasa strade non più adeguate alla mole di traffico e perennemente ingombrate da cantieri edili e lavori in corso. E' di oggi la notizia che il commissario P.B. Bassi ha lanciato un 'concorso a premi' per i cittadini caricando su un app le foto di automobilisti che violano il codice stradale. Ad aprile, dopo l'ennesima emergenza smog, il Tribunale verde nazionale (Ngt), creato dal governo nel 2010 per occuparsi delle questioni ambientali, aveva proibito l'ingresso nella capitale dei veicoli diesel più vecchi di 10 anni, che, come è noto, sono quelli più inquinanti. Ma il divieto si è poi insabbiato tra ricorsi legali e proteste dei camionisti. Adesso il governo centrale sta pensando di lanciare una 'rottamazione' di bus e camion di oltre 15 anni offrendo incentivi finanziari. Circa un mese fa sempre il Tribunale verde aveva imposto una 'green tax' per i veicoli commerciali in ingresso nella capitale che per alcuni giorni aveva creato un caos gigantesco nelle dogane ai confini. Sembra che i mezzi pesanti si siano ridotti del 30%, ma con la conseguenza di una perdita per le casse comunali che si finanziano con la tassa sul pedaggio. Oltre alle 'targhe alterne', il pacchetto anti inquinamento deciso oggi dal governatore Arvind Kejriwal, il politico anti corrotti definito un "Beppe Grillo indiano", comprende anche la chiusura di una centrale termoelettrica a Badarpur costruita circa 40 anni fa e ormai obsoleta. Il suo intervento è giunto all'indomani di un severo richiamo dell'Alta Corte di New Delhi, allarmata dal livello 'rosso' segnato dalle centraline di rilevamento che indicavano valori di polveri Pm10 e Pm2,5 superiori fino a 7 o 8 volte i limiti standard. Il tribunale ha chiesto al governo locale della capitale federale "un piano di azione" per tutelare la salute pubblica da presentare entro il 21 dicembre. Ha anche suggerito di prendere misure contro l'inquinamento causato dalle costruzioni e dalla pratica di bruciare rifiuti e residui vegetali. Da alcuni studi risulta infatti che il peggioramento della qualità dell'aria di Delhi, che per le polveri sottili è una delle peggiori al mondo secondo l'Oms, dipende solo in minima parte dal traffico veicolare. La cappa di smog che ricopre la capitale per la maggior parte dell'anno sarebbe provocata da una miscela micidiale di gas di scarico, polvere sollevata da strade non asfaltate, costruzioni edili e soprattutto dalla fuliggine derivante dalla combustione di scarti di ogni tipo, per esempio nelle attività di riciclaggio o nell'agricoltura. In certe condizioni atmosferiche, come nei periodi invernali o nella stagione secca, i veleni ristagnano creando appunto una 'camera a gas'.
(di Maria Grazia Coggiola) (ANSA) - NEW DELHI, 4 DIC - Dopo che alcuni giudici hanno detto "di vivere in una camera a gas", New Delhi ha deciso di correre i ripari, introducendo la formula delle "targhe alterne" a partire dal prossimo anno. In questo modo ogni giorno potranno circolare solo la metà delle 2,8 milioni di auto a seconda del numero pari o dispari della targa. E' una misura drastica adottata anche da Pechino, che rivaleggia con la capitale indiana per inquinamento atmosferico. Ma è la prima volta che viene introdotta in India. Le associazioni ambientaliste, che da tempo accusano le autorità municipali di sottovalutare i rischi per la salute pubblica, esultano. Ma sono in molti a chiedersi se il provvedimento sia "praticabile" per una città che ha un record di 8,8 milioni di veicoli immatricolati, che insieme fanno più di tutti i mezzi di Mumbai, Kolkata e Chennai messi insieme, in aumento ogni giorno di 1.400 unità. La polizia cittadina a mala pena riesce a gestire questa gigantesca massa di motori rombanti che intasa strade non più adeguate alla mole di traffico e perennemente ingombrate da cantieri edili e lavori in corso. E' di oggi la notizia che il commissario P.B. Bassi ha lanciato un 'concorso a premi' per i cittadini caricando su un app le foto di automobilisti che violano il codice stradale. Ad aprile, dopo l'ennesima emergenza smog, il Tribunale verde nazionale (Ngt), creato dal governo nel 2010 per occuparsi delle questioni ambientali, aveva proibito l'ingresso nella capitale dei veicoli diesel più vecchi di 10 anni, che, come è noto, sono quelli più inquinanti. Ma il divieto si è poi insabbiato tra ricorsi legali e proteste dei camionisti. Adesso il governo centrale sta pensando di lanciare una 'rottamazione' di bus e camion di oltre 15 anni offrendo incentivi finanziari. Circa un mese fa sempre il Tribunale verde aveva imposto una 'green tax' per i veicoli commerciali in ingresso nella capitale che per alcuni giorni aveva creato un caos gigantesco nelle dogane ai confini. Sembra che i mezzi pesanti si siano ridotti del 30%, ma con la conseguenza di una perdita per le casse comunali che si finanziano con la tassa sul pedaggio. Oltre alle 'targhe alterne', il pacchetto anti inquinamento deciso oggi dal governatore Arvind Kejriwal, il politico anti corrotti definito un "Beppe Grillo indiano", comprende anche la chiusura di una centrale termoelettrica a Badarpur costruita circa 40 anni fa e ormai obsoleta. Il suo intervento è giunto all'indomani di un severo richiamo dell'Alta Corte di New Delhi, allarmata dal livello 'rosso' segnato dalle centraline di rilevamento che indicavano valori di polveri Pm10 e Pm2,5 superiori fino a 7 o 8 volte i limiti standard. Il tribunale ha chiesto al governo locale della capitale federale "un piano di azione" per tutelare la salute pubblica da presentare entro il 21 dicembre. Ha anche suggerito di prendere misure contro l'inquinamento causato dalle costruzioni e dalla pratica di bruciare rifiuti e residui vegetali. Da alcuni studi risulta infatti che il peggioramento della qualità dell'aria di Delhi, che per le polveri sottili è una delle peggiori al mondo secondo l'Oms, dipende solo in minima parte dal traffico veicolare. La cappa di smog che ricopre la capitale per la maggior parte dell'anno sarebbe provocata da una miscela micidiale di gas di scarico, polvere sollevata da strade non asfaltate, costruzioni edili e soprattutto dalla fuliggine derivante dalla combustione di scarti di ogni tipo, per esempio nelle attività di riciclaggio o nell'agricoltura. In certe condizioni atmosferiche, come nei periodi invernali o nella stagione secca, i veleni ristagnano creando appunto una 'camera a gas'.
martedì 1 dicembre 2015
giovedì 26 novembre 2015
Intolleranza, star Bollywood Aaamir Khan nella bufera
Su ANSA
Una delle star più amate di Bollywood, Aamir Khan, è nella bufera per alcuni commenti sulla crescente intolleranza religiosa che da qualche mese sta animando il dibattito politico in India. L'attore musulmano di 50 anni, noto per il suo impegno a favore dell'ambiente e su temi sociali scottanti, è preoccupato per gli episodi di violenza dell'estrema destra negli ultimi mesi e ha rivelato che la moglie aveva preso in considerazione l'ipotesi di trasferirsi all'estero. "Penso che negli ultimi 6-8 mesi si sia diffuso un senso di sconforto - aveva detto alcuni giorni fa in una intervista con The Indian Express - Quando a casa ne parlo con Kiran (la moglie), lei mi dice che forse dovremmo lasciare l'India. Ha paura per il bambino". Le parole hanno sollevato un coro di critiche da parte del partito di governo del Bjp che lo ha accusato di essere vittima della 'propaganda politica' e di offendere i suoi beniamini che vivono in India. Mentre alcuni esponenti del partito di centro sinistra del Congresso, tra cui il figlio di Sonia Gandhi, Rahul, si sono schierati dalla sua parte. Durante una manifestazione di protesta alcuni estremisti indù dello Shiv Sena (Esercito di Shiva) hanno perfino bruciato delle sue fotografie nello stato settentrionale del Punjab, dove Khan, che è anche produttore, sta girando il suo ultimo film 'Dangal', una biografia di una campionessa di wrestling. In questi giorni la polizia ha rafforzato la sicurezza intorno al set. Ieri, nel tentativo di mettere a tacere le polemiche, Khan ha scritto su Facebook di "non aver mai pensato di lasciare l'India" e che alcune sue parole sono state fraintese. Ma ha ribadito il suo commento sul clima di crescente intolleranza che sta preoccupando molti intellettuali e scrittori. "A coloro che mi hanno accusato di essere anti patriottico - ha scritto - e che urlano oscenità contro di me solo perché ho espresso liberamente quello che penso, dico che purtroppo stanno confermando la mia tesi". Dopo l'uccisione di due pensatori atei e il linciaggio di un musulmano in Uttar Pradesh sospettato di mangiare carne di mucca (animale sacro per gli induisti), almeno 50 scrittori, artisti e scienziati hanno restituito i premi nazionali da loro ricevuti come provocazione contro le istituzioni. Anche Shah Rukh Khan, l'altro 'Khan' di Bollywood, noto per i suoi ruoli di eroe romantico, era intervenuto di recente per denunciare le minacce al pluralismo della società indiana. Non è la prima volta che Aamir Khan è nel mirino della destra indù. Lo scorso anno i radicali si erano scagliati contro l'ultimo suo film di successo, 'PK', una satira contro le religioni in cui un marziano impersonato dall'attore prende in giro la fede induista.
Una delle star più amate di Bollywood, Aamir Khan, è nella bufera per alcuni commenti sulla crescente intolleranza religiosa che da qualche mese sta animando il dibattito politico in India. L'attore musulmano di 50 anni, noto per il suo impegno a favore dell'ambiente e su temi sociali scottanti, è preoccupato per gli episodi di violenza dell'estrema destra negli ultimi mesi e ha rivelato che la moglie aveva preso in considerazione l'ipotesi di trasferirsi all'estero. "Penso che negli ultimi 6-8 mesi si sia diffuso un senso di sconforto - aveva detto alcuni giorni fa in una intervista con The Indian Express - Quando a casa ne parlo con Kiran (la moglie), lei mi dice che forse dovremmo lasciare l'India. Ha paura per il bambino". Le parole hanno sollevato un coro di critiche da parte del partito di governo del Bjp che lo ha accusato di essere vittima della 'propaganda politica' e di offendere i suoi beniamini che vivono in India. Mentre alcuni esponenti del partito di centro sinistra del Congresso, tra cui il figlio di Sonia Gandhi, Rahul, si sono schierati dalla sua parte. Durante una manifestazione di protesta alcuni estremisti indù dello Shiv Sena (Esercito di Shiva) hanno perfino bruciato delle sue fotografie nello stato settentrionale del Punjab, dove Khan, che è anche produttore, sta girando il suo ultimo film 'Dangal', una biografia di una campionessa di wrestling. In questi giorni la polizia ha rafforzato la sicurezza intorno al set. Ieri, nel tentativo di mettere a tacere le polemiche, Khan ha scritto su Facebook di "non aver mai pensato di lasciare l'India" e che alcune sue parole sono state fraintese. Ma ha ribadito il suo commento sul clima di crescente intolleranza che sta preoccupando molti intellettuali e scrittori. "A coloro che mi hanno accusato di essere anti patriottico - ha scritto - e che urlano oscenità contro di me solo perché ho espresso liberamente quello che penso, dico che purtroppo stanno confermando la mia tesi". Dopo l'uccisione di due pensatori atei e il linciaggio di un musulmano in Uttar Pradesh sospettato di mangiare carne di mucca (animale sacro per gli induisti), almeno 50 scrittori, artisti e scienziati hanno restituito i premi nazionali da loro ricevuti come provocazione contro le istituzioni. Anche Shah Rukh Khan, l'altro 'Khan' di Bollywood, noto per i suoi ruoli di eroe romantico, era intervenuto di recente per denunciare le minacce al pluralismo della società indiana. Non è la prima volta che Aamir Khan è nel mirino della destra indù. Lo scorso anno i radicali si erano scagliati contro l'ultimo suo film di successo, 'PK', una satira contro le religioni in cui un marziano impersonato dall'attore prende in giro la fede induista.
martedì 10 novembre 2015
mercoledì 19 agosto 2015
REPORTAGE- Uteri in affitto - Nella 'fabbrica dei bambini' a Gurgaon
Pubblicato su ANSA (qui la versione completa)
Siamo nel Vansh Surrogacy Center, uno dei tanti centri di maternità surrogata dell'India, una tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili di avere figli 'affittando' a pagamento l'utero di una donna.
L'India è uno dei pochi Paesi al mondo, insieme a Russia, Ucraina, Grecia e certi stati americani, in cui questa pratica è legale fin dal 2002. Grazie al basso costo e alla disponibilità di madri surrogate, il "surrogacy tourism" è l'ultima frontiera del turismo medico nel subcontinente indiano. All'inizio era concentrato nella città di Surat, in Gujarat, ma con gli anni si è spostato nelle ricche cliniche di Mumbai e di Gurgaon.
Tuttavia, la legge che dovrebbe regolare il settore è ferma in Parlamento da cinque anni. Si stima ci siano circa 20 mila centri dove si può 'affittare' un utero, ma solo 270 sono registrati presso l'Indian Council for Medical Research (Icmr) che è l'unica autorità di riferimento.
Questa industria, valutata in oltre 2 miliardi di dollari all'anno, è quindi oggi una specie di 'giungla' dove prosperano medici corrotti e mediatori senza scrupoli che sfruttano povere donne analfabete pronte a mettere a rischio la salute (e anche la reputazione) per soldi.
A dirlo in un'intervista all'ANSA è lo stesso titolare, Bajrang Saharan, che nel 2010 ha aperto il centro da lui definito "il più grande e affidabile" di Gurgaon.
Nella casa sono ospitate attualmente 22 donne in diversi stadi di gravidanza. Tre di loro portano in grembo embrioni di coppie straniere, una australiana, una americana e una canadese. "Altri cinque genitori stranieri - dice Saharan - sono in lista di attesa".
Nel suo ufficio, dove ci riceve, ci sono i dossier delle madri surrogate e quelli dei genitori biologici, compresi i casi di gravidanza fallita, che alla clinica Vansh sono il 40% in media.
"Qui tutto è trasparente - spiega orgoglioso mentre ci mostra i contratti con i clienti e con le donne - e tutto alla luce del sole. Non mi interessa cosa dice la stampa. A me basta vedere la felicità nei volti delle coppie quando hanno il loro bambino".
Il 'pacchetto' completo, comprensivo della fecondazione in vitrio (in ospedali di fiducia), vitto e alloggio per 9 mesi nel centro, i controlli medici e il parto, costa circa 600-700 mila rupie per gli indiani (8-.500 euro) e 1,5 milioni per gli stranieri (20.700 euro circa). Il compenso della donna è di 275 mila rupie (3.800 euro) più un 20 mila di 'bonus'.
"So di mediatori che intascano commissioni del 100% - spiega Saharan - perché pagano pochissimo le madri surrogate e non hanno alcuna spesa. Dopo la fecondazione le rimandano nelle loro case, che sono spesso in bidonville, in condizioni precarie igieniche e senza una dieta adeguata".
Nella clinica, invece, le mamme sono in camere da due letti, accudite da uno staff di 15 persone, tra cui un cuoco, un medico e anche uno psicologo sempre a disposizione.
"Facciamo loro capire che è come un lavoro - aggiunge - e che dopo nove mesi possono tornare a casa con la somma pattuita". La maggior parte di loro provengono da povere famiglie nelle campagne intorno a New Delhi. C'è chi ha bisogno di soldi per pagare le cure di familiari malati o chi vuole "fare la dote" alla figlia.
Lo scorso anno, una superstar di Bollywood, Shah Rukh Khan, aveva rivelato che il suo ultimo figlio AbRam era nato da una una madre surrogata. "Da allora sono arrivate tantissime richieste - continua - tant'è che abbiamo una lista di attesa di due mesi'. Ma nonostante la pratica sia ormai diffusa, per la società conservatrice indiana è sempre un tabù di cui non si parla apertamente.
"La mia stessa famiglia - conclude Saharan - non accetta che io faccio questo lavoro, ma io sono convinto che invece così si fa del bene per le coppie sterili e per chi ha dei problemi finanziari. Ma è assolutamente essenziale che sia approvata una buona legge e che siano fatti dei controlli sui centri".
martedì 11 agosto 2015
sabato 8 agosto 2015
Nuova campagna di Modi, rilanciare il telaio a mano
Su ANSA
Il premier indiano Narendra Modi ha lanciato oggi una nuova campagna per promuovere l'antica tradizione della tessitura con il telaio a mano e per trasformarlo in una 'global brand'. "Dobbiamo rendere popolari tra i giovani i tessuti prodotti con il telaio a mano - ha detto nella città meridionale di Chennai in occasione del primo 'Handloom Day' - in modo da ridare slancio a questo settore" che oggi sta vivendo una profonda crisi. Modi ha chiesto alle star del cinema "di promuovere nei loro film i prodotti dei telai a mano" per trasformare in una 'moda' questa forma di artigianato che impiega oltre 4 milioni di tessitori, quasi tutti tra le fasce più basse della popolazione. I prodotti tessuti a mano, quasi sempre in laboratori familiari, costituiscono il 15% del totale del settore tessile indiano. Ma da diversi anni, molti centri artigianali, come quello di Varanasi (l'antica Benares), famoso per la lavorazione della seta, sono stati costretti a passare ai telai elettrici per sopravvivere alla concorrenza.
