lunedì 1 dicembre 2008

Mumbai, reportage nella città assediata

Su Il Giornale
Mumbai – Non era mai successo di impiegare solo 20 minuti per andare dall’ aeroporto alla punta di Colaba, la parte più autentica di Mumbai dove batte il suo cuore turistico e commerciale. Per tutto il giorno di ieri le strade della megalopoli indiana sono state deserte, i negozi chiusi, nessun bus e pochissimi taxi. La catena di attentati di mercoledí sera ha messo in ginocchio l’intera città dopo averla colpita al cuore nel suo simbolo più noto, l’hotel Taj Mahal che sorge sull’estremità davanti al monumento del Gateway of India. Ed è proprio l’India a soffrirne di più da questo attacco che giunge in un momento critico per il miracolo indiano costretti a cedere il passo sotto la pressione della crisi finanziaria. Nelle strade deserte di Colaba, popolata dai mille personaggi descritti in Shantaram, il libro di David Roberts, si avverte la paura della gente quando ti consiglia di non andare nelle zone colpite dai terroristi. Davanti all’hotel Oberoi e al suo gemello più povero, il Trident, appartenente alla stessa catena alberghiera, c’è una piccola folla di curiosi e giornalisti circondati da camion dei vigili del fuoco e dai blindati della Rapid Action Force, uno dei reparti di “teste di cuoio” impiegati nel blitz per liberare gli ostaggi. I due hotel, che fanno parte dello “sky-line” di Mumbai, sorgono di fronte al mare e sono tra i piú costosi della città. Per tenere alla larga la folla la polizia ha chiuso la strada con un paio di camion e poi con una cordicella rossa che a mala pena regge l’urto dei cameraman e fotografi. Alcuni poliziotti bivaccano lungo il marciapiede e sulle panche si cemento del lungomare di Narimar Point. Da qui si gode una vista superba dei grattacieli, ma il fetore di fogna che arriva su dalla riva del mare ricorda che Mumbai non è ancora Shangai, come ambisce a diventare in un prossimo futuro. Nell’hotel Trident, che svetta con i suoi 32 piani, ci sarebbero ancora decine di turisti intrappolati oltre a un numero imprecisato di personale di servizio, forse un centinaio. Ma come è avvenuto per tutta la giornata le notizie sono frammentarie e contraddittorie anche a 24 ore dall’attacco. L’unica cosa certa sono state le esplosioni di varia intensità e i colpi di arma da fuoco che per tutto il pomeriggio sono risuonati dai vicini palazzi e anche fuori dall’hotel nel vialetto di palme, tanto che si è pensato a un certo punto che i reparti speciali braccassero uno degli attentatori nelle viuzze dietro l’edificio. La stessa scena ieri pomeriggio si ripeteva nella punta di Colaba, a qualche chilometro, dove sorge l’hotel Taj Mahal, monumentale edificio in stile coloniale, che durante la notte è stato gravemente danneggiato da un incendio scoppiato nei piani superiori, sotto il suo “cupolone” che è uno dei simboli della città.
Per tutto il pomeriggio di ieri l’intera città ha tenuto il fiato sospeso. Era perfino difficile trovare uno di quei chioschi dove si vendono sigarette e involtini da masticare di “pan”, che fanno parte del paesaggio urbano indiano. Gli unici posti movimentati erano gli ospedali. Nella sala mortuaria del J.J. Hospital, un vecchio e decadente ospedale, hanno anche portato il corpo di Antonio De Lorenzo, l’unico italiano tra le oltre 120 vittime, ucciso da una granata mentre si trovava con il figlio a cena all’Oberoi. Il suo corpo giace per terra insieme ad altri stranieri. La procedura di riconoscimento è già stata effettuata con l’intervento del consolato ed è in attesa di essere portato via. C’e un via vai pazzesco di poliziotti, medici e anche due diplomatici americani che sembrano abbastanza spazientiti dalla tipica confusione indiana. Sulle loro teste passano lastre dei raggi X e spessi plichi di fotocopie che sanno di disinfettante. Non c’è nessuno che piange, ma alcuni indiani hanno gli occhi rossi. Uno di loro ha perso un fratello che lavoravo come inserviente al Taj Mahal. Dentro nei reparti sono ricoverate 169 persone per ferite di arma da fuoco e per ustione. Alcuni sono in gravi condizioni. In questo ospedale c’è stata anche una italiana lievemente ferite, ma era già stata dimessa in mattinata.
La presenza di così tanti stranieri coinvolti è di sicuro un brutto colpo per l’industria turistica di Mumbai. “C’erano già stato un calo di turisti – afferma un taxista, uno dei pochi che ieri non aveva paura di viaggiare a Colaba – per via della crisi finanziaria mondiale, adesso chi verrà di nuovo a Mumbai sapendo che non si è sicuri neppure negli hotel più famosi e più cari?”’. Ma è anche l’orgoglio di una nazione che si è infranto con le bombe dell’altra sera. L’India, patria del Mahatma, l’apostolo della non violenza, è sconquassata da questo ennesimo attentato che per la gravità è simile alla scia di bombe che devastarono la borsa e alcuni hotel a cinque stelle nel 1993 e che portavano la firma della criminalità organizzata in diabolica connessione con i gruppi della jihad pachistana. Allora si trattò di una “rappresaglia” per la distruzione della moschea Babri nella città di Ayodhya, sacra agli induisti,ordinata dal partito indu nazionalista del Bjp, il Partito Popolare Indiano. Anche ora ci sono delle coincidenze, come il minitest elettorale in corso in alcuni stati del nord tra cui quello di Delhi. Gli indizi portano di nuovo alla pista islamica, in particolare alla Lashkar-e-Taiba, un gruppo che ha base a Karachi, da cui sarebbero arrivati via mare i terroristi con il loro carico di morte.

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