Su Il Giornale
A chi gli chiede se parla italiano, Rahul Gandhi risponde con un sorriso innocente da ragazzo che non ha studiato la lezione e non vuole essere interrogato. Eppure qualche parola la dovrà pur sapere se vuole comunicare con la nonna Paola Maino che ogni anno viene a svernare a New Delhi a casa della figlia Sonia. Da quando ha messo la testa a posto e ha indossato i panni di parlamentare, il “ranocchio” Rahul si è trasformato nel principe azzurro della politica indiana. O meglio nell’erede al trono della dinastia dei Nehru-Gandhi, i “Kennedy” in salsa curry che hanno ereditato l’India dai colonialisti britannici e che ora vogliono trasformarla in una potenza economica mondiale.
Con un bisnonno come Jawaharlal Nehru, una nonna e un padre come premier e una madre definita “una delle donne più potenti del mondo”, è difficile intravedere altri sbocchi professionali per l’italo-indiano Rahul che a giugno compirà 38 anni, ma che da solo 4 anni è a tempo pieno in politica al servizio del Congresso, lo storico partito della famiglia, dove guida da pochi mesi l’ala giovanile. In questi anni, su suggerimento di Sonia, ha fatto una dura gavetta nel suo collegio elettorale di Amethi, il feudo elettorale della dinastia che ha adottato questo povero villaggio dell’Uttar Pradesh, il mega stato di 160 milioni di abitanti. Nonostante il suo impegno a favore degli strati sociali più deboli, durante le ultime elezioni regionali il Congresso ha ottenuto solo un magro 8,5%, mentre a trionfare è stata la signora Mayawati, la leader degli “intoccabili”. Per il giovane Gandhi è stata una doccia fredda che lo ha costretto ad una sorta di esame di coscienza sulla sua strategia elettorale.
Accusato di essere poco carismatico, rispetto alla sorella Priyanka (che per ora ha scelto di fare la mamma) e di essere troppo distante dai suoi elettori, Rahul ha scatenato un’offensiva di primavera. Per prima cosa ha rivoluzionato il sistema di reclutamento nel Congresso, un partito che sembra viva ancora ai tempi dell’arcolaio del Mahatma Gandhi (con cui non c’è nessun legame di parentela, ma solo una fortunata omonimia). Poi ha iniziato a viaggiare in lungo e largo per la “madre India” per fare conoscenza con l’”aam admi”, in hindi “l’uomo comune” che è il volto informe delle masse indiane escluse dal nuovo benessere delle metropoli. Indossati i sandali e il kurta-pijama bianco, l’uniforme dei politici del Congresso, si è liberato degli “yes men” che lo circondavano e si è calato nella realtà delle campagne. I giornali indiani hanno battezzato il suo ultimo tour elettorale nello stato orientale dell’Orissa, “Discovery India”, la “Scoperta dell’India”, ma lui ha respinto seccamente l’etichetta in una conferenza stampa. Il suo viaggio di quattro giorni tra le popolazioni tribali, non poteva però passare inosservato in un momento in cui a New Delhi si parla di elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del governo di Manmohan Singh nella primavera del 2009. Il Congresso ha già acceso i motori della sua potente macchina elettorale. Lo si è visto dalla finanziaria presentata a fine febbraio e che prevede ben 15 miliardi di dollari di cancellazione dei debiti contratti dai contadini. L’Orissa è uno degli stati indiani più poveri ed è dominato in parte dalla guerriglia maoista, ma possiede anche ricche risorse minerarie e Rahul si indirizzato proprio a coloro che temono di essere espropriati dalle loro terre dalle grandi industrie. Ma non lo ha fatto come gli altri leader che arrivano in elicottero e poi volano via in una nuvola di polvere e di illusioni. Si è invece lasciato andare ai bagni di folla, ha parlato con gli agricoltori, con insegnanti delle scuole, con gli studenti e con gli emarginati. Ha scioccato i suoi accompagnatori per ben due volte quando nottetempo è letteralmente “scappato” dall’hotel a cinque stelle dove lo avevano sistemato, per andare a cenare a casa di una famiglia del posto. Lo aveva già fatto in Uttar Pradesh a gennaio quando aveva trascorso la notte su una branda a casa di una famiglia di “intoccabili”. D’altronde anche suo padre Rajiv si era rivolto alle tribù dell’Orissa nel suo ultimo comizio il 21 maggio 1991 nel villaggio di Gunupur. Il giorno dopo mentre continuava il suo tour elettorale in Tamil Nadu fu assassinato da una donna kamikaze delle Tigri Tamil. Rahul aveva 21 anni, stava studiando economia a Londra e aveva uno spiccato interesse per le ragazze sudamericane. Non avrebbe mai immaginato di diventare un giorno il principe azzurro del Congresso.
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