Il premier indiano Narendra Modi ha lanciato oggi una nuova campagna per promuovere l'antica tradizione della tessitura con il telaio a mano e per trasformarlo in una 'global brand'. "Dobbiamo rendere popolari tra i giovani i tessuti prodotti con il telaio a mano - ha detto nella città meridionale di Chennai in occasione del primo 'Handloom Day' - in modo da ridare slancio a questo settore" che oggi sta vivendo una profonda crisi. Modi ha chiesto alle star del cinema "di promuovere nei loro film i prodotti dei telai a mano" per trasformare in una 'moda' questa forma di artigianato che impiega oltre 4 milioni di tessitori, quasi tutti tra le fasce più basse della popolazione. I prodotti tessuti a mano, quasi sempre in laboratori familiari, costituiscono il 15% del totale del settore tessile indiano. Ma da diversi anni, molti centri artigianali, come quello di Varanasi (l'antica Benares), famoso per la lavorazione della seta, sono stati costretti a passare ai telai elettrici per sopravvivere alla concorrenza.
giovedì 30 luglio 2015
Mullah Omar, il leader 'fantasma' dei talebani afghani
Su ANSA
Dato per morto oggi ed almeno altre tre volte negli ultimi cinque anni, il Mullah Omar, leader e guida spirituale dei talebani afghani, continua ad alimentare il mistero che lo circonda. Da quando, così si crede, nel gennaio 2001 riuscì a fuggire alla cattura da parte delle truppe americane a bordo di una motocicletta, scomparendo tra le inespugnabili vallate al confine tra Afghanistan e Pakistan. Di lui esistono soltanto una foto tessera che lo mostra senza l'occhio destro che ha perso quando combatteva contro i russi, ed un fotogramma che lo riprende mentre, all'inizio della 'carriera', indossa la veste del profeta Maometto, ad una preghiera del venerdì nella moschea di Kandahar. L'ultima 'prova' della sua esistenza in vita risale al 2004, quando fu intervistato telefonicamente dal giornalista pachistano Mohammad Shehzad. Ma c'è chi dubita anche dell'autenticità di quella telefonata. In essa disse che era in contatto con il suo 'protetto' e leader di Al Qaida, Osama bin Laden. Shehzad è uno dei pochi ad averlo visto nel 2002 in una grotta vicino a Kandahar. Per un certo periodo si è ritenuto che fosse nascosto a Quetta, nella provincia pachistana del Baluchistan. Nel maggio 2011 si disse che era stato ucciso mentre si trasferiva da quel nascondiglio al Waziristan. Qualche mese prima una fonte aveva detto che era stato colpito da un infarto ed operato in un ospedale di Karachi. Dopo l'eliminazione di bin Laden nella villa bunker di Abbottabad, l'attenzione degli americani si è spostata sulla sua cattura. Sulla sua testa pende una taglia Usa di dieci milioni di dollari. Per tutti questi anni i suoi proclami sono stati diffusi sul portale dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan. Nell'aprile, per smentire una delle voci del suo decesso, i talebani hanno pubblicato una biografia di 5.000 parole in cui si raccontano diversi aneddoti sulla vita dell' 'Ameer-ul-Momineen' (Leader dei pii credenti). Lo spunto è stato dato dal 19/o anniversario (4 aprile 1996) della sua nomina a leader del movimento che fu al governo a Kabul fra il 1996 ed il 2001. Da quello scritto si è appreso che il Mullah Omar appartiene alla tribù Hotak ed è nato nel 1960 nel villaggio di Chah-i-Himmat, nel distretto di Khakrez della provincia di Kandahar. E sono emerse curiosità come quella che è abile nell'uso del lanciarazzi Rpg-7 e che ha uno speciale senso dell'umorismo. Prima dell'annuncio del governo afghano della sua morte, una settimana fa il portavoce del gruppo scissionista Fidai Nahaz, Qari Hamzai, ha sostenuto che il leader talebano era stato ucciso due anni fa da due comandanti 'ribelli'
Dato per morto oggi ed almeno altre tre volte negli ultimi cinque anni, il Mullah Omar, leader e guida spirituale dei talebani afghani, continua ad alimentare il mistero che lo circonda. Da quando, così si crede, nel gennaio 2001 riuscì a fuggire alla cattura da parte delle truppe americane a bordo di una motocicletta, scomparendo tra le inespugnabili vallate al confine tra Afghanistan e Pakistan. Di lui esistono soltanto una foto tessera che lo mostra senza l'occhio destro che ha perso quando combatteva contro i russi, ed un fotogramma che lo riprende mentre, all'inizio della 'carriera', indossa la veste del profeta Maometto, ad una preghiera del venerdì nella moschea di Kandahar. L'ultima 'prova' della sua esistenza in vita risale al 2004, quando fu intervistato telefonicamente dal giornalista pachistano Mohammad Shehzad. Ma c'è chi dubita anche dell'autenticità di quella telefonata. In essa disse che era in contatto con il suo 'protetto' e leader di Al Qaida, Osama bin Laden. Shehzad è uno dei pochi ad averlo visto nel 2002 in una grotta vicino a Kandahar. Per un certo periodo si è ritenuto che fosse nascosto a Quetta, nella provincia pachistana del Baluchistan. Nel maggio 2011 si disse che era stato ucciso mentre si trasferiva da quel nascondiglio al Waziristan. Qualche mese prima una fonte aveva detto che era stato colpito da un infarto ed operato in un ospedale di Karachi. Dopo l'eliminazione di bin Laden nella villa bunker di Abbottabad, l'attenzione degli americani si è spostata sulla sua cattura. Sulla sua testa pende una taglia Usa di dieci milioni di dollari. Per tutti questi anni i suoi proclami sono stati diffusi sul portale dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan. Nell'aprile, per smentire una delle voci del suo decesso, i talebani hanno pubblicato una biografia di 5.000 parole in cui si raccontano diversi aneddoti sulla vita dell' 'Ameer-ul-Momineen' (Leader dei pii credenti). Lo spunto è stato dato dal 19/o anniversario (4 aprile 1996) della sua nomina a leader del movimento che fu al governo a Kabul fra il 1996 ed il 2001. Da quello scritto si è appreso che il Mullah Omar appartiene alla tribù Hotak ed è nato nel 1960 nel villaggio di Chah-i-Himmat, nel distretto di Khakrez della provincia di Kandahar. E sono emerse curiosità come quella che è abile nell'uso del lanciarazzi Rpg-7 e che ha uno speciale senso dell'umorismo. Prima dell'annuncio del governo afghano della sua morte, una settimana fa il portavoce del gruppo scissionista Fidai Nahaz, Qari Hamzai, ha sostenuto che il leader talebano era stato ucciso due anni fa da due comandanti 'ribelli'
martedì 28 luglio 2015
Nepal, stop a sacrifici animali al festival di Gadhimai
Su ANSA
Un tempio indù nel sud del Nepal, vicino al confine con l'India, ha deciso di interrompere per sempre il sacrificio di animali durante un famoso festival religioso. Lo hanno annunciato in un comunicato le associazione di protezione degli animali Animal Welfare Network Nepal e Humane Society International (Hsi)/India che da anni si battono contro l'antica e cruenta tradizione. Il festival di Gadhimai, che si celebra ogni 5 anni nel villaggio di Bariyapur e che attira decine di migliaia di indù, è considerato il più grosso "macello di animali" al mondo. Lo scorso anno, quando si è tenuta la cerimonia, sono stati sgozzati 200 mila animali, tra bovini, capre, polli, maiali e piccioni, per ingraziarsi la divinità locale secondo una pratica che dura da oltre due secoli. "Questa è una fantastica vittoria per noi - ha detto Gauri Maulekhi, attivista di Hsi - e per migliaia di animali che saranno risparmiati". L'associazione aveva ottenuto dalla Corte Suprema indiana il divieto di trasportare dall'India animali destinati al sacrificio. Questa limitazione aveva ridotto del 70% la quantità di uccisioni nell'edizione del 2014. In seguito a una campagna internazionale di protesta, il Ghadhimai Temple Trust aveva già deciso di sospendere i sacrifici in occasione della festa di Sankranti che segna l'inizio della primavera, ma ora la messa al bando è definitiva.
Un tempio indù nel sud del Nepal, vicino al confine con l'India, ha deciso di interrompere per sempre il sacrificio di animali durante un famoso festival religioso. Lo hanno annunciato in un comunicato le associazione di protezione degli animali Animal Welfare Network Nepal e Humane Society International (Hsi)/India che da anni si battono contro l'antica e cruenta tradizione. Il festival di Gadhimai, che si celebra ogni 5 anni nel villaggio di Bariyapur e che attira decine di migliaia di indù, è considerato il più grosso "macello di animali" al mondo. Lo scorso anno, quando si è tenuta la cerimonia, sono stati sgozzati 200 mila animali, tra bovini, capre, polli, maiali e piccioni, per ingraziarsi la divinità locale secondo una pratica che dura da oltre due secoli. "Questa è una fantastica vittoria per noi - ha detto Gauri Maulekhi, attivista di Hsi - e per migliaia di animali che saranno risparmiati". L'associazione aveva ottenuto dalla Corte Suprema indiana il divieto di trasportare dall'India animali destinati al sacrificio. Questa limitazione aveva ridotto del 70% la quantità di uccisioni nell'edizione del 2014. In seguito a una campagna internazionale di protesta, il Ghadhimai Temple Trust aveva già deciso di sospendere i sacrifici in occasione della festa di Sankranti che segna l'inizio della primavera, ma ora la messa al bando è definitiva.
lunedì 27 luglio 2015
UE mette al bando 700 farmaci sperimentati in India
Su ANSA
L'Unione Europea ha messo al bando 700 farmaci generici indiani a causa di irregolarità sui test clinici condotti da una società di Hyderabad. Lo riporta oggi il quotidiano economico The Business Standard. La decisione è stata presa in seguito all'esame di licenze di vendita dei medicinali rilasciate dai Paesi della Ue sulla base di studi condotti dalla società indiana Gvk Bio e su ispezioni nei suoi laboratori. E' emerso che alcuni dati sono stati manipolati per un periodo di cinque anni. La Gvk ha fermamente respinto le accuse della European Medicines Agency (EMA) e ha proposto di condurre nuovi test a proprie spese. Il divieto di vendita e distribuzione entrerà in vigore il 21 agosto in tutti i Paesi Ue. Secondo l'Associazione indiana per le esportazioni di medicinali (Pharmexcil), il provvedimento causerà un perdita di circa un miliardo di dollari.
L'Unione Europea ha messo al bando 700 farmaci generici indiani a causa di irregolarità sui test clinici condotti da una società di Hyderabad. Lo riporta oggi il quotidiano economico The Business Standard. La decisione è stata presa in seguito all'esame di licenze di vendita dei medicinali rilasciate dai Paesi della Ue sulla base di studi condotti dalla società indiana Gvk Bio e su ispezioni nei suoi laboratori. E' emerso che alcuni dati sono stati manipolati per un periodo di cinque anni. La Gvk ha fermamente respinto le accuse della European Medicines Agency (EMA) e ha proposto di condurre nuovi test a proprie spese. Il divieto di vendita e distribuzione entrerà in vigore il 21 agosto in tutti i Paesi Ue. Secondo l'Associazione indiana per le esportazioni di medicinali (Pharmexcil), il provvedimento causerà un perdita di circa un miliardo di dollari.
lunedì 13 luglio 2015
Marò: India accetta arbitrato, altri sei mesi per Latorre
Su ANSA
Dopo oltre 40 mesi di stallo, la contesa tra Italia e India sul caso dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha ufficialmente imboccato la strada dell'arbitrato internazionale in un percorso che ha fatto tappa oggi nella Corte Suprema indiana. Riconoscendo gli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), New Delhi ha infatti accettato che la Corte permanente di arbitraggio (Cpa) dell'Aja risolva la controversia sulla giurisdizione per l'incidente che ha coinvolto il team antipirateria della petroliera Enrica Lexie il 15 febbraio 2012 e in cui sono morti due pescatori indiani. Nel frattempo ha appoggiato la decisione dei giudici di estendere di altri sei mesi (è stato il quarto rinnovo) del permesso a Latorre, che scadeva il 15 luglio, per proseguire la sua convalescenza dopo l'ictus che l'ha colpito a fine agosto 2014 e l'operazione al cuore dello scorso gennaio. Per il governo di Roma è la conferma che la strategia dell'internazionalizzazione sta finalmente dando frutti dopo l'insuccesso dei contatti diplomatici. "E quindi le decisioni di oggi - ha sostenuto la Farnesina - confermano il consolidamento del percorso arbitrale intrapreso dall'Italia il 26 giugno". "Non possiamo sottrarci agli obblighi di una convenzione di cui siamo firmatari", ha detto al giudice il rappresentante del governo indiano, P.S. Narasimha, ma come ha riferito all'ANSA all'uscita dall'aula, l'India parteciperà "per dire agli arbitri che la giurisdizione è nostra e non dell'Italia". Nel frattempo però la Corte Suprema dovrà pronunciarsi su un'altra istanza presentata dalla Difesa italiana in cui si chiede che siano sospesi tutti i procedimenti penali in attesa dell'inizio del processo in Olanda. A questo proposito, il presidente della sezione ha chiesto al governo indiano che formalizzi la sua posizione con un 'affidavit' per il 26 agosto, quando è stata fissata la prossima seduta. Nel comunicato degli Esteri si sottolinea poi che "non c'è stata opposizione" dell'India, anche se era stato richiesto per Latorre un periodo più lungo sulla base di certificati medici. La Farnesina ha aggiunto che "l'Italia si accinge ora ad attivare tutte le misure necessarie per consentire il rientro" anche di Girone. E' quello che auspica anche lo stesso Latorre. "Sono soddisfatto - ha dichiarato all'ANSA - ma il mio pensiero è sempre rivolto a Salvatore e al desiderio di poterlo riabbracciare al più presto in Italia". Le notizie provenienti da New Delhi sono state accolte da un coro di commenti del mondo politico dopo le infuocate polemiche sul 'post' su Facebook ('Non è ora che impicchino i due marò?) del segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, che ha deciso di rimettere il suo mandato. Tra le reazioni politiche va segnalata quella del presidente della Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (Fi), secondo il quale l'Italia si deve attivare ora "per ottenere il rientro di Girone", mentre Fabrizio Cicchitto (Ncd) ha parlato di "passi significativi frutto di un lavoro difficile sia del governo Letta sia di questo governo". Da parte sua Nicola Latorre (Pd), presidente della Commissione Difesa del Senato, ha sottolineato come "il dialogo con l'India stia dando i suoi frutti", per cui "ora si rende necessaria l'unità del Paese". E se Pier Ferdinando Casini ritiene che "l'arbitrato può essere una via d'uscita da una situazione che pregiudica i rapporti" fra Italia e India, Maurizio Gasparri dice "basta a prepotenze e sotterfugi"
Dopo oltre 40 mesi di stallo, la contesa tra Italia e India sul caso dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha ufficialmente imboccato la strada dell'arbitrato internazionale in un percorso che ha fatto tappa oggi nella Corte Suprema indiana. Riconoscendo gli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), New Delhi ha infatti accettato che la Corte permanente di arbitraggio (Cpa) dell'Aja risolva la controversia sulla giurisdizione per l'incidente che ha coinvolto il team antipirateria della petroliera Enrica Lexie il 15 febbraio 2012 e in cui sono morti due pescatori indiani. Nel frattempo ha appoggiato la decisione dei giudici di estendere di altri sei mesi (è stato il quarto rinnovo) del permesso a Latorre, che scadeva il 15 luglio, per proseguire la sua convalescenza dopo l'ictus che l'ha colpito a fine agosto 2014 e l'operazione al cuore dello scorso gennaio. Per il governo di Roma è la conferma che la strategia dell'internazionalizzazione sta finalmente dando frutti dopo l'insuccesso dei contatti diplomatici. "E quindi le decisioni di oggi - ha sostenuto la Farnesina - confermano il consolidamento del percorso arbitrale intrapreso dall'Italia il 26 giugno". "Non possiamo sottrarci agli obblighi di una convenzione di cui siamo firmatari", ha detto al giudice il rappresentante del governo indiano, P.S. Narasimha, ma come ha riferito all'ANSA all'uscita dall'aula, l'India parteciperà "per dire agli arbitri che la giurisdizione è nostra e non dell'Italia". Nel frattempo però la Corte Suprema dovrà pronunciarsi su un'altra istanza presentata dalla Difesa italiana in cui si chiede che siano sospesi tutti i procedimenti penali in attesa dell'inizio del processo in Olanda. A questo proposito, il presidente della sezione ha chiesto al governo indiano che formalizzi la sua posizione con un 'affidavit' per il 26 agosto, quando è stata fissata la prossima seduta. Nel comunicato degli Esteri si sottolinea poi che "non c'è stata opposizione" dell'India, anche se era stato richiesto per Latorre un periodo più lungo sulla base di certificati medici. La Farnesina ha aggiunto che "l'Italia si accinge ora ad attivare tutte le misure necessarie per consentire il rientro" anche di Girone. E' quello che auspica anche lo stesso Latorre. "Sono soddisfatto - ha dichiarato all'ANSA - ma il mio pensiero è sempre rivolto a Salvatore e al desiderio di poterlo riabbracciare al più presto in Italia". Le notizie provenienti da New Delhi sono state accolte da un coro di commenti del mondo politico dopo le infuocate polemiche sul 'post' su Facebook ('Non è ora che impicchino i due marò?) del segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, che ha deciso di rimettere il suo mandato. Tra le reazioni politiche va segnalata quella del presidente della Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (Fi), secondo il quale l'Italia si deve attivare ora "per ottenere il rientro di Girone", mentre Fabrizio Cicchitto (Ncd) ha parlato di "passi significativi frutto di un lavoro difficile sia del governo Letta sia di questo governo". Da parte sua Nicola Latorre (Pd), presidente della Commissione Difesa del Senato, ha sottolineato come "il dialogo con l'India stia dando i suoi frutti", per cui "ora si rende necessaria l'unità del Paese". E se Pier Ferdinando Casini ritiene che "l'arbitrato può essere una via d'uscita da una situazione che pregiudica i rapporti" fra Italia e India, Maurizio Gasparri dice "basta a prepotenze e sotterfugi"
