sabato 6 dicembre 2008

Emanuele Lattanzi: non sono un eroe, ma solo un padre di famiglia

Su Famiglia Cristiana
“Non mi sento un eroe, ma solo un padre di famiglia”. Non si stanca di ripeterlo Emanuele Lattanzi, il cuoco romano che ha sfidato i terroristi per portare il latte alla sua bambina intrappolata con la madre in una camera dell’hotel Trident-Oberoi di Mumbai. Si sta riprendendo dallo shock di quei tre giorni passati sul marciapiede con gli occhi fissi al primo piano di quel palazzone che si specchia nell’Oceano Indiano. E’ ora di ricominciare a vivere, di “ritornare al tran tran quotidiano” come dice sua moglie Lea che è preoccupata perché “ha dovuto fare la parte della dura” e sta ancora aspettando di sciogliersi in lacrime. Ma Emanuele è molto arrabbiato. “Le televisioni hanno tagliato le parti in cui ringraziavo il consolato italiano e le persone che mi hanno aiutato. Non è giusto” si sfoga in questa intervista esclusiva a Famiglia Cristiana interrotta ogni tanto dal pianto della piccola Clarice, nata sei mesi fa a Roma e diventata anche nella lontana India il simbolo della speranza dopo il sanguinoso attentato che ha ucciso quasi 200 persone, tra cui un italiano.
Domanda: come ci si sente nei panni di eroe?
Emanuele: io volevo solo portare il latte alla mia bambina che ormai era stremata dalla fame. Ho fatto quello che farebbero tutti i padri di famiglia. Avevo solo quello in testa, ma ci sono riuscito grazie all’aiuto di altre persone il cui intervento è stato determinante. Però le televisioni italiane e anche il quotidiano indiano “Bombay Mirror” ha tagliato le parti in cui ringraziavo queste persone. Sembra che sia stato solo io a prendermi i meriti.
D. Chi sono?
E. Innanzitutto il presidente della catena alberghiera Oberoi, Ratan Keswani, che mi aggiornava continuamente della situazione all’interno e che quando ho deciso di entrare la mattina del secondo giorno è venuto con me e con le truppe fino alla camera di Lea. Poi il funzionario del consolato Francesco Venti, il mio angelo custode che è sempre stato come me e teneva i contatti telefonici con mia moglie, perché io a un certo punto non ce la facevo più a parlare perché ero troppo sconvolto. Ma ci ha aiutato anche una famiglia che abitava vicino e che ci portava da mangiare e ci caricava i telefonini. E’ un eroe anche il maitre del mio ristorante che ha salvato tre italiani facendoli scappare dalle cucine.
D. Certo però quelle immagini di te che esci trionfante dall’albergo con la piccola Clarice in braccio mostrano un uomo coraggioso…
E. Quando sono uscito pensavo solo a raggiungere la macchina. Quelli con le telecamere mi stavano travolgendo senza pietà, nonostante avessi la bambina in braccio, allora ho cercato di proteggerla con una mano, mentre con l’altra mi facevo largo. Comunque sempre per chiarire la faccenda dell’eroe, bisogna sapere che quando sono andato da mia moglie l’hotel Trident era sicuro al 99%. Le esplosioni e le sparatorie che sentivo erano nell’altra ala dove c’è l’Oberoi.
D. Che cosa hai fatto in quel momento?
E. Loro erano chiusi dentro la camera al primo piano, ma erano stati avvertiti del mio arrivo. Li ho abbracciati e abbiamo subito allattato la bimba che ringraziando Dio è stata molto brava e forte. Dopo qualche ora, ci hanno detto che il blitz era terminato e che potevano uscire.
D. Finito l’incubo e ora?
E. Adesso siamo ospiti di Francesco, ma nei prossimi giorni ritorneremo nell’hotel. Ho già fatto una perlustrazione. Il mio ristorante è rimasto intatto, ma il Tiffin al piano terra è devastato. Hanno ucciso 11 persone dello staff e 35 clienti. Non bisogna farsi prendere dalla paura e comunque ormai penso che in tutto il mondo siamo in pericolo.

Si sentono dei gridolini in sottofondo, Emanuele lascia la cornetta a Lea e va a prendere in braccio la bambina.

Domanda: E vero che non ti è ancora scappata una lacrima?
Lea: Mi preoccupa questo mio stato di calma. Forse è meglio che vado da un dottore, non vorrei avere un crollo psicologico più tardi. Ho dovuto fare la dura anche perché le quattro massaggiatrici indonesiane che erano con me in camera erano in preda al panico. Ho fatto da mamma. Ci vorrà del tempo, ma sono abbastanza abituata ai traumi, anche se non così forti. Ho avuto una gravidanza molto difficile e poi in Sudafrica dove sono nata e dove sono stata fino a 14 anni ero a contatto quotidiano con il terrorismo. Purtroppo riconosco il suono del kalashnikov. A scuola facevano anche dei corsi di addestramenti per fronteggiare gli attacchi terroristici.
D. Cosa dirai a Clarice quando sarà grande?
L. Non molto, non voglio esaltare questi momenti che fanno parte della nostra vita. E’ successo a Londra pochi mesi prima che partissimo, potrebbe succedere in un qualsiasi aeroporto o anche a Roma. Non bisogna darla vinta a questa gente.
D. E’ cambiato ora il rapporto con la bimba?
L. Nessuno potrà dire che non sono più una buona mamma ora! Sono riuscita a farla sopravvivere per due giorni con acqua e nove biscotti al cioccolato pieni di coloranti che spezzettavo nel biberon. Pensare che io mi faccio sempre tanti scrupoli ora che ho iniziato lo svezzamento.
D. E adesso?
L: Io sono in maternità, prima gestivo il marketing dell’hotel de Russie. Considero l’India un passaggio nella carriera di Emanuele. Adesso cerchiamo di riprendere il tran tran quotidiano, ma non abbiamo ancora fatto progetti per il futuro. Sogno di ritornare in Italia magari in un piccolo paesello di provincia dove forse sono al sicuro…

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