domenica 16 marzo 2008

Dalai Lama denuncia il "genocidio culturale" in Tibet ma non chiede boicottaggio Olimpiadi

Su Il Giornale
“Il popolo cinese ha bisogno di sentirsi fiero. La Cina merita di accogliere le Olimpiadi del 2008” ma occorre ricordare al governo di Pechino “che ha l’obbligo di comportarsi in modo consono a chi ospita i Giochi”. In una conferenza stampa ieri a Dharamshala, sede del governo Tibetano provvisorio, il Dalai Lama si è rifiutato di chiedere il boicottaggio dei Giochi olimpici di agosto. Una posizione che aveva già espresso prima dei tragici scontri di Lhasa e che aveva deluso parte della comunità tibetana in esilio che invece è impegnata in una campagna internazionale anti-Olimpiadi. Il 72enne leader religioso ha però usato toni molto duri nel denunciare la repressione delle manifestazioni in Tibet che avrebbero causato un centinaio di vittime e ha chiesto un’inchiesta internazionale. “Qualche organizzazione internazionale rispettata- ha dichiarato – potrebbe accertare quale sia la situazione in Tibet e quali le cause dei disordini”. Riferendosi probabilmente alla “sinesizzazione” del territorio tibetano, il Dalai Lama ha parlato di “regime del terrore” e di “genocidio culturale”. “Che il governo cinese lo ammetta o no – ha detto - esiste un problema: un’antica tradizione culturale è in serio pericolo. Intenzionalmente o no è in corso una sorta di genocidio culturale”. Dopo l’invasione dell’Armata Rossa nel 1950, il governo di Pechino ha distrutto centinaia di monasteri, perseguitato i religiosi ed alterato l’equilibrio etnico. “Esiste una sorta di discriminazione – ha aggiunto – secondo la quale i tibetani che vivono nella loro terra sono trattati da cittadini di serie B” rispetto agli immigrati cinesi che sono chiamati Han e che costituiscono oggi la maggioranza della popolazione. E poi: “I cinesi sono costretti a ricorrere alla forza per imporre la pace, una pace che si basa su un regime di terrore”.
In un’intervista alla Bbc, sempre ieri, il Dalai Lama ha paragonato i disordini degli ultimi giorni all’insurrezione anticinese del 1959 quando fu costretto alla fuga per non essere arrestato. Con un lungo viaggio a cavallo attraverso l’Himalaya arrivò in India che lo ha accolto insieme a decine di migliaia di profughi che un maggioranza vivono nella vallata di Dharamshala. Dopo lo stallo dei negoziati avviati nel 2002, le nuove generazioni sono diventate più impazienti e meno disposte ad accettare la diplomazia del “middle way” seguita dal loro capo spirituale, ovvero di un approccio moderato nel rivendicare l’autonomia e non l’indipendenza. Questa spaccatura ideologica all’interno della comunità è nota anche al Dalai Lama che ha ammesso di essere impotente. “Non posso fermare le manifestazioni in Tibet – ha detto - Sono il portavoce dei tibetani, ma non il loro padrone. E’ un movimento popolare, sono loro che decidono”. Ha poi aggiunto che teme altre violenze allo scadere dell’ultimatum di oggi e ha quindi rivolto un appello al governo cinese perché “guardi la realtà piuttosto che soffocarla. Credono che bastino le armi per avere il controllo. Ma non possono controllare la mente degli uomini”.

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