sabato 11 luglio 2015
India-Pakistan: riparte il dialogo dopo incontro tra Modi e Sharif in Russia
su ANSA
Il nuovo tentativo di disgelo tra New Delhi e Islamabad riparte dalla Russia dove oggi il premier indiano Narendra Modi e quello pachistano Nawaz Sharif si sono incontrati a margine del summit dell'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco), di cui entreranno a far parte. I due leader hanno deciso di riprendere il dialogo bloccato dopo le tensioni sul confine del Kashmir dello scorso anno e si sono dati appuntamento a Islamabad nel 2016 per il vertice dell'organizzazione economica dei Paesi dell'Asia meridionale (Saarc). E' il primo vero incontro bilaterale tra le due potenze nucleari asiatiche da quando oltre un anno fa è salito al potere il 'falco' Modi. Il primo ministro indiano aveva invitato Sharif al suo giuramento a New Delhi, un gesto che era stato considerato di buon auspicio per una distensione, ma poi ci sono stati nuovi attriti. Lo scorso agosto l'India aveva cancellato un round di colloqui dopo che l'ambasciatore pachistano aveva incontrato i leader separatisti del Kashmir. La tensione è anche salita al confine con l'uccisione di diversi militari e civili in sporadici bombardamenti. L'ultima tensione diplomatica risale ad aprile quando un tribunale pachistano ha scarcerato dietro cauzione il religioso islamico Zaki-ur-Rehman Lakhvi, presunta mente delle stragi di Mumbai del 2008 in cui morirono 166 persone. Nel comunicato congiunto reso noto nella città russa di Ufa dal Segretario agli esteri indiano S.Jaishankar e da quello pachistano Aizaz Ahmad Chaudhry, i due leader hanno condannato il terrorismo e concordato di "liberare il Sud dell'Asia da questa minaccia". In particolare, è stato deciso un incontro a New Delhi tra i responsabili della sicurezza nazionale. Non è però stata fissata alcuna data. Modi e Sharif hanno deciso inoltre di accelerare il processo a carico dei responsabili dell'attentato di Mumbai e di liberare i pescatori indiani che si trovano sotto custodia pachistana. Tuttavia, il vero nodo tra i due Paesi, che hanno combattuto quattro guerre, rimane sempre la regione contesa del Kashmir. Lungo il fronte, chiamato 'Linea di Controllo', è in vigore un cessate il fuoco dal 2003 che però è sistematicamente violato dagli eserciti che non perdono occasione per mostrare i muscoli nonostante gli sforzi di dialogo dei governi. Si deve constatare, per esempio, che l'impegno profuso da Sharif per consolidare una formula di dialogo con New Delhi non riceve un appoggio entusiasta da parte dei militari pachistani. Intervistato da GEO Tv, il ministro della Difesa pachistano, Khawaja Asif, ha di recente accusato l'India di "condurre una guerra indiretta in Pakistan alimentando direttamente o indirettamente il terrorismo". Ed ha chiarito che "il nostro potenziale nucleare non è per bellezza" e "siamo pronti ad usarlo "se viene messa in gioco la nostra sopravvivenza"
Il nuovo tentativo di disgelo tra New Delhi e Islamabad riparte dalla Russia dove oggi il premier indiano Narendra Modi e quello pachistano Nawaz Sharif si sono incontrati a margine del summit dell'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco), di cui entreranno a far parte. I due leader hanno deciso di riprendere il dialogo bloccato dopo le tensioni sul confine del Kashmir dello scorso anno e si sono dati appuntamento a Islamabad nel 2016 per il vertice dell'organizzazione economica dei Paesi dell'Asia meridionale (Saarc). E' il primo vero incontro bilaterale tra le due potenze nucleari asiatiche da quando oltre un anno fa è salito al potere il 'falco' Modi. Il primo ministro indiano aveva invitato Sharif al suo giuramento a New Delhi, un gesto che era stato considerato di buon auspicio per una distensione, ma poi ci sono stati nuovi attriti. Lo scorso agosto l'India aveva cancellato un round di colloqui dopo che l'ambasciatore pachistano aveva incontrato i leader separatisti del Kashmir. La tensione è anche salita al confine con l'uccisione di diversi militari e civili in sporadici bombardamenti. L'ultima tensione diplomatica risale ad aprile quando un tribunale pachistano ha scarcerato dietro cauzione il religioso islamico Zaki-ur-Rehman Lakhvi, presunta mente delle stragi di Mumbai del 2008 in cui morirono 166 persone. Nel comunicato congiunto reso noto nella città russa di Ufa dal Segretario agli esteri indiano S.Jaishankar e da quello pachistano Aizaz Ahmad Chaudhry, i due leader hanno condannato il terrorismo e concordato di "liberare il Sud dell'Asia da questa minaccia". In particolare, è stato deciso un incontro a New Delhi tra i responsabili della sicurezza nazionale. Non è però stata fissata alcuna data. Modi e Sharif hanno deciso inoltre di accelerare il processo a carico dei responsabili dell'attentato di Mumbai e di liberare i pescatori indiani che si trovano sotto custodia pachistana. Tuttavia, il vero nodo tra i due Paesi, che hanno combattuto quattro guerre, rimane sempre la regione contesa del Kashmir. Lungo il fronte, chiamato 'Linea di Controllo', è in vigore un cessate il fuoco dal 2003 che però è sistematicamente violato dagli eserciti che non perdono occasione per mostrare i muscoli nonostante gli sforzi di dialogo dei governi. Si deve constatare, per esempio, che l'impegno profuso da Sharif per consolidare una formula di dialogo con New Delhi non riceve un appoggio entusiasta da parte dei militari pachistani. Intervistato da GEO Tv, il ministro della Difesa pachistano, Khawaja Asif, ha di recente accusato l'India di "condurre una guerra indiretta in Pakistan alimentando direttamente o indirettamente il terrorismo". Ed ha chiarito che "il nostro potenziale nucleare non è per bellezza" e "siamo pronti ad usarlo "se viene messa in gioco la nostra sopravvivenza"
giovedì 9 luglio 2015
India: 'strage delle bambine', cresce squilibrio fra sessi
Su ANSA
Nonostante la crescita economica, l'aumento dell'istruzione femminile e le leggi che vietano gli aborti selettivi, in India lo squilibrio tra i sessi continua a rimanere tra i più alti dell'Asia. E' quando emerge da un rapporto presentato a New Delhi dal Centro per le ricerche sociali (Csr), un think tank che si occupa di diritti delle donne.
La percentuale di neonati maschi (Sex Ratio at Birth) è di 110 (per 100 femmine) in India, la più alta dopo la Cina (117) e l'Asia Centrale (116). In base all'ultimo censimento del 2011 c'è stato un leggero miglioramento negli Stati settentrionali del Punjab e Haryana, i più colpiti dalla 'strage delle bambine', ma la disparità si è accentuata nell'India meridionale e orientale dove la discriminazione era marginale.
A livello nazionale c'è stato un peggioramento del tasso di bambine (Child Sex Ratio) sceso da 927 femmine (al di sotto dei 6 anni) ogni mille maschi nel 2001 a 918 nel 2011. "Sono proprio gli Stati più ricchi come Punjab, Haryana, Gujarat e Delhi - ha detto Ranjama Kumari, direttrice del Csr, incontrata dall'ANSA a un seminario internazionale di due giorni che si è concluso oggi - a registrare una più bassa percentuale di bambine contraddicendo quindi le teorie di molti economisti secondo le quali la prosperità riduce lo squilibrio demografico tra i sessi". Nelle aree tribali, considerate le più arretrate, il tasso di bambine è invece superiore alla media nazionale; questa tendenza è dovuta "al proliferare di cliniche ginecologiche pubbliche e private che offrono ogni tipo di trattamento per le coppie benestanti". In India, come anche in Cina, Nepal e Vietnam, esiste una severa legge che vieta i test medici per determinare il sesso del nascituro, come l'ecografia o l'amniocentesi. Ma la proibizione è spesso aggirata o camuffata da altri esami sul feto o dalle tecniche di fecondazione assistita, compresa quella dell'utero in affitto. Si calcola che ogni anno in India avvengano circa 600 mila aborti selettivi perché i genitori preferiscono i figli maschi (soprattutto quando il primo figlio è femmina). Da diversi anni il governo indiano ha introdotto degli incentivi economici per le madri e per le bambine e lanciato delle campagne di sensibilizzazione per rimuovere il pregiudizio in base al quale le femmine sono un 'peso' economico per i genitori, soprattutto a causa della costosa dote necessaria per trovare un 'buon marito'. L'ultima iniziativa è del primo ministro Narendra Modi che lo scorso mese ha chiesto ai padri di scattare un 'selfie' con la propria figlia e di postarlo sulla sua pagina Facebook. "Ci sono Paesi come la Corea del Sud che sono riusciti a invertire il trend - aggiunge Kumari - e a questi bisogna riferirsi per trovare delle misure efficaci per il contesto indiano". Alla conferenza, intitolata "International Policy Dialogue on Pre-natal Sex Selection" e organizzata insieme alla ngo tedesca Heinrich Boll Stiftung, hanno partecipato diversi esperti provenienti da Germania, Francia, Corea del Sud, Vietnam e Stati Uniti, oltre che ricercatori di varie università indiane e centri studi.
Nonostante la crescita economica, l'aumento dell'istruzione femminile e le leggi che vietano gli aborti selettivi, in India lo squilibrio tra i sessi continua a rimanere tra i più alti dell'Asia. E' quando emerge da un rapporto presentato a New Delhi dal Centro per le ricerche sociali (Csr), un think tank che si occupa di diritti delle donne.
La percentuale di neonati maschi (Sex Ratio at Birth) è di 110 (per 100 femmine) in India, la più alta dopo la Cina (117) e l'Asia Centrale (116). In base all'ultimo censimento del 2011 c'è stato un leggero miglioramento negli Stati settentrionali del Punjab e Haryana, i più colpiti dalla 'strage delle bambine', ma la disparità si è accentuata nell'India meridionale e orientale dove la discriminazione era marginale.
A livello nazionale c'è stato un peggioramento del tasso di bambine (Child Sex Ratio) sceso da 927 femmine (al di sotto dei 6 anni) ogni mille maschi nel 2001 a 918 nel 2011. "Sono proprio gli Stati più ricchi come Punjab, Haryana, Gujarat e Delhi - ha detto Ranjama Kumari, direttrice del Csr, incontrata dall'ANSA a un seminario internazionale di due giorni che si è concluso oggi - a registrare una più bassa percentuale di bambine contraddicendo quindi le teorie di molti economisti secondo le quali la prosperità riduce lo squilibrio demografico tra i sessi". Nelle aree tribali, considerate le più arretrate, il tasso di bambine è invece superiore alla media nazionale; questa tendenza è dovuta "al proliferare di cliniche ginecologiche pubbliche e private che offrono ogni tipo di trattamento per le coppie benestanti". In India, come anche in Cina, Nepal e Vietnam, esiste una severa legge che vieta i test medici per determinare il sesso del nascituro, come l'ecografia o l'amniocentesi. Ma la proibizione è spesso aggirata o camuffata da altri esami sul feto o dalle tecniche di fecondazione assistita, compresa quella dell'utero in affitto. Si calcola che ogni anno in India avvengano circa 600 mila aborti selettivi perché i genitori preferiscono i figli maschi (soprattutto quando il primo figlio è femmina). Da diversi anni il governo indiano ha introdotto degli incentivi economici per le madri e per le bambine e lanciato delle campagne di sensibilizzazione per rimuovere il pregiudizio in base al quale le femmine sono un 'peso' economico per i genitori, soprattutto a causa della costosa dote necessaria per trovare un 'buon marito'. L'ultima iniziativa è del primo ministro Narendra Modi che lo scorso mese ha chiesto ai padri di scattare un 'selfie' con la propria figlia e di postarlo sulla sua pagina Facebook. "Ci sono Paesi come la Corea del Sud che sono riusciti a invertire il trend - aggiunge Kumari - e a questi bisogna riferirsi per trovare delle misure efficaci per il contesto indiano". Alla conferenza, intitolata "International Policy Dialogue on Pre-natal Sex Selection" e organizzata insieme alla ngo tedesca Heinrich Boll Stiftung, hanno partecipato diversi esperti provenienti da Germania, Francia, Corea del Sud, Vietnam e Stati Uniti, oltre che ricercatori di varie università indiane e centri studi.
mercoledì 10 giugno 2015
India, magnate cinese Wang Jianlin bloccato in Tripura dopo atterraggio di emeregenza
Su Ansa
Un aereo privato con a bordo il miliardario cinese Wang Jianlin e' stato costretto a un atterraggio di emergenza oggi nel nord-est dell'India a causa di un guasto al motore. Lo riferisce The Hindustan Times. Il magnate, che e' il piu' ricco in Cina (secondo Forbes) e che e' a capo del gruppo Dalian Wanda, stava tornando a Pechino dopo una visita d'affari a New Delhi. Verso le 9.30 ora locale il pilota del suo jet ha lanciato un sos alla torre di controllo dell'aeroporto di Agartala, nel piccolo stato indiano di Tripura, chiedendo il permesso per atterrare. Wang e il suo entourage si trovano ora in un hotel di Agartala in attesa di pezzi di ricambio che giungono direttamente dalla Cina. "Si trova in un albergo di lusso - ha detto una fonte al giornale - protetto da una scorta della polizia". L'industriale, che guida un impero dei media, ha di recente acquisito Infront Sports & Media, colosso attivo nel marketing sportivo, compresi i diritti tv della serie A. Possiede anche il 20 per cento dell'Atletico Madrid, oltre a diverse aziende di lusso e opere d'arte. Invitato in India dal premier Narendra Modi, aveva annunciato investimenti per 5 miliardi di dollari per lo sviluppo di distretti industriali nell'ambito del programma governativo 'Make in India'
Un aereo privato con a bordo il miliardario cinese Wang Jianlin e' stato costretto a un atterraggio di emergenza oggi nel nord-est dell'India a causa di un guasto al motore. Lo riferisce The Hindustan Times. Il magnate, che e' il piu' ricco in Cina (secondo Forbes) e che e' a capo del gruppo Dalian Wanda, stava tornando a Pechino dopo una visita d'affari a New Delhi. Verso le 9.30 ora locale il pilota del suo jet ha lanciato un sos alla torre di controllo dell'aeroporto di Agartala, nel piccolo stato indiano di Tripura, chiedendo il permesso per atterrare. Wang e il suo entourage si trovano ora in un hotel di Agartala in attesa di pezzi di ricambio che giungono direttamente dalla Cina. "Si trova in un albergo di lusso - ha detto una fonte al giornale - protetto da una scorta della polizia". L'industriale, che guida un impero dei media, ha di recente acquisito Infront Sports & Media, colosso attivo nel marketing sportivo, compresi i diritti tv della serie A. Possiede anche il 20 per cento dell'Atletico Madrid, oltre a diverse aziende di lusso e opere d'arte. Invitato in India dal premier Narendra Modi, aveva annunciato investimenti per 5 miliardi di dollari per lo sviluppo di distretti industriali nell'ambito del programma governativo 'Make in India'
martedì 2 giugno 2015
Caldo killer, oltre 1.200 morti in Andhra Pradesh e Telangana
Su Ansa
Decine di milioni di indiani continuano a soffrire per l'ondata di caldo secco che negli ultimi dieci giorni ha causato 1.242 morti e che non accenna ad allentare la sua morsa almeno per le prossime 48 ore secondo il bollettino meteo. Il clima torrido sta assediando ancora gli Stati sud-orientali dell'Andhra Pradesh e di Telangana, dove sorge il polo informatico e farmaceutico di Hyderabad. Circa 1.100 persone hanno finora perso la vita in queste due regioni a causa di collassi da calore, insolazione e disidratazione. Ma da un paio di giorni le temperature record, che oggi hanno nuovamente toccato punte di 46 e 47 gradi, hanno investito anche altri Stati, come il centro orientale Orissa dove si sono registrate oltre 60 vittime. Nella stretta asfissiante del gran caldo ci sono diverse città dell'Uttar Pradesh, che con 200 milioni di indiani è lo Stato più popoloso dell'Unione indiana. Il record di oggi va ad ad Agra, famosa per la tomba del Taj Mahal, dove la colonnina di mercurio ha sfiorato la massima di 46 gradi. Il sole rovente ha trasformato in fornaci anche altre mete turistiche, come Khajuraho, nello Stato centrale Madhya Pradesh, nota in tutto il mondo per i templi con le scene erotiche tratte dal Kamasutra. Un po' di respiro invece a New Delhi dove le temperature sono scese leggermente dopo i picchi di 46 gradi dei giorni scorsi. Per il resto della settimana il bollettino meteo non prevede cambiamenti di rilievo. In una dichiarazione all'agenzia di stampa Ani, il direttore del Dipartimento meteorologico indiano (Imd), B.P.Yadav ha affermato che le temperature superiori alla media stagionale "continueranno almeno per altre 48 ore". Soltanto la settimana prossima, ha aggiunto "la situazione dovrebbe migliorare" per la presenza di possibili piogge che produrranno l'abbassamento delle temperature, specialmente nel Sud-Est. Intanto, le autorità indiane continuano a diffondere appelli alla popolazione in cui invitano a rimanere in casa nelle ore più calde e a bere almeno 4 litri di acqua al giorno. Nelle metropoli più colpite, come ad Hyderabad, alcune associazioni hanno allestito in strada dei punti di distribuzione di acqua e bevande rinfrescanti. Gli ospedali, soprattutto quelli dell'Andhra Pradesh e Telangana, sono presi d'assalto da anziani, manovali e altri lavoratori più esposti ai raggi solari e alla perdita eccessiva di liquidi nel corpo. In Orissa, dove ci si aspetta un ulteriore aumento delle temperature, sono stati modificati i turni di presenza nelle strade dei poliziotti e vigili urbani per evitare le insolazioni. Ridotti anche gli orari di lavoro degli operai delle miniere di carbone di cui è particolarmente ricco lo Stato centro orientale.
