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“Sono molto preoccupato dalle ripercussioni negative sull’immagine del nostro Paese causate da alcune vicende come quella dei rifiuti”. Da Nuova Delhi, dove si trova in veste di presidente di Altagamma, Leonardo Ferragamo lancia un campanello di allarme per il Made in Italy. “Lo stile italiano è molto apprezzato in India e in tutto il mondo e lo dobbiamo a tante nostre aziende che da decenni hanno puntato su prodotti di qualità. Ma negli ultimi anni i problemi di casa nostra sono rimbalzati sui media di tutto del mondo e stanno purtroppo offuscando l’immagine del Paese, lo stanno rendendo poco appetibile e poco desiderato anche come destinazione turistica”. Altagamma, che rappresenta un giro di affari di 30 miliardi di euro, di cui l’80% proviene da esportazioni, intende quindi “chiedere al prossimo governo di mettere come punto prioritario in agenda l’attività di promozione dell’immagine dell’Italia” che secondo Ferragamo “va gestita come una brand di lusso, ovvero con un’azione costante, efficacie e continua di promozione dell’immagine. Abbiamo così tanto di positivo, bello e di unico da trasmettere che non farlo sarebbe inconcepibile”.
Oggi nella capitale indiana Altagamma e la CII, la Confindustria indiana, firmeranno un memorandum d’intesa che è il frutto di un dialogo avviato tre anni fa dalle aziende del lusso italiano con il governo indiano, in particolare con il dinamico ministro del commercio Kamal Nath. “Grazie alla nostra azione, in questi anni l’India ha liberalizzato l’accesso degli investimenti nel settore retail aprendo le porte così a molte aziende italiane – ha spiegato Ferragamo - C’è ora una disponibilità a migliorare ulteriormente queste condizioni di ingresso”.
In particolare la delegazione di Altagamma, composta da 14 aziende, chiederà al governo indiano di rivedere la politica dei dazi doganali “aggiuntivi” sull’importazione di beni di lusso che sono in media del 45-55%, con punte del 100% su alcuni prodotti tessili. Questo fa si che i prezzi delle brand straniere di lusso in India siano più care del 30% circa rispetto agli altri mercati di Londra, Dubai o Singapore. Un'altra richiesta è quella di permettere il “passaggio” dalla formula del franchising a quella della joint venture. Dopo la liberalizzazione degli investimenti stranieri diretti fino al 51% in negozi “monomarca” avvenuta del 2006, molte marche italiane sono interessate ad abbandonare i precedenti contratti di franchising e ad entrare direttamente nel mercato. Le uniche joint venture presenti ora sono quelle di Tod’s, Fendi, Ermenegildo Zegna e la più recente di Salvatore Ferragamo (che prevede di aprire 5 negozi nei prossimi tre anni, tra cui quello di Nuova Delhi nel centro commerciale dedicato alla moda “Emporio” di prossima apertura che ospiterà anche Dolce e Gabbana, Giorgio Armani, Prada, Bottega Veneta, Gucci, La Perla).
Negli ultimi due anni sono approdate tra Nuova Delhi e Mumbai quasi tutte le grandi firme della moda italiana, da Moschino a Alberta Ferretti, Versace e Brioni, per fare qualche esempio. Ma il consumo di beni di lusso in India è ancora marginale e rappresenta meno dell’1% del fatturato mondiale. Secondo stime, il giro d’affari del mercato del lusso indiano è di 3,5 miliardi di dollari (la maggioranza sono marche locali), ma se sarà mantenuto l’attuale tasso di crescita nazionale, potrà raggiungere i 30 miliardi di dollari entro il 2015. Gli indiani che si possono permettere le firme rappresentano oggi solo una piccola quota, dall’1 al 3% della popolazione, che tradotta in numeri significa tra i 10 e i 30 milioni di potenziali acquirenti.
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