Pubblicato da Apcom
L’India ha messo le sue truppe in stato di allerta in Kashmir per il timore che il presidente Pervez Musharraf perda il controllo del Paese e il Pakistan precipiti nel caos politico. Il governo di Nuova Delhi è preoccupato in particolare dal pericolo di un aumento dell’infiltrazione di militanti islamici attraverso la cosiddetta “linea di controllo” che separa le due regioni himalayane contese e che si troverebbe sguarnita sul lato pachistano a causa del dispiegamento di alcuni battaglioni e reparti speciali sul confine occidentale per prevenire il raggruppamento dall’Afghanistan dei talebani e militanti di Al Qaeda. Secondo fonti indiane di intelligence circa 38 mila soldati sono stati spostati in Waziristan e nelle aree tribali nel Nord-Ovest.
Il rischio di una ripresa degli attentati Kashmir e anche il pericolo che parte dell’arsenale nucleare può finire nelle mani degli integralisti stanno agitando i sonni dei vertici militari indiani. “Siamo molto preoccupati dal fatto che se ci sarà una dura repressione dei gruppi della jihad in Pakistan, questi ultimi possano ripiegare sull’India” ha detto il generale Deepak Kapoor, capo di stato maggiore, in un’intervista su un quotidiano. Ecco perché è stata rafforzata la sicurezza lungo gli oltre 700 chilometri della linea che separa i due Kashmir dove dal 2003 vige una tregua tra i due eserciti. In questi anni il processo di pace tra India e Pakistan ha prodotto una serie di significative misure di distensione nel settore diplomatico, del trasporto di persone e merci e, da pochi mesi, anche sul fronte della cooperazione nella lotta all’antiterrorismo. Poche settimane fa un portavoce del governo di Islamabad aveva detto che non era mai successo in 60 anni di indipendenza che le relazioni tra i due paesi fossero cosi buone. Nella loro storia India e Pakistan hanno combattuto tre guerre a causa della disputa sul Kashmir.
E’ quindi evidente che Nuova Delhi segue con una certa apprensione la svolta autoritaria impressa da Musharraf con la dichiarazione dello stato di emergenza e la sospensione della costituzione lo scorso 3 novembre. Finora non ci sono state prese di posizione da parte di Nuova Delhi se non il vago auspicio di “un ritorno alla normalità”. Il silenzio è motivato da una linea di condotta “non-interventista” negli affari interni di un altro Paese che ha quasi sempre ispirato la politica estera indiana con qualche eccezione, come nel caso dello Sri Lanka quando l’ex statista Rajiv Gandhi decise di inviare una forza di pace che poi si rivelò un boomerang e che gli costò anche la vita. E’ una linea che l’India ha anche tenuto con la confinante Birmania quando i monaci buddisti venivano brutalmente picchiati dalle forze del regime e anche in Nepal durante la rivolta popolare dell’aprile 2005.
Ora però la situazione è diversa. “Per la prima volta il Pakistan deve affrontare una minaccia alla sua sicurezza che proviene dal suo confine occidentale e non dalle frontiere con l’India - ha scritto l’analista politico Raja Mohan in un editoriale qualche giorno fa su “The Indian Express”. Si tratta di una svolta importante e non può essere senza conseguenze per l’India”.
Il problema è che avendo puntato sul “cavallo” Musharraf in questi tre anni di negoziati di pace, Nuova Delhi non ha altre alternative. La stabilità interna del Pakistan è troppo importante per rischiare di perdere il “generale”, come lo chiamano gli indiani per sottolineare l’origine golpista del suo governo. “Se i pachistani non riescono a riprendere il controllo sulle regioni di frontiera occidentali, l’effetto sarà di avere un’escalation dell’estremismo religioso e del terrorismo nell’intero subcontinente - aggiunge Mohan che auspica un aiuto “discreto” da parte dell’India per salvaguardare l’integrità pachistana. “Di fronte alla disgregazione della Linea Durand, l’India dovrebbe contribuire a mantenere il fronte contro gli integralisti sul confine Nord occidentale del subcontinente. Un Pakistan democratico potrebbe sicuramente vincere meglio questa guerra – conclude - Ma l’India non ha il lusso di poter scegliere il sistema politico in Pakistan”.
Il rischio di una ripresa degli attentati Kashmir e anche il pericolo che parte dell’arsenale nucleare può finire nelle mani degli integralisti stanno agitando i sonni dei vertici militari indiani. “Siamo molto preoccupati dal fatto che se ci sarà una dura repressione dei gruppi della jihad in Pakistan, questi ultimi possano ripiegare sull’India” ha detto il generale Deepak Kapoor, capo di stato maggiore, in un’intervista su un quotidiano. Ecco perché è stata rafforzata la sicurezza lungo gli oltre 700 chilometri della linea che separa i due Kashmir dove dal 2003 vige una tregua tra i due eserciti. In questi anni il processo di pace tra India e Pakistan ha prodotto una serie di significative misure di distensione nel settore diplomatico, del trasporto di persone e merci e, da pochi mesi, anche sul fronte della cooperazione nella lotta all’antiterrorismo. Poche settimane fa un portavoce del governo di Islamabad aveva detto che non era mai successo in 60 anni di indipendenza che le relazioni tra i due paesi fossero cosi buone. Nella loro storia India e Pakistan hanno combattuto tre guerre a causa della disputa sul Kashmir.
E’ quindi evidente che Nuova Delhi segue con una certa apprensione la svolta autoritaria impressa da Musharraf con la dichiarazione dello stato di emergenza e la sospensione della costituzione lo scorso 3 novembre. Finora non ci sono state prese di posizione da parte di Nuova Delhi se non il vago auspicio di “un ritorno alla normalità”. Il silenzio è motivato da una linea di condotta “non-interventista” negli affari interni di un altro Paese che ha quasi sempre ispirato la politica estera indiana con qualche eccezione, come nel caso dello Sri Lanka quando l’ex statista Rajiv Gandhi decise di inviare una forza di pace che poi si rivelò un boomerang e che gli costò anche la vita. E’ una linea che l’India ha anche tenuto con la confinante Birmania quando i monaci buddisti venivano brutalmente picchiati dalle forze del regime e anche in Nepal durante la rivolta popolare dell’aprile 2005.
Ora però la situazione è diversa. “Per la prima volta il Pakistan deve affrontare una minaccia alla sua sicurezza che proviene dal suo confine occidentale e non dalle frontiere con l’India - ha scritto l’analista politico Raja Mohan in un editoriale qualche giorno fa su “The Indian Express”. Si tratta di una svolta importante e non può essere senza conseguenze per l’India”.
Il problema è che avendo puntato sul “cavallo” Musharraf in questi tre anni di negoziati di pace, Nuova Delhi non ha altre alternative. La stabilità interna del Pakistan è troppo importante per rischiare di perdere il “generale”, come lo chiamano gli indiani per sottolineare l’origine golpista del suo governo. “Se i pachistani non riescono a riprendere il controllo sulle regioni di frontiera occidentali, l’effetto sarà di avere un’escalation dell’estremismo religioso e del terrorismo nell’intero subcontinente - aggiunge Mohan che auspica un aiuto “discreto” da parte dell’India per salvaguardare l’integrità pachistana. “Di fronte alla disgregazione della Linea Durand, l’India dovrebbe contribuire a mantenere il fronte contro gli integralisti sul confine Nord occidentale del subcontinente. Un Pakistan democratico potrebbe sicuramente vincere meglio questa guerra – conclude - Ma l’India non ha il lusso di poter scegliere il sistema politico in Pakistan”.
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