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Un anno dopo la prima rivolta, in Rajasthan, una delle mete turistiche più popolari in India, è di nuovo scoppiata la rabbia della casta dei Gujjar, una minoranza tribale che fa parte della miriade di caste e sotto caste di cui è composta la società indiana. Da ormai cinque giorni i rivoltosi bloccano alcune arterie stradali e ferroviare intorno al capoluogo rajasthano di Jaipur e minacciano ora di marciare su Nuova Delhi. Centinaia di rappresentanti della casta hanno organizzato un sit-in sulla strada che collega Jaipur con Agra, la città del Taj Mahal. Hanno anche sabotato alcuni binari causando disagi per i collegamenti ferroviari con Mumbai. Accanto a loro hanno i cadaveri di alcuni manifestanti uccisi nei giorni scorsi quando la polizia ha sparato ad altezza uomo sulla folla uccidendo 38 persone. Chiedono che vengano condotta un’autopsia sui corpi per verificare che sono stati colpiti da proiettili. Le autorità indiane hanno accusato il loro leader Kirori Singh Baisala accusano di aver linciato e ucciso un poliziotto lo scorso venerdì, episodio che avrebbe scatenato la violenza delle forze dell’ordine.
I Gujjar chiedono di essere inclusi in una classificazione castale che è più bassa della loro, ma che gode di più privilegi per ottenere un impiego nella pubblica amministrazione e l’ingresso nelle università. Per favorire la mobilità sociale tra caste l’India ha adottatto negli anni un complesso sistema di quote riservate per i “dalit”, gli ex “intoccabili” e che costituiscono il 30% della popolazione, i gruppi tribali e indigeni e tutte le altre caste “inferiori”. Le caste sono state abolite dalla costituzione del 1947, ma di fatto continuano ad esistere e a costituire invisibili barriere sociali.
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