Decine di milioni di indiani continuano a soffrire per l'ondata di caldo secco che negli ultimi dieci giorni ha causato 1.242 morti e che non accenna ad allentare la sua morsa almeno per le prossime 48 ore secondo il bollettino meteo. Il clima torrido sta assediando ancora gli Stati sud-orientali dell'Andhra Pradesh e di Telangana, dove sorge il polo informatico e farmaceutico di Hyderabad. Circa 1.100 persone hanno finora perso la vita in queste due regioni a causa di collassi da calore, insolazione e disidratazione. Ma da un paio di giorni le temperature record, che oggi hanno nuovamente toccato punte di 46 e 47 gradi, hanno investito anche altri Stati, come il centro orientale Orissa dove si sono registrate oltre 60 vittime. Nella stretta asfissiante del gran caldo ci sono diverse città dell'Uttar Pradesh, che con 200 milioni di indiani è lo Stato più popoloso dell'Unione indiana. Il record di oggi va ad ad Agra, famosa per la tomba del Taj Mahal, dove la colonnina di mercurio ha sfiorato la massima di 46 gradi. Il sole rovente ha trasformato in fornaci anche altre mete turistiche, come Khajuraho, nello Stato centrale Madhya Pradesh, nota in tutto il mondo per i templi con le scene erotiche tratte dal Kamasutra. Un po' di respiro invece a New Delhi dove le temperature sono scese leggermente dopo i picchi di 46 gradi dei giorni scorsi. Per il resto della settimana il bollettino meteo non prevede cambiamenti di rilievo. In una dichiarazione all'agenzia di stampa Ani, il direttore del Dipartimento meteorologico indiano (Imd), B.P.Yadav ha affermato che le temperature superiori alla media stagionale "continueranno almeno per altre 48 ore". Soltanto la settimana prossima, ha aggiunto "la situazione dovrebbe migliorare" per la presenza di possibili piogge che produrranno l'abbassamento delle temperature, specialmente nel Sud-Est. Intanto, le autorità indiane continuano a diffondere appelli alla popolazione in cui invitano a rimanere in casa nelle ore più calde e a bere almeno 4 litri di acqua al giorno. Nelle metropoli più colpite, come ad Hyderabad, alcune associazioni hanno allestito in strada dei punti di distribuzione di acqua e bevande rinfrescanti. Gli ospedali, soprattutto quelli dell'Andhra Pradesh e Telangana, sono presi d'assalto da anziani, manovali e altri lavoratori più esposti ai raggi solari e alla perdita eccessiva di liquidi nel corpo. In Orissa, dove ci si aspetta un ulteriore aumento delle temperature, sono stati modificati i turni di presenza nelle strade dei poliziotti e vigili urbani per evitare le insolazioni. Ridotti anche gli orari di lavoro degli operai delle miniere di carbone di cui è particolarmente ricco lo Stato centro orientale.
lunedì 1 giugno 2015
Bangladesh: incriminate 42 persone per crollo Rana Plaza due anni fa
Su Ansa
La polizia del Bangladesh ha incriminato oggi 42 persone per il crollo del complesso aziendale Rana Plaza avvenuto due anni fa alla periferia di Dacca e costato la vita a 1.135 persone, la maggior parte operai tessili. Lo riferiscono i media locali. Tra gli accusati c'è anche il proprietario del palazzo, Sohel Rana, che si trova in carcere, i manager delle aziende ospitate nell'edificio e funzionari governativi responsabili per i controlli sull'agibilità. Venticinque sono latitanti. I responsabili della polizia criminale investigativa Cid hanno presentato al magistrato due capi di accusa separati, uno per omicidio e un altro per violazione dei regolamenti di costruzione. Lo stabile, che si accartocciò su se stesso il 24 aprile 2013 a causa di un cedimento strutturale, ospitava diversi laboratori che producevano per grandi marchi della moda internazionale, tra cui anche Benetton. La prima udienza preliminare del processo si terrà il 28 giugno. L'incidente è stato uno dei più gravi disastri industriali della storia del Bangladesh e ha sollevato il velo sulle condizioni di sfruttamento degli operai tessili.
La polizia del Bangladesh ha incriminato oggi 42 persone per il crollo del complesso aziendale Rana Plaza avvenuto due anni fa alla periferia di Dacca e costato la vita a 1.135 persone, la maggior parte operai tessili. Lo riferiscono i media locali. Tra gli accusati c'è anche il proprietario del palazzo, Sohel Rana, che si trova in carcere, i manager delle aziende ospitate nell'edificio e funzionari governativi responsabili per i controlli sull'agibilità. Venticinque sono latitanti. I responsabili della polizia criminale investigativa Cid hanno presentato al magistrato due capi di accusa separati, uno per omicidio e un altro per violazione dei regolamenti di costruzione. Lo stabile, che si accartocciò su se stesso il 24 aprile 2013 a causa di un cedimento strutturale, ospitava diversi laboratori che producevano per grandi marchi della moda internazionale, tra cui anche Benetton. La prima udienza preliminare del processo si terrà il 28 giugno. L'incidente è stato uno dei più gravi disastri industriali della storia del Bangladesh e ha sollevato il velo sulle condizioni di sfruttamento degli operai tessili.
domenica 31 maggio 2015
Marò: ministro Esteri Sushma Swaraj, "Italia deve accettare processo"
Su Ansa
Il ministro degli Esteri indiana, Sushma Swaraj, ha invitato oggi l'Italia a "partecipare al processo giudiziario per far avanzare la vicenda" dei marò. Lo ha dichiarato rispondendo ad una domanda dell'ANSA a una conferenza stampa a New Delhi dedicata a illustrare un anno di attività di diplomatica. "Abbiamo ripetutamente sollecitato il governo italiano a unirsi al processo giudiziario - ha detto parlando in hindi - in quanto il caso è sub judice". Secondo la Swaraj, l'Italia "non ha finora neppure partecipato al processo giudiziario. Se accetta di parteciparvi la vicenda potrà avanzare". Il capo della diplomazia indiana non ha accennato alla proposta di soluzione consensuale presentata l'anno scorso dall'Italia ed esaminata dal governo di New Delhi per risolvere il caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone trattenuti in India da tre anni. Nel delineare l'attività svolta nel primo anno di governo guidato dal partito della destra del Bharatiya Janata Party (Bjp), la Swaraj ha riferito che l'India ha avuto contatti, attraverso visite o incontri in sedi internazionali, con 101 nazioni in Africa, Nord e Sud America, Asia e Europa. (ANSA)
Il ministro degli Esteri indiana, Sushma Swaraj, ha invitato oggi l'Italia a "partecipare al processo giudiziario per far avanzare la vicenda" dei marò. Lo ha dichiarato rispondendo ad una domanda dell'ANSA a una conferenza stampa a New Delhi dedicata a illustrare un anno di attività di diplomatica. "Abbiamo ripetutamente sollecitato il governo italiano a unirsi al processo giudiziario - ha detto parlando in hindi - in quanto il caso è sub judice". Secondo la Swaraj, l'Italia "non ha finora neppure partecipato al processo giudiziario. Se accetta di parteciparvi la vicenda potrà avanzare". Il capo della diplomazia indiana non ha accennato alla proposta di soluzione consensuale presentata l'anno scorso dall'Italia ed esaminata dal governo di New Delhi per risolvere il caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone trattenuti in India da tre anni. Nel delineare l'attività svolta nel primo anno di governo guidato dal partito della destra del Bharatiya Janata Party (Bjp), la Swaraj ha riferito che l'India ha avuto contatti, attraverso visite o incontri in sedi internazionali, con 101 nazioni in Africa, Nord e Sud America, Asia e Europa. (ANSA)
lunedì 25 maggio 2015
Governo Modi compie un anno: questione marò ancora in stallo
Su Ansa
Tra le questioni irrisolte del primo anno di potere di Narendra Modi c'è quella dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone accusati dell'omicidio di due pescatori e da oltre tre anni trattenuti in India. La disputa giudiziaria ha causato una profonda crisi nelle relazioni bilaterali con l'Italia e anche con la stessa Unione Europea. "Evidentemente -ha detto all'ANSA l'analista politico Subhash Agrawal, fondatore del think tank India Focus - i legami con l'Italia non sono considerati prioritari nell'agenda politica del premier. Non saprei quale altra spiegazione dare al suo totale silenzio sulla questione". Dopo la vittoria elettorale, si pensava che il 'decisionista' Modi, forte di un solido consenso politico, avrebbe trovato una veloce via di uscita allo 'pasticcio' giuridico che si è creato sulla legittimità della polizia anti terrorismo Nia incaricata di condurre le indagini. Invece sembra che la questione si sia di nuovo impantanata nelle sabbie mobili di New Delhi. Secondo Agrawal "a poco sono servite anche le pressioni del'Italia sull'Unione Europea e sull'Onu". "Modi ha mostrato un quasi totale disinteresse per Bruxelles - spiega - e ha privilegiato i legami con i tre Paesi che contano in Europa, ovvero Francia, Germania e Regno Unito". Non a caso, nel suo primo tour europeo lo scorso aprile è andato a Parigi e poi Berlino, passando prima da Hannover. "Mi dispiace dirlo - continua - ma per l'India, l'Unione Europea è solo un blocco commerciale e non una potenza geopolitica". D'altra parte, secondo l'analista, ci sono stati anche errori tattici e strategici da parte di Roma. "Invece della strada dell'arbitrato internazionale che mi sembra molto complicata e poco fattibile - conclude - potrebbe essere più utile costruire una rete di contatti diplomatici ed anche economici che possano favorire un dialogo distensivo e facilitare una soluzione che convenga ad entrambi i Paesi ".
Tra le questioni irrisolte del primo anno di potere di Narendra Modi c'è quella dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone accusati dell'omicidio di due pescatori e da oltre tre anni trattenuti in India. La disputa giudiziaria ha causato una profonda crisi nelle relazioni bilaterali con l'Italia e anche con la stessa Unione Europea. "Evidentemente -ha detto all'ANSA l'analista politico Subhash Agrawal, fondatore del think tank India Focus - i legami con l'Italia non sono considerati prioritari nell'agenda politica del premier. Non saprei quale altra spiegazione dare al suo totale silenzio sulla questione". Dopo la vittoria elettorale, si pensava che il 'decisionista' Modi, forte di un solido consenso politico, avrebbe trovato una veloce via di uscita allo 'pasticcio' giuridico che si è creato sulla legittimità della polizia anti terrorismo Nia incaricata di condurre le indagini. Invece sembra che la questione si sia di nuovo impantanata nelle sabbie mobili di New Delhi. Secondo Agrawal "a poco sono servite anche le pressioni del'Italia sull'Unione Europea e sull'Onu". "Modi ha mostrato un quasi totale disinteresse per Bruxelles - spiega - e ha privilegiato i legami con i tre Paesi che contano in Europa, ovvero Francia, Germania e Regno Unito". Non a caso, nel suo primo tour europeo lo scorso aprile è andato a Parigi e poi Berlino, passando prima da Hannover. "Mi dispiace dirlo - continua - ma per l'India, l'Unione Europea è solo un blocco commerciale e non una potenza geopolitica". D'altra parte, secondo l'analista, ci sono stati anche errori tattici e strategici da parte di Roma. "Invece della strada dell'arbitrato internazionale che mi sembra molto complicata e poco fattibile - conclude - potrebbe essere più utile costruire una rete di contatti diplomatici ed anche economici che possano favorire un dialogo distensivo e facilitare una soluzione che convenga ad entrambi i Paesi ".
domenica 24 maggio 2015
Governo Modi compie un anno: pagella appena sufficiente
Su ANSA
Dopodomani 26 maggio il governo di Narendra Modi, il carismatico leader della destra indiana e 'uomo forte' di New Delhi, festeggia il suo primo anno di vita, ma la sua pagella è appena sufficiente. Un anno fa quando l'ex governatore del Gujarat è salito al potere dopo aver sconfitto il Congresso dell'italo-indiana Sonia Gandhi, lo definirono il più potente premier indiano dopo la 'dama di ferro' Indira Gandhi grazie alla maggioranza che il suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp), aveva conquistato alla Camera bassa (ma non al Senato). All'aspirante classe media che lo ha votato in massa e agli industriali che lo hanno sponsorizzato, 'NaMo' ha promesso in un famoso tweet che "verranno dei bei giorni" ("Acce din ane wale", in hindi). Ma dopo un anno il futuro non sembra così roseo, o meglio presenta luci e ombre. Sul fronte economico, l'India si sta risollevando dopo due anni di forte declino. Nel 2014-2015 ha registrato una crescita del 7,4% secondo una nuova misurazione del Pil (contro il 6,9% dell'anno precedente). La 'bestia nera' dell'inflazione è scesa al 5,9% dal 10%, grazie soprattutto al petrolio meno caro. Ma è calato l'import-export e la rupia ha perso valore a causa della scarsa fiducia mostrata dagli investitori istituzionali, come banche e fondi pensioni e di un 'autogol' del ministro delle Finanze che ha annunciato una nuova tassa sulle transazioni finanziarie per poi fare marcia indietro. Anche gli industriali lo hanno criticato per non aver ancora rimosso tutte le lungaggini burocratiche e gli ostacoli che scoraggiano gli investimenti produttivi. Il problema più grosso di Modi, secondo molti analisti politici, è l'accentramento del potere sul suo ufficio a tal punto da rendere irrilevanti altri ministeri come quello degli Esteri. A parte il suo braccio destro e stratega elettorale Amit Shah, messo a capo del Bjp, i collaboratori del 64enne politico sono quasi tutti degli 'yes men'. E così spesso è incappato in clamorosi 'faux pas' per la sua immagine pubblica, come quello di aver indossato un pacchiano abito con le sue iniziali ricamate per ricevere il presidente Barack Obama oppure di farsi fotografare mentre tira di arco in Mongolia come un semplice turista. Alcuni hanno storto il naso per questo suo 'super presenzialismo' in politica estera, culminato con il selfie con il cinese Li Keqiang, che lo ha portato a ignorare scottanti temi interni come la questione contadina, l'eterna 'Cenerentola indiana'. Oltre il 50% della popolazione indiana continua a essere occupata in un'agricoltura che è di mera sussistenza e dipendente delle piogge monsoniche. La mega campagna "Make in India", il cavallo (o meglio il leone, visto che è il simbolo) di battaglia di Modi per accelerare l'industrializzazione del Paese, sembra per ora più uno slogan che un piano concreto per creare fabbriche e posti di lavoro per milioni di indiani. Come anche ha destato qualche perplessità il 'pugno di ferro' del governo contro le organizzazioni non governative, come Greenpeace India, che rischia la chiusura dopo il blocco dei fondi.
Dopodomani 26 maggio il governo di Narendra Modi, il carismatico leader della destra indiana e 'uomo forte' di New Delhi, festeggia il suo primo anno di vita, ma la sua pagella è appena sufficiente. Un anno fa quando l'ex governatore del Gujarat è salito al potere dopo aver sconfitto il Congresso dell'italo-indiana Sonia Gandhi, lo definirono il più potente premier indiano dopo la 'dama di ferro' Indira Gandhi grazie alla maggioranza che il suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp), aveva conquistato alla Camera bassa (ma non al Senato). All'aspirante classe media che lo ha votato in massa e agli industriali che lo hanno sponsorizzato, 'NaMo' ha promesso in un famoso tweet che "verranno dei bei giorni" ("Acce din ane wale", in hindi). Ma dopo un anno il futuro non sembra così roseo, o meglio presenta luci e ombre. Sul fronte economico, l'India si sta risollevando dopo due anni di forte declino. Nel 2014-2015 ha registrato una crescita del 7,4% secondo una nuova misurazione del Pil (contro il 6,9% dell'anno precedente). La 'bestia nera' dell'inflazione è scesa al 5,9% dal 10%, grazie soprattutto al petrolio meno caro. Ma è calato l'import-export e la rupia ha perso valore a causa della scarsa fiducia mostrata dagli investitori istituzionali, come banche e fondi pensioni e di un 'autogol' del ministro delle Finanze che ha annunciato una nuova tassa sulle transazioni finanziarie per poi fare marcia indietro. Anche gli industriali lo hanno criticato per non aver ancora rimosso tutte le lungaggini burocratiche e gli ostacoli che scoraggiano gli investimenti produttivi. Il problema più grosso di Modi, secondo molti analisti politici, è l'accentramento del potere sul suo ufficio a tal punto da rendere irrilevanti altri ministeri come quello degli Esteri. A parte il suo braccio destro e stratega elettorale Amit Shah, messo a capo del Bjp, i collaboratori del 64enne politico sono quasi tutti degli 'yes men'. E così spesso è incappato in clamorosi 'faux pas' per la sua immagine pubblica, come quello di aver indossato un pacchiano abito con le sue iniziali ricamate per ricevere il presidente Barack Obama oppure di farsi fotografare mentre tira di arco in Mongolia come un semplice turista. Alcuni hanno storto il naso per questo suo 'super presenzialismo' in politica estera, culminato con il selfie con il cinese Li Keqiang, che lo ha portato a ignorare scottanti temi interni come la questione contadina, l'eterna 'Cenerentola indiana'. Oltre il 50% della popolazione indiana continua a essere occupata in un'agricoltura che è di mera sussistenza e dipendente delle piogge monsoniche. La mega campagna "Make in India", il cavallo (o meglio il leone, visto che è il simbolo) di battaglia di Modi per accelerare l'industrializzazione del Paese, sembra per ora più uno slogan che un piano concreto per creare fabbriche e posti di lavoro per milioni di indiani. Come anche ha destato qualche perplessità il 'pugno di ferro' del governo contro le organizzazioni non governative, come Greenpeace India, che rischia la chiusura dopo il blocco dei fondi.
venerdì 15 maggio 2015
Marò, incontro con Girone, "non ho avvertito la scossa di terremoto"
Su ANSA
"Non ho avvertito la scossa di terremoto ieri, forse perché non ero seduto, ma stavo camminando in ufficio". Lo ha detto il Fuciliere di Marina Salvatore Girone incontrato oggi dall'ANSA mentre usciva dal commissariato di polizia di Chanakyapuri, nell'enclave diplomatica di New Delhi, dove si era recato per la firma settimanale di presenza. Si è presentato in abiti civili, con pantaloni beige e una camicia azzurra, accompagnato come tutte le settimane dall'addetto militare, il comandante Roberto Tomsi. Dopo la partenza del collega Massimiliano Latorre, colpito da un ictus lo scorso settembre, Girone è rimasto da solo nel compound dell'ambasciata d'Italia. Oltre a lavorare nell'ufficio dell'attachè militare, il marò continua i suoi studi universitari. "In questo periodo - ha aggiunto - sono molto impegnato con lo studio". Il nuovo sisma di magnitudo 7.4 sulla scala Richter che ha colpito il Nepal è stato sentito in diverse parti della metropoli indiana, ma non ha causato danni. Come previsto dal regime della libertà provvisoria a cui è sottoposto dal gennaio 2013 quando il processo è stato trasferito dal Kerala a New Delhi, ogni settimana deve presentarsi dalla polizia e non può uscire dalla circoscrizione territoriale della capitale.
"Non ho avvertito la scossa di terremoto ieri, forse perché non ero seduto, ma stavo camminando in ufficio". Lo ha detto il Fuciliere di Marina Salvatore Girone incontrato oggi dall'ANSA mentre usciva dal commissariato di polizia di Chanakyapuri, nell'enclave diplomatica di New Delhi, dove si era recato per la firma settimanale di presenza. Si è presentato in abiti civili, con pantaloni beige e una camicia azzurra, accompagnato come tutte le settimane dall'addetto militare, il comandante Roberto Tomsi. Dopo la partenza del collega Massimiliano Latorre, colpito da un ictus lo scorso settembre, Girone è rimasto da solo nel compound dell'ambasciata d'Italia. Oltre a lavorare nell'ufficio dell'attachè militare, il marò continua i suoi studi universitari. "In questo periodo - ha aggiunto - sono molto impegnato con lo studio". Il nuovo sisma di magnitudo 7.4 sulla scala Richter che ha colpito il Nepal è stato sentito in diverse parti della metropoli indiana, ma non ha causato danni. Come previsto dal regime della libertà provvisoria a cui è sottoposto dal gennaio 2013 quando il processo è stato trasferito dal Kerala a New Delhi, ogni settimana deve presentarsi dalla polizia e non può uscire dalla circoscrizione territoriale della capitale.
giovedì 14 maggio 2015
Pakistan: strage sull'autobus degli ismaeiliti, 45 morti
Su ANSA
ISLAMABAD, 13 MAG - Ancora una volta una minoranza religiosa è stata vittima di un'orrenda carneficina in Pakistan, dove 45 sciiti sono stati massacrati in pieno giorno a bordo di un autobus nella metropoli di Karachi. Un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali camuffati da poliziotti, sono saliti sul veicolo appartenente alla piccola setta degli ismaeliti e ha 'giustiziato' i passeggeri uno per uno con un colpo alla testa. Solo alcune delle circa 60 persone a bordo sono riuscite a scampare al brutale massacro. La strage, una delle più gravi dopo quella di gennaio contro una moschea sciita nella provincia del Sindh costata la vita a 55 persone, è stata rivendicata dall'Isis con un volantino trovato dalla polizia sul posto. Il messaggio scritto in urdu, di cui l'ANSA ha preso visione, spiega che l'attacco "è stato compiuto per vendetta". Ma i media locali ipotizzano che dietro ci potrebbe essere anche il gruppo Jandullah ('Soldati di Dio'), autore in passato di molte altre azioni violente contro la minoranza sciita. Il movimento, che si è staccato dai talebani del Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp) lo scorso anno, si era schierato con il Califfato. La dinamica dell'attacco indica che è stato pianificato con precisione e compiuto da uomini ben addestrati. Secondo un rapporto preliminare della polizia del Sindh, un gruppo di 12 assalitori (ma altre fonti riportano sei) ha intercettato verso le 9.40 ora locale nell'area di Safoora Chowrangi l'autobus di colore rosa appartenente a una comunità ismaelita e usato ogni giorno per portare al lavoro i residenti del quartiere di Rozana Scheme 33. Il conducente ha cercato di accelerare quando ha sentito i primi spari, ma i militanti sono riusciti a fermare il mezzo e a salire a bordo. Con delle pistole calibro 9 hanno sparato alla testa e al collo dei passeggeri. Poi, ha raccontato un poliziotto, "hanno controllato che non ci fosse più nessuno da colpire". Alcune foto pubblicate dai media pachistani mostrano il veicolo con delle chiazze di sangue sui sedili e sulle fiancate. Dei testimoni hanno poi riferito che gli assalitori sono scappati a bordo di motociclette, mentre un sopravvissuto si è messo al volante e ha guidato per sette chilometri fino all'ospedale più vicino. La piccola comunità ismaelita, che già in passato era stata nel mirino di fondamentalisti sunniti, è sotto shock. Il leader spirituale della setta, il magnate e filantropo Karim Agha Khan, ha detto che l'attacco "è una violenza senza alcuna ragione di essere contro una comunità pacifica". La strage è stata condannata anche dal segretario generale dell'Onu Ban Ki moon e da diversi leader, tra cui il premier indiano Narendra Modi. A causa del massacro, il capo dell'esercito, il generale Raheel Sharif, ha annullato una visita in Sri Lanka e si è precipitato a Karachi per seguire le indagini. In una telefonata con l'Agha Khan ha promesso "di trovare i responsabili a ogni costo". Negli ultimi due anni la violenza nella città portuale era diminuita grazie al dispiegamento di reparti paramilitari. In serata Geo tv riferiva che le forze dei Rangers avevano condotto una serie di retate nell'area dell'attacco e arrestato 18 persone. Con l'emergere dell'Isis e di nuovi gruppi islamici locali come Jandullah sono aumentati gli attacchi contro gli sciiti a Karachi, Quetta e anche nelle aree del nord ovest, dove ci sono le roccaforti dei talebani. Si stima che negli ultimi due anni, circa mille appartenenti a questa minoranza sono stati uccisi in attentati di gruppi militanti sunniti che considerano queste sette come 'eretiche'.(ANSA).
ISLAMABAD, 13 MAG - Ancora una volta una minoranza religiosa è stata vittima di un'orrenda carneficina in Pakistan, dove 45 sciiti sono stati massacrati in pieno giorno a bordo di un autobus nella metropoli di Karachi. Un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali camuffati da poliziotti, sono saliti sul veicolo appartenente alla piccola setta degli ismaeliti e ha 'giustiziato' i passeggeri uno per uno con un colpo alla testa. Solo alcune delle circa 60 persone a bordo sono riuscite a scampare al brutale massacro. La strage, una delle più gravi dopo quella di gennaio contro una moschea sciita nella provincia del Sindh costata la vita a 55 persone, è stata rivendicata dall'Isis con un volantino trovato dalla polizia sul posto. Il messaggio scritto in urdu, di cui l'ANSA ha preso visione, spiega che l'attacco "è stato compiuto per vendetta". Ma i media locali ipotizzano che dietro ci potrebbe essere anche il gruppo Jandullah ('Soldati di Dio'), autore in passato di molte altre azioni violente contro la minoranza sciita. Il movimento, che si è staccato dai talebani del Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp) lo scorso anno, si era schierato con il Califfato. La dinamica dell'attacco indica che è stato pianificato con precisione e compiuto da uomini ben addestrati. Secondo un rapporto preliminare della polizia del Sindh, un gruppo di 12 assalitori (ma altre fonti riportano sei) ha intercettato verso le 9.40 ora locale nell'area di Safoora Chowrangi l'autobus di colore rosa appartenente a una comunità ismaelita e usato ogni giorno per portare al lavoro i residenti del quartiere di Rozana Scheme 33. Il conducente ha cercato di accelerare quando ha sentito i primi spari, ma i militanti sono riusciti a fermare il mezzo e a salire a bordo. Con delle pistole calibro 9 hanno sparato alla testa e al collo dei passeggeri. Poi, ha raccontato un poliziotto, "hanno controllato che non ci fosse più nessuno da colpire". Alcune foto pubblicate dai media pachistani mostrano il veicolo con delle chiazze di sangue sui sedili e sulle fiancate. Dei testimoni hanno poi riferito che gli assalitori sono scappati a bordo di motociclette, mentre un sopravvissuto si è messo al volante e ha guidato per sette chilometri fino all'ospedale più vicino. La piccola comunità ismaelita, che già in passato era stata nel mirino di fondamentalisti sunniti, è sotto shock. Il leader spirituale della setta, il magnate e filantropo Karim Agha Khan, ha detto che l'attacco "è una violenza senza alcuna ragione di essere contro una comunità pacifica". La strage è stata condannata anche dal segretario generale dell'Onu Ban Ki moon e da diversi leader, tra cui il premier indiano Narendra Modi. A causa del massacro, il capo dell'esercito, il generale Raheel Sharif, ha annullato una visita in Sri Lanka e si è precipitato a Karachi per seguire le indagini. In una telefonata con l'Agha Khan ha promesso "di trovare i responsabili a ogni costo". Negli ultimi due anni la violenza nella città portuale era diminuita grazie al dispiegamento di reparti paramilitari. In serata Geo tv riferiva che le forze dei Rangers avevano condotto una serie di retate nell'area dell'attacco e arrestato 18 persone. Con l'emergere dell'Isis e di nuovi gruppi islamici locali come Jandullah sono aumentati gli attacchi contro gli sciiti a Karachi, Quetta e anche nelle aree del nord ovest, dove ci sono le roccaforti dei talebani. Si stima che negli ultimi due anni, circa mille appartenenti a questa minoranza sono stati uccisi in attentati di gruppi militanti sunniti che considerano queste sette come 'eretiche'.(ANSA).
mercoledì 13 maggio 2015
Torna la paura, seconda scossa terremoto in Nepal e India
Su ANSA
Diciassette giorni dopo è tornata a tremare la terra in Nepal, questa volta alle falde dell'Everest, con una prima scossa di magnitudo 7.4 sulla scala Richter e altri sei forti tremori nel giro di un'ora e mezza che hanno causato nuovi crolli a Kathmandu e estese frane nelle vallate dei trekking. Il bilancio delle vittime, ancora provvisorio, è di 60 morti e oltre mille feriti, che va ad aggiungersi al precedente conteggio di 8.159. In particolare, 42 sono le vittime in Nepal, a cui vanno aggiunti 17 decessi nei confinanti stati indiani del Bihar e dell'Uttar Pradesh dove nelle metropoli ci sono state scene di panico e almeno un morto anche in Tibet. La prima scossa è stata registrata alle 12.35 ora locale, anche questa volta nella tarda mattinata ed ha avuto come epicentro il villaggio di Namche Bazar, a circa 80 km a est di Kathmandu e a oltre 3.400 metri di altitudine. E' uno dei punti di sosta nel trekking verso il campo base dell'Everest, ma era semi deserto dopo le valanghe provocate dal sisma del 25 aprile che hanno ucciso 18 alpinisti e dopo la sospensione delle scalata sul tetto del mondo. I nuovi tremori hanno fatto crollare alcuni palazzi a Kathmandu dove sono morte quattro persone. Le altre vittime sono invece state causate dalle slavine nelle vallate al confine con il Tibet e in particolare nei distretti di Dolakha (19 morti) e Sindhupalchowk (cinque vittime). In queste aree, già devastate dal precedente sisma, si trovavano anche diversi team di soccorso nepalesi e internazionali per assistere il mezzo milione di senza tetto. Tra questi c'è anche l'ospedale da campo della Protezione Civile italiana che si trova al confine tra i distretti di Nuwakot e di Rasuwa, a circa quattro ore da Kathmandu. Contattato dall'ANSA il coordinatore Stefano Ciavela ha detto che l'equipe italiana formata da 39 operatori non ha subito danni e che le attività di soccorso continueranno regolarmente fino alla fine della settimana quando è stato deciso il rimpatrio. A Kathmandu sono stati momenti di terrore come documentato dalla televisione pubblica che stava trasmettendo in diretta i lavori del Parlamento. La telecamera che stava riprendendo l'intervento di un onorevole su un podio si è messa a sussultare violentemente. Sullo sfondo si vedono tutti i deputati fuggire verso l'uscita dell'emiciclo. Scene di caos anche in città che dopo la tragedia era tornata alla normalità. Migliaia di persone si sono riversate in strada, mentre l'elettricità è saltata per qualche ora rendendo difficili le comunicazioni telefoniche. "Si ballava come sul ponte di una nave" ha raccontato Erica Beuzer, operatrice della ong italiana Gvc, che lavora nella capitale nepalese. Un'altra cooperante, Chiara Mastrofini, ha detto detto che per diversi minuti tutta la città è rimasta paralizzata per la paura. "Tutti i negozi stanno chiudendo - ha aggiunto - e non ci sono più macchine in strada". Drammatico anche il racconto di Giuseppe Pedron, operatore di Caritas: "Al momento della scossa tutto lo staff di Caritas Nepal e noi dello staff internazionale stavamo lavorando alle operazioni di soccorso. L'allarme del generatore ci ha avvisato della scossa e siamo tutti corsi all'esterno. Ai piani superiori dell'ufficio alcuni computer e materiale sono caduti. In strada la popolazione atterrita prima e poi febbrilmente intenta a contattare le famiglie. La scossa e l'oscillazione sono stati decisamente forti". Attimi di tensione anche all'aeroporto internazionale che è stato chiuso per due ore dalle autorità come misura precauzionale e i passeggeri sono stati evacuati all'esterno. Per la sua potenza e anche profondità (18.5 km), maggiore del precedente (15 km), il sisma è stato avvertito fino a 1.800 km di distanza secondo R.K. Chadha, sismologo del National Geophysical Research Institute (NGRI) di Hyderabad, nel sud dell'India. Secondo l'esperto è "normale" la presenza di forti scosse di assestamento dopo un sisma di 7.8 di magnitudo.
Diciassette giorni dopo è tornata a tremare la terra in Nepal, questa volta alle falde dell'Everest, con una prima scossa di magnitudo 7.4 sulla scala Richter e altri sei forti tremori nel giro di un'ora e mezza che hanno causato nuovi crolli a Kathmandu e estese frane nelle vallate dei trekking. Il bilancio delle vittime, ancora provvisorio, è di 60 morti e oltre mille feriti, che va ad aggiungersi al precedente conteggio di 8.159. In particolare, 42 sono le vittime in Nepal, a cui vanno aggiunti 17 decessi nei confinanti stati indiani del Bihar e dell'Uttar Pradesh dove nelle metropoli ci sono state scene di panico e almeno un morto anche in Tibet. La prima scossa è stata registrata alle 12.35 ora locale, anche questa volta nella tarda mattinata ed ha avuto come epicentro il villaggio di Namche Bazar, a circa 80 km a est di Kathmandu e a oltre 3.400 metri di altitudine. E' uno dei punti di sosta nel trekking verso il campo base dell'Everest, ma era semi deserto dopo le valanghe provocate dal sisma del 25 aprile che hanno ucciso 18 alpinisti e dopo la sospensione delle scalata sul tetto del mondo. I nuovi tremori hanno fatto crollare alcuni palazzi a Kathmandu dove sono morte quattro persone. Le altre vittime sono invece state causate dalle slavine nelle vallate al confine con il Tibet e in particolare nei distretti di Dolakha (19 morti) e Sindhupalchowk (cinque vittime). In queste aree, già devastate dal precedente sisma, si trovavano anche diversi team di soccorso nepalesi e internazionali per assistere il mezzo milione di senza tetto. Tra questi c'è anche l'ospedale da campo della Protezione Civile italiana che si trova al confine tra i distretti di Nuwakot e di Rasuwa, a circa quattro ore da Kathmandu. Contattato dall'ANSA il coordinatore Stefano Ciavela ha detto che l'equipe italiana formata da 39 operatori non ha subito danni e che le attività di soccorso continueranno regolarmente fino alla fine della settimana quando è stato deciso il rimpatrio. A Kathmandu sono stati momenti di terrore come documentato dalla televisione pubblica che stava trasmettendo in diretta i lavori del Parlamento. La telecamera che stava riprendendo l'intervento di un onorevole su un podio si è messa a sussultare violentemente. Sullo sfondo si vedono tutti i deputati fuggire verso l'uscita dell'emiciclo. Scene di caos anche in città che dopo la tragedia era tornata alla normalità. Migliaia di persone si sono riversate in strada, mentre l'elettricità è saltata per qualche ora rendendo difficili le comunicazioni telefoniche. "Si ballava come sul ponte di una nave" ha raccontato Erica Beuzer, operatrice della ong italiana Gvc, che lavora nella capitale nepalese. Un'altra cooperante, Chiara Mastrofini, ha detto detto che per diversi minuti tutta la città è rimasta paralizzata per la paura. "Tutti i negozi stanno chiudendo - ha aggiunto - e non ci sono più macchine in strada". Drammatico anche il racconto di Giuseppe Pedron, operatore di Caritas: "Al momento della scossa tutto lo staff di Caritas Nepal e noi dello staff internazionale stavamo lavorando alle operazioni di soccorso. L'allarme del generatore ci ha avvisato della scossa e siamo tutti corsi all'esterno. Ai piani superiori dell'ufficio alcuni computer e materiale sono caduti. In strada la popolazione atterrita prima e poi febbrilmente intenta a contattare le famiglie. La scossa e l'oscillazione sono stati decisamente forti". Attimi di tensione anche all'aeroporto internazionale che è stato chiuso per due ore dalle autorità come misura precauzionale e i passeggeri sono stati evacuati all'esterno. Per la sua potenza e anche profondità (18.5 km), maggiore del precedente (15 km), il sisma è stato avvertito fino a 1.800 km di distanza secondo R.K. Chadha, sismologo del National Geophysical Research Institute (NGRI) di Hyderabad, nel sud dell'India. Secondo l'esperto è "normale" la presenza di forti scosse di assestamento dopo un sisma di 7.8 di magnitudo.
giovedì 7 maggio 2015
martedì 14 aprile 2015
Cinema: censurato Unfreedom, storia di lesbiche e di terroristi
Su ANSA
Un giovane regista indo americano, Raj Amit Kumar, ha lanciato una campagna contro la censura in India che ha bloccato l'uscita del suo film "Unfreedom" ('assenza di libertà') in cui si raccontano due storie parallele di una ragazza lesbica di New Delhi e di un terrorista islamico di New York. In un video su Youtube, l'artista rivolge un appello a firmare una petizione da inviare al primo ministro indiano Narendra Modi per chiedere che venga rispettata la libertà di pensiero e di espressione.
Il film, che uscirà nelle sale americane il 29 maggio, è stato censurato di recente dal Central Board of Certification (CBFC), l'autorità che autorizza il rilascio delle opere cinematografiche. In un primo tempo, l'ente aveva 'tagliato' alcune scene di sesso, poi di fronte al rifiuto del regista di accettare i tagli, ha deciso di censurare l'intera pellicola. "Noi registi siamo trattati come criminali - dice Kumar - perché ogni volta dobbiamo provare la nostra innocenza davanti a una commissione che decide che cosa un miliardo e passa di persone può guardare". Il regista è convinto che la libertà di pensiero e di espressione sia "il più importante dei diritti" e che "tutti dovrebbero battersi con ogni mezzo contro la censura". Il film, che è il suo primo lavoro, racconta la storia di una lesbica che si oppone al matrimonio combinato dai genitori e che scappa con la sua amante. Parallelamente, un fondamentalista islamico sequestra un mussulmano liberale per metterlo a tacere. Si tratta di due temi, la libertà sessuale e religiosa, che sono ancora tabù per la società indiana e per alcune frange radicali indù vicine al partito di governo del Bjp. La nuova polemica giunge dopo la censura del documentario "India's Daughter', della regista britannica Leslee Udwin, dedicato allo stupro della studentessa di New Delhi nel dicembre 2012 e che doveva essere trasmesso l'8 marzo, ma è stato oscurato a causa di un'intervista shock di uno dei violentatori realizzata nel carcere di Tihar.
Un giovane regista indo americano, Raj Amit Kumar, ha lanciato una campagna contro la censura in India che ha bloccato l'uscita del suo film "Unfreedom" ('assenza di libertà') in cui si raccontano due storie parallele di una ragazza lesbica di New Delhi e di un terrorista islamico di New York. In un video su Youtube, l'artista rivolge un appello a firmare una petizione da inviare al primo ministro indiano Narendra Modi per chiedere che venga rispettata la libertà di pensiero e di espressione.
Il film, che uscirà nelle sale americane il 29 maggio, è stato censurato di recente dal Central Board of Certification (CBFC), l'autorità che autorizza il rilascio delle opere cinematografiche. In un primo tempo, l'ente aveva 'tagliato' alcune scene di sesso, poi di fronte al rifiuto del regista di accettare i tagli, ha deciso di censurare l'intera pellicola. "Noi registi siamo trattati come criminali - dice Kumar - perché ogni volta dobbiamo provare la nostra innocenza davanti a una commissione che decide che cosa un miliardo e passa di persone può guardare". Il regista è convinto che la libertà di pensiero e di espressione sia "il più importante dei diritti" e che "tutti dovrebbero battersi con ogni mezzo contro la censura". Il film, che è il suo primo lavoro, racconta la storia di una lesbica che si oppone al matrimonio combinato dai genitori e che scappa con la sua amante. Parallelamente, un fondamentalista islamico sequestra un mussulmano liberale per metterlo a tacere. Si tratta di due temi, la libertà sessuale e religiosa, che sono ancora tabù per la società indiana e per alcune frange radicali indù vicine al partito di governo del Bjp. La nuova polemica giunge dopo la censura del documentario "India's Daughter', della regista britannica Leslee Udwin, dedicato allo stupro della studentessa di New Delhi nel dicembre 2012 e che doveva essere trasmesso l'8 marzo, ma è stato oscurato a causa di un'intervista shock di uno dei violentatori realizzata nel carcere di Tihar.
giovedì 9 aprile 2015
Pakistan: scarcerato 'ideologo' strage Mumbai, India protesta
Su ANSA
Il Pakistan ha scarcerato oggi un leader islamico, Zakiur Rehman Lakhvi, considerato dall'India come il 'macellaio di Mumbai' per il suo coinvolgimento nelle stragi del novembre 2008 nella metropoli indiana, in cui morirono 166 persone, tra cui anche un italiano. Il 55enne comandante della Lashkar-e-Taiba (Armata dei Puri o LeT), uno dei gruppi armati più attivi in Pakistan, ha lasciato la prigione di Rawalpindi dopo che un tribunale di Lahore ieri ha disposto la liberazione per insufficienza di prove. La notizia ha mandato su tutte le furie New Delhi che da anni chiede che Lakhvi e altri sette sospetti siano processati. Il governo indiano ha contattato in serata il ministero degli Esteri pachistano per esprimere la sua 'grave preoccupazione'. Il ministro degli Interni, Rajnath Singh, ha definito come "increscioso e deludente" la decisione di liberare il leader della LeT. Per ora il premier Narendra Modi, impegnato in una visita a Parigi, prima tappa di un lungo tour che comprende Francia, Germania e Canada, non si è pronunciato. Un commento è invece arrivato dal presidente francese Francois Hollande secondo il quale la scarcerazione "non è una buona notizia per il mondo". C'è il rischio che la decisione della giustizia pachistana possa creare una nuova crisi tra le due potenze nucleari che dopo le tensioni sul confine del Kashmir dello scorso anno hanno nuovamente sospeso i negoziati di pace. In realtà, i giudici gli avevano concesso a Lakhvi la libertà provvisoria il 10 dicembre, ma le autorità locali della provincia del Punjab avevano deciso di trattenerlo in carcere per ragioni di ordine pubblico. Il 14 marzo era stato arrestato nuovamente, ma la detenzione è stata impugnata dai suoi legali presso l'Alta Corte di Lahore che l'ha dichiarata illegittima. Il militante era stato catturato in un raid delle forze di sicurezza una settimana dopo il grave attentato definito come 'l'11 settembre indiano'. Secondo gli inquirenti indiani, Lakhvi sarebbe stato l'ideatore e l'organizzatore dell'assalto compiuto da un commando di 10 terroristi giunti via mare da Karachi. Nei tre giorni dell'assedio i militanti sarebbero stati in collegamento con telefonini satellitari con i vertici della LeT. Uno degli assalitori, catturato vivo e poi condannato a morte (e impiccato nel 2012), avrebbe anche confessato il coinvolgimento del gruppo jihadista pachistano. Alla dura reazione di New Delhi, Islamabad ha risposto che "il caso dell'attacco di Mumbai è all'attenzione della giustizia pachistana" e che "i ritardi della magistratura indiana nel cooperare nell'inchiesta ha complicato la vicenda e indebolito l'accusa". Il portavoce governativo indiano Syed Akbaruddin ha accusato il Pakistan di usare due pesi e due misure relativamente al terrorismo, riferendosi al pugno di ferro contro i militanti islamici deciso dal presidente Nawaz Sharif dopo la strage alla scuola militare di Peshawar. (ANSA)
Il Pakistan ha scarcerato oggi un leader islamico, Zakiur Rehman Lakhvi, considerato dall'India come il 'macellaio di Mumbai' per il suo coinvolgimento nelle stragi del novembre 2008 nella metropoli indiana, in cui morirono 166 persone, tra cui anche un italiano. Il 55enne comandante della Lashkar-e-Taiba (Armata dei Puri o LeT), uno dei gruppi armati più attivi in Pakistan, ha lasciato la prigione di Rawalpindi dopo che un tribunale di Lahore ieri ha disposto la liberazione per insufficienza di prove. La notizia ha mandato su tutte le furie New Delhi che da anni chiede che Lakhvi e altri sette sospetti siano processati. Il governo indiano ha contattato in serata il ministero degli Esteri pachistano per esprimere la sua 'grave preoccupazione'. Il ministro degli Interni, Rajnath Singh, ha definito come "increscioso e deludente" la decisione di liberare il leader della LeT. Per ora il premier Narendra Modi, impegnato in una visita a Parigi, prima tappa di un lungo tour che comprende Francia, Germania e Canada, non si è pronunciato. Un commento è invece arrivato dal presidente francese Francois Hollande secondo il quale la scarcerazione "non è una buona notizia per il mondo". C'è il rischio che la decisione della giustizia pachistana possa creare una nuova crisi tra le due potenze nucleari che dopo le tensioni sul confine del Kashmir dello scorso anno hanno nuovamente sospeso i negoziati di pace. In realtà, i giudici gli avevano concesso a Lakhvi la libertà provvisoria il 10 dicembre, ma le autorità locali della provincia del Punjab avevano deciso di trattenerlo in carcere per ragioni di ordine pubblico. Il 14 marzo era stato arrestato nuovamente, ma la detenzione è stata impugnata dai suoi legali presso l'Alta Corte di Lahore che l'ha dichiarata illegittima. Il militante era stato catturato in un raid delle forze di sicurezza una settimana dopo il grave attentato definito come 'l'11 settembre indiano'. Secondo gli inquirenti indiani, Lakhvi sarebbe stato l'ideatore e l'organizzatore dell'assalto compiuto da un commando di 10 terroristi giunti via mare da Karachi. Nei tre giorni dell'assedio i militanti sarebbero stati in collegamento con telefonini satellitari con i vertici della LeT. Uno degli assalitori, catturato vivo e poi condannato a morte (e impiccato nel 2012), avrebbe anche confessato il coinvolgimento del gruppo jihadista pachistano. Alla dura reazione di New Delhi, Islamabad ha risposto che "il caso dell'attacco di Mumbai è all'attenzione della giustizia pachistana" e che "i ritardi della magistratura indiana nel cooperare nell'inchiesta ha complicato la vicenda e indebolito l'accusa". Il portavoce governativo indiano Syed Akbaruddin ha accusato il Pakistan di usare due pesi e due misure relativamente al terrorismo, riferendosi al pugno di ferro contro i militanti islamici deciso dal presidente Nawaz Sharif dopo la strage alla scuola militare di Peshawar. (ANSA)
martedì 7 aprile 2015
Marò/ Italia chiede altri tre mesi di permesso per Massimiliano Latorre
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A pochi giorni dalla scadenza dei tre mesi di convalescenza concessi al marò Massimiliano Latorre, l'Italia ha deciso di chiedere una nuova proroga del permesso sanitario, verosimilmente di tre mesi secondo indiscrezioni della stampa indiana. La richiesta sarà presentata giovedì prossimo alla Corte Suprema indiana. Stamane i giudici della terza sezione hanno accettato un'istanza avanzata del legale Soli Sorabjee di mettere in calendario un'udienza nella quale sarà presentata la richiesta di proroga. Il pubblico ministero indiano (P.L. Narasimha) non ha opposto alcuna obiezione. In aula era presente il neo ambasciatore d'Italia a New Delhi, Lorenzo Angeloni, che come il suo predecessore Daniele Mancini sta seguendo da vicino tutte le tappe della complessa vicenda giudiziaria. La durata del nuovo permesso che sarà richiesto ai giudici, rivela l'agenzia di stampa indiana Ians, sarebbe di altri tre mesi. La richiesta è corroborata da una documentazione medica composta, in particolare, da referti dei sanitari dell'Ospedale militare di Taranto secondo cui "Latorre deve continuare una intensa terapia riabilitativa nel suo ambiente familiare al fine di facilitarne un completo recupero". Il 14 gennaio scorso la Corte Suprema aveva concesso a Latorre di stare altri tre mesi in Italia per proseguire il trattamento terapeutico previsto dopo l'ictus che lo aveva colpito a fine agosto. L'estensione era stata sostenuta dallo stesso governo indiano. In quella occasione, i legali del marò avevano consegnato una nuova garanzia scritta firmata dall'ambasciatore Mancini in cui l'Italia si era impegnata a rispettare la scadenza dei tre mesi per il rientro di Latorre. Il militare, che insieme al collega Salvatore Girone si trova in libertà provvisoria dietro cauzione con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani, era stato ricoverato il 31 agosto in seguito a un ictus cerebrale. I suoi legali avevano poi chiesto alla Corte Suprema l'autorizzazione a rientrare in Italia per la convalescenza. Il 12 settembre i giudici avevano quindi autorizzato Latorre "ad andare in Italia per cure mediche, riabilitazione e proseguimento della convalescenza per un periodo di quattro mesi" a partire dal giorno della sua partenza. E' difficile azzardare previsioni, ma è ipotizzabile che il funzionamento del canale diplomatico italo-indiano, la cui esistenza è stata confermata di recente anche da New Delhi, faciliterà il buon esito della richiesta di rinnovo del permesso per il militare pugliese. Se invece dai giudici dovesse arrivare un 'niet' - ma questo scenario è davvero poco probabile - si aprirebbe una nuova crisi che pregiudicherebbe il lavoro negoziale fatto finora con l'esecutivo di Narendra Modi. Qualche giorno fa, i parlamentari e responsabili della consulta sicurezza di Forza Italia, Maurizio Gasparri e Elio Vito, hanno chiesto che Latorre non rientri in India. E oggi Gasparri ha rinnovato l'appello, accusando il governo Renzi "di essere incapace e in ginocchio davanti all'India". Non solo, lo stesso parlamentare azzurro ha annunciato la richiesta domani in Commissione di chiarimenti sul ruolo del sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti e delle "mortificazioni che sta subendo in un presunto negoziato che starebbe conducendo con l'India". Stando alle ultime informazioni disponibili, che sono poche, dato il riserbo assoluto di Roma, gli esperti legali del governo indiano sono ancora al lavoro per esaminare la "proposta" italiana presentata lo scorso anno e trovare una via di uscita all'aggrovigliata vicenda giudiziaria entrata in un vicolo cieco dopo le nuove indagini affidate alla polizia antiterrorismo Nia. Una proroga del permesso a Latorre, e quindi il congelamento dello status quo, permetterebbero di avere ulteriore tempo per eventuali negoziati extragiudiziari. Nel frattempo il ricorso alla Corte Suprema sulla competenza della polizia Nia ad indagare sul caso non è ancora stato calendarizzato e per ora non ci sono indicazioni di quando potrebbe accadere. E finché il massimo organo giudiziario non si pronuncia, l'avvio del processo presso il 'tribunale ad hoc' (prossima udienza il 1ø luglio) è di fatto bloccato. Una situazione kafkiana dato che la polizia Nia non ha ancora presentato neppure i capi di accusa.
A pochi giorni dalla scadenza dei tre mesi di convalescenza concessi al marò Massimiliano Latorre, l'Italia ha deciso di chiedere una nuova proroga del permesso sanitario, verosimilmente di tre mesi secondo indiscrezioni della stampa indiana. La richiesta sarà presentata giovedì prossimo alla Corte Suprema indiana. Stamane i giudici della terza sezione hanno accettato un'istanza avanzata del legale Soli Sorabjee di mettere in calendario un'udienza nella quale sarà presentata la richiesta di proroga. Il pubblico ministero indiano (P.L. Narasimha) non ha opposto alcuna obiezione. In aula era presente il neo ambasciatore d'Italia a New Delhi, Lorenzo Angeloni, che come il suo predecessore Daniele Mancini sta seguendo da vicino tutte le tappe della complessa vicenda giudiziaria. La durata del nuovo permesso che sarà richiesto ai giudici, rivela l'agenzia di stampa indiana Ians, sarebbe di altri tre mesi. La richiesta è corroborata da una documentazione medica composta, in particolare, da referti dei sanitari dell'Ospedale militare di Taranto secondo cui "Latorre deve continuare una intensa terapia riabilitativa nel suo ambiente familiare al fine di facilitarne un completo recupero". Il 14 gennaio scorso la Corte Suprema aveva concesso a Latorre di stare altri tre mesi in Italia per proseguire il trattamento terapeutico previsto dopo l'ictus che lo aveva colpito a fine agosto. L'estensione era stata sostenuta dallo stesso governo indiano. In quella occasione, i legali del marò avevano consegnato una nuova garanzia scritta firmata dall'ambasciatore Mancini in cui l'Italia si era impegnata a rispettare la scadenza dei tre mesi per il rientro di Latorre. Il militare, che insieme al collega Salvatore Girone si trova in libertà provvisoria dietro cauzione con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani, era stato ricoverato il 31 agosto in seguito a un ictus cerebrale. I suoi legali avevano poi chiesto alla Corte Suprema l'autorizzazione a rientrare in Italia per la convalescenza. Il 12 settembre i giudici avevano quindi autorizzato Latorre "ad andare in Italia per cure mediche, riabilitazione e proseguimento della convalescenza per un periodo di quattro mesi" a partire dal giorno della sua partenza. E' difficile azzardare previsioni, ma è ipotizzabile che il funzionamento del canale diplomatico italo-indiano, la cui esistenza è stata confermata di recente anche da New Delhi, faciliterà il buon esito della richiesta di rinnovo del permesso per il militare pugliese. Se invece dai giudici dovesse arrivare un 'niet' - ma questo scenario è davvero poco probabile - si aprirebbe una nuova crisi che pregiudicherebbe il lavoro negoziale fatto finora con l'esecutivo di Narendra Modi. Qualche giorno fa, i parlamentari e responsabili della consulta sicurezza di Forza Italia, Maurizio Gasparri e Elio Vito, hanno chiesto che Latorre non rientri in India. E oggi Gasparri ha rinnovato l'appello, accusando il governo Renzi "di essere incapace e in ginocchio davanti all'India". Non solo, lo stesso parlamentare azzurro ha annunciato la richiesta domani in Commissione di chiarimenti sul ruolo del sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti e delle "mortificazioni che sta subendo in un presunto negoziato che starebbe conducendo con l'India". Stando alle ultime informazioni disponibili, che sono poche, dato il riserbo assoluto di Roma, gli esperti legali del governo indiano sono ancora al lavoro per esaminare la "proposta" italiana presentata lo scorso anno e trovare una via di uscita all'aggrovigliata vicenda giudiziaria entrata in un vicolo cieco dopo le nuove indagini affidate alla polizia antiterrorismo Nia. Una proroga del permesso a Latorre, e quindi il congelamento dello status quo, permetterebbero di avere ulteriore tempo per eventuali negoziati extragiudiziari. Nel frattempo il ricorso alla Corte Suprema sulla competenza della polizia Nia ad indagare sul caso non è ancora stato calendarizzato e per ora non ci sono indicazioni di quando potrebbe accadere. E finché il massimo organo giudiziario non si pronuncia, l'avvio del processo presso il 'tribunale ad hoc' (prossima udienza il 1ø luglio) è di fatto bloccato. Una situazione kafkiana dato che la polizia Nia non ha ancora presentato neppure i capi di accusa.
martedì 31 marzo 2015
New Delhi, stop a tabacco da masticare
Su ANSA
Le autorità di New Delhi hanno deciso di mettere al bando il tabacco di masticare, uno dei passatempi preferiti degli uomini indiani, ma anche causa di cancro orale. Il divieto entrerà in vigore domani e interessa tutti i prodotti a base di tabacco aromatizzato, noto come "gutka"e venduti in colorare bustine monodose nei chioschi lungo le strade e nei mercati. Secondo una stima, circa il 40% degli indiani e' "dipendente" dal tabacco da masticare che si assume "aromatizzato" con altri ingredienti, come noce di betel, cardamomo, crema di lime, cocco e altri aromi dolci. Spesso viene avvolto in foglie a forma di cuore e masticato a lungo fino a che diventa una poltiglia arancione che poi viene sputata al suolo o sulle pareti dove rimane per lungo tempo. A parte gli effetti sgradevoli visibili sui marciapiedi e sui muri, le conseguenze del 'gutka' sono molto gravi per l'incidenza di tumori della bocca e della gola.
"Non penso che riusciranno a vietarlo - dice all'ANSA Raju, un negoziante di New Delhi, dopo aver acquistato due bustine di tabacco - perche' dopo poco tempo le autorità comunali si accorgeranno che perderanno molti introiti derivanti dalla vendita di questi prodotti e quindi faranno marcia indietro". Si dice infatti che grazie a questo 'vizio' e alla passione degli indiani per il whisky le casse comunali abbiano finanziato tutte le infrastrutture della capitale. Il 'gutka', venduto a circa 10 rupie (20 centesimi di euro circa) a dose, ha degli effetti 'stimolanti' come la nicotina. "Ho iniziato a masticare sei anni fa - continua - imitando un amico e da allora sono un abitudinario, ma penso che se domani non lo trovero' più sarà una buona occasione per smettere". Nel chiosco davanti al Khan Market, uno dei posti più popolari per lo shopping nel sud della capitale, le 'bustine' che di solito sono appese in bella vista sono già sparite in un cassetto.
Le autorità di New Delhi hanno deciso di mettere al bando il tabacco di masticare, uno dei passatempi preferiti degli uomini indiani, ma anche causa di cancro orale. Il divieto entrerà in vigore domani e interessa tutti i prodotti a base di tabacco aromatizzato, noto come "gutka"e venduti in colorare bustine monodose nei chioschi lungo le strade e nei mercati. Secondo una stima, circa il 40% degli indiani e' "dipendente" dal tabacco da masticare che si assume "aromatizzato" con altri ingredienti, come noce di betel, cardamomo, crema di lime, cocco e altri aromi dolci. Spesso viene avvolto in foglie a forma di cuore e masticato a lungo fino a che diventa una poltiglia arancione che poi viene sputata al suolo o sulle pareti dove rimane per lungo tempo. A parte gli effetti sgradevoli visibili sui marciapiedi e sui muri, le conseguenze del 'gutka' sono molto gravi per l'incidenza di tumori della bocca e della gola.
"Non penso che riusciranno a vietarlo - dice all'ANSA Raju, un negoziante di New Delhi, dopo aver acquistato due bustine di tabacco - perche' dopo poco tempo le autorità comunali si accorgeranno che perderanno molti introiti derivanti dalla vendita di questi prodotti e quindi faranno marcia indietro". Si dice infatti che grazie a questo 'vizio' e alla passione degli indiani per il whisky le casse comunali abbiano finanziato tutte le infrastrutture della capitale. Il 'gutka', venduto a circa 10 rupie (20 centesimi di euro circa) a dose, ha degli effetti 'stimolanti' come la nicotina. "Ho iniziato a masticare sei anni fa - continua - imitando un amico e da allora sono un abitudinario, ma penso che se domani non lo trovero' più sarà una buona occasione per smettere". Nel chiosco davanti al Khan Market, uno dei posti più popolari per lo shopping nel sud della capitale, le 'bustine' che di solito sono appese in bella vista sono già sparite in un cassetto.
Video femminista dell'attrice Deepika Padukone difende la libertà sessuale delle donne
Un video della sexy superstar di Bollywood Deepika Padukone, in cui si proclamano diritti delle donne, compreso quello di 'avere relazioni sessuali extramatrimoniali', ha sollevato un acceso dibattito sui social indiani sullo sfondo di quella che appare una sfida a molti in un Paese per molti versi tradizionalista. In poco tempo, il filmato che si intitola 'My Choice' ('La mia scelta') e' stato visto da tre milioni di persone e ha scatenato una marea di reazioni, compreso una 'contro-video' maschile a favore della fedelta' coniugale.
L'iniziativa e' stata promossa dall'edizione indiana del mensile Vogue ed e' dedicata - secondo le intenzioni - a creare una 'coscienza' femminista nel Paese che da alcuni anni e' alla ribalta della cronaca per le violenze contro le donne e le bambine.
Il video del regista Homi Adajania, in bianco e nero e di circa due minuti e mezzo, raffigura 99 donne giovani e meno giovani in diversi atteggiamenti e comportamenti. Le immaginisono intervallate da quelle dell'avvenente attrice che proclama con grande determinazione le loro liberta' di scelta e indipendenza. La 29enne Padukone, che di recente ha ammesso pubblicamente di essere stata in cura per depressione, critica quella che definisce la mentalita' 'ottusa' degli uomini sull'aspetto esteriore e sulle scelte di vita delle donne.
'E' una mia scelta di sposarmi o di non sposarmi - dice in una sorta di manifesto - di avere relazioni sessuali prima del matrimonio o fuori dal matrimonio. Oppure di non averne'. E poi: 'e' una mia scelta di vivere la mia vita come voglio, di indossare gli abiti che mi piacciono, di decidere del mio corpo come voglio, quando devo sposarmi e se voglio essere eterosessuale o lesbica'. Le dichiarazioni, giudicate scioccanti da piu' parti in una societa' come quella indiana ancora molto conservatrice in
materia di sesso, hanno suscitato numerosi commenti negativi sui social. Alcuni hanno definito il video come un'operazione pubblicitaria 'glamour' della Padukone e di Vogue destinata a un
pubblico elitario. Altri lo hanno criticato, denunciandone in alcuni casi una visione riduttiva e banalizzante dell'emancipazione femminile. (ANSA).
sabato 14 febbraio 2015
Maro', intervista a Freddy Bosco, 'potevo morire io'
Su ANSA
BEYPORE-CALICUT (KERALA), 14 FEB - "Gelastine mi aveva appena dato il cambio al timone quando e' stato colpito dal proiettile. Dieci minuti prima c'ero io al suo posto. Avrei lasciato un figlio di quattro mesi". A parlare e' Freddy Bosco, proprietario del peschereccio St.Antony, che quel pomeriggio del 15 febbraio 2012 si era avvicinato di circa 200 metri alla petroliera italiana Enrica Lexie, in navigazione al largo dello stato indiano meridionale del Kerala, quando i maro' Massimiliano Latorre e Salvatore Girone aprirono il fuoco per respingere un sospetto attacco di pirati. Nell'incidente morirono due degli undici pescatori a bordo del peschereccio: Gelastine Valentine e Ajesh Binki.
In occasione del terzo anniversario, l'ANSA lo ha incontrato nel porto di Beypore, vicino a Calicut, la citta' del Kerala famosa per lo sbarco dell'esploratore portoghese Vasco De Gama nel 1498, dove lavora come capitano di un altro peschereccio, il 'Three Star' non piu' di proprieta', ma affittato per la stagione di pesca. "Ero sdraiato dietro il timoniere - racconta - quando ho sentito gli spari provenienti da due persone sul ponte di comando della nave. Gelastine e' stato colpito alla tempia da un proiettile che e' entrato dal finestrino aperto". Seduto al timone, Freddy, che ora ha 37 anni e un secondo figlio di sei mesi, ripercorre quei tragici momenti. "Dopo che Gelastine si e' accasciato, ho spinto la leva del motore alla massima potenza e ho invertito la rotta. E' arrivata un'altra raffica che ha colpito Binki che era andato a fare i bisogni a poppa. L'ho sentito esclamare "Amma", che in tamil vuol dire 'madre'". L'incidente e' avvenuto all'incirca alle 4.30 del pomeriggio. "Per arrivare al porto di Neendakara ci abbiamo messo cinque ore - spiega - dopo essere stati fermi circa un'ora per riparare il motore che si era guastato dopo l'improvvisa accelerazione". In una concitata intervista alla tv locale Venad News, spesso citata dai media italiani, emerge un altro orario, le 21.30. Ma questa, precisa "e' l'ora in cui sono sbarcato a terra ". Nel 2012 aveva ricevuto dal governo italiano 1,7 milioni di rupie (all'epoca circa 25 mila euro) in base ad un accordo extragiudiziale in cui si impegnava a ritirare la sua causa contro l'Enrica Lexie. "Ho speso quasi tutti i soldi in spese legali - dice - e non sono riuscito a comprare una nuova barca". "Io non ho nulla contro i due militari italiani - aggiunge - penso soltanto che hanno agito da irresponsabili e cosi' hanno rovinato la vita a quattro famiglie. Mi chiedo perfino se erano ubriachi". Ma non c'e' risentimento: "Non e' vero che mi sono opposto quando il signor Massimiliano ha chiesto un permesso di andare in Italia per curarsi. Sono stato vittima dell'avidita' di alcuni avvocati a New Delhi che hanno presentato un ricorso a mia insaputa". Dopo le disavventure legali, Bosco si e' affidato a un nuovo avvocato, un suo conoscente, Ripple Hamza, che ha un'esperienza internazionale in diritto marittimo e che cerchera' di ottenere il risarcimento di tutti i danni causati dalla perdita della barca e di tre anni di mancato lavoro. Contattato dall'ANSA, il legale ha detto che "il suo cliente e' in grave difficolta' economica e che nessuno vuole piu' lavorare con lui a Neendakara". Per ora e' in attesa di "vedere quali saranno le prossime mosse del governo italiano". Hamza e' convinto che la migliore soluzione sia affidarsi a un tribunale internazionale in base alla convenzione dell'Onu sul diritto marittimo (Unclos) e in quel caso ci sarebbe la possibilita' per il pescatore di reclamare i suoi diritti come parte lesa. "Per due anni non ho piu' pescato - continua Freddy - ho ripreso a lavorare lo scorso anno a Kochi e poi ora qui a Beypore con questa barca e 12 uomini". Nel suo equipaggio, in partenza per la pesca allo squalo al largo di Goa (tre giorni di navigazione a nord), ci sono anche due 'sopravvissuti' che erano sul St. Antony, Kinserian e Johnson, entrambi del Tamil Nadu, lo stato da cui lui stesso proviene. "Mio padre era un pescatore come lo era mio nonno, io ho iniziato a 15 anni e non sono andato a scuola. Per i miei figli sara' diverso - dice - Voglio lavorare ancora cinque anni in mare e poi basta, cerchero' un altro lavoro meno faticoso".
BEYPORE-CALICUT (KERALA), 14 FEB - "Gelastine mi aveva appena dato il cambio al timone quando e' stato colpito dal proiettile. Dieci minuti prima c'ero io al suo posto. Avrei lasciato un figlio di quattro mesi". A parlare e' Freddy Bosco, proprietario del peschereccio St.Antony, che quel pomeriggio del 15 febbraio 2012 si era avvicinato di circa 200 metri alla petroliera italiana Enrica Lexie, in navigazione al largo dello stato indiano meridionale del Kerala, quando i maro' Massimiliano Latorre e Salvatore Girone aprirono il fuoco per respingere un sospetto attacco di pirati. Nell'incidente morirono due degli undici pescatori a bordo del peschereccio: Gelastine Valentine e Ajesh Binki.
In occasione del terzo anniversario, l'ANSA lo ha incontrato nel porto di Beypore, vicino a Calicut, la citta' del Kerala famosa per lo sbarco dell'esploratore portoghese Vasco De Gama nel 1498, dove lavora come capitano di un altro peschereccio, il 'Three Star' non piu' di proprieta', ma affittato per la stagione di pesca. "Ero sdraiato dietro il timoniere - racconta - quando ho sentito gli spari provenienti da due persone sul ponte di comando della nave. Gelastine e' stato colpito alla tempia da un proiettile che e' entrato dal finestrino aperto". Seduto al timone, Freddy, che ora ha 37 anni e un secondo figlio di sei mesi, ripercorre quei tragici momenti. "Dopo che Gelastine si e' accasciato, ho spinto la leva del motore alla massima potenza e ho invertito la rotta. E' arrivata un'altra raffica che ha colpito Binki che era andato a fare i bisogni a poppa. L'ho sentito esclamare "Amma", che in tamil vuol dire 'madre'". L'incidente e' avvenuto all'incirca alle 4.30 del pomeriggio. "Per arrivare al porto di Neendakara ci abbiamo messo cinque ore - spiega - dopo essere stati fermi circa un'ora per riparare il motore che si era guastato dopo l'improvvisa accelerazione". In una concitata intervista alla tv locale Venad News, spesso citata dai media italiani, emerge un altro orario, le 21.30. Ma questa, precisa "e' l'ora in cui sono sbarcato a terra ". Nel 2012 aveva ricevuto dal governo italiano 1,7 milioni di rupie (all'epoca circa 25 mila euro) in base ad un accordo extragiudiziale in cui si impegnava a ritirare la sua causa contro l'Enrica Lexie. "Ho speso quasi tutti i soldi in spese legali - dice - e non sono riuscito a comprare una nuova barca". "Io non ho nulla contro i due militari italiani - aggiunge - penso soltanto che hanno agito da irresponsabili e cosi' hanno rovinato la vita a quattro famiglie. Mi chiedo perfino se erano ubriachi". Ma non c'e' risentimento: "Non e' vero che mi sono opposto quando il signor Massimiliano ha chiesto un permesso di andare in Italia per curarsi. Sono stato vittima dell'avidita' di alcuni avvocati a New Delhi che hanno presentato un ricorso a mia insaputa". Dopo le disavventure legali, Bosco si e' affidato a un nuovo avvocato, un suo conoscente, Ripple Hamza, che ha un'esperienza internazionale in diritto marittimo e che cerchera' di ottenere il risarcimento di tutti i danni causati dalla perdita della barca e di tre anni di mancato lavoro. Contattato dall'ANSA, il legale ha detto che "il suo cliente e' in grave difficolta' economica e che nessuno vuole piu' lavorare con lui a Neendakara". Per ora e' in attesa di "vedere quali saranno le prossime mosse del governo italiano". Hamza e' convinto che la migliore soluzione sia affidarsi a un tribunale internazionale in base alla convenzione dell'Onu sul diritto marittimo (Unclos) e in quel caso ci sarebbe la possibilita' per il pescatore di reclamare i suoi diritti come parte lesa. "Per due anni non ho piu' pescato - continua Freddy - ho ripreso a lavorare lo scorso anno a Kochi e poi ora qui a Beypore con questa barca e 12 uomini". Nel suo equipaggio, in partenza per la pesca allo squalo al largo di Goa (tre giorni di navigazione a nord), ci sono anche due 'sopravvissuti' che erano sul St. Antony, Kinserian e Johnson, entrambi del Tamil Nadu, lo stato da cui lui stesso proviene. "Mio padre era un pescatore come lo era mio nonno, io ho iniziato a 15 anni e non sono andato a scuola. Per i miei figli sara' diverso - dice - Voglio lavorare ancora cinque anni in mare e poi basta, cerchero' un altro lavoro meno faticoso".
Maro', peschereccio St. Antony lasciato a marcire in Kerala
Su Ansa
NEENDAKARA (KERALA), 14 FEB - Il peschereccio St.Antony si trova ancora sotto sequestro della polizia nel porto di Neendakara, nello stato indiano meridionale del Kerala, dove era giunto la sera di quel tragico 15 febbraio 2012, ma e' ormai un relitto lasciato a marcire. Lo ha constatato l'ANSA che e' salita a bordo della barca, che si trova sulla sabbia, a pochi metri dall'acqua, in un'area periferica del porticciolo piena di escrementi umani e di cani randagi. I teloni di plastica blu' che lo coprivano si sono strappati e ora il peschereccio e' completamente in balia delle intemperie.
Era stata la National Investigation Agency (Nia), la polizia antiterrorismo che lo scorso anno aveva condotto le indagini, a chiedere di proteggere la 'prova' sottraendola cosi' anche allo sguardo dei curiosi. Dalla perlustrazione e' emerso che lo scafo in legno e' in avanzato stato di degrado, gli strumenti della cabina di pilotaggio sono arrugginiti e il tettuccio di poppa e' parzialmente crollato. In quest'ultimo, pero', e' ancora ben visibile il foro di un proiettile che ha trapassato il legno dall'alto al basso. "Non abbiamo I soldi per sostituire i teloni" ha detto semplicemente un agente della polizia portuale, interpellato a proposito dello stato di abbandono della barca, che e' uno degli elementi chiavi nell'inchiesta a carico dei maro'. Nell'estate del 2012, il peschereccio, allora attraccato a una banchina, era quasi affondato ed era stato salvato in extremis dal proprietario, Freddy Bosco, che lo aveva tirato fuori dall'acqua a proprie spese. Curiosamente, poi, nel dicembre del 2012, la polizia aveva anche deciso di rafforzare la sicurezza intorno alla barca dopo un allarme dei servizi segreti preoccupati di un presunto "attacco dal mare". Ma ora non sembra piu' esserci una rigida sorveglianza da parte del piccolo commissariato situato a circa 50 metri. Nel porto di Neendakara, a circa dieci chilometri dalla cittadina di Kollam, operano circa 3 mila pescherecci e ogni giorno si tiene un importante mercato ittico. Ma pochi pescatori sembrano ormai ricordarsi del peschereccio di Bosco, che spicca da lontano come un relitto fantasma, in mezzo a una selva di barche piu' piccole. (ANSA).
NEENDAKARA (KERALA), 14 FEB - Il peschereccio St.Antony si trova ancora sotto sequestro della polizia nel porto di Neendakara, nello stato indiano meridionale del Kerala, dove era giunto la sera di quel tragico 15 febbraio 2012, ma e' ormai un relitto lasciato a marcire. Lo ha constatato l'ANSA che e' salita a bordo della barca, che si trova sulla sabbia, a pochi metri dall'acqua, in un'area periferica del porticciolo piena di escrementi umani e di cani randagi. I teloni di plastica blu' che lo coprivano si sono strappati e ora il peschereccio e' completamente in balia delle intemperie.
Era stata la National Investigation Agency (Nia), la polizia antiterrorismo che lo scorso anno aveva condotto le indagini, a chiedere di proteggere la 'prova' sottraendola cosi' anche allo sguardo dei curiosi. Dalla perlustrazione e' emerso che lo scafo in legno e' in avanzato stato di degrado, gli strumenti della cabina di pilotaggio sono arrugginiti e il tettuccio di poppa e' parzialmente crollato. In quest'ultimo, pero', e' ancora ben visibile il foro di un proiettile che ha trapassato il legno dall'alto al basso. "Non abbiamo I soldi per sostituire i teloni" ha detto semplicemente un agente della polizia portuale, interpellato a proposito dello stato di abbandono della barca, che e' uno degli elementi chiavi nell'inchiesta a carico dei maro'. Nell'estate del 2012, il peschereccio, allora attraccato a una banchina, era quasi affondato ed era stato salvato in extremis dal proprietario, Freddy Bosco, che lo aveva tirato fuori dall'acqua a proprie spese. Curiosamente, poi, nel dicembre del 2012, la polizia aveva anche deciso di rafforzare la sicurezza intorno alla barca dopo un allarme dei servizi segreti preoccupati di un presunto "attacco dal mare". Ma ora non sembra piu' esserci una rigida sorveglianza da parte del piccolo commissariato situato a circa 50 metri. Nel porto di Neendakara, a circa dieci chilometri dalla cittadina di Kollam, operano circa 3 mila pescherecci e ogni giorno si tiene un importante mercato ittico. Ma pochi pescatori sembrano ormai ricordarsi del peschereccio di Bosco, che spicca da lontano come un relitto fantasma, in mezzo a una selva di barche piu' piccole. (ANSA).
martedì 3 febbraio 2015
mercoledì 21 gennaio 2015
Tomaso e Elisabetta, dopo cinque anni assolti da accusa di omicidio
Su ANSA
"Aspettiamo come abbiamo sempre fatto in questi anni con serenita' e con la consapevolezza di essere innocenti". Cosi' Tomaso Bruno aveva detto poco prima di Natale al docente universitario Marco Zolli, uno dei pochi italiani che vivono e lavorano a Varanasi, la citta' sacra sul Gange, e che e' stato un punto di riferimento per le famiglie dei due detenuti. In questi quasi cinque anni di prigionia Tomaso e l'amica Elisabetta Boncompagni sono riusciti ad entrare in sintonia con l'India e ad 'assorbire' la proverbiale pazienza degli indiani. "Chi vive qui - spiega all'ANSA Zolli che e' anche direttore del Centro Risorse India, una scuola che offre corsi residenziali di hindi - dopo un po' impara a convivere e con i tempi e la mentalita' di questo Paese dove puo' succedere di tutto e il contrario di tutto". Grazie a questa sua buona predisposizione, continua "Tomaso e' sempre stato rispettato e trattato bene da tutti, sia dai detenuti che dal personale del carcere". Ha anche imparato la lingua hindi, riuscendo quindi a interagire con i compagni di cella. Il penitenziario di Varanasi ospita circa 1600 detenuti, ma gli occidentali sono soltanto sei, compresi i due italiani. "C'e' un proverbio in India che dice che l'ospite e' un Dio - spiega Zolli - e questo principio e' valido anche in un carcere. Nessuno ha mai pensato di alzare una mano contro di loro o di usare violenza". Ovviamente gli standard non sono italiani, ma sono molto meglio del carcere 'orrore' di Tihar di New Delhi, sovraffollato all'inverosimile. Dopo essere stati condannati all'ergastolo nel 23 luglio 2011, i due giovani sono detenuti in un grande capannone comune con circa 150 prigionieri (nelle rispettive sezioni maschile e femminile del carcere). Possono vedersi una volta alla settimana e parlare con i familiari o amici negli orari di visita, ma non sono autorizzati a ricevere telefonate o la posta. "Sono due persone per bene e molto disciplinate - ha detto all'ANSA il direttore Ashish Tiwari considerato 'come molto disponibile e attento' ai bisogni dei detenuti. E' stato lui stamane a comunicare la bella notizia convocandoli nel suo ufficio. "Quando ho detto che erano stati assolti - ha aggiunto - non ci credevano, pensavano fosse uno scherzo". Dopo la sua nomina due anni fa, Tiwari ha introdotto dei miglioramenti, anche se agli occhi di un occidentale, le condizioni sono ancora da carcere lager. Basta pensare che i prigionieri dormono per terra e non hanno acqua corrente nella loro cella. Nel 2011 un inviato del programma 'Le Iene' aveva svelato le 'condizioni disumane' dopo essere entrato con le telecamere nel carcere. La denuncia di Italia Uno ha avuto l'effetto di richiamare l'attenzione sul loro caso che fino ad allora era passato inosservato sui media italiani concentrati piuttosto sulla nota vicenda dei maro' Massimiliano Latorre e Salvatore Girone arrestati nel febbraio 2012 con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani. E' anche aumentato l'interessamento delle autorita' italiane. L'ambasciatore d'Italia a New Delhi, Daniele Mancini, si e' recato cinque volte nel carcere di Varanasi negli ultimi due anni. E quando saranno rilasciati, nei prossimi giorni, ci andra' di nuovo per portarli a New Delhi, secondo quando ha dichiarato oggi Marina Maurizio, la madre di Tomaso. In questi lunghi anni, lei e il marito Euro Bruno hanno trascorso lunghi periodi nella citta' sul Gange e poi anche a New Delhi per seguire il processo di terzo grado alla Corte Suprema avviato nel settembre 2013, ma che e' stato discusso soltanto lo scorso dicembre dopo una lunga serie di rinvii. A causa di questa odissea giudiziaria, i coniugi Bruno hanno speso una fortuna in spese legali e di viaggio, ma la loro costanza alla fine e' stata premiata. Durante la sua ultima permanenza, di quasi tre mesi, la madre di Tomaso aveva detto: "prima o poi mio figlio me lo portero' a casa". Ed e' stato prima del previsto perche' aveva gia' in tasca un biglietto di aereo per l'ennesimo viaggio della speranza a Varanasi.
"Aspettiamo come abbiamo sempre fatto in questi anni con serenita' e con la consapevolezza di essere innocenti". Cosi' Tomaso Bruno aveva detto poco prima di Natale al docente universitario Marco Zolli, uno dei pochi italiani che vivono e lavorano a Varanasi, la citta' sacra sul Gange, e che e' stato un punto di riferimento per le famiglie dei due detenuti. In questi quasi cinque anni di prigionia Tomaso e l'amica Elisabetta Boncompagni sono riusciti ad entrare in sintonia con l'India e ad 'assorbire' la proverbiale pazienza degli indiani. "Chi vive qui - spiega all'ANSA Zolli che e' anche direttore del Centro Risorse India, una scuola che offre corsi residenziali di hindi - dopo un po' impara a convivere e con i tempi e la mentalita' di questo Paese dove puo' succedere di tutto e il contrario di tutto". Grazie a questa sua buona predisposizione, continua "Tomaso e' sempre stato rispettato e trattato bene da tutti, sia dai detenuti che dal personale del carcere". Ha anche imparato la lingua hindi, riuscendo quindi a interagire con i compagni di cella. Il penitenziario di Varanasi ospita circa 1600 detenuti, ma gli occidentali sono soltanto sei, compresi i due italiani. "C'e' un proverbio in India che dice che l'ospite e' un Dio - spiega Zolli - e questo principio e' valido anche in un carcere. Nessuno ha mai pensato di alzare una mano contro di loro o di usare violenza". Ovviamente gli standard non sono italiani, ma sono molto meglio del carcere 'orrore' di Tihar di New Delhi, sovraffollato all'inverosimile. Dopo essere stati condannati all'ergastolo nel 23 luglio 2011, i due giovani sono detenuti in un grande capannone comune con circa 150 prigionieri (nelle rispettive sezioni maschile e femminile del carcere). Possono vedersi una volta alla settimana e parlare con i familiari o amici negli orari di visita, ma non sono autorizzati a ricevere telefonate o la posta. "Sono due persone per bene e molto disciplinate - ha detto all'ANSA il direttore Ashish Tiwari considerato 'come molto disponibile e attento' ai bisogni dei detenuti. E' stato lui stamane a comunicare la bella notizia convocandoli nel suo ufficio. "Quando ho detto che erano stati assolti - ha aggiunto - non ci credevano, pensavano fosse uno scherzo". Dopo la sua nomina due anni fa, Tiwari ha introdotto dei miglioramenti, anche se agli occhi di un occidentale, le condizioni sono ancora da carcere lager. Basta pensare che i prigionieri dormono per terra e non hanno acqua corrente nella loro cella. Nel 2011 un inviato del programma 'Le Iene' aveva svelato le 'condizioni disumane' dopo essere entrato con le telecamere nel carcere. La denuncia di Italia Uno ha avuto l'effetto di richiamare l'attenzione sul loro caso che fino ad allora era passato inosservato sui media italiani concentrati piuttosto sulla nota vicenda dei maro' Massimiliano Latorre e Salvatore Girone arrestati nel febbraio 2012 con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani. E' anche aumentato l'interessamento delle autorita' italiane. L'ambasciatore d'Italia a New Delhi, Daniele Mancini, si e' recato cinque volte nel carcere di Varanasi negli ultimi due anni. E quando saranno rilasciati, nei prossimi giorni, ci andra' di nuovo per portarli a New Delhi, secondo quando ha dichiarato oggi Marina Maurizio, la madre di Tomaso. In questi lunghi anni, lei e il marito Euro Bruno hanno trascorso lunghi periodi nella citta' sul Gange e poi anche a New Delhi per seguire il processo di terzo grado alla Corte Suprema avviato nel settembre 2013, ma che e' stato discusso soltanto lo scorso dicembre dopo una lunga serie di rinvii. A causa di questa odissea giudiziaria, i coniugi Bruno hanno speso una fortuna in spese legali e di viaggio, ma la loro costanza alla fine e' stata premiata. Durante la sua ultima permanenza, di quasi tre mesi, la madre di Tomaso aveva detto: "prima o poi mio figlio me lo portero' a casa". Ed e' stato prima del previsto perche' aveva gia' in tasca un biglietto di aereo per l'ennesimo viaggio della speranza a Varanasi.
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