lunedì 1 dicembre 2008
Mumbai, con il cuoco Emanuele davanti all'Oberoi
Su Il Giornale A forza di andare su e giù avrà consumato qualche centimetro di cemento del lungomare,Emanuele Lattanzi, lo chef italiano dell’Oberoi che ieri ha trascorso la peggiore giornata della sua vita. La moglie Lea e la loro neonata di sei mesi sono rimaste intrappolate dentro l’albergo preso d’assalto dai terroristi. Verso l’una di notte ora indiana, si trovavano ancora in una camera al primo piano insieme ad altri quattro stranieri. “”Alcuni degli ostaggi sono stati liberati e sono usciti, ma tra questi non c’e mia moglie” si dispera Emanuele, romano di 32 anni e da un paio di anni ai fornelli del ristorante italiano “Il vetro”, uno dei più rinomati e chic della metropoli. Ha appena sentito la moglie al telefonino. Sta bene, ma è la piccola che è stremata dopo 24 ore senza latte. “Va avanti a biscotti e acqua – aggiunge con gli occhi arrossati dal dolore e dalla fatica. Il tempo non sembra passare mai su quel marciapiede e ogni nuova esplosione lo fa trasalire. Per tutto il giorno ha ciondolato in pochi metri quadrati, dietro il cordone della sicurezza, dove poteva scorgere l’edificio marroncino dell’Oberoi, il suo posto di lavoro trasformatosi in incubo. Vicino a lui c’e sempre Francesco Venti, funzionario del consolato di Mumbai, diventato il suo angelo custode. “Mi ha sposato” scherza a un certo punto probabilmente cercando di non cedere alla tensione. Ogni tanto riceve qualche telefonata dall’estero, per esempio dalla Spagna e poi da Londra, dove abitava prima e da cui è “partito prima delle bombe alla metropolitana e adesso me le ritrovo qui”. Per fortuna la moglie Lea, sua coetanea, di Faenza, che sente ogni dieci minuti ha un carattere forte. La figlia, Clarici (“l’abbiamo chiamata come la bisnonna”) è nata in Italia. Ma da poco la famiglia lo aveva raggiunto e per ora soggiornava nell’hotel gemello del Trident, sempre della catena Oberoi. Al momento dell’assalto madre e neonata si trovavano in piscina. Poi si sono rifugiate in una camera e da lí hanno seguito le istruzioni del personale dell’hotel di chiudersi dentro e rimanere calmi. Ma per Emanuele, da fuori, è stato difficile rimanere calmo soprattutto quando è iniziato il blitz delle teste di cuoio all’alba. “Lo si sa che questi sono pronti a tutto, non hanno nessun scrupolo, guarda come hanno sparato a raffica nei ristoranti ieri sera”. Dopo alcune voci - che si sono rivelate poi false - di una trattativa in corso con i sequestratori, è ritornata la speranza. Poi verso le 18 è arrivata la prima buona notizia sottoforma di un messaggino di Lea che scriveva tutto in maiuscolo: “Ci hanno detto che i militari sono arrivati sul nostro piano” . Ma fuori si continuava a sparare e le esplosioni si facevano più frequenti. La battaglia piano per piano contro i terroristi superstiti era ancora in corso. A un certo punto si era diffusa la notizia che i reparti speciali stavano “scendendo” dai piani alti verso quelli bassi. Come tutti i grandi hotel a cinque stelle anche l’Oberoi è un reticolo di camere, corridoi e scale di servizio. E’ probabile che i terroristi abbiano giocato a nascondino riuscendo a impegnare per così tante ore centinaia di commando d’elite dell’esercito. Ma per Emanuele ora conta solamente riabbracciare al più presto moglie e figlioletta. A un certo punto telefona perfino alla baby sitter. “Ricordati di portare dei pannolini, ne avrà bisogno, e poi del latte in polvere…”. Poi guarda di nuovo il massiccio hotel che si specchia nel mare di fronte. “Non so se rimarrò in India dopo quello che è successo, forse non avrò mai più il coraggio di entrare là dentro”.
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