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Nonostante gli scambi commerciali che l’anno scorso hanno registrato un aumento del 50%, India e Cina continuano a guardarsi con sospetto. L’annosa questione della delimitazione del confine di oltre 4 mila chilometri che taglia in due la catena dell’Himalaya rimane ancora irrisolta e, secondo alcuni commentatori indiani, la missione di Manmohan Singh, in corso a Pechino, non porterà a molti passi in avanti. Le prime esercitazioni militari congiunte che si sono tenute a dicembre nella provincia dello Yunnan non ha dissipato la diffidenza reciproca dei due eserciti che nel 1962 hanno combattuto una miniguerra di frontiera. I due giganti asiatici rivendicano ampie porzioni di territorio e non hanno mai smesso di avanzare pretese sulla base di diritti acquisiti nel periodo coloniale britannico. Pechino, per esempio, non riconosce l’intero stato indiano dell’Arunachal Pradesh, nel nord est, incassato tra Bhutan e Tibet. Le trattative sulla linea di demarcazione conosciuta come “Line of Actual Control” sono iniziati nel 2003 e nonostante numerosi round di negoziati, non sono mai arrivati a tracciare una mappa che possa mettere fine alle dispute territoriali.
Sul confine permane anche una certa tensione militare. In un’intervista televisiva, alla vigilia della partenza di Singh, il ministro degli esteri Pranab Mukerjee ha ammesso che “qualche volta si sono verificate incursioni cinesi oltre la Line of Actual Control”. Anche se non ci sono state ripercussioni dal punto di vista pratico, nel senso che non c’è stata una reazione militare da parte indiane, “è difficile ignorarle”. Negli ultimi due anni si sono registrate circa 300 intrusioni di militari cinesi sia nel settore orientale del Sikkim e Arunachal Pradesh, che nell’Uttaranchal Pradesh e nell’estremità occidentale intorno al grande lago Pangkok Tso in Ladakh.
Il governo di Nuova Delhi è estremamente cauto a non irritare il potente vicino, ma negli ambienti diplomatici si avverte una certa preoccupazione per lo sviluppo di infrastrutture oltre frontiera nella regione autonoma del Tibet. Il ministro Mukherjee ha ammesso anche che i cinesi “hanno una superiorità infrastrutturale in termini di strade, elettricità e altri servizi di trasporto”. L’India sta cercando di colmare il divario con un piano di opere pubbliche nelle regioni himalayane, ma il ritardo accumulato è enorme. Il supertreno cinese, inaugurato nel 2006, che va fino a Lhasa, è un esempio di come Pechino intende espandere la sua influenza all’interno del suo territorio fino al confine indiano e in particolare sull’altipiano tibetano dove è in corso una massiccia “sinesizzazione”. Gli indiani sono anche preoccupati dal vasto potenziamento dell’arteria autostradale della Karakoram che collega il Pakistan, “alleato” di Pechino, lungo i picchi del K2. Un altro elemento “irritante” è la presenza del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio nella località montana indiana di Dharamsala dal 1959. Di recente Nuova Delhi ha mostrato una certa “freddezza” nei confronti della causa tibetana. Quando agli inizi di novembre il settantaduenne Premio Nobel per la Pace è ritornato in India dopo la consegna della Medaglia d’Oro da parte del Congresso americano, i ministri sono stati invitati a non partecipare alle celebrazioni perché “non erano conformi con la politica estera del governo”.
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