martedì 15 aprile 2008

Priyanka Gandhi incontra in carcere complice killer del padre Rajiv

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“Ho voluto vedere in faccia gli assassini di mio padre. Ho bisogno di fare pace con me stessa per superare la violenza che è entrata nella mia vita”. Così Priyanka Gandhi, la figlia di Sonia, ha motivato il suo incontro con l’ergastolana Nalini Shriharan, una complice del commando suicida delle Tigri Tamil che nel 1991 uccise il padre Rajiv mentre si trovava in un comizio elettorale nello stato meridionale del Tamil Nadu. A quel tempo Priyanka aveva 19 anni e aveva ancora negli occhi l’assassinio della nonna Indira nel 1984.
“E’ stata una visita privata – ha detto a un canale televisivo privato indiano – di cui non voglio parlare”. Ma oggi il quotidiano “The Times of India” svelava alcuni particolari riportati dai due avvocati di Nalini che hanno organizzato l’incontro avvenuto lo scorso 19 marzo nella prigione di Vallore dove la militante tamil sta scontando l’ergastolo. Era stata condannata a morte, ma nel 1989 Sonia Gandhi chiese di commutare la pena capitale in carcere a vita su “basi umanitarie” considerato che Nalini era madre di una bambina di 5 anni nata in carcere. Secondo quanto riportato dal giornale, Priyanka avrebbe voluto conoscere come e perché è stato ucciso il padre. “Era una brava persona. Si poteva trovare una soluzione attraverso il dialogo – avrebbe detto a Nalini che all’epoca dell’attentato aveva 26 anni ed era la moglie di un ribelle delle Tigri Tamil. La coppia fu utilizzata come “copertura” dai quattro militanti responsabili dell’attacco che avvenne il 21 maggio 1991. A farsi esplodere davanti a Rajiv era stata una kamikaze, Dhanu, che si era inchinata davanti al leader del Congresso con un mazzo di fiori. Sosteneva di essere stata una vittima di atrocità commesse dall’esercito indiano inviato come forza di pace in Sri Lanka nel 1987 dallo stesso Gandhi per garantire il processo di pace tra governo cingalese e i ribelli tamil. La “mente” del commando, Sivarasan, e gli altri complici furono sorpresi qualche mese dopo nella città di Bangalore, ma si suicidarono con una capsula di cianuro per sfuggire alla cattura. Nalini e suo marito Murugan (anche lui condannato a morte) furono arrestati in una seconda operazione e sono oggi gli unici sopravissuti della cellula suicida.

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