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Ad un anno dalla caduta della monarchia, il Nepal rischia di nuovo di precipitare in un caos politico che potrebbe portare a nuove rivolte di piazza a Katmandu. La crisi di governo, innescata dalla rimozione del generale Rookmangud Katawal, getta nuove incognite sulla transizione politica dell’ex regno himalayano verso una repubblica democratica in base agli accordi di pace del 2006. In queste ore i principali partiti sono impegnati in frenetiche trattative per la formazione di una nuova coalizione di governo dopo le dimissioni di ieri del primo ministro Pushpa Kamal Dahal, meglio conosciuto con il suo nome di guerra di “Prachanda”, che significa “il fiero”. Il presidente Ram Baran Yadav ha dato tempo ai partiti fino a sabato prossimo per risolvere la crisi, ma sarebbe escluso un compromesso con i maoisti che hanno deciso per protesta di bloccare i lavori parlamentari e minacciano di scendere in piazza. Anche oggi si sono registrati violenti scontri tra la polizia e un migliaio di dimostranti a Kathmandu che hanno fatto appello alla mobilitazione generale.
Con 238 seggi su un totale di 601, il partito dell’ex capo ribelle Prachanda è la prima forza nell’Assemblea Costituente eletta nelle prime elezioni democratiche che si sono tenute nell’aprile 2008 e incaricata di redigere una nuova costituzione entro il maggio 2010. Il secondo partito è il Congresso Nepalese, legato alla tradizionale e conservatrice dinastia politica dei Koirala con 114 seggi, mentre il terzo è il partito comunista CPN (UML) con 110 seggi. E’ stato proprio quest’ultima forza politica a ritirarsi dalla coalizione di governo domenica scorsa per protesta contro la decisione di Prachanda di “silurare” il generale Katawal per “insubordinazione”. Una decisione abbastanza controversa dal punto di vista costituzionale. Il capo di stato maggiore, che tra pochi mesi andrà in pensione e che si è formato in un’accademia militare in India, era già da tempo in rotta di collisione con il partito di maggioranza maoista per il suo rifiuto di integrare nelle fila dell’esercito nepalese gli ex guerriglieri. Lo scorso marzo la Corte Suprema Nepalese era intervenuta contro il ministro della difesa per sospendere la decisione di “pre-pensionare” otto ufficiali dell’esercito.
Circa 19 mila ex ribelli maoisti hanno deposto le armi in base agli accordi di pace del 2006 e si trovano attualmente in decine di caserme sotto la sorveglianza di osservatori delle Nazioni Unite. Le sorti della milizia maoista, che dal 1996 ha guidato una sanguinosa guerriglia per il rovesciamento della corona, è uno dei nodi irrisolti che ora è venuto al pettine.
Secondo quanto accusato dallo stesso Prachanda - ieri nel discorso televisivo alla nazione in cui ha annunciato le sue dimissioni - dietro la crisi ci sarebbe anche lo zampino dell’India, l’influente vicino che ha sempre appoggiato l’unica monarchia induista al mondo.
Il primo ministro ha citato “elementi stranieri e forze reazionarie” tra i fattori che hanno provocato la crisi istituzionale. Il governo di Nuova Delhi teme di perdere influenza politica sul Nepal - con cui gode di legami etnici e culturali oltre che economici – e soprattutto è preoccupato dal rafforzamento delle relazioni diplomatiche tra il governo maoista e la Cina, l’altro gigante asiatico interessato ad allargare la sua sfera di influenza a sud del Tibet. In diverse occasioni la diplomazia indiana avrebbe appoggiato apertamente il generale Katawal, considerato tra l’altro leale al deposto monarca Gyanendra che - anche se spogliato di ogni potere - continuerebbe a giocare un ruolo non marginale nella vita politica nepalese come dimostra la sua visita di qualche mese fa a Nuova Delhi.
mercoledì 6 maggio 2009
Analisi - Maoisti di nuovo sul piede di guerra in Nepal
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