sabato 16 maggio 2009

ELEZIONI 2009 / Analisi / La riscossa dei Gandhi

Su Apcom

Ancora una volta i Gandhi, la dinastia politica più potente e longeva, hanno mostrato di toccare le corde profonde dell’India, non solo delle masse analfabete delle campagne, ma anche dell’emergente borghesia delle metropoli come Nuova Delhi, Mumbai e Calcutta. Il partito del Congresso è emerso come netto vincitore in queste elezioni per il rinnovo della Camera Bassa riuscendo a superare la soglia dei 200 seggi che equivale al 38% del parlamento. Insieme agli alleati pre-elettorali avrebbe 260 seggi che non è la maggioranza assoluta, ma permette di formare agevolmente un governo stabile senza sottostare ai ricatti dei “partitini”. Contrariamente ai sondaggi che davano alla pari il Congresso e l’opposizione del Bjp, non ci sono “aghi della bilancia”. Il partito di Sonia Gandhi può “regnare” da solo per altri cinque anni anche senza il supporto dei partiti comunisti che avevano già ritirato il loro appoggio esterno alla coalizione di Manmohan Singh perché contrari all’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. Nei prossimi giorni il premier uscente Singh, 76 anni, economista oxfordiano, reduce da un’operazione di bypass, salirà al Rashtrapati Bhawan, il “Campidoglio” di Delhi, per chiedere l’incarico alla presidente della repubblica Pratibha Patil. Curiosamente è il primo premier dall’epoca di Jawaharlal Nehru a ottenere un secondo mandato dopo aver completato una legislatura. Nel pomeriggio Singh è andato a omaggiare la leader Sonia nella residenza-ufficio del numero 10 di Janpath dove per tutto il giorno i simpatizzanti del Congresso hanno scandito slogan e cantato “Jai Ho”, la musica del film successo The Millionaire utilizzata per la campagna elettorale. Il premier – in casacca bianca e turbante azzurro – ha ringraziato gli elettori e la leader Sonia Gandhi che lo scelse fin dal 2004 per ricoprire un incarico che sarebbe toccato a lei. “Il popolo indiano ha fatto la giusta scelta” sono state le uniche parole della leader italo-indiana, di solito molto restia a parlare davanti alla stampa.
Dalle elezioni escono due perdenti: gli indu-nazionalisti del Bjp che hanno perso oltre dieci seggi e che non sono riusciti a sfondare neppure negli stati sicuri, come il nord occidentale Gujarat, feudo del falco Narendra Modi e i partiti comunisti che hanno perso metà dei voti. Il Bjp, il Partito del Popolo Indiano, è ora sotto shock e molto probabilmente il suo leader Lal Krishna Advani abbandonerà la politica dopo quasi 60 anni di carriera. L’ultraottantenne Advani, che da oltre un anno era proiettato come futuro primo ministro, avrebbe deciso di non continuare a guidare l’opposizione. Il portavoce del Bjp, Arun Jaitley, in una conferenza stampa nel tardo pomeriggio, ha accettato la sconfitta e ha promesso di collaborare con la nuova maggioranza per garantire all’India di vincere le sfide del terrorismo e della crisi economica. “Il risultato è stato una sorpresa per noi – ha detto – Abbiamo fatto bene in alcuni stati, ma in altri siamo stati al di sotto delle aspettative”. Secondo B.Raman, editorialista del sito internet “Rediff”, Advani avrebbe “pagato il prezzo una campagna elettorale negativa basata su accuse personali a Singh e non su un’agenda politica alternativa”. L’anziano “falco” del Bjp aveva accusato il premier di essere il più “debole” della storia indiana e di essere asservito al volere dell’ “italiana” Sonia Gandhi.
La debacle dei comunisti nel Bengala Occidentale e in Kerala, le due roccaforti rosse, era invece stata ampiamente prevista dai sondaggi. I comunisti si erano opposti l’anno scorso all’accordo indo-americano sul nucleare che pone fine a trenta anni di isolamento dell’India e favorisce lo sviluppo del nucleare come alternativa alla dipendenza dall’importazione di idrocarburi. Il Partito Comunista Indiano e il suo “gemello” marxista diventano ora marginali nel Parlamento dove prima erano la terza forza con 60 seggi. A emergere in Bengala Occidentale, lo stato di Calcutta, è il piccolo partito Trinamul della “pasionaria” Mamata Banerjee che ha guidato il fronte contadino contro il progetto di fabbrica della Tata Nano a Singur e che a livello locale è alleato del Congresso. Se dovesse entrare nella coalizione di governo, la battagliera Mamata potrebbe rivelarsi un elemento scomodo per il suo retaggio di lotta contro la grande industria e gli investimenti stranieri.
E’ stata invece “neutralizzata” Mayawati, la regina degli intoccabili e leader dell’Uttar Pradesh, lo stato chiave per la presenza di una popolazione di 160 milioni di abitanti, tra cui una forte minoranza di mussulmani. Pur avendo migliorato la sua performance con 23 seggi su un totale di 80 aggiudicati dal suo partito dell’elefante (il Bsp), la controversa Mayawati vede sfumare il suo sogno di diventare la prima premier appartenente alla grande massa dei “fuori casta” che sono il 13% della popolazione indiana.

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