sabato 29 marzo 2008

Vittorio Missoni: in India mancano gli spazi per le grandi firme

Su Apcom
“Il più grosso problema per l’ingresso delle marche del lusso in India è la mancanza di spazi commerciali, di negozi multibrand e di strutture dedicate al retail”. Sono le parole di Vittorio Missoni, ospite a Nuova Delhi ad un seminario di due giorni dedicato all’industria del lusso, che non nasconde le difficoltà di operare sul mercato indiano. Nonostante la crescita dell’8-9% degli ultimi 4 anni e una classe di 30 milioni di ricchi consumatori, l’India non è ancora riuscita a sviluppare un vero mercato per i prodotti di fascia alta. A Nuova Delhi o a Mumbai non esistono “fashion street” e la maggior parte delle “griffe” internazionali sono confinate negli hotel a cinque stelle. I nuovi progetti di apertura di centri commerciali alla periferia delle metropoli sono in ritardo e comunque non sembrano soddisfare le esigenze delle firme internazionali che sono abbastanza scettiche sulla tipologia di acquirenti che frequenteranno i futuri “mall” ora in costruzione.
Lo stesso Missoni, che è anche vicepresidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, non è ancora presente sul mercato indiano, mentre in Cina ha già aperto tre negozi in franchising. “Se riusciremo a trovare gli spazi adeguati a Mumbay o a Delhi, prevediamo di inaugurare il primo punto vendita tra un anno o un anno e mezzo”.
Un altro ostacolo è il livello ancora alto di protezionismo che, nonostante le recenti liberalizzazioni promosse dal governo di Manmohan Singh, penalizza gli investimenti e l’esportazione di prodotti di fascia alta, come la moda, il vino o i liquori. A causa dei dazi doganali e tasse d’importazione, i prezzi dei beni di lusso stranieri sono più alti dal 20 al 40% rispetto a Londra, Dubai o Singapore. L’accesso al mercato è stato aperto solo nel 2006 per i negozi monomarca. Inaugurando la conferenza organizzata dal quotidiano Hindustan Times e quest’anno dedicata all’Italia, il ministro del commercio estero Kamal Nath ha annunciato la possibilità di aumentare il tetto del 51% di partecipazione straniera nelle joint venture per il retail monobrand. Ma si tratta di una decisione “sensibile” perché “occorre tenere presente che il 97% del commercio appartiene al settore informale. Vogliamo proteggere i negozi a conduzione famigliare – ha detto - ma anche favorire la creazione di posti di lavoro”